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Criminal & Compliance

La “Commissione Lattanzi” e la riforma del processo penale: alcuni spunti di riflessione

In data 24 Maggio 2021 è stata pubblicata la “Relazione finale e proposte di emendamenti al D.D.L. A.C. 2435”, risultato del grande lavoro della Commissione di studio, istituita con D.M. 16 Marzo 2021, atta ad elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al citato D.D.L. A.C. 2435, recante Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le Corti d’Appello.

Tale Commissione, presieduta da Giorgio Lattanzi, Presidente emerito della Corte Costituzionale, si è mossa nel solco dei compiti specificati dal decreto istitutivo della stessa, così sintetizzabili: a) esaminare il D.D.L. presentato in data 13 Marzo 2020 dal Ministro Bonafede; b) delineare, tramite la stesura di un documento ed anche mediante la prospettazione di alternative, le misure più idonee ad assicurare maggiore efficienza ed efficacia al processo penale; c) formulare proposte di possibili emendamenti al D.D.L. A.C. 2435.

In sede di presentazione dei lavori, la Ministra della Giustizia, Prof.ssa Marta Cartabia, ha evidenziato come il grande problema della giustizia italiana risieda nell’eccessiva durata dei processi, la quale determinerebbe due ordini di disfunzioni: da un lato, la notevole incidenza dell’avvento della prescrizione nei processi penali; dall’altro lato, la violazione del fondamentale diritto degli imputati alla ragionevole durata del processo.

Come opportunamente rilevato dalla Ministra, “Giudizi lunghi recano un duplice danno alla giustizia: frustrano la domanda di giustizia e ledono le garanzie della giustizia[1]”. Da qui, l’istituzione di una Commissione che, nell’ambito della riforma del processo penale già oggetto del D.D.L. citato, individui le migliori soluzioni che puntino alla riduzione del 25% della durata dei processi penali.

Il presente contributo, senza pretesa di esaustività, si concentra su alcuni punti della Relazione finale, individuandone i temi di maggior interesse e commentandone aspetti positivi e criticità.

1. Il nuovo istituto dell’archiviazione meritata.

Art. 3-bis (Archiviazione meritata): “1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di indagini preliminari e al codice penale in materia di estinzione del reato, per le parti di seguito indicate, sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere che, durante le indagini preliminari, subito dopo la notifica dell’avviso di cui all’articolo 415-bis del codice di procedura penale, il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possano chiedere al giudice per le indagini preliminari di subordinare l’archiviazione all’adempimento di una o più prestazioni a favore della vittima o della collettività, individuate tra quelle previste dalla legge, quando si procede per i reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria; b) prevedere che il pubblico ministero, laddove ritenga sussistenti i presupposti, sottoponga all’indagato e alla persona offesa una proposta di archiviazione meritata con l’avviso di conclusione delle indagini; stabilire che, nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, il pubblico ministero avvisi l’indagato della facoltà di chiedere l’ammissione all’archiviazione meritata; c) prevedere che il giudice per le indagini preliminari, sentiti il pubblico ministero, l’indagato e la persona offesa dal reato, ammetta la persona sottoposta alle indagini all’archiviazione meritata con la definizione delle misure prescritte e la fissazione di un termine per adempierle, laddove non risulti evidente l’infondatezza della notizia di reato, la mancanza di una condizione di procedibilità oppure che il reato è estinto o che il fatto non è previsto dalla legge come reato; prevedere che il giudice valuti la congruità delle prestazioni proposte rispetto al fatto e alle condizioni personali e patrimoniali dell’indagato; prevedere che il giudice verifichi la volontarietà del consenso dell’indagato; d) prevedere le prestazioni all’adempimento delle quali può essere condizionata l’archiviazione, stabilendo che, nella definizione delle stesse possa essere coinvolto, laddove necessario, l’ufficio di esecuzione penale esterno; e) prevedere che il giudice, verificata l’esecuzione delle misure prescritte, pronunci archiviazione per estinzione del reato; f) introdurre nel codice penale una causa di estinzione del reato destinata a operare per effetto del tempestivo adempimento delle prestazioni e coordinare l’introduzione dell’archiviazione meritata con l’istituto della sospensione del processo per messa alla prova di cui all’art. 168-bis del codice penale, prevedendo che quest’ultima operi solo dopo l’esercizio dell’azione penale; coordinare l’archiviazione meritata con gli istituti della non punibilità per particolare tenuità del fatto, dell’oblazione, dell’estinzione del reato per condotte riparatorie; stabilire un numero massimo di volte per l’ammissione all’archiviazione meritata; prevedere che, nel periodo fissato per l’adempimento delle prestazioni, il corso della prescrizione resti sospeso; coordinare la disciplina del casellario giudiziario con l’istituto della archiviazione meritata”.

L’istituto oggetto del presente paragrafo rappresenta una assoluta novità, sia rispetto al panorama normativo italiano, sia rispetto al D.D.L. A.C. 2435.

All’art. 3 bis (“nuovo” art. 3 bis D.D.L. A.C. 2435), viene introdotta la cd. archiviazione meritata: tale disposizione prevede la possibilità per il p.m. o per l’indagato, subito dopo la notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., di attivare il vaglio giurisdizionale al fine di richiedere un’archiviazione subordinata all’adempimento di una o più prestazioni a favore della collettività, nei casi in cui i reati oggetto del procedimento penale siano puniti (oltre che con pena pecuniaria) con pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni. La ridetta possibilità dovrebbe trovare licenza anche tra gli avvisi previsti per l’indagato in sede di avviso di conclusione delle indagini preliminari, ex art. 415 bis c.p.p.

