venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

La coltivazione domestica di stupefacenti al vaglio delle Sezioni Unite

Con sentenza n. 12348/2020, depositata il 16.04.2020, le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla configurabilità del reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990 in relazione alla coltivazione domestica di stupefacenti destinata all’autoconsumo.

E’ stato affermato il seguente principio di diritto: “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

Le norme giuridiche di riferimento

Occorre indicare brevemente le disposizioni che assumono rilievo nel ragionamento del giudice di legittimità.

L’art. 73 comma 1 D.P.R. n. 309/1990 punisce la coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti, indipendentemente dalla destinazione della sostanza. In particolare, la norma equipara la coltivazione ad altre condotte, quali la fabbricazione e la produzione di stupefacenti.

L’art. 73 comma 1 bis D.P.R. n. 309/1990 concerne, tra gli altri, il reato di detenzione illecita, ad esclusione dei casi in cui lo stupefacente appaia destinato a uso esclusivamente personale.

L’art. 75 D.P.R. n. 309/1990 qualifica quali illeciti amministrativi l’importazione, l’esportazione, l’acquisto, la ricezione e la detenzione di stupefacenti a uso personale, escludendo la coltivazione, la fabbricazione e la produzione che, dunque, mantengono rilevanza penale.

In ambito comunitario, la decisione quadro n. 2004/757/GAI esclude dal proprio campo applicativo le condotte, compresa la coltivazione, tenute al fine di consumo personale (art. 2§1). La decisione quadro, però, nel prevedere norme minime per la repressione penale di condotte aventi ad oggetto sostanze stupefacenti, lascia liberi gli Stati Membri di adottare discipline più severe, compresa l’incriminazione della coltivazione ad uso personale.

I precedenti giurisprudenziali

Nella decisione in esame, la Corte di Cassazione ripercorre alcune tappe giurisprudenziali di grande interesse, con particolare riferimento al principio di offensività. La coltivazione di sostanze stupefacenti, la detenzione e la destinazione a uso personale di stupefacenti hanno infatti formato oggetto di numerose pronunce da parte dei giudici di legittimità e della Corte Costituzionale[1].

La Corte Costituzionale chiarisce che il principio di offensività costituisce un limite per il legislatore nella selezione delle fattispecie incriminatrici[2]. I giudici costituzionali, adottando un atteggiamento di self-restraint, riconoscono che la discrezionalità legislativa nell’individuazione delle condotte penalmente rilevanti è censurabile solo in caso di manifesta irragionevolezza.

In caso, ad esempio, dei cd. reati d’autore, il reato di ubriachezza di cui all’art. 688 c.p. è stato giudicato costituzionalmente illegittimo, avendo ad oggetto la punizione di condizioni e di qualità individuali[3]. Parimenti, è risultata incostituzionale l’aggravante della clandestinità di cui all’art. 61, n. 11 bis c.p.[4].

Si ritiene che il principio di offensività in astratto imponga al legislatore di reprimere penalmente solo fatti lesivi di beni o interessi ritenuti meritevoli di tutela[5]. E’ per esempio ammissibile ricorrere a modelli di reati di pericolo presunto, a condizione che l’anticipazione della tutela sia giustificata e non irrazionale, anche alla luce della rilevanza del bene protetto.

Inoltre, il principio di offensività in concreto orienta il giudice che deve verificare se i fatti portati alla sua attenzione siano riconducibili al paradigma punitivo. Spetta al giudice verificare la concreta offensività della condotta, configurandosi, in caso negativo, un reato impossibile ex art. 49 c.p.

In tema di sostanze stupefacenti, la Corte Costituzionale non ha ravvisato disparità di trattamento tra coltivazione e detenzione, acquisto o importazione di sostanze stupefacenti[6]. Come anticipato, solo la prima è sanzionata penalmente, anche se finalizzata al consumo personale. La Consulta considera, in particolare, dirimente la possibilità per il giudice di merito di verificare l’offensività in concreto della condotta, applicando eventualmente l’art. 49 c.p.

Intervenute sul tema, le Sezioni Unite Di Salvia hanno confermato la posizione della Consulta[7]. Si afferma che il reato di coltivazione non autorizzata di piante delle quali siano estraibili sostanze stupefacenti è uno strumento di anticipazione della tutela della salute umana (artt. 2 e 32 Cost.). Adottando un’interpretazione costituzionalmente orientata, si può controbilanciare il rigore della previsione legislativa, permettendo al giudice di verificare in concreto se l’offensività della condotta integra il reato di coltivazione.

In seguito alla pronuncia delle Sezioni Unite 2008, si sono sviluppati due distinti orientamenti giurisprudenziali sul concetto di offensività in concreto.

Alcune pronunce ritengono sufficiente verificare la conformità della pianta al tipo botanico proibito e la capacità della sostanza ricavata o ricavabile a produrre un effetto drogante.

In altre decisioni è richiesto l’accertamento di un elemento aggiuntivo, il concreto pericolo di aumento di disponibilità dello stupefacente e di ulteriore diffusione dello stesso.

