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La cessione del credito: cessione pro soluto e pro solvendo. Rapporti con la cessione del credito a scopo di garanzia

1. Nozione e causa

La cessione del credito, disciplinata dagli artt. 1260 e seguenti cod. civ., si sostanzia in un negozio giuridico in cui il creditore (cedente) trasferisce ad un terzo (cessionario) il diritto di credito che egli vanta nei confronti del debitore (ceduto)[1].

L’istituto de quo si caratterizza, dunque, per comportare una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio da lato attivo che si concreta in una successione del credito, lasciando  per il resto inalterato il rapporto contrattuale in essere.

Il credito viene trasferito al cessionario così come era nel patrimonio del creditore originario, tant’è che “per effetto della cessione, il credito viene trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e con gli altri accessori”[2]in virtù del noto principio accessorium sequitur principale[3].

Sul punto occorre tuttavia distinguere. La cessione del credito comporta il trasferimento automatico delle cauzioni, così come del modus in quanto, di regola, essi rappresentano accessori al credito, ma anche della clausola penale che ha la funzione di rafforzare l’obbligazione, nonché delle azioni giudiziarie volte a rafforzare la conservazione e la realizzazione del credito, quali il sequestro e le azioni esecutive.

Vengono inoltre trasmesse automaticamente le eccezioni, considerato che la cessione del credito non comporta novazione, ma soltanto una modificazione soggettiva di un rapporto contrattuale che per il resto rimane immutato[4]: la conseguenza è che il ceduto potrà eccepire al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto far valere nei confronti del cedente, fatta eccezione per la compensazione che segue una particolare disciplina[5].

Al contrario, non sono oggetto di trasferimento né la caparra confirmatoria, né la caparra penitenziaria,in quanto la prima costituisce una garanzia dell’impegno negoziale nel suo complesso piuttosto che della singola obbligazione, mentre la seconda rappresenta il corrispettivo del recesso e non può essere annoverata tra gli accessori di uno dei crediti collegati al contratto.

Allo stesso modo la cessione del credito non consente la trasmissione delle azioni giudiziarie relative alla fonte del credito, quali l’azione di nullità o di annullamento, nonché quelle di risoluzione e rescissione[6].

Con riferimento alla funzione dell’istituto de quo, secondo la prevalente dottrina e la giurisprudenza la cessione del credito non rappresenta un autonomo tipo contrattuale, quanto piuttosto un negozio giuridico a causa variabile: infatti essa si identifica con quella dello schema negoziale che in concreto consente, di volta in volta, di operare il trasferimento del credito o che, comunque, è idoneo a giustificarlo[7].

Pertanto si potrà configurare una vendita del credito qualora esso venga ceduto verso corrispettivo in denaro, così come si avrà una donazione del credito nel caso in cui esso sia ceduto a titolo di liberalità.

2. Natura giuridica

Con riferimento alla natura giuridica della cessione del credito, si evidenzia come secondo parte della dottrina, argomentando dall’art. 1264 c.c. che parla di “accettazione” del debitore, l’istituto de quo avrebbe una struttura variabile[8]e si sostanzierebbe in un negozio plurilaterale o bilaterale a seconda che il debitore, rispettivamente, partecipi all’atto di cessione accettandolo, o non partecipi allo stesso[9].

L’orientamento prevalente[10], sia in dottrina che in giurisprudenza, è nel senso di configurare la cessione del credito come un contratto bilaterale traslativo ad effetti reali che vede quali parti soltanto il cedente ed il cessionario, escludendo invece il debitore ceduto, che resta completamente estraneo al negozio.

Essendo un contratto ad effetti reali, troverà applicazione l’art. 1376 c.c., e pertanto esso si perfezionerà con il semplice consenso legittimamente manifestato dal cedente e dal cessionario.

Dalla configurazione della cessione del credito come contratto bilaterale tra cedente e cessionario discende, inevitabilmente, che l’eventuale accettazione dell’atto di cessione da parte del ceduto rappresenta una circostanza esterna al negozio e, in particolare, una presa d’atto della cessione stessa nel caso in cui il credito sia liberamente cedibile, ed un atto di autorizzazione -intesa come rimozione di un impedimento al trasferimento dell’altrui diritto- nel caso di incedibilità del credito.[11]

3. Oggetto della cessione

Oggetto della istituto in parola è, per l’appunto, il “credito”. Occorre pertanto chiarire cosa si intende per tale termine.

La dottrina ha rilevato come oggetto della cessione del credito possa essere qualunque situazione soggettiva giuridicamente rilevante che, a prescindere dalla fonte, rappresenti titolo, nei confronti di una parte qualificata e determinabile, ad una prestazione che può consistere in un comportamento, anche omissivo, utile a realizzare un interesse patrimonialmente valutabile[12].

Pertanto potranno essere oggetto di cessione le prestazioni di dare, di facere, di non facere, i diritti potestativi, i diritti personali di godimento, le situazioni soggettive naturali, così come i crediti sottoposti a termine iniziale o a condizione sospensiva (ossia i crediti inesigibili) e persino i crediti futuri.

Con riferimento ai crediti futuri, tuttavia, occorre precisare che:

  • la disposizione di un bene futuro non deve essere vietata dallo schema negoziale in concreto utilizzato dalle parti per addivenire alla cessione (a titolo esemplificativo si veda l’art. 771, comma I, c.c. in tema di donazione);
  • il cedente ha l’obbligo di far acquistare al cessionario la titolarità del credito(a differenza dell’ipotesi di cessione di crediti inesigibili in cui un simile obbligo non sussiste[13]);
  • in base ai principi generali in tema di contratto ex artt. 1346 e 1348 c.c., il credito deve essere “determinabile”, nel senso che esso dovrà essere riferito ad un rapporto giuridico di base già sussistente al momento della conclusione del negozio di cessione, dal quale rapporto potranno avere origine i crediti futuri che, pertanto, saranno da quel momento determinati o determinabili[14].

Di conseguenza, come avviene per la vendita di cosa futura, la cessione di crediti futuri avrà efficacia obbligatoria immediata, poiché l’accordo obbliga il cedente a far acquistare al cessionario la titolarità del credito, ed efficacia reale differita in quanto l’effetto traslativo si verificherà al momento della venuta ad esistenza del credito [15].

4. Cessione pro soluto e pro solvendo

La cessione del credito si caratterizza per essere, normalmente, pro soluto e, solo se espressamente pattuito, essa sarà pro solvendo.

La cessione è pro soluto quando il cedente non risponde della solvenza del debitore[16], ma soltanto del c.d. nomen verum, ossia della semplice esistenza del credito al tempo della cessione.

La ratio di una simile previsione si rinviene nella necessità che il rischio di non poter conseguire la prestazione gravi sul cessionario quale nuovo titolare del credito. Si è infatti precisato che il cessionario subentra nella medesima posizione del creditore originario (il cedente), e pertanto dovrà subire l’alea dell’insolvenza del debitore ceduto[17].

Soltanto laddove previsto dalle parti contraenti, il cedente potrà assumere la garanzia della solvenza del debitore, ossia dovrà garantire il c.d. nomen bonum. Un esempio di cessione pro solvendo normativamente prevista è la cessione in luogo dell’adempimento disciplinata dall’art. 1198 c.c. in cui, si noti, l’effetto estintivo non è immediato come nella datio in solutum(art. 1197 c.c.) poiché la liberazione del debitore consegue alla riscossione del credito ceduto[18].

Il creditore che garantisce la solvenza del debitore ceduto risponde nei limiti di quanto ha ricevuto, oltre a dover corrispondere gli interessi, a rimborsare le spese della cessione e quelle che il cessionario abbia sopportato per escutere il ceduto, ed infine dovrà risarcire il danno. Il cessionario, dunque, avrà diritto a recuperare soltanto il corrispettivo della cessione, ma non l’importo del credito acquistato[19].

La garanzia della solvenza del debitore è di tipo restitutorio, e non satisfattorio come le comuni garanzie poiché, una volta data attuazione a detta garanzia, si verificherà la risoluzione del negozio di cessione del credito e verrà a ri-costituirsi la situazione originaria.

5. Cessione del credito a scopo di garanzia

Un’applicazione dello schema negoziale della cessione del credito di cui agli artt. 1260 e seguenti cod. civ. è la cessione a scopo di garanzia, che si ha quando il debitore, a garanzia dell’adempimento del debito che egli ha nei confronti del creditore, cede a quest’ultimo il credito che a sua volta vanta verso un terzo.

La funzione dell’istituto de quo è dunque quella di coprire il rischio dell’inadempimento del debito.

Secondo la tesi prevalente in dottrina[20], la cessione del credito a scopo di garanzia si sostanzia in un negozio fiduciario poiché nei rapporti esterni, ed in particolare nei confronti del debitore ceduto, il cessionario diventa immediatamente titolare del credito[21], mentre nei rapporti interni si è in presenza di un pactum fiduciae, ossia di un accordo ad effetti obbligatori in virtù del quale il cessionario dovrà chiedere l’adempimento in primis al cedente e, soltanto a seguito del suo inadempimento, potrà rivolgersi al ceduto, facendo così valere la propria garanzia (c.d. pactum de non petendo)[22].

Tale accordo è soggetto poi ad un obbligo di ritrasferimento del credito al cedente, mediante atto inter vivos di attuazione dell’obbligazione fiduciaria, nel caso di puntuale adempimento da parte del cedente stesso, oppure ad una clausola risolutiva dell’adempimento dell’obbligazione da parte del cedente.

Pertanto, in caso di adempimento, il credito ceduto tornerà al cedente, alternativamente, mediante:

  • atto di ritrasferimento inter vivos dal cessionario al cedente;
  • avveramento della condizione risolutiva dell’adempimento dell’obbligazione da parte del cedente apposta alla cessione.

In caso di inadempimento dell’obbligo del cedente, il cessionario potrà riscuotere il credito ceduto e soddisfarsi sulle somme riscosse, dovendo però restituire l’eccedenza[23].

La cessione a scopo di garanzia potrebbe anche essere sottoposta ad una condizione sospensiva dell’inadempimento dell’obbligazione da parte del cedente, tale per cui il cessionario acquisterà la titolarità del credito soltanto a seguito dell’inadempimento del debito (in tal caso non si avrà né obbligo di ritrasferimento, né pactum de non petendo).

Giova sottolineare che in tema di cessione del credito a scopo di garanzia è intervenuta la Suprema Corte la quale ha affermato che essa produce “il medesimo effetto, tipico della cessione ordinaria, immediatamente traslativo del diritto al cessionario, nel senso che il credito ceduto entra nel patrimonio del cessionario e diventa un credito proprio di quest’ultimo, il quale è legittimato pertanto ad azionare sia il credito originario sia quello che gli è stato ceduto in garanzia, sempre che persista l’obbligazione del debitore garantito; ove, invece, si verifichi l’estinzione, totale o parziale, dell’obbligazione garantita, il credito ceduto a scopo di garanzia, nella stessa quantità, si ritrasferisce automaticamente nella sfera giuridica del cedente, con un meccanismo analogo a quello della condizione risolutiva, senza quindi che occorra, da parte del cessionario, un’attività negoziale diretta a tal fine”[24].

Si è discusso circa l’ammissibilità della cessione del credito a scopo di garanzia, stante il divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c. che sancisce la nullità del patto con cui si conviene il passaggio di proprietà della cosa ipotecata o data in pegno in caso di mancato pagamento del credito nel termine fissato.

La dottrina maggioritaria  ritiene tuttavia lecita detta cessione qualora essa abbia ad oggetto crediti pecuniari o la prestazione di altre cose fungibili, argomentando dall’art. 2803 c.c. dettato in materia di pegno, secondo cui il creditore, constatato l’inadempimento e riscosso il credito oggetto di pegno, può “ritenere del denaro ricevuto quanto basta per il soddisfacimento delle sue ragioni e restituire il residuo al costituente”.

Infine in tema di cessione del credito a scopo di garanzia occorre sottolineare due aspetti fondamentali che permettono di distinguere detta figura rispetto alla cessione del credito in luogo dell’adempimento di cui all’art. 1198 c.c.

Se è vero che in entrambe le figure, a seguito della cessione, il cessionario diventa titolare di due crediti concorrenti (uno verso il proprio debitore, l’altro verso il ceduto), è altresì vero che la causa dei due istituti è completamente differente: infatti la datio in solutum del credito pro solvendo è caratterizzata, appunto, da una causa solvendi essendo essa destinata alla soddisfazione del credito, e non invece da una funzione di garanzia.

Tale distinzione produce principalmente due conseguenze:

  • la prima riguarda l’ordine in cui il cessionario dovrà richiedere l’adempimento poiché, mentre nella cessione del credito in luogo dell’adempimento il cessionario dovrà chiedere il pagamento prima al debitore ceduto e, soltanto in caso di inadempimento, potrà rivolgersi al cedente, nella cessione del credito a scopo di garanzia avviene l’esatto contrario;
  • la seconda attiene all’obbligo di restituzione dell’eccedenza che, secondo la dottrina prevalente[25], riguarda soltanto la cessione del credito a scopo di garanzia e non la datio in solutum del credito pro solvendo, essendo quest’ultima naturalmente caratterizzata dal diritto all’eventuale eccedenza.

[1]L.GENGHINI-R.APICELLA, “Le obbligazioni”, vol. VI, Cedam, 2015, pag. 335.

[2]Art. 1263, comma I, c.c.

[3]P.PERLINGIERI, “Della cessione dei crediti”,in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, pag. 128.

[4]P.PERLINGIERI, “Della cessione dei crediti”, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, pag. 130; C.M. BIANCA, “L’obbligazione”,Milano, 1993, pag. 602.

[5]Trova infatti applicazione l’art. 1248 c.c., secondo cui “il debitore, se ha accettato puramente e semplicemente la cessione che il creditore ha fatta delle sue ragioni a un terzo, non può opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente. La cessione non accettata dal debitore, ma a questo notificata, impedisce la compensazione dei crediti sorti posteriormente alla notificazione”.

[6]  P.PERLINGIERI, “Della cessione dei crediti”,in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, pagg. 148 e ss.

[7]R.CICALA, “Il negozio di cessione del contratto”,Napoli, 1962, pag. 133; F. GAZZONI, “Manuale di diritto privato”,Napoli, 2000, pag.591.

[8]Cass. Civ., sez. I, sentenza  n.12736, 10 giugno 2011.

[9]F. MESSINEO, “Manuale di diritto civile e commerciale”,vol. III, 1959, pagg. 189 e ss.

[10]Si veda in tal senso Cass. Civ., Sez. III, sent. n.7919, 26 aprile 2004, in CED Cassazione, 2004 la quale sottolinea che se da un lato il credito si trasferisce dal cedente al cessionario per effetto del mero accordo, l’efficacia e la legittimazione del cessionario a pretendere la prestazione dal debitore conseguano alla notificazione o all’accettazione della cessione al ceduto, che tuttavia non si identificano con gli istituti dell’ordinamento processuale ma che sono, invece, atti a forma libera.

[11]L. BARASSI, “Teoria generale delle obbligazioni”,I, Milano, 1948, pag. 298.

[12]P.PERLINGIERI, “Della cessione dei crediti”,in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, pag. 12.

[13]L.GENGHINI-R.APICELLA, “Le obbligazioni”, vol. VI, Cedam, 2015, pag. 343.

[14]Sul punto si veda per la dottrina F. GAZZONI, “Manuale di diritto privato”,Napoli, 2000, pag.592; per la giurisprudenza Cass. Civ. Sez. I, sentenza n.7013, 22 dicembre 1988, in Mass. Giur. it., 1988; Cass. Civ., sez. I, sentenza n. 6422, 22 aprile 2003. Secondo una parte della giurisprudenza, il credito è “determinabile” e può formare oggetto di cessione quando è riferibile ad uno specifico rapporto, dal quale il credito trarrà origine, ancorchè detto rapporto non sia ancora esistente al momento della cessione (Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 551, 17 gennaio 2012.

[15]Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 6442, 22 aprile 2003, in Gius., 2003, 18, 2008.

[16]Art. 1267, comma I, c.c.

[17]G. FINAZZI, “La cessione del credito”,in “La circolazione del credito”,I, a cura di ALESSI, MANNINO, in Trattato delle obbligazioni, diretto da GAROFALO, TALAMANCA, Padova, 2008, pag. 714.

[18]L.GENGHINI-R.APICELLA, “Le obbligazioni”, vol. VI, Cedam, 2015, pag. 144.

[19]L.GENGHINI-R.APICELLA, “Le obbligazioni”, vol. VI, Cedam, 2015, pag. 375.

[20]Per tutti, CARIOTA-FERRARA, “I negozi fiduciari”,Padova, 1933, pag. 171.

[21]Così, Cass. Civ., Sez. III, sentenza n.3797, 16 aprile 1999.

[22]L.GENGHINI-R.APICELLA, “Le obbligazioni”,vol. VI, Cedam, 2015, pag. 380.

[23]L.GENGHINI-R.APICELLA, “Le obbligazioni”,vol. VI, Cedam, 2015, pag. 378.

[24]Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 4796, 2 aprile 2001.

[25]Per tutti, A. DI MAJO, “Dell’adempimento in generale”,Torino, 1994, pagg. 360-361.

Avv. Stefania De Marco

Laureata in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Roma, "Tor Vergata", oggi Avvocato iscritto all'Ordine presso il Tribunale di Grosseto. Frequento una prestigiosa Scuola Notarile ed un Master in Avvocato d'affari organizzato dal Sole 24 ORE Business School. Sono appassionata del diritto civile a 360 gradi, mi occupo principalmente di contrattualistica, consulenza legale d'impresa, privacy e di normativa sulle manifestazioni a premio. Amo i viaggi e le letture inerenti allo sviluppo personale. Credo nella formazione continua e nella voglia di migliorarsi costantemente. Email: stefaniademarco.iuris@gmail.com LinkedIn: www.linkedin.com/in/stefaniademarco90

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