Una volta effettuata la richiesta, il giudice per le indagini preliminari (qualora sussistano i requisiti previsti dalla legge) ammette l’indagato alla fruizione dell’istituto, fissando le misure prescritte ed il termine per il relativo adempimento (a meno di evidente infondatezza della notizia di reato o di carenza della condizione di procedibilità, ovvero in caso di estinzione del reato).

Positivamente conclusa l’esecuzione delle prescrizioni, il gip pronuncia archiviazione per estinzione del reato.

La ratio dell’introduzione di ciò che rappresenta un unicum nel nostro ordinamento nasce, ovviamente, dalla necessità di prevedere meccanismi deflativi del processo penale. La Relazione evidenzia come le condanne ad una pena detentiva inferiore ai 2 anni costituiscano il 90% del totale: dunque, un ripensamento della risposta procedimentale e sanzionatoria nei confronti di queste fattispecie costituirebbe, senza dubbio, una valvola di sfogo per tutti quei reati “bagatellari”, nei confronti dei quali potrebbe essere più utile, anche a fini rieducativi, lo svolgimento di particolari prescrizioni di utilità sociale da parte del reo.

La Commissione evidenzia come negli altri ordinamenti esistano già istituti similari all’archiviazione meritata: dalla Strafprozessordnung tedesca, alla composition pénale francese, fattispecie applicate, in detti ordinamenti, ad un rilevantissimo numero di casi.

Ad una prima lettura dell’art. 3 bis, l’archiviazione meritata sembrerebbe avere uno stretto legame con l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova in indagini, ex art. 464 ter c.p.p. La Relazione, in verità, rileva come la differenza tra i due modelli sia marcata, poiché la diversion di cui all’art. 464 ter c.p.p. presupporrebbe pur sempre la formulazione dell’imputazione. In ogni caso, la lettera f) dell’art. 3 bis prevede la necessità di coordinare le due discipline, convogliando la probation procedimentale nell’ambito dell’archiviazione meritata, e lasciando invece inalterata la probation processuale.

Da ultimo, occorre evidenziare come l’art. 3 bis consideri l’archiviazione meritata quale nuova causa di estinzione del reato: da qui, la necessità di introdurre nel codice penale, come evidenziato dalla lettera f) del nuovo art. 3 bis, la ridetta causa di estinzione.

2. Le modifiche ai riti alternativi: in particolare, il patteggiamento ed il giudizio abbreviato.

Art. 4 (Procedimenti speciali): “1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di procedimenti speciali, per le parti di seguito indicate, sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) in materia di applicazione della pena su richiesta: 1) prevedere la riduzione per il rito fino alla metà della pena in concreto, stabilendo che l’accordo tra imputato e pubblico ministero possa estendersi alle pene accessorie e alla confisca, anche per equivalente, compresa la determinazione del suo ammontare, salve le ipotesi di confisca obbligatoria individuate dal legislatore delegato; 2) eliminare le preclusioni di cui all’articolo 444, comma 1-bis, del codice di procedura penale; 3) ridurre gli effetti extra-penali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, prevedendo anche che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi; 4) prevedere il coordinamento tra l’articolo 446 del codice di procedura penale e la disciplina di cui all’articolo 6, riguardo al termine per la formulazione della richiesta di patteggiamento. b) in materia di giudizio abbreviato: 1) modificare la disciplina del giudizio abbreviato stabilendo che nell’udienza preliminare, nell’udienza predibattimentale di cui all’articolo 6 e al giudice delle indagini preliminari, a seguito di notificazione del decreto di giudizio immediato e di opposizione al decreto di condanna, possa essere formulata solo la richiesta di definizione allo stato degli atti; stabilire che la richiesta di giudizio abbreviato subordinata a un’integrazione probatoria possa essere presentata solo davanti al giudice del dibattimento, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, sempre che l’integrazione risulti necessaria ai fini della decisione e il procedimento speciale produca un’economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale; prevedere che, in caso di condanna da parte del giudice del dibattimento a seguito di integrazione probatoria, sia applicata una riduzione di pena fino a un terzo. 2) prevedere che la pena inflitta sia ulteriormente ridotta di un sesto nel caso di omessa proposizione dell’appello da parte dell’imputato, stabilendo che la riduzione sia applicata dal giudice dell’esecuzione; 3) modificare la disciplina contenuta nell’articolo 443 del codice di procedura penale, coordinandola con le previsioni di cui all’articolo 7 in tema di impugnazioni; 4) abrogare il comma 3 dell’articolo 442 del codice di procedura penale e l’articolo 134 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale (…).

L’art. 4, già presente nel D.D.L. A.C. 2435, è stato oggetto di una riformulazione da parte della Commissione Lattanzi.

Numerose sono le novità introdotte per i riti speciali oggetto del presente paragrafo.

Iniziando dal rito del patteggiamento, si prevede una più marcata riduzione della pena: dalla riduzione fino a un terzo, beneficio conseguente alla scelta del rito alternativo, si passa ad una riduzione fino alla metà della pena in concreto, prevedendo l’estensione dell’accordo di applicazione della pena anche alle pene accessorie ed alla confisca, anche per equivalente, compresa la determinazione del suo ammontare.