La decisione delle Sezioni Unite

Nella pronuncia in esame, le Sezioni Unite sottolineano in primo luogo la necessità di superare il concetto di incremento del mercato degli stupefacenti, in quanto caratterizzato da intrinseca vaghezza e difficoltà di accertamento.

La Corte ribadisce poi la distinzione tra il principio di tipicità e di offensività.

La tipicità, intesa come riconducibilità del fatto concreto alla fattispecie normativa, è pacificamente requisito imprescindibile per verificare la sussistenza del reato di coltivazione di stupefacenti. Essa implica che la pianta rientri nella categoria botanica proibita e che sia idonea, anche per mezzo delle tecniche di coltivazione, a produrre sostanza stupefacente. Le Sezioni Unite rilevano che la tipicità (non l’offensività) concerne l’ambito di applicazione della tutela penale. Al riguardo, viene in rilievo il concetto di coltivazione, rispetto al quale non è possibile dar rilevanza a qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione. Trattandosi di reato di pericolo presunto, le Sezioni Unite ritengono di interpretare in modo restrittivo la nozione di coltivazione, in un’ottica garantistica e di bilanciamento con l’esigenza di anticipazione della tutela.

La coltivazione deve in primo luogo essere distinta dalla detenzione, penalmente irrilevante se finalizzata a consumo personale.

La Corte rileva poi che la prevedibilità della potenziale produttività sia uno dei parametri per distinguere la coltivazione penalmente rilevante da quella che non lo è. La distinzione si deve basare su presupposti oggettivi, quali la minima dimensione della coltivazione, lo svolgimento in forma domestica e non in forma industriale, le rudimentalità delle tecniche impiegate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indici di un inserimento dell’attività nell’ambito del mercato degli stupefacenti, l’oggettiva destinazione del prodotto all’uso esclusivamente personale del coltivatore. Non sarebbe invece sufficiente a escludere la tipicità del fatto l’intenzione di soddisfare esigenze di consumo personale, trattandosi di una circostanza puramente soggettiva. Se la coltivazione domestica, non riconducibile nel reato di cui all’art. 73, producesse effettivamente una sostanza stupefacente dotata di efficacia drogante, sarebbero applicabili le sanzioni amministrative di cui all’art. 75, potendosi considerare l’agente detentore di sostanza destinata a uso personale.

Passando all’offensività, la Corte sottolinea che l’esclusione della punibilità delle attività di coltivazione domestica sul piano della tipicità confermi le posizioni della giurisprudenza maggioritaria, che considera la coltivazione, la fabbricazione e la produzione più pericolose rispetto alle altre condotte elencate nell’art. 73 D.P.R. n. 309/1990. Tali attività incrementano la provvista esistente di stupefacente, dunque sono ragionevoli una differente disciplina e un’anticipazione di tutela del bene della salute collettiva e dei singoli.

Ciò posto, assume rilevanza la valutazione dell’offensività in concreto, quale criterio interpretativo a disposizione del giudice, che è tenuto a verificare che il fatto abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene-interesse tutelato. Quindi, non potrà essere ritenuto sussistente qualora si accerti che la coltivazione ha prodotto una sostanza inidonea a cagionare un effetto stupefacente in concreto rilevabile.

La coltivazione di piante conformi al tipo proibito rileva penalmente a qualsiasi stadio di sviluppo e di maturazione, indipendentemente dalla quantità di principio ricavabile al momento dell’accertamento del fatto. Se il ciclo di maturazione è completato, si esclude la sussistenza del reato in assenza di principio attivo necessario per produrre effetto drogante. Nelle fasi pregresse, le modalità di coltivazione rilevano per verificare l’attitudine della pianta a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente. La punibilità sarà esclusa in caso di un’attuale coltivazione inadeguata, da cui possa evincersi che la pianta non sarà in grado di realizzare il prodotto finale. Parimenti, non vi è punibilità se il risultato finale della coltivazione non consenta di ritenere il raccolto conforme al normale tipo botanico, o abbia un principio attivo troppo povero per la utile destinazione all’uso quale droga.

In caso di coltivazione penalmente rilevante, la detenzione sarà assorbita dal più grave reato di coltivazione. La detenzione costituisce infatti l’esito della coltivazione, un post factum non punibile, in quanto coerente e ordinario sviluppo del reato.

Infine, resta salva l’applicazione dell’art. 131-bis cp, in caso di particolare tenuità del fatto e dell’art. 73, comma 5, qualora sussistano i presupposti della minore gravità del fatto.

Fonte dell’immagine: www.cbdexpress.it

[1] Per un approfondimento, Valeria D’Alessio, La Coltivazione per uso personale di Marijuana, 5.12.2017, www.iusinitinere.it https://www.iusinitinere.it/la-coltivazione-uso-personale-marijuana-6532

[2] C. Cost. n. 62/1986.

[3] C. Cost. n. 354/2002.

[4] C. Cost. n. 249/2010.

[5] C. Cost. n. 109/2016.

[6] C. Cost. n. 360/1995; C. Cost. n. 109/2016.

[7] Cass. SS UU n. 28605/2008.

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