venerdì, Marzo 29, 2024
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La compensatio lucri cum damno: un terreno “arduo e oscuro”

A cura della Dott.ssa Sara Silvestrini

Con questo brocardo giuridico si fa riferimento all’operazione con cui, in sede di liquidazione del danno patito dalla persona offesa a causa di un fatto illecito, viene decurtato l’importo corrispondente ad un eventuale ed ulteriore vantaggio ottenuto dalla medesima vittima in ragione del medesimo illecito.

  1. Introduzione

Nel nostro ordinamento il tema relativo alla disciplina della compensatio lucri cum danno da anni genera forti perplessità. I dibattiti tendono ad acuirsi qualora si consideri che la relativa regolamentazione è di matrice essenzialmente giurisprudenziale e, quindi, per sua natura è esposta al rischio di subire modificazioni. A tal proposito preme puntualizzare che il legislatore, seppure in via implicita, tra le righe del Codice civile ha incluso la ratio dell’istituto. Esso, infatti, viene ricondotto de plano nell’orbita dell’art 1223 c.c.

Tale norma presuppone che il beneficio ottenuto dalla vittima sia conseguenza diretta ed immediata dell’illecito. Se da un punto di vista teorico/dogmatico questa tesi non desta alcuna perplessità, diversamente accade nel caso in cui si voglia spostare l’attenzione sugli effetti che essa produce sul piano pratico/concreto. Nella prassi, infatti, spesso accade che gli elementi costitutivi della fattispecie non condividano la medesima fonte. Si precisa che la funzione svolta da parte della responsabilità civile è in grado, di per sé, di condurre gli interpreti ad una necessaria – se non addirittura automatica – radicalizzazione della compensatio.

Nel nostro sistema, a differenza di quanto accade in quelli di common law, è per tradizione prevalente l’impostazione che associa al concetto di responsabilità quello di compensazione[1]. Da ciò ne discende che la vittima, nella fase relativa alla selezione delle conseguenze risarcibili a ridosso della commissione dell’illecito, non ha diritto ad ottenere un ristoro che sia superiore al pregiudizio patito. In altri termini, è come se l’offeso, mediante il risarcimento, debba essere ricondotto in una situazione che sia analoga – e non migliore – a quella preesistente il verificarsi del fatto illecito. Premesso ciò, è utile affermare che il Codice, almeno di regola, è ostile ad ogni spostamento di ricchezza che non sia sostenuto da una valida causa. Per ragioni di completezza si rammenta che la suddetta inclinazione si esprime con vigore nell’art. 2041 c.c.

  1. Le evoluzioni giurisprudenziali

In questo contesto si segnala che gli approdi giurisprudenziali in tema di compensatio, vista la natura dell’istituto, hanno il merito di averne delineato sia presupposti che la portata applicativa. L’indifferenza del legislatore e l’operatività statica di precedenti obsoleti e sposso poco equi, avevano attratto il fenomeno in un contesto ricco di ambiguità. Le medesime considerazioni avevano indotto la dottrina ad  identificarla come uno spettro che “si aggira fra le corti”[2]. Nonostante oggi la questione sia ancora da ritenersi aperta, è innegabile che nelle aule di giustizia si sia tentato di attribuire a questa figura un volto chiaro e lineare; soprattutto in relazione a quelle ipotesi in cui i benefici spettanti al danneggiato discendano da titoli differenti.

Le buone intenzioni hanno avuto la meglio nei casi in cui l’istituto sia caratterizzato da bilateralità, ossia quelli in cui gli obblighi di corresponsione, seppure oggettivamente differenti, condividano la medesima fonte dal punto di vista soggettivo. In dette situazioni, infatti, si è giunti alla conclusione secondo cui non deve dubitarsi della ragionevolezza del diffalco. Un caso esemplificativo della suddetta tendenza è quello ove la Cassazione[3], in relazione al ristoro del danno cagionato da emotrasfusioni infette ed in ossequio al predetto orientamento, ha preliminarmente stabilito che la figura su cui grava l’obbligo dell’indennizzo[4]coincida con quella in capo alla quale graverebbe l’ulteriore onere del risarcimento, dato che in entrambe le ipotesi si tratterebbe del Ministero della salute. Tale circostanza, secondo gli Ermellini, è di per sé idonea e sufficiente ad escludere che possano generarsi i presupposti per un indebito vantaggio (nella forma del cumulo dei due benefici) a favore della vittima. A ciò si deve aggiungere che una scelta di segno opposto avrebbe l’ulteriore spregio di punire per ben due volte – ma per lo stesso danno – il medesimo soggetto[5]. La dottrina, dal canto suo, ha osservato che l’applicazione di default di questo automatismo rischierebbe comportare una visione semplicistica ed aritmetica del fenomeno. La critica si fortifica sino ad affermare che tale meccanismo rischia di degenerare in una disparità di trattamento ex artt. 3 e 24 Cost. Circostanza che potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso in cui  l’indennizzo venisse corrisposto da un soggetto estraneo al sistema sanitario facente capo al Ministero, quale la struttura ospedaliera privata[6].

La Corte ritenuto ragionevole optare per il diffalco anche in un caso riguardante la tardiva adozione di una direttiva europea da parte dello Stato italiano[7], la quale, a sua volta prevedeva indennizzi a favore delle vittime di reati internazionali violenti. In questo frangente si è ritenuto che la pretesa satisfattoria dei ricorrenti si fosse parzialmente consumata mediante l’elargizione della somma versata a titolo di risarcimento a cagione dell’inerzia del nostro Paese. Pertanto, dato che entrambi gli obblighi si pongono come “conseguenza immediata e diretta” del fatto, il successivo recepimento della direttiva solo in parte alimenta il diritto all’indennizzo previsto dalla normativa europea[8].

Da un’analisi attenta della motivazione della sentenza  da ultimo citata emerge che, in realtà, vi è un altro criterio che funge da “filo conduttore” della materia, ossia quello dell’identità degli scopi che sottendono le due corresponsioni economiche. Si tratta di un parametro estraneo alla disciplina nostrana e che colloca le proprie origini nel diritto internazionale[9].  Adagiare il nostro ordinamento sul principio della “ricerca del fine” ha il vantaggio di paralizzare il rischio che possano adottarsi conclusioni connotate da automatismi, i quali, come ben noto, spesso conducono a deliberazioni irragionevoli e sproporzionate. L’attenzione per l’aspetto funzionalistico e, di conseguenza, per le peculiarità della fattispecie sottoposta al vaglio giurisdizionale, esige che – di volta in volta – venga effettuata una disamina delle fonti che giustificano le diverse corresponsioni.

Si rammenta che il suddetto metodo è stato avallato dalle SU al fine di disciplinare quelle ipotesi in cui nel circuito risarcitorio siano coinvolti tre soggetti (trilateralità). Si tratta di fattispecie caratterizzate dalla non-identità di coloro che per legge o per contratto debbono farsi carico del danno subito dall’unica vittima e, per di più, senza che a tal fine rilevi la diversa natura e l’autonomia dei titoli che giustifichino l’uno e l’altro beneficio.

La tipizzazione del caso concreto ha fatto sì che le SU del 2018[10]– dopo aver ribadito che “il risarcimento deve coprire tutto il danno cagionato, ma non può oltrepassarlo” – giungessero ad un esito che, seppure in apparenza, è in antitesi con il suddetto dogma. Il quesito si sostanziava nella richiesta di stabilire se la duplicità dei titoli e dei soggetti cui competono le differenti corresponsioni economiche fosse in grado di escludere il cumulo dei benefici. La Suprema Corte si è espressa in senso contrario. Gli argomenti richiamati dai Giudici, lungi dall’essere aprioristici, si intersecano in un vortice squisitamente logico e tecnicistico. La ratio che emerge dal percorso motivazionale propende per l’adozione di un criterio che analizzi lo scopo che si cela dietro ciascuna elargizione. Ed è proprio in forza di tale direttiva che si è giunti ad ammettere la liceità del cumulo tra le due corresponsioni senza che da ciò ne derivi un’ ingiustificata locupletazione del danneggiato[11]. In particolare si è sostenuto che soltanto il risarcimento – e non la pensione di reversibilità – è effettivamente idoneo a svolgere la funzione compensativa del ripristino dello staus quo ante della persona offesa.

Le esperienze giurisprudenziali descritte in tema di compensatio testimoniano che l’evoluzione del contesto sociale e giuridico ha posto le basi per un ripensamento dell’istituto in termini di equità e di giustizia. Tuttavia, nonostante l’abbandono dei parametri “bilancistici”, residuano margini di incertezza per quelle ipotesi in cui si teme che l’autore del danno, avvalendosi del beneficio collaterale proveniente da altra fonte, possa neutralizzare il proprio dovere riparatorio. A tal fine si auspica che il legislatore intervenga tramite meccanismi di surroga e di rivalsa eventualmente esperibili da parte del terzo[12].

  1. Conclusioni

L’istituto in esame si permea di un’intrinseca problematicità che, a sua volta, si inserisce come corollario delle più ampie incertezze che animano il macro-settore della responsabilità civile. È stato notato che questa, lungi dall’essere priva di interferenze straniere, non sempre è aderente alla tradizione civilistica. Infatti, a ben vedere, sia talune disposizioni[13]del nostro ordinamento, sia recenti pronunce della Suprema Corte[14]sembrano sposarsi con la teoria dei punitive demages[15]. Fermo che tali interventi non siano tali da capovolgere le basi di una cultura giuridica – qual’ è la nostra – che, per tradizione, mal si concilia con funzione sanzionatoria del risarcimento in sede civilistica; non si può ignorare che un simile approccio, seppure sporadico, faccia sorgere interrogativi circa la funzione che compete agli istituti che operano in fase di quantificazione del danno. Ebbene, in questa prospettiva è evidente che qualora la giurisprudenza finisse per avallare numerose ipotesi di cumulo, ciò indurrebbe a pensare che ci si stia affrancando dalla logica compensatoria della responsabilità civile.

[1]P. Trimarchi, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, edizione 2019.

[2]E. Bellisario, “Compensatio lucri cum damno: punti fermi e persistenti questioni aperte”, in Danno e Responsabilità, n. 6, 1 novembre 2019.

[3]Cass. Civ. Sez. III, sentenza n. 8532, 06 maggio 2020,“l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (compensatio lucri cum damno), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto”.

[4]Si tratta dell’indennizzo derivante dalla legge 25 febbraio 1992, n. 192 “L’indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, vaccinazioni”.

[5]Nel caso in esame non è stato attribuito alcun rilievo al fatto che gli istituti del risarcimento e dell’indennizzo siano riconducibili a due diverse logiche.

[6]A. Volpato “Compensare per riparare: il caso del danno da emotrasfusioni infette”, in Danno e Responsabilità, n. 6, 1 novembre 2020, pag 724.

[7]Si trattava dell’art. 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80/CE.

[8]Cass. Civ. Sez. III, sentenza n. 26757, 24 novembre 2020.

[9]Principles of European Tort Law, all’art. 10:103, prevedono che, nel determinare l’ammontare dei danni, i vantaggi ottenuti dal danneggiato a causa dell’evento dannoso devono essere presi in considerazione, salvo che ciò non sia conciliabile con lo scopo dei vantaggi (unless this cannot be reconciled with the purpose of the benefit). Negli stessi termini si esprime la direttiva seguita dal Draft Common Frame of Reference (art. 6:103 del libro VI, dedicato alla equalisation of benefits).

[10]Cass. Civ. Sez. Un., sentenza n. 12564, 22 maggio 2018, (cfr. Cass. Civ. Sez. Un. nn. 12564,12565,12566,12567; si parla delle “sentenze gemelle” del 2018).

[11]Si è ritenuto che la pensione di reversibilità versata da parte dell’Inps favore dei congiunti della vittima non debba essere decurtata dalla liquidazione del danno patrimoniale da morte del familiare. La prima elargizione, infatti, ha natura solidaristica ed autonoma.

[12]M. Ferrari, “Compensatio lucri cum damno e beneficio collaterale nella pensione di reversibilità”,  in Contratto e Impresa, n. 3, 1 luglio 2019.

[13]Si veda, per esempio, l’art. 709 ter, comma 2 nn. 2 e 3 c.p.c. in tema di violazione delle regola sull’affidamento della prole e l’art. 12 della l. 8 febbraio 1948, n. 47 in tema di diffamazione a mezzo stampa.

[14]Cass. Civ. Sez. Un., sentenza n. 16601, 05 luglio 2017.

[15]A. Gorassini, “Dal danno ingiusto al danno ingesto. Oltre il danno punitivo…senza aspettare Godot” , in Rivista di Diritto Civile, n. 1, 1 gennaio 2021, pag. 50.

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