E’chiaro come nell’ambito di una riforma che abbia quale obiettivo principale la drastica riduzione della durata del processo penale, il patteggiamento rappresenti l’istituto cardine per raggiungere tale fine.

Ed infatti, con la riduzione della pena fino alla metà, si allarga lo spettro dei reati “patteggiabili”, nonostante la pena massima applicabile, in sede di patteggiamento cd. allargato, non possa superare i 5 anni di reclusione.

Ma ancora, l’art. 4 prevede l’eliminazione, per l’accesso al rito, delle preclusioni di cui all’art. 444, comma 1 bis c.p.p.; a mero titolo esemplificativo, dunque, il recidivo reiterato, ex art. 99, comma quarto, c.p., potrà patteggiare una pena fino a 5 anni di reclusione.

Per ciò che riguarda il rito abbreviato, le innovazioni di maggior momento sono due.

In primo luogo la riforma distingue nettamente la richiesta di abbreviato secco e la richiesta di abbreviato condizionato. Soltanto la prima, infatti, potrà essere oggetto di richiesta in tutta la fase procedimentale precedente al dibattimento; le cose vanno diversamente, invece, per l’abbreviato condizionato all’integrazione probatoria, il quale, sussistendone i requisiti di necessarietà e di economia processuale, potrà essere oggetto di richiesta soltanto davanti al giudice del dibattimento.

La Commissione giustifica tale novella in quanto vi sarebbe “un atteggiamento di tendenziale chiusura dei giudici dell’udienza preliminare rispetto alle richieste di nuove prove[2]”.

La previsione da ultimo riportata non pare totalmente condivisibile, poiché sono numerose le richieste di abbreviato condizionate all’acquisizione di mera documentazione, quali le relazioni sanitarie o quelle psicopatologiche; acquisizioni, queste ultime, che difficilmente trovano un ostacolo davanti al giudice dell’udienza preliminare. Ed anche l’affermazione tale per cui il giudice del dibattimento sarebbe l’unico giudice non estraneo al fenomeno istruttorio, appare incongrua: infatti, davanti al gup, come noto, possono essere assunte delle prove, seppur in casi particolari; ed inoltre, se nei casi di abbreviato secco, il giudice dell’udienza preliminare decide allo stato degli atti, nei casi di abbreviato condizionato alla mera acquisizione di documentazione il problema non si porrebbe nemmeno, inquantochè il giudice, pur ammettendo una prova altera rispetto al contenuto del fascicolo del pubblico ministero, si troverebbe comunque a decidere, in concreto, sulla base dei documenti.

La seconda novità in tema di giudizio abbreviato, infine, è rappresentata dal dispositivo premiale introdotto nell’art. 4: qualora l’imputato rinunci a proporre appello, il giudice dell’esecuzione applicherà alla pena inflitta una ulteriore riduzione di un sesto.

3. La “rivoluzione” del procedimento dinanzi al Tribunale Monocratico.

Art. 6 (Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica): “1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, per le parti di seguito indicate, sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) nei procedimenti a citazione diretta di cui all’articolo 550 del codice di procedura penale, introdurre un’udienza predibattimentale in camera di consiglio, innanzi a un giudice diverso da quello davanti al quale, eventualmente, dovrà celebrarsi il dibattimento; a-bis) prevedere nella stessa udienza di cui alla lettera a) il termine, a pena di decadenza, per la richiesta del giudizio abbreviato allo stato degli atti, di applicazione della pena su richiesta, di messa alla prova o per la domanda di oblazione; prevedere che, anche in assenza di una richiesta delle parti, il giudice, previa instaurazione del contraddittorio sulla corretta descrizione e qualificazione giuridica del fatto, verifichi la possibilità di una definizione immediata del processo, attraverso l’attivazione della messa alla prova per adulti, dell’applicazione della pena su richiesta, del giudizio abbreviato, dell’estinzione del reato per condotte riparatorie, dell’oblazione, verificando altresì l’eventuale disponibilità del querelante a rimettere la querela, nonché l’eventuale sussistenza della causa di non punibilità per tenuità del fatto, di cui all’articolo 131-bis del codice penale; a-ter) prevedere che, in assenza di richieste di definizioni alternative di cui alla lettera precedente, il giudice valuti, sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, se sussistono le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere perché gli elementi acquisiti non sono tali da determinare la condanna; 31 a-quater) prevedere che, nel caso in cui il processo, nell’udienza di cui alla lettera a), non sia definito con procedimento speciale o con sentenza di non luogo a procedere, il giudice fissi la data per una nuova udienza, tenuta di fronte a un altro giudice, per l’apertura e la celebrazione del dibattimento; coordinare la disciplina dell’articolo 468 del codice di procedura penale; b) prevedere che il giudice non possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere, nei casi di cui alla lettera a-ter), se ritiene che dal proscioglimento debba conseguire l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca; c) prevedere l’applicazione alla sentenza di non luogo a procedere di cui alla lettera a) degli articoli 426, 427 e 428 del codice di procedura penale e delle disposizioni del titolo X del libro V dello stesso codice, adeguandone il contenuto in rapporto alla competenza del tribunale in composizione monocratica.

L’art. 6, oggetto di riformulazione da parte della Commissione, prevede una piccola rivoluzione che concerne il rito dinanzi al Tribunale Monocratico (e ciò sia per i casi di citazione diretta a giudizio, sia per il rito ordinario, atteso che, per tale ultima sede processuale, l’art. 3, lettera i), prevede la soppressione dell’udienza preliminare).

Per tutti i procedimenti di competenza del Giudice Monocratico, infatti, si prevede l’introduzione di una udienza predibattimentale in camera di consiglio, dinanzi ad un giudice diverso da quello che celebrerà un eventuale dibattimento. Tale udienza, sulla scia dell’udienza preliminare, diventa il luogo deputato alla richiesta di tutti i riti alternativi; inoltre, è ciò costituisce l’innovazione più significativa, viene introdotta la possibilità per il giudice, anche in assenza della richiesta delle parti, di valutare la definizione immediata del procedimento, sia attraverso la possibilità di instaurare un rito alternativo, sia verificando la possibilità di una remissione di querela, nonché, soprattutto, valutando sin da subito la sussistenza della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p.

Come accade all’udienza preliminare, peraltro, anche nell’udienza predibattimentale il giudice può pronunciare sentenza di non luogo a procedere qualora gli elementi acquisiti non siano tali da determinare la condanna (art. 6, lett. a-ter).

La ratio giustificativa di tale previsione risiederebbe nella necessità di verificare, in tale udienza filtro, l’effettiva necessità della celebrazione del dibattimento.

La disposizione appare lodevole in alcuni punti: certamente, la previsione della possibilità anche officiosa del giudice, fin dall’udienza filtro, di verificare la sussistenza della particolare tenuità del fatto, così come la valutazione sub iudice circa la possibilità di accedere all’istituto della messa alla prova, certamente potrebbero costituire dei meccanismi deflativi di estrema significatività.

Così come degna di nota è la soluzione di affidare al giudice un pregnante controllo preventivo circa la correttezza e la fondatezza della citazione diretta a giudizio operata dal pubblico ministero.

Non pare rilevante, invece, lo spostamento della richiesta dei riti alternativi già in tale fase, giacchè tali richieste, con la normativa attuale, devono essere formulate in udienza preliminare (qualora il rito monocratico la preveda) o comunque, prima dell’apertura del dibattimento (e dunque, in prima udienza) nei casi di citazione diretta a giudizio.

Criticità emergono, invero, sul raccordo tra l’udienza predibattimentale e la citazione diretta a giudizio: infatti, qualora nell’udienza filtro non si dovesse pervenire ad una soluzione alternativa, il giudice dovrebbe rinviare ad altra udienza per l’apertura del dibattimento, davanti ad un giudice diverso (art. 6, lettera a-quater). Così impostata la disciplina, l’effetto che ne scaturirebbe potrebbe essere opposto rispetto agli obiettivi della Commissione, i quali, come noto, tendono alla massimizzazione temporale del processo penale. Nei riti a citazione diretta odierni, invece, nel caso di mancata definizione alternativa del procedimento, il giudice dichiara aperto immediatamente il dibattimento, senza necessità dell’individuazione di altra data ed altro giudice competente.

4. L’estensione della procedibilità a querela.

Art. 8. (Condizioni di procedibilità): “1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di condizioni di procedibilità, per le parti di seguito indicate, sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere la procedibilità a querela della persona offesa per il reato di lesioni personali stradali gravi o gravissime previsto dall’articolo 590-bis, primo comma, del codice penale; b) prevedere l’estensione del regime di procedibilità a querela di parte ad ulteriori specifici reati contro la persona o contro il patrimonio nell’ambito di quelli puniti con la pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni; prevedere che ai fini della determinazione della pena detentiva non si tenga conto delle circostanze, facendo salva la procedibilità d’ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità; c) prevedere l’obbligo, quanto ai reati perseguibili a querela, che con l’atto di querela sia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni; prevedere la possibilità di indicare, a tal fine, idoneo recapito telematico; d) prevedere quale remissione tacita della querela l’ingiustificata mancata comparizione del querelante all’udienza alla quale sia stato citato in qualità di testimone; e) rivedere i casi di irretrattabilità della querela in relazione alle esigenze della giustizia riparativa; f) modificare l’art. 162-ter c.p. estendendo l’estinzione del reato per condotte riparatorie ai casi di procedibilità a querela non soggetta a remissione, se vi è il consenso della persona offesa, adeguatamente valutato dal giudice”.

La Commissione, in primo luogo, recepisce alla lettera a) le indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 248/2020. La Consulta, in siffatto pronunciamento, ha esortato il legislatore ad un ripensamento del regime di procedibilità del reato di lesioni personali stradali, ex art. 590 bis c.p. Detto, fatto: la Relazione prevede la procedibilità a querela di parte per i reati di lesioni stradali gravi o gravissime.

Tuttavia, la novità più importante è rappresentata dall’estensione della procedibilità a querela di parte per specifici reati (da individuare) contro la persona e contro il patrimonio che siano puniti con la pena edittale non superiore nel minimo a 2 anni; la determinazione della pena non tiene conto delle circostanze, eccezion fatta per i casi in cui la persona offesa sia incapace per età o per infermità, nel qual caso la procedibilità rimarrebbe d’ufficio.

Tale previsione è da salutare con estremo favore: in primo luogo, ciò costituirà indubbiamente una valvola di sfogo per numerosi procedimenti penali, che non si incardineranno per carenza della condizione di procedibilità; inoltre, numerose ipotesi di reato bagatellare perverranno ad un processo penale soltanto nel caso di effettivo interesse della persona offesa, che si mostri determinata sia nello sporgere querela e sia nel costituirsi parte civile nel processo penale.

Ancora, l’estensione del regime di procedibilità nei termini anzidetti potrà finalmente spezzare il vincolo procedimentale officioso per delitti che, in concreto, si rivelano assolutamente ininfluenti in termini di danni a cose o persone; la Commissione fa l’esempio, paradigmatico, del delitto di furto aggravato, ex art. 625 c.p., spesso ricorrente in ipotesi banali, come nei casi di furti al supermercato (integrante l’aggravante dell’esposizione della merce alla pubblica fede) o di furti di capi di abbigliamento (con manomissione della placca antitaccheggio).

Un altro esempio può essere offerto dal delitto di violenza privata, di cui all’art. 610 c.p.: delitto, al momento in cui si scrive, procedibile d’ufficio, spesso ricorrente in ipotesi di minima importanza (si pensi a tutti i casi di violenza impropria, quale il “bloccare” l’uscita di un’automobile dal parcheggio).

Sicchè, la previsione di cui all’art. 8, lettera b), produrrà un significativo decremento dei processi penali per reati che statisticamente ricorrono con frequenza nella prassi ed in ordine ai quali, spesso, la persona offesa si disinteressa, non costituendosi nemmeno parte civile.

Da ultimo, viene recepita nella normativa riformatrice l’indirizzo giurisprudenziale prevalente circa la ricorrenza della remissione tacita della querela (art. 8, lett. d)): in caso di ingiustificata mancata comparizione del querelante all’udienza in cui è chiamato a testimoniare, si considererà immediatamente rimessa (tacitamente) la querela: così, evitando il rinvio dell’udienza con l’avvertimento per il querelante.

Anche tale ultima previsione è espressione di una ragionevole scelta della Commissione, volta a ridurre le tempistiche dei processi penali.

5. Le proposte in materia di prescrizione.

La Commissione evidenzia come i problemi dell’incidenza della prescrizione e della irragionevole durata dei processi penali sono problemi diversi, ma che si integrano reciprocamente.

Le statistiche, aggiornate sino al 2019, mostrano come il 9% dei processi penali vengano definiti con la prescrizione, secondo le rispettive cadenze: il 38% degli stessi si prescrive in indagini, il 32% nel giudizio di prime cure, il 26% in grado d’appello e lo 0,8% in Cassazione.

Ciò chiarito, in Relazione si aggiunge come il problema della prescrizione debba trovare soluzione proprio sul terreno della riduzione dei tempi del processo. “Le proposte della Commissione in materia di prescrizione del reato devono pertanto essere inserite e lette in questo contesto, che sposta il baricentro dell’attenzione sulla riduzione dei tempi del processo[3]”.

Da un punto di vista metodologico, la Commissione osserva come la riforma del processo penale oggetto del D.D.L. A.C. 2435 sia stata progettata attraverso lo strumento della delega al Governo; mentre, diversamente, le sole disposizioni relative alla prescrizione del reato sono immediatamente prescrittive.

Secondo quanto si legge Relazione, tale premessa metodologica è da censurare: ed invero, anche la riforma operata con l. n. 3/2019 (Legge “Spazzacorrotti”), contenente, come noto, anche disposizioni precettive in tema di prescrizione, è stata criticata proprio per non essere stata accompagnata da una contestuale riforma del processo, che ne assicurasse la ragionevole durata. “Il disegno di legge A.C. 2435, non allineando temporalmente le due correlate riforme, rischia di incorrere nel medesimo vizio[4]”.

Si ribadisce, dunque, come lo strumento della delega rappresenti la metodologia più consona anche in tema di prescrizione, in modo da allineare la disciplina innovativa della medesima con la riforma del processo penale; come opportunamente rilevato, peraltro, gli effetti della Riforma Bonafede del 2019 inizieranno a prodursi a partire dal biennio 2025/2027: sicchè, intervenire tempestivamente sulla prescrizione, ma in assenza di coordinamento con una riforma dei tempi del processo, apparirebbe una necessità, allo stato, irragionevole.

Tuttavia, la Commissione prende atto che l’art. 14 del D.D.L. già citato non prevede lo strumento della delega; e dunque, nella Relazione, le proposte di emendamenti in materia di prescrizione vengono formulate sotto forma di disposizioni immediatamente prescrittive.

5.1 La prima proposta alternativa (cd. “Ipotesi A”).

Art. 14. (Disposizioni in materia di prescrizione del reato): “1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) l’articolo 159, secondo comma, è sostituito dai seguenti: «Il corso della prescrizione, in seguito alla sentenza di condanna di primo grado, rimane sospeso per un tempo non superiore a due anni. Quando la pubblicazione della sentenza di appello non sopravviene prima della scadenza del termine della sospensione, cessano gli effetti di questa, la prescrizione riprende il suo corso e il periodo di sospensione è computato ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere. Il corso della prescrizione, in seguito alla sentenza di appello che conferma la condanna di primo grado, rimane sospeso per un tempo non superiore a un anno. Quando la pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione non sopravviene prima della scadenza del termine della sospensione, la prescrizione riprende il suo corso e il periodo di sospensione è computato ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere. I periodi di sospensione previsti dai commi precedenti decorrono dalla scadenza del termine per proporre impugnazione. Nel giudizio di rinvio si osservano le disposizioni dei commi precedenti. Se durante i periodi di sospensione di cui al secondo e al terzo comma si verifica una causa di sospensione prevista dal primo comma la loro durata è prolungata per il tempo relativo a tale causa.»; 2. all’articolo 160, primo comma, le parole: «e il decreto di citazione a giudizio» sono sostituite dalle parole «, il decreto di citazione a giudizio, la sentenza di condanna e il decreto di condanna.»”.

La prima proposta formulata dalla Commissione si pone in linea di assoluta continuità rispetto alla formulazione dell’art. 159 c.p. così come era stato previsto dalla L. 23 Giugno 2017, n. 103, mentre, dall’altro lato, pone alcuni limiti all’eccessivo rigore di cui è connotata la Legge Spazzacorrotti.

Si prevede all’art. 14, così come riformulato in Relazione, alcune sospensioni del termine di prescrizione all’esito dei due gradi di giudizio, esattamente come previsto dalla riforma del 2017. Rispetto a tale ultima riforma, tuttavia, il termine sospensivo viene esteso a 2 anni (invece che ad 1 anno e 6 mesi) decorrenti dalla scadenza del termine per proporre impugnazione contro la sentenza di condanna di primo grado. Nel caso in cui la sentenza di appello non dovesse sopravvenire entro il termine di due anni, la prescrizione ricomincerebbe a decorrere.

Similmente in caso di condanna in appello, ma con un termine di sospensione più breve (1 anno).

Da condividere l’impostazione (come avvenuto con la riforma del 2017) tale per cui i ridetti periodi sospensivi trovano operatività soltanto nel caso di una sentenza di condanna; abbandonando, dunque, l’impostazione della Spazzacorrotti, che ha previsto il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, qualunque ne fosse l’esito.

5.2 La seconda proposta alternativa (cd. “Ipotesi B”).

Art. 14 (Disposizioni in materia di prescrizione del reato): “1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 158, dopo il terzo comma, è aggiunto il seguente: «Il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente, in ogni caso, con l’esercizio dell’azione penale»; b) all’articolo 159, il secondo e il quarto comma sono abrogati; c) all’articolo 160, secondo comma, le parole da «il provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza in camera di consiglio» fino alla fine sono soppresse. 2. Nel codice di procedura penale, dopo l’articolo 344, è inserito il seguente: «Art. 344-bis. – (Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del processo). 1. La mancata definizione del giudizio di primo grado entro il termine di quattro anni dall’esercizio dell’azione penale costituisce causa di improcedibilità della stessa. Nei processi con udienza preliminare il termine di durata è prolungato di sei mesi. 2. La mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di tre anni dalla presentazione dell’atto di appello costituisce causa di improcedibilità dell’azione penale. 3. La mancata definizione del giudizio di cassazione entro il termine di due anni dalla presentazione del ricorso costituisce causa di improcedibilità dell’azione penale. 4. Per i delitti puniti con l’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti, e per i delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), i termini di durata massima del processo possono essere sospesi per giusta causa con ordinanza del giudice procedente, su richiesta del pubblico ministero, per un periodo non superiore a sei mesi per ogni grado di giudizio. 5. I termini previsti dai precedenti commi sono sospesi nei casi previsti dall’articolo 159, primo comma, del codice penale. 6. La declaratoria di improcedibilità non ha luogo quando l’imputato chiede la prosecuzione del processo.55 7. La definizione del processo con sentenza irrevocabile di assoluzione, entro i termini massimi di durata, anche se sospesi, che risultino superiori ai termini di ragionevole durata del processo di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, non esclude il diritto all’equa riparazione attraverso l’indennizzo previsto dalla legge stessa.»”.

La soluzione proposta dall’ipotesi B rappresenta una vera e propria rivoluzione nel nostro ordinamento.

Attraverso la modifica dell’art. 158 c.p., si prevede infatti come il corso della prescrizione cessi definitivamente con l’esercizio dell’azione penale.

In altre parole, il termine di prescrizione, da computare secondo le regole ordinarie (oltre alle novità in tema di interruzione, di cui si dirà in seguito), cessa definitivamente ogniqualvolta il pubblico ministero eserciti tempestivamente l’azione penale. Nel momento in cui viene formulata l’imputazione, la disciplina della prescrizione cessa di operare.

Ciò detto, la ragionevole durata del processo non viene ancorata al termine di prescrizione; invero, vengono previsti dei termini di fase per ogni grado di giudizio, ovvero dei limiti temporali che non possono essere superati, a pena di una improcedibilità. Ancorando ogni grado di giudizio ad un termine di fase, calcolato sulla base dei parametri di cui alla Legge Pinto (in verità, aumentati), dovrebbe essere rispettata la ragionevole durata dei processi.

Questi i termini di fase: 4 anni dall’esercizio dell’azione penale alla definizione del giudizio di primo grado (4 anni e 6 mesi nel caso in cui il procedimento preveda l’udienza preliminare); 3 anni dalla presentazione dell’atto di appello fino alla definizione del giudizio di appello; 2 anni per il giudizio di Cassazione.

Nel caso di mancato rispetto dei limiti di durata dianzi descritti, il nuovo art. 344 bis c.p.p., rubricato: “Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del processo” determinerebbe in tale superamento una causa di improcedibilità dell’azione penale.

La Commissione ritiene come tale soluzione possa garantire i principi costituzionali di ragionevole durata del processo, atteso come, successivamente all’esercizio dell’azione penale, il processo non potrebbe durare più di 9 anni (con il correttivo di ulteriori 6 mesi in caso di udienza preliminare e con le ulteriori sospensioni di 6 mesi per singolo grado di giudizio nel caso di reati puniti con l’ergastolo o di delitti ex art. 407, comma 2, lettera a)).

Tuttavia, l’ipotesi B evidenzia una notevole criticità, come peraltro chiarito nella stessa Relazione.

Ed invero, la previsione del blocco della prescrizione a seguito dell’esercizio dell’azione penale, rischia di determinare l’effetto opposto: le procure potrebbero esercitare l’azione penale un attimo prima dello spirare del termine di prescrizione, allungando notevolmente la durata del procedimento penale (nonostante la Commissione preveda all’art. 3 lettera e), seppur in modo aspecifico, la previsione di un termine per il pubblico ministero per esercitare l’azione penale dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari).

Per ovviare a tale inconveniente, nelle more della Relazione si prevede una terza soluzione alternativa, la quale proporrebbe di eliminare il blocco della prescrizione a seguito dell’esercizio dell’azione penale: una volta incardinato il processo, dunque, si cumulerebbero i rimedi atti ad evitarne l’irragionevole durata: da un lato la prescrizione, dall’altro lato i termini di fase. Si ricorda, peraltro, come l’interruzione del termine di prescrizione, a cagione della previsione del nuovo art. 14 bis previsto in Relazione, è elevato non più ad un quarto, bensì alla metà del tempo necessario a prescrivere il reato. Sicchè, una volta esercitata l’azione penale, per i delitti il termine di prescrizione non potrebbe durare (in totale) meno di 9 anni.

Tale ultima soluzione appare, a parere di chi scrive, la più idonea a garantire il rispetto del principio di cui all’art. 111 della Costituzione, fulcro di tutta la riforma del processo penale.

A chiosa, si aggiunge come il già ricordato art. 14 bis preveda il ridetto termine interruttivo per tutti i reati (salvi quelli di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater), eliminando dunque le disposizioni che prevedevano aumenti in misura superiore in varie ipotesi (si pensi all’irragionevolezza dell’aumento di due terzi previsto nei casi di recidiva ex art. 99, quarto comma, c.p.).

6. L’estensione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.

Art. 9-ter (Disposizioni in materia di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto): “1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice penale in materia di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere come limite all’applicabilità della disciplina dell’articolo 131-bis del codice penale, in luogo della pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, la pena detentiva non superiore nel minimo a tre anni, sola o congiunta a pena pecuniaria, ferme restando le esclusioni di cui al secondo comma; b) dare rilievo alla condotta susseguente al reato ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa.

Anche l’art. 9 ter rappresenta una novità rispetto al contenuto del D.D.L. A.C. 2435.

La disposizione poc’anzi richiamata prevede una rilevante estensione dell’ambito di applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131 bis c.p.

Infatti, la possibilità per il reo di ottenere un proscioglimento per particolare tenuità non viene più ancorato ai reati puniti nel massimo sino a 5 anni di reclusione; con un cambio di marcia, la Relazione aggancia la non punibilità a tutte le fattispecie di reato che siano punite nel minimo sino a 3 anni di pena detentiva; ovviamente, fermi restando tutti gli altri requisiti previsti dall’art. 131 bis c.p. e le esclusioni di cui al secondo comma della stessa norma.

La disposizione in commento costituisce un ulteriore recepimento della giurisprudenza della Corte Costituzionale, che con sentenza n. 156/2020 aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 131 bis c.p. nella parte in cui non consentiva l’applicazione della ridetta causa di non punibilità ai reati per i quali non fosse previsto un minimo edittale di pena detentiva.

Come ricordato dalla Commissione, grazie all’art. 9 ter sarà possibile applicare l’art. 131 bis c.p. ad una gamma di reati numericamente significativa, con ciò incidendo sulla ragionevole durata dei processi: si ricorda, infatti, come la Relazione abbia stravolto il procedimento dinanzi al Tribunale in composizione Monocratica, prevedendo come, nell’udienza predibattimentale, il giudice possa valutare ex officio la ricorrenza della causa di non punibilità in discorso.

A titolo esemplificativo, la stessa Relazione precisa come l’ambito di operatività dell’art. 131 bis c.p. possa oggi dirsi esteso anche al delitto di falsità materiale del pubblico ufficiale in atti pubblici, ex art. 476 c.p.; nonché, sinteticamente, anche ai delitti di calunnia, falsa testimonianza, furto aggravato e pluriaggravato, ricettazione.

7. La rilevante estensione della messa alla prova.

Art. 9-quater (Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato: “1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato sono adottati nel rispetto del seguente principio e criterio direttivo: estendere l’ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, oltre ai casi previsti dall’articolo 550, comma 2, del codice di procedura penale, ad ulteriori specifici reati, puniti con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a dieci anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell’autore, compatibili con l’istituto”.

Come l’art. 9 ter, anche l’art. 9 quater rappresenta una novità portata dalla Relazione Lattanzi.

La sospensione del procedimento con messa alla prova, come noto, rappresenta uno degli istituti di diversion che più ha riscosso successo dopo la sua introduzione. Tale procedimento alternativo, infatti, non solo consente all’imputato di evitare un procedimento penale, ma permette altresì al medesimo di ottenere l’estinzione del reato.

La Commissione, ordunque, individuando nell’istituto della messa alla prova una potenzialità deflativa notevole, propone di ampliarne la portata anche ad ulteriori specifici reati (che dovranno essere individuati dal legislatore delegato) puniti con la pena detentiva non superiore nel massimo a dieci anni.

La previsione è senz’altro apprezzabile sia in un’ottica di diversion procedimentale, dando respiro al carico dibattimentale dei Tribunali italiani, sia in un’ottica di risocializzazione e rieducazione dell’imputato, il quale, con l’istituto in questione, estingue il reato a seguito del positivo compimento delle prescrizioni impostegli dal Giudice.

8. Brevi spunti: alcune ulteriori modifiche di interesse.

Nell’impossibilità di sviscerare tutte le modifiche proposte nella Relazione, si ricordano altresì: la previsione dell’inappellabilità delle sentenze di condanna e di proscioglimento da parte del pubblico ministero (Art. 7, lettera c), D.D.L. A.C. 2435, così riformulato); l’eliminazione dell’appello incidentale dell’imputato (Art. 7, lettera h-ter), D.D.L. A.C. 2435, così riformulato); i rimedi non solo risarcitori, ma altresì compensatori in caso di irragionevole durata del processo, previsti dal nuovo art. 14 ter del D.D.L.; le disposizioni relative alla pena pecuniaria ed alle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, ex artt. 9 e 9.bis D.D.L. A.C. 2435.

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[1] Stralcio dell’intervento della Ministra Marta Cartabia durante l’incontro con i capigruppo della Commissione Giustizia della Camera, svoltosi in data 10 Maggio 2021; per il testo integrale dell’intervento, si veda il documento, pubblicato su Sistema Penale, intitolato “Ridurre del 25% i tempi del giudizio penale: un’impresa per la tutela dei diritti e un impegno con l’Europa, per la ripresa del Paese”, 31 Maggio 2021.

[2] Relazione finale e proposte di emendamenti al D.D.L. A.C. 2435, Pres. Giorgio Lattanzi, 24 Maggio 2021, pag. 27.

[3] Relazione finale e proposte di emendamenti al D.D.L. A.C. 2435, Pres. Giorgio Lattanzi, 24 Maggio 2021, pag. 51.

[4] Relazione finale e proposte di emendamenti al D.D.L. A.C. 2435, Pres. Giorgio Lattanzi, 24 Maggio 2021, pag. 51.

Dario Quaranta

https://avvocatodarioquaranta.it/ Avvocato penalista, nato nel 1993. Ha conseguito il Master universitario di secondo livello in Diritto Penale dell'Impresa, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, con la votazione di 30/30 e lode, ottenendo altresì il premio indetto dall'Associazione AODV231 destinato ad uno studente del Master distintosi per merito, ex aequo con altro partecipante. E' membro dell'Osservatorio Giovani e Open Day dell'Unione delle Camere Penali Italiane ed è responsabile della Commissione Giovani della Camera Penale di Novara. Frequenta dal 2021 il Corso biennale di tecnica e deontologia dell’avvocato penalista, attivato dalla Camera Penale di Torino. Si laurea in Giurisprudenza all'Università del Piemonte Orientale con la votazione di 110/110, discutendo una tesi in diritto penale intitolata: "La tormentata vicenda del dolo eventuale: il caso Thyssenkrupp ed altri casi pratici applicativi". Durante gli studi universitari ha effettuato un tirocinio di 6 mesi presso la Procura della Repubblica di Novara, partecipando attivamente alle investigazioni ed alle udienze penali a fianco del Pubblico Ministero. Da Maggio 2018 è Praticante Avvocato presso lo Studio Legale Inghilleri e si occupa esclusivamente di diritto penale. Da Dicembre 2018 è abilitato al patrocinio sostitutivo. Ad Ottobre del 2020 consegue l'abilitazione all'esercizio della professione di Avvocato presso la Corte d'Appello di Torino, riportando voti elevati nelle prove scritte (40-35-35) ed agli orali. Nel corso della sua attività professionale ha affrontato molte pratiche di rilievo, inerenti in particolar modo i delitti contro la Pubblica Amministrazione,  i delitti contro la persona, contro la famiglia e contro il patrimonio, nonchè in tema di reati tributari, reati colposi, reati fallimentari e delitti relativi al DPR n.309/1990. Si è occupato inoltre di importanti procedimenti penali per calunnia e diffamazione. Ha sostenuto numerose e rilevanti udienze penali in completa autonomia. E' collaboratore dell'area di Diritto Penale di Ius In Itinere e di All-In Giuridica, ed ha pubblicato un contributo sulla rivista Giurisprudenza Penale . E'altresì autore della sua personale rubrica di approfondimento scientifico, denominata "Articolo 40", disponibile sul sito della Camera Penale di Novara. Vanta 46 pubblicazioni sulle menzionate riviste e banche dati, tra contributi autorali e note a sentenza. Indirizzo mail: dario.quaranta40@gmail.com

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