venerdì, Marzo 29, 2024
Fashion Law Influencer Marketing

La consulenza legale nel settore moda

Il 5 dicembre del 2020 si è tenuto il webinar dal titolo “La consulenza legale nel settore moda” organizzato dalla rivista giuridica Ius in Itinere e dalla sezione locale di ELSA Roma.

Durante questo incontro si è discusso circa le nuove sfide che si trovano ad affrontare avvocati e legali delle aziende di moda e di come questo nuovo settore abbia impattato nella realtà giuridica nazionale ed internazionale.

Sono intervenuti:

l’ Avv. Umberto Guarino, Studio Legale Guarino e Associati.

l’Avv. Maddalena Valli, Studio Legale e Tributario Legalitax;

l’Avv. Andrea Tuninetti, Clifford Chance:

il Prof. Davide Mula, Prof. a contratto Università Europea di Roma;

il Dott. Andrea Amiranda, giurista d’impresa.

Il webinar è disponibile al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=faD95Np0hjY

La trascrizione è a cura di Eleonora Bruno (Presidente ELSA Roma), Dott. Kristian Massimei (Ius in itinere), Francesca Oddi (ELSA Roma e Ius in itinere) e Cristina Liberti (ELSA Roma e Ius in itinere).

INDICE:

  1. LA CONSULENZA LEGALE NELLE FASHION INDUSTRIES

(A cura di Eleonora Bruno)

  1. GLI ASPETTI DIGITAL DELLA FASHION LAW

(A cura di Eleonora Bruno)

  1. LA COMPLIANCE NELLE AZIENDE DI MODA

(A cura di Dott. Kristian Massimei)

  1. RISCHI ED OPPORTUNITÀ DELLE TECHNOLOGICAL INNOVATIONS APPLICATE NELLA FASHION INDUSTRY

(A cura di Cristina Liberti)

  1. L’IMPORTANZA DEL RUOLO DEL FASHION LAWYER NEL SETTORE PUBBLICO, ALLA LUCE DEL REGOLAMENTO “PLATFORM TO BUSINESS” 

(A cura di Francesca Oddi)

  1. LA CONSULENZA LEGALE NELLE FASHION INDUSTRIES

A cura di Eleonora Bruno

Il diritto della moda è una nuova branca del diritto che racchiude diverse discipline che ricorrono quotidianamente a sostegno delle aziende di moda. Gli avvocati esperti di diritto della moda, infatti, devono sapersi muovere all’interno delle aziende a seconda della dimensione dell’impresa nella quale si è chiamati ad operare, tenendo a mente i due fattori fondamentali che, oggi, accomunano tutte le aziende, ed in particolare quelle del settore del fashion: la globalizzazione e l’innovazione tecnologica.

Il primo corrisponde ad un processo di dipendenze economiche, sociali, culturali che sicuramente hanno una valenza per l’imprenditore: l’abolizione delle barriere offre potenzialmente infinite possibilità e, quindi, innumerevoli opportunità.

Multidisciplinarità e interattività denotano, poi, il carattere trasversale delle nuove tecnologie, l’utilizzo delle quali non può non far parte del DNA dell’avvocato esperto in diritto della moda che si propone di affiancare l’imprenditore. Ed è proprio quest’ultimo aspetto – quello di affiancare l’imprenditore – ad essere estremamente importante.

Sono quattro le tipologie di realtà imprenditoriali caratterizzano il settore della moda, inducendo il fashion lawyer a cambiare veste.

La prima è rappresentata dal giovane stilista in cerca di uno o più fornitori[1], il quale deve affrontare il problema della vendita dei prodotti; in questo caso il giovane imprenditore necessita di una consulenza globale e non soltanto legale: l’esperto, il quale deve possedere anche competenze di marketing ed essere a conoscenza di canali distributivi, grazie alla sua rete di contatti fornisce un supporto straordinario per la crescita dell’azienda.

Un secondo tipo di azienda è quella che ha una sua struttura in grado di realizzare il prodotto: la fabbrica vera e propria. Spesso si tratta di imprese artigiane, composte da un massimo di dieci dipendenti, che dopo aver svolto attività di terzisti decidono di realizzare il proprio brand. In questo caso la trasformazione è estremamente complessa: da azienda produttrice a casa di moda; la figura dell’avvocato esperto del settore fashion dovrà fornire supporto manageriale.

La terza realtà è l’azienda medio-grande che desidera far diventare il proprio marchio di fama internazionale e, in tal caso, l’avvocato è un consulente legale che si occupa delle beghe legali legate all’attività imprenditoriale.

Infine, l’ultima tipologia è la griffe di fama internazionale all’interno della quale sono presenti uffici legali in house nei quali operano professionisti di primario livello; il General Counsel, cioè il direttore degli affari legali, è dotato di capacità manageriali notevolissime, in grado di coordinare il consultivo e guidare le complesse attività di una maison internazionale. In questo tipo di aziende i General Counsel seggono nei Consigli di Amministrazione ed il loro parere è determinante anche per le scelte aziendali strategiche.

Pertanto, la particolarità dell’avvocato esperto in diritto della moda, associabile all’avvocato di affari, è il possesso di spiccate doti manageriali poiché, come recita una famosa frase, ciò che viene richiesto dal cliente al proprio avvocato è sapere cosa fare per ottenere ciò che si vuole.

  1. GLI ASPETTI DIGITAL DELLA FASHION LAW

A cura di Eleonora Bruno

Tre sono le caratteristiche principali che denotano un fashion lawyer: creatività, multidisciplinarietà ed attitudine ad aggiornarsi costantemente.

La creatività è una creatività normativa, cioè la possibilità di intermediarie tra quelle che sono le esigenze creative di vendita del prodotto con quella che è la compliance normativa e la complessa disciplina legale che caratterizza questo settore. Nell’ambito della moda, oltre ai principi classici che sono previsti dal Codice del Consumo, per quanto riguarda gli aspetti legati alla trasparenza, sussistono una serie di ulteriori Regolamenti Comunitari che vanno ad integrare tale normativa nazionale.

La creatività dell’avvocato si esplicherà nel cercare di contemperare l’esigenza di pubblicità del prodotto in modo allettante per il pubblico, con l’esigenza di tutelare i consumatori permettendo loro di conoscere concretamente il prodotto che si sta acquistando.

La seconda caratteristica fondamentale che deve possedere l’avvocato esperto della moda è la multidisciplinarietà; quest’ultima riguarda sia la necessità di avere delle competenze tecniche sul prodotto e sui canali di vendita, fisici o digitali, che il conoscere ogni aspetto legato alla pubblicità, sia statica che digitale. Un esempio di competenza tecnica attiene alla conoscenza della disciplina dei cookies[2], recentemente aggiornata; infatti, ogni avvocato esperto in diritto della moda deve illustrare al proprio cliente gli strumenti idonei a verificare che la società d’informatica incaricata di occuparsi del proprio e-commerce abbia istallato regolarmente i cookies.

Infine, l’attitudine all’aggiornamento continuo è fondamentale per l’avvocato specializzato in diritto della moda poiché il fashion law è una materia in continua evoluzione e in continua evoluzione è, soprattutto, la parte del digital. La necessità che il giurista possieda una forte predisposizione all’aggiornarsi è posta ancora più in luce dal momento storico così particolare che stiamo vivendo: considerato che in moltissime regioni è pregiudicata la vendita al dettaglio, l’avvocato esperto di moda deve assistere il cliente nell’utilizzo di forme alternative di vendita.

In conclusione, l’impianto normativo è molto complesso e la situazione attuale di crisi è evidente a tutti, tuttavia non ci dobbiamo demoralizzare: chi pensa di avere un’attitudine alla creatività e alla risoluzione dei problemi deve sicuramente prendere in considerazione l’idea di diventare un avvocato esperto di moda e adoperarsi per intraprendere questa strada, una strada talvolta tortuosa ma sempre interessante, stimolante e, per di più, anche divertente.

  1. LA COMPLIANCE NELLE AZIENDE DI MODA

A cura di Dott. Kristian Massimei

I profili di “rischio” della responsabilità amministrativa degli enti, fornendo – infine – un caso pratico applicato in ambito moda[3]. In primo luogo, ha fornito una chiara e precisa definizione di cosa, appunto, sia la “Compliance[4]”. È necessario distinguere Compliance normativa dalla Regulatory Compliance. Quest’ultima è stata definita dalla Banca d’Italia come: “il rischio di non conformità̀ alle norme è il rischio di incorrere in sanzioni giudiziarie o amministrative, perdite finanziarie rilevanti o danni di reputazione in conseguenza di violazioni di norme di legge, di regolamenti, ovvero di norme di autoregolamentazione o di codici di condotta”. In concreto la normativa 231 del 2001, normativa che ricordiamo ha consentito di superare il famoso brocardo latino “Societas deliquere non potest”. Difatti al fine di evitare tale responsabilità, l’ente in questione è tenuto ad adottare o mettere in atto, un modello di organizzazione, gestione e controllo, idoneo a prevenire alcune tipologie di reato[5]. I vantaggi dell’adozione di un Modello 231 sono: a) la prevenzione del rischio dei reati; b) L’esenzione della responsabilità amministrativa ex D. Lgs. 231/2001; c) La possibilità di partecipare a bandi, appalti, gare pubbliche; d) Incrementare il rating di legalità ai sensi del D.L. 1/2012 in tema di anticorruzione; e) L’efficienza dei processi aziendali e miglioramento della governance interna; f) Audit e monitoraggio continuo della conformità dell’impresa alla normativa di settore attraverso l’Organismo di Vigilanza; g) La raccolta e coordinamento delle procedura di controllo e certificazione in una documentazione unitaria e accessibile; infine h) Lo sgravio fiscale e la riduzione del tasso INAIL. I reati che si trovano con maggiore frequenza nelle Fashion Industry. Anzitutto, i reati di facile riscontro sono quelli attinenti al novero della proprietà intellettuale, come ad esempio: la contraffazione, alterazione o uso di marchi, brevetti, modelli e disegni (art. 473 c.p.); l’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.); la vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 c.p.); la fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale (art. 517-ter c.p.); altre fattispecie criminose previste dalla legge sul diritto d’autore. Al fine di prevenire quanto appena affermato, è fondamentale per l’azienda capire quali aree sono più esposte a tali fattispecie criminose: l’ideazione, sviluppo e fabbricazione dei prodotti; l’acquisizione, registrazione e gestione di marchi, brevetti, disegni, modelli o di altri titoli o diritti di proprietà industriale; l’acquisto, importazione e, più̀ in generale, messa in commercio (anche online) di beni o servizi contraddistinti da marchi e segni distintivi ovvero costituenti o incorporanti diritti di proprietà̀ intellettuale; la promozione di tali prodotti, anche online, e gestione delle campagne promozionali; l’ideazione, realizzazione e gestione del sito internet aziendale e delle app; la gestione dei rapporti con licenziatari, distributori, sub-fornitori, consulenti commerciali, creativi e IT. Tuttavia, i reati in ambito IP,  non solo gli unici che trovano terreno fertile nel mondo della lusso e della moda. Il settore della moda, infatti, è uno dei più inquinanti al mondo. Alcuni esempi che denotano l’importanza dell’affermazione fatta in precedenza: “Ogni secondo l’equivalente di un camion della spazzatura colmo di tessuti viene portato in discarica o bruciato. Se non si interviene rapidamente, entro il 2050 l’industria della moda consumerà̀ un quarto del bilancio mondiale del carbonio; gli abiti rilasciano mezzo milione di tonnellate di microfibre nell’oceano, equivalenti a più̀ di 50 miliardi di bottiglie di plastica. Le microfibre sono molto difficili da eliminare e possono entrare nella catena alimentare”. Difatti, lo stesso relatore basandosi sui dati dell’Oekom Research,  ha evidenziato che “il WWF ha analizzato l’impegno ecologico di 12 marche tessili, constatando che più̀ della metà non ha adottato alcuna misura per contribuire a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. Una tendenza che sembra non aver fine: secondo le previsioni, il fabbisogno di abbigliamento continuerà̀ a crescere, passando da 62 milioni di tonnellate nel 2015 a 102 milioni di tonnellate nel 2030”. Di conseguenza, secondo le stime aumenterà̀ l’inquinamento e i rischi per l’ambiente. Il legislatore, al fine di prevenire tali conseguenze irreparabili, con più novelle dedicate, è intervenuto su tali questioni, introducendo numerose fattispecie di reato. Di singolare importanza – fra tutti – è l’art. 452 c.p., ovvero “Inquinamento ambientale”, che punisce “chiunque abusivamente cagioni una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili di una risorsa ambientale (acqua, aria, suolo, sottosuolo), di un ecosistema, della bio diversità̀, della flora e della fauna”. Una volta fornita detta cornice di riferimento, a seguito di una ricerca fatta su alcuni campioni di rinomate aziende di moda, avente ad oggetto i modelli organizzativi di cinque società di moda. Vi sono modelli organizzativi con più pagine ed altri con meno pagine, tuttavia, ciò, non deve confondere il lettore, perché molto spesso l’efficacia di un modello organizzativo d’impresa non si evince dal numero delle pagine. Molto spesso le società, difatti, nei propri siti pubblicano sia la parte generale che la parte speciale e, pertanto, il numero di pagine aumenta considerevolmente. Per quanto attiene all’ODV[6], che può essere sia esterno che interno. Per ragioni di terzietà e imparzialità, la maggioranza dei membri dell’organismo, debbano essere esterni. Fermo restando che molto spesso – qualora la società adotti un mandato troppo breve – l’ODV in questione potrebbe incombere in una difficoltà concreta nell’acquisizione dei processi aziendali. Sul tema di “Whistleblowing”. Nei rispettivi modelli analizzati, il canale di segnalazione maggiormente preferito è ancora una volta la classica “mail” a dispetto degli “external tool”, nonostante i numerosi casi di data breach incorsi nel tempo che espongono, in tal modo, numerosi dati personali a terze parti. È auspicabile un miglioramento generale delle infrastrutture informatiche.

  1. RISCHI ED OPPORTUNITÀ DELLE TECHNOLOGICAL INNOVATIONS APPLICATE NELLA FASHION INDUSTRY

A cura di Cristina Liberti

“Come vi sentireste se vi rendeste conto che il nuovo capo d’abbigliamento o un particolare gadget acquistato non siano stati realizzati da uno stilista ma in realtà da un Robot?” Nonostante si legga spesso sulle riviste l’utilizzo di terminologie recenti quali “big data”, “ intelligenza artificiale” o  “blockchain” la loro applicazione al settore della moda ci sembra ancora lontana , in realtà l’avvalersi  di tecnologie innovative è sempre più diffuso in quanto la Fashion industry fa tesoro di tutto ciò che le riguarda incorporando nei propri sistemi queste novità. Se pensiamo alla normale catena di produzione del settore della moda dalla fase del design alla fase del forecasting[7] , dalla fase di produzione alla fase del marketing e in fine alla fase delle vendite ciascuna di queste cinque fasi è già connaturata rispetto all’utilizzo delle nuove tecnologie ma quali sono le opportunità, le offerte e i potenziali rischi legati alla digitalizzazione ?  In primo luogo per analizzare i vantaggi che la digitalizzazione ha apportato alla Fashion industry bisogna soffermarsi sulla parola “dato” : i dati , siano essi personali o no, sono un asset[8] fondamentale dei vari business al fine di trasformare in un prodotto un servizio. Le aziende della moda raccolgono un quantitativo innumerevole di dati per impiegarli nella creazione di nuove collezioni avvalendosi non solo delle informazioni di cui dispongono nei propri archivi come i dati relativi alle vendite, al magazzino, alle collezioni passate ma soprattutto ricavando big data attraverso svariate modalità tra le quali, una delle più evidenti, è il social media.  Gli utenti, infatti, pubblicano di continuo foto con nuovi vestiti  durante momenti di socializzazione o di vita quotidiana diventando una fonte di dati che possono essere aggregati a quelli di altri utenti che hanno una propensione per il settore moda andando a creare un Training Set[9] corposo sulla base del quale iniziare ad identificare i vari trend. Le problematiche relative alla raccolta di questi dati sono però variegate, soggette ad una serie di vincoli siano essi di tipo regolamentare o normativo basti pensare  per i dati personali all’adozione del Regolamento Europeo[10] 679/2016 per l’utilizzo di un meme o  di una fotografia ai diritti della proprietà industriale. La modalità di raccolta dei dati è dunque una fase particolarmente delicata,  le aziende di moda infatti incorrono in numerose problematiche : in primo luogo il rischio di compliance, trattando illecitamente i dati personali di un soggetto con la conseguente probabilità di incorrere in sanzioni amministrative pecuniarie che possono raggiungere anche il 4% del fatturato , rischi di responsabilità nel caso in cui un dato personale venga utilizzato in malo modo e questo causi un danno all’interessato ad esempio nel caso in cui una casa di moda abbia utilizzato una creatività appartenente ad un soggetto terzo. Terminata la raccolta dei big data avviene una seconda fase ovvero quella di data analytics  quindi il training set ,attraverso l’utilizzo del machine learning[11],  viene analizzato al fine di estrapolare dei dati più dettagliati rispetto a quelli raccolti nella fase iniziale.  Ma come funziona un machine learning ?

Il termine machine learnig[12], coniato alla fine degli anni’50, fu definito come l’abilità del computer di imparare a fare un qualcosa senza essere stato espressamente programmato per farlo. Dunque, è una tipologia di intelligenza artificiale che  funziona in modo  differente in base a come sono strutturati  gli algoritmi di cui si compone. Il funzionamento del machine learning può essere associato ad una rete neuronale, si seguono delle connessioni logiche che si rafforzano o si indeboliscono in base al risultato a tal proposito un modello lampante può essere riscontrato in Google che ha allenato un proprio machine learning software a riconoscere ad esempio i gatti questo perché possedeva un training set corposo di video e foto che gli utenti caricano costantemente e per effettuare questo allenamento ha utilizzato un meccanismo molto simile al funzionamento di  una rete neuronale di un cervello umano ha quindi identificato una caratteristica specifica del gatto ipotizzando che abbiano le orecchie a punta mostrando delle immagini : l’algoritmo osservando le immagini sviluppava delle domande e conseguentemente delle risposte estrapolando poi un feedback. Nel mondo della moda c’è la possibilità di utilizzare i dati che vengono raccolti per comprendere i trend affidando alla macchina la possibilità di trovare dei pattern inusuali e sulla base di quello arrivare a comprendere cos’è che potrà piacere al pubblico nella nuova collezione. Come può essere tutelato il software che ha la capacità di effettuare questa selezione ? La legge offre due tipologie di tutele : il diritto d’autore e il diritto brevettuale. Il diritto d’autore con la L. 633/1941  va a garantire la protezione del linguaggio di programmazione e quindi l’originalità del software stesso. L’ulteriore  protezione dedicata ai  software è quella dedicata ai  brevetti che  permette di proteggere non solo le sue  funzionalità ma anche l’ originalità, il modo in cui funziona e il risultato a cui porta.

  1. L’IMPORTANZA DEL RUOLO DEL FASHION LAWYER NEL SETTORE PUBBLICO, ALLA LUCE DEL NUOVO REGOLAMENTO “PLATFORM TO BUSINESS”

A cura di Francesca Oddi

Il funzionario pubblico non venga più richiesto di svolgere un ruolo esclusivamente “ordinario”, ma un ruolo che si adatti alle sfide del presente e del futuro, e che guardi soprattutto al fabbisogno della PA. In fondo, ha ricordato lo stesso relatore, è stata la L. 124/2015 c.d. Legge Madia, con i suoi decreti attuativi (l’ultimo risalente all’8 Maggio 2018) a introdurre le “Linee di indirizzo per la predisposizione dei piani dei fabbisogni del personale da parte delle Amministrazioni pubbliche”. Il tutto, per spingere la Pubblica amministrazione ad assumere non più per pianta organica, ma per fabbisogno, secondo le necessità del momento. Anche per questo motivo i nuovi giuristi e avvocati devono essere specializzati perfino in ambiti apparentemente lontani dal settore pubblico, come potrebbe essere quello del Fashion Law. Suddetto ambito si trova ad essere uno dei protagonisti del nuovo Regolamento n. 1159/2019 c.d. “Platform to Business” entrato in vigore il 12 luglio 2020, citato dal relatore. Il Regolamento, che deve avere delle norme di coordinamento per ogni stato membro e di cui si occupa l’AGCOM, concerne il rapporto tra le società che gestiscono “servizi di intermediazione online” e le aziende che offrono servizi e prodotti tramite queste piattaforme. I “servizi di intermediazione online” dovranno quindi tutelare in modo concreto le aziende ovvero gli utenti commerciali, che costituiscono la c.d. “parte debole”, non più rappresentata solo dai consumatori. Il “Platform to Business” è volto a combattere lo strapotere economico e commerciale dei marketplace, ponendo l’attenzione sulla trasparenza e l’equità per la vendita dei prodotti nel mercato digitale. Il testo, coinvolge inevitabilmente il settore fashion italiano, poiché sono molte le piccole e medie aziende di moda che investono nei marketplace mantenendo viva la propria attività. È una realtà in continua espansione che coinvolge una PA alle prime armi con linguaggi concernenti il diritto d’autore o il fashion law e che per questo richiede professionisti competenti. Per i brand del made in Italy, e gli avvocati pronti a tutelarli, questo nuovo Regolamento, è volto a rendere più facile e immediata l’individuazione della piattaforma per la vendita online in base: alla concorrenza, al mercato, alla lotta contro la svalutazione del prodotto e la sua possibile contraffazione. Indispensabili, al fine di garantire una tutela di tutti i players a 360°, sono le procedure di mediazione: tramite cui si gestiranno i reclami, le contestazioni e i contenziosi. È poi importante ricordare la centralità, per un fashion lawyer come per un funzionario pubblico, della competenza tecnologica. Il giurista o l’avvocato, sempre incentrato sul cliente e le sue necessità, in casi come questo dovrà rapportarsi con le nuove piattaforme digitali e il processo tecnologico per aiutare al meglio il proprio assistito. Il relatore ha poi concluso evidenziando, alla luce di quanto detto, la necessità di una specializzazione professionale nel settore pubblico esattamente come in quello privato, al fine di garantire l’acquisizione di quelle competenze trasversali, necessarie ai professionisti di domani.

[1] Partner aziendali.

[2]I cookie sono informazioni immesse sul browser quando si visita un sito web con un pc, uno smartphone o un tablet.

[3] Nello specifico, ha portato come “case story” 5 modelli organizzativi di note case di moda.

[4] Come succintamente affermato, la parola “Compliance” è entrata nel nostro gergo e viene usata molto spesso con usi impropri.

[5] L’ente, in tal modo, andrebbe esente da ogni responsabilità.

[6] Organismo di Vigilanza

[7] Una tabella che contiene valori di natura previsionale sull’anno in corso.

[8] Qualunque entità che all’interno di un sistema aziendale è monetizzabile e può quindi generare valore

[9] Un elenco di dati utilizzati al fine di addestrare un sistema supervisionato

[10] Il  General Data Protection Regulation (GDPR) è un Regolamento dell’ Unione Europea in materia di trattamento dei dati personali e di privacy, è operativo a partire dal 25 maggio 2018

[11] Apprendimento automatico inteso come abilità delle macchine di apprendere senza essere state preventivamente programmate.

[12] The Master Algorithm: How the Quest for the Ultimate Learning Machine will remake our world, di  Pedro Domingos

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