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La Consulta boccia il PTPR del Lazio

Articolo a cura di Gianluca Briganti

Con la recentissima sentenza 240/2020[1], emanata in sede di conflitto di attribuzione, la Corte Costituzionale ha annullato la Deliberazione 2 agosto 2019, n. 5 della Regione Lazio[2] con la quale veniva approvato il Piano Territoriale Paesistico Regionale (c.d. PTPR).

La pronuncia è originata dal ricorso per conflitto di attribuzione[3] del 10 aprile 2020, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il quale veniva lamentata la violazione delle norme del D.lgs. 42/2004[4] (c.d. Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) che impongono, in sede di approvazione di approvazione regionale del PTPR[5], il coinvolgimento del Ministero per  i Beni  e le Attività Culturali e per il Paesaggio e per il Turismo (c.d. MIBACT).

Nel ricorso de quo la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha lamentato, oltre alle violazioni procedimentali, un generale abbassamento del livello di tutela dei valori paesaggistici.

La difesa statale ha peraltro ricordato che ai sensi dell’art. 19 della Legge della Regione Lazio 6 luglio 1998, n. 24, sono stati “a suo tempo” approvati, mediante deliberazioni della Giunta Regionale, i Piani Territoriali Paesistici (c.d. PTP), aggiungendo che, il 9 febbraio 1999, l’allora Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Regione Lazio e l’Università degli Studi Roma Tre avevano sottoscritto un accordo di collaborazione per la redazione del PTPR.

Sul punto, il ricorrente ha sottolineato come la Regione Lazio, contraddicendo un percorso di condivisione con il MIBACT svolto fino al 2016, abbia approvato unilateralmente un “proprio” PTPR diverso sia dal piano adottato nel 2007 sia dai contenuti concordati nel verbale del 2015.[6]

Infine, la Presidenza del Consiglio ha lamentato un contrasto con la disciplina della pianificazione paesaggistica contenuta nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, la quale richiederebbe che la fase di co-decisione con lo Stato si collochi a monte, e non a valle, del piano paesaggistico.

Preliminarmente, la Corte Costituzionale non ha rilevato l’asserito generale abbassamento del livello dei valori paesaggistici. La Regione Lazio, infatti, per mezzo del piano, avrebbe individuato beni paesaggistici ulteriori (ex. art. 143, comma 1, lettera d, del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) rispetto a quelli individuati con decreto o tutelati per legge.

Diversamente, secondo la Consulta, la Regione Lazio, in sede di approvazione del PTPR, avrebbe esplicitamente violato le previsioni di cui agli artt. 135 e ss. del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio[7] e il generale principio di leale collaborazione.

Secondo la Corte Costituzionale, infatti, in tale procedimento non sarebbe esclusa l’applicazione dell’art. 156 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che prevede la verifica e l’adeguamento dei piani paesaggistici. L’intervento della Regione, volto a modificare unilateralmente la disciplina di un’area protetta, costituisce violazione non solo degli impegni in ipotesi assunti con il Ministero in sede procedimentale, ma specialmente di quanto prescritto dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che, mediante la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, mira a garantire l’effettiva ed uniforme tutela dell’ambiente, affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.[8]

Non sarebbe dunque ammissibile una generale esclusione o comunque la previsione di una mera partecipazione degli organi ministeriale in iter che richiedono la cooperazione congiunta: in siffatte ipotesi, infatti, la tutela paesaggistica verrebbe “degradata” ad una mera esigenza urbanistica.

In base alla pronuncia in commento, il Consiglio Regionale sarebbe dovuto addivenire a un accordo con gli organi ministeriali, che avrebbe dovuto precedere e non certo seguire la definitiva approvazione e la conseguente pubblicazione del piano nel B.U.R. Come prospettato dal ricorrente, infatti, la fase di co-decisione deve avvenire a monte e non in una fase successiva alla definitiva approvazione.

La Corte ribadisