martedì, Aprile 16, 2024
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La Cina blocca la BBC: libera informazione a rischio?

Lo scorso febbraio l’autorità cinese di regolamentazione televisiva (‘NRTA’) ha revocato alla BBC – maggiore emittente radiotelevisiva britannica nonché la più antica al mondo – la licenza per trasmettere i propri contenuti in Cina. La medesima decisione è stata poco dopo assunta anche dall’autorità di regolamentazione di Hong Kong. La NRTA ha motivato il provvedimento sostenendo che la BBC abbia fornito notizie che non rispondono ai criteri di verità ed imparzialità, minando “gli interessi nazionali e la solidarietà etnica della Cina[1]. Una decisione che ha fatto molto discutere, e che porta ad interrogarsi sulla portata dei limiti cui, ancora oggi, è sottoposta la libertà di espressione specie in paesi, come la Cina, che stanno inesorabilmente scivolando verso l’autoritarismo.

La libertà di espressione

Pacificamente posta a fondamento di ogni ordinamento democratico del mondo, la libertà di espressione è stata largamente riconosciuta anche a livello internazionale.  La Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) dispone che la libertà di opinione e di espressione corrisponda al diritto di ognuno “di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere” (art. 19).

La medesima formulazione è stata riportata pressoché pedissequamente dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966)[2], nel cui testo si fa però espresso riferimento, in aggiunta, al  pluralismo dei mezzi di informazione, che possono essere scelti liberamente dall’individuo, a partire dalla stampa fino ad includere anche le forme artistiche.

Similmente dispone l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali (“Carta di Nizza”, 2002) che coincide quasi del tutto con il § 1 dell’art. 10 della CEDU. Invero, entrambi prevedono che “ogni persona ha diritto alla libertà di espressione” e che tale diritto include “la libertà di opinione e la libertà di ricevere e comunicare informazioni ed idee”, il tutto senza limiti di frontiere e senza che possa esservi alcuna ingerenza da parte delle autorità pubbliche.  L’art. 11 della Carta di Nizza, in aggiunta rispetto all’art. 10 CEDU, sottolinea inoltre che “la libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”.

A tali libertà corrispondono, naturalmente, dei doveri da osservare nell’esercizio delle stesse. È possibile, difatti, che l’esercizio della libertà di espressione sia subordinato a “formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni”, ma solo nella misura in cui queste si configurino come misure necessarie a tutelare, ad esempio, la pubblica sicurezza o ad impedire la diffusione di informazioni riservate (Art. 10 CEDU). Le limitazioni così apposte non devono dunque intaccare il contenuto essenziale della libertà di espressione e devono essere improntate ad un principio di proporzionalità– e, cioè, essere essenziali alla tutela di interessi generali o di diritti e libertà altrui (Carta di Nizza, art.52).

La Dichiarazione universale dei diritti umani, prevede, infine, che siffatte limitazioni debbano essere previste dalla legge per la tutela di diritti e libertà altrui nonché “della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica” (art.29).

Nell’esercizio del diritto di diffondere idee ed opinioni rileva in particolare, nel caso in oggetto, il diritto di cronaca, sottoposto all’osservanza di specifici doveri. La Global Charter of Ethics for Journalists (2019), rifacendosi al summenzionato art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, precisa come sul giornalista gravi una speciale responsabilità nei confronti dei lettori. Il giornalista è tenuto difatti al “rispetto dei fatti” e all’osservanza del “diritto del pubblico alla verità”, essendogli vietato occultare informazioni essenziali e falsificare qualsivoglia documento[3].

Il caso BBC

Secondo le autorità cinesi, tali requisiti non sarebbero stati osservati dalla BBC nell’esercizio della sua attività. La NRTA ha difatti accusato la BBC di aver violato la disciplina in tema di “trasmissioni televisive d’oltremare via satellite”, nonché i requisiti di verità ed imparzialità cui il giornalismo dovrebbe essere informato[4], invocando la necessità di contrastare una minaccia ai propri interessi nazionali. A sostegno della decisione dell’autorità televisiva si è espressa anche Hua Chunying, portavoce del Ministero degli esteri cinese, che ha ribadito come la BBC non abbia rispettato i criteri della correttezza e della terzietà dell’informazione, chiedendo al Regno Unito di porre fine alla “manipolazione politica[5]” attuata attraverso i propri organi di stampa .

Se la tutela della sicurezza nazionale e di interessi generali è riconosciuta a livello internazionale come possibile limite alla libertà di espressione, è pur vero che ciò è consentito solo in casi di stretta necessità. Secondo la Cina, tale necessità deriverebbe proprio dalla diffusione, ad opera della BBC, di notizie false e, dunque, non rispondenti ai summenzionati criteri verità ed imparzialità. Le ragioni a fondamento della decisione cinese non sembrano effettivamente legate all’inosservanza dei doveri del giornalista. Sono, piuttosto, squisitamente politiche o, comunque, connesse ai rapporti tra Regno Unito e Cina. 

  • Il blocco della ‘CGTN’

È doveroso evidenziare che la revoca della licenza a trasmettere della BBC è stata preceduta da un’analoga decisione da parte della Ofcom (l’autorità di regolamentazione per le società di comunicazione del Regno Unito) nei confronti della China Global Television Network (CGTN), il canale televisivo cinese in lingua inglese che si è visto revocare la licenza a trasmettere nel Regno Unito poiché il titolare della licenza (Star China Media Limited) per le trasmissioni della CGNT non ne aveva di fatto alcun controllo editoriale. Come emerso da indagini condotte dalla Ofcom, ciò è sintomo di un controllo diretto del Partito comunista cinese nei confronti dell’emittente: il partito gestisce di fatto l’intero China Media Group, cui appartiene anche la CGTN.

Ne deriva una violazione della regolamentazione britannica in materia ai sensi della quale il titolare della licenza deve svolgere un controllo editoriale dei contenuti dei servizi autorizzati e non può essere a sua volta sottoposto a controllo politico[6]. A seguito di questa decisione, la Cina ha accusato il Regno Unito di “pregiudizio ideologico”, annunciando che vi sarebbero state conseguenze[7], revocando, di lì a poco, la licenza per la BBC. Se il provvedimento assunto dalla Ofcm sembra quanto meno dotato di fondamento giuridico, quello assunto dall’analoga autorità cinese nei confronti della BBC appare, più che altro, come una preannunciata ripercussione in seguito ad un provvedimento vissuto dalla Cina come un’ingiustizia.

  • Il caso degli Uiguri

Tra i temi su cui la Cina ha accusato la BBC di diffondere fake news, quello degli Uiguri è sicuramente tra i più rilevanti. Gli Uiguri sono un gruppo etnico di origine turca e musulmana che, insieme ad altri gruppi eterogenei per lingua e cultura, abita lo Xinjiang, regione autonoma ma appartenente al territorio della Repubblica Popolare Cinese[8].

In numerosi articoli, la BBC ha affrontato la questione della sistematica politica di repressione attuata in Cina negli confronti degli Uiguri. La Cina ha difatti creato i cd. campi di rieducazione, ufficialmente definiti come campi volti “all’istruzione e alla formazione professionale necessari per combattere il terrorismo e diminuire la povertà[9]. Questi luoghi, in realtà, sono piuttosto definibili come dei veri e propri campi di detenzione, in cui gli Uiguri vengono sostanzialmente deportati e sottoposti ad una rigorosa sorveglianza nonché a violenze e abusi di ogni genere, sistematicamente praticati per raggiungere l’indottrinamento politico e religioso della minoranza.

La questione della repressione degli Uiguri va considerata in relazione alla più ampia problematica del rapporto tra il governo cinese e non solo quella musulmana ma, in generale, qualsivoglia minoranza, nell’ambito di una vera e propria campagna di omologazione delle minoranze ai costumi e alla civiltà cinese. Nel caso specifico, tra i vari obiettivi del governo di Pechino vi sarebbe quello di stroncare sul nascere, nello Xinjiang, eventuali spinte separatiste fondate sull’elemento religioso; la regione è difatti dotata di risorse naturali e rappresenta una frontiera essenziale per i rapporti commerciali con gli stati dell’Asia centrale, assumendo dunque rilievo da un punto di vista strategico[10].

La Cina ha sempre respinto con forza queste accuse, definendo le notizie sugli Uiguri, tra cui quelle diffuse dalla BBC, non rispondenti al vero. Le notizie sulla repressione degli Uiguri sono in realtà ampiamente supportate da testimonianze dirette di persone detenute nei campi[11], svariate inchieste giornalistiche e report di numerose organizzazioni per i diritti umani[12]; una realtà nota anche alla comunità internazionale, che ha già censurato la condotta delle autorità cinesi, accusate da Canada e Stati Uniti di genocidio[13].

  • La questione Hong Kong

Come accennato, in seguito alla decisione della Cina anche l’autorità di regolamentazione di Hong Kong ha provveduto a revocare la licenza alla BBC. I rapporti tra l’ex colonia e il Regno Unito sono stati messi in discussione quando Londra ha fortemente osteggiato l’applicazione ad Hong Kong della legge sulla pubblica sicurezza, legge teoricamente pensata per rendere più efficace la repressione di reati come sovversione e terrorismo ma, nella pratica, usata per reprimere le proteste ormai in corso da più di due anni.

In realtà, infatti, questa nuova legge autorizza una forte ingerenza cinese nell’amministrazione di Hong Kong- ingerenza che rappresenta lo strumento tipico da sempre utilizzato dalla Cina nella gestione del rapporto con Hong Kong: nonostante lo status, che si osserverà, di formale indipendenza, sono già numerosi gli aspetti in cui la Cina esercita un’indebita pressione su Hong Kong.

Basti pensare al complesso meccanismo, solo apparentemente democratico, di elezione del capo del governo locale (‘Chief executive’); questi, la cui nomina è in ogni caso ratificata da Pechino, è votato da un “comitato elettorale”, in sostanza dei grandi elettori rappresentativi di svariate categorie professionali, tra cui l’élite economica di Hong Kong, ritenuta molto influente e vicina alla Cina in ragione dei loro rapporti finanziari[14]. A ciò si aggiunga che il potere tanto di interpretare quanto di emendare la legge fondamentale di Hong Kong (“The Basic Law”, 1990) è formalmente rimesso al Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo[15], ossia “il massimo organo del potere statale” cinese[16].

Se ne deduce come la legge sulla pubblica sicurezza sia solo l’ultimo degli strumenti di controllo su Hong Kong, la cui autonomia è di fatto già fortemente limitata da Pechino. Quest’ultima legge risulta in particolare fortemente limitativa di libertà basilari, come quella di espressione, ed è estremamente vaga nella definizione degli elementi delle varie fattispecie criminose e di concetti come quello di “pubblica sicurezza”. Ciò ha sollevato le perplessità e la preoccupazione di larga parte del mondo occidentale.

In particolare, secondo il Regno Unito, la legge violerebbe la Joint Declaration (1984)[17] sottoscritta da Cina e Regno Unito per promuovere, a partire dal 1997, un passaggio armonioso di Hong Kong da territorio d’oltremare britannico a territorio sottoposto alla sovranità della Repubblica popolare Cinese. Tale passaggio prevedeva il conferimento ad Hong Kong dello status di regione amministrativa speciale, dotata di un’ampia autonomia, tutelando l’assetto socio-culturale di Hong Kong, che già garantiva e riconosceva svariate libertà civili e politiche come quelle di espressione, riunione e stampa e sciopero, e che sarebbe rimasto immutato per i 50 anni successivi al passaggio (e cioè fino al 2047). Dunque la dichiarazione, all’epoca registrata presso le Nazioni Unite dai rispettivi governi, risulterebbe oggi ancora idonea a produrre effetti e, dunque, a tutelare l’indipendenza dell’isola. Con l’applicazione della legge di pubblica sicurezza, tuttavia, l’osservanza, da parte della Cina, degli obblighi discendenti dalla Dichiarazione sarebbe fortemente pregiudicata. In Cina, l’intervento britannico sul tema non è stato visto di buon occhio: quella di Londra è stata difatti percepita come un’indebita ingerenza, animata da un’interpretazione della dichiarazione arbitraria e non rispondente al criterio di buona fede. La Cina non avrebbe disconosciuto la vincolatività dalla Joint Declaration ma, più semplicemente, avrebbe obiettato di aver onorato tutte le disposizioni della Dichiarazione. Dal momento che, dunque, secondo la Cina, non è intervenuta alcuna violazione della Dichiarazione, ogni intervento di Londra con riguardo alla legge di pubblica sicurezza configurerebbe un’arbitraria interferenza negli affari interni cinesi[18].

 Secondo le autorità cinesi, l’influenza esercitata dalla stampa britannica sull’opinione pubblica di Hong Kong non è favorevole alle politiche intraprese da Pechino e va dunque, in qualche modo, tenuta sotto controllo. D’altronde, non è la prima volta che la stampa si ritrova ad affrontare le conseguenze di opinioni nette sulla situazione di Hong Kong. Quando l’Australian Broadcasting Corporation ha definito Hong Kong “City of fear”, il quotidiano China daily ha definito l’emittente come un “veleno per le relazioni tra Cina e Australia”, priva di etica professionale ed imparzialità; l’Australia è stata finanche accusata di “trincerarsi dietro la libertà di espressione per giustificare la diffusione di materiale diffamatorio che denigra la Cina e ne celebra i nemici[19].

Conclusioni

Le circostanze osservate fanno emergere come quella presentata dalla Cina come necessità di tutelare i propri interessi nazionali nasconda, in realtà, una vera e propria censura, tra l’altro già ampiamente praticata con conseguenze estreme per quei giornalisti che si discostano dalla promozione delle politiche filocinesi. In base ad un report[20] del CPJ (Commettee to protect journalists) la Cina ha detenuto, nel 2020 per il secondo anno di seguito, il triste primato del paese con il maggior numero di giornalisti arrestati al mondo (47), la maggior parte dei quali stanno scontando lunghe pene detentive o risultano detenuti nello Xinjiang senza che siano a conoscenza delle condotte contestategli.

Invero, l’esigenza delle autorità cinesi di proteggere l’interesse nazionale era praticamente già in atto attraverso un sostanziale isolamento del paese dalle fonti di informazione estere- il tutto a discapito della libertà di circolazione di opinioni ed informazioni. Si è osservato[21], difatti, che la BBC, anche prima del blocco delle trasmissioni, godeva di una limitatissima diffusione in Cina: i suoi programmi non venivano trasmessi nelle case dei cinesi, ma esclusivamente in determinati luoghi, come ad esempio grandi alberghi. Anche in tal caso, le trasmissioni potevano essere improvvisamente interrotte durante servizi sulla Cina. Più che di sicurezza interna, dunque, sembrerebbe trattarsi di esigenze di politica estera[22], volte al controllo del soft power esercitato dalle potenze estere.

Del resto, la censura operata dalla Cina sull’informazione appare sistematica e rivolta verso ogni mezzo di circolazione di pensieri ed opinioni. Ne è testimonianza il c.d. Great Firewall of China, progetto gestito dal ministro della Sicurezza pubblica cinese per il controllo degli accessi degli utenti cinesi a siti internet e a social network. Un sistema di sorveglianza appositamente creato blocca, difatti, l’accesso a siti e social network ritenuti pericolosi per la stabilità politica del paese[23], come avvenuto nel caso, ad esempio, di Facebook e Instagram.

Il più recente episodio inerente a questa politica di controllo riguarda la chiusura di Clubhouse. Sul social network, in cui si dibatte delle tematiche più svariate all’interno di “stanze audio”, numerosi utenti cinesi si sono confrontati su argomenti tabù come la questione degli Uiguri e il ricordo dei fatti di piazza Tienanmen[24], ma soltanto per un brevissimo periodo: l’8 febbraio la Cina ha provveduto al blocco della piattaforma.

Ancora una volta, una mortificazione di una libertà essenziale e formalmente riconosciuta ma che purtroppo ancora oggi va incontro, di fatto, a degli ostacoli che la pongono, in molte parti del mondo, in forte pericolo.

[1]Cina e Hong Kong oscurano la Bbc: “Minati interessi nazionali“’, https://tg24.sky.it/mondo/2021/02/12/bbc-cina-hong-kong

[2] Art.19, “Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”.

[3]IFJ Global Charter of Ethics for Journalists”, https://www.ifj.org/who/rules-and-policy/global-charter-of-ethics-for-journalists.html

[4]BBC World News banned from broadcasting in China”, https://www.chinadaily.com.cn/a/202102/12/WS60256bf3a31024ad0baa8c25.html

[5]China’s decision to ban BBC legitimate: FM spokesperson”, http://www.xinhuanet.com/english/2021-02/18/c_139750890.htm

[6]Ofcom revokes CGTN’s licence to broadcast in the UK”, https://www.ofcom.org.uk/about-ofcom/latest/media/media-releases/2021/ofcom-revokes-cgtn-licence-to-broadcast-in-uk

[7]Pechino spegne la BBC”, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/pechino-spegne-la-bbc-29277

[8] Sul tema, G. Pane, “Il popolo abbandonato degli Uiguri: il Prosecutor della CPI chiude le indagini contro la Cina”, https://www.iusinitinere.it/il-popolo-abbandonato-degli-uiguri-il-prosecutor-della-cpi-chiude-le-indagini-contro-la-cina-34725#_ftn5

[9]Xinjiang: China defends ‘education’ camps”, https://www.bbc.com/news/world-asia-china-54195325#:~:text=China%20has%20long%20insisted%20that,%22re%2Deducation%22%20centres.

[10]La sorte degli uiguri è cruciale per i rapporti tra Cina e occidente”, https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/09/18/uiguri-cina-occidente-diritti

[11]Their goal is to destroy everyone’: Uighur camp detainees allege systematic rape”, https://www.bbc.com/news/world-asia-china-55794071

[12] Si veda Human Right watch, “Global Coalition urges UN to Address China’s Human Rights Abuses”, https://www.hrw.org/news/2020/09/09/global-coalition-urges-un-address-chinas-human-rights-abuses

[13]Genocidio, Pechino sotto accusa”, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/genocidio-pechino-sotto-accusa-29402

[14]Il nodo di Hong Kong e il futuro della grande Cina: conversazione con Giorgio Cuscito”, https://aspeniaonline.it/il-nodo-di-hong-kong-e-il-futuro-della-grande-cina-conversazione-con-giorgio-cuscito/

[15] Artt. 157-158, Chapter VIII, The Basic Law of the Hong Kong Special Administrative Region

[16] Art. 57, Costituzione della Repubblica Popolare cinese

[17]Foreign Secretary declares breach of Sino-British Joint Declaration”,https://www.gov.uk/government/news/foreign-secretary-declares-breach-of-sino-british-joint-declaration

[18] “Il Regno Unito non può giudicare la legge sulla sicurezza di Hong Kong”, https://agenziastampaitalia.it/politica/politica-estera/52273-il-regno-unito-non-puo-giudicare-la-legge-sulla-sicurezza-di-hong-kong?fbclid=IwAR2vqAlfaNApvFLrc0bB9g7ZyqKpdsSKcZ_xr-Uer0j9Mb9khJBJ3rmCxdI

[19]“The ABC is poison for Australia-China relations”https://www.chinadaily.com.cn/a/202102/10/WS6023a3d6a31024ad0baa8a57.html

[20] Disponibile qui, https://cpj.org/reports/2020/12/record-number-journalists-jailed-imprisoned/

[21] Pechino spegne la BBC”, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/pechino-spegne-la-bbc-29277

[22] Ibid

[23]Cina, 641 milioni di utenti Internet sotto censura ideologica”,https://vociglobali.it/2015/05/11/cina-641-milioni-di-utenti-internet-sotto-censura-ideologica/

[24]Su Clubhouse la censura di Pechino è arrivata subito”, https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2021/02/09/cina-clubhouse-censura

Marta Desantis

Marta Desantis, laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi del Sannio (con votazione di 110/110 e lode) con tesi in Comparazione e cultura giuridica dal titolo "Il risarcimento del danno Antitrust: analisi comparata tra il sistema europeo e statunitense". Praticante avvocato. Collaboratore dell'area di diritto internazionale.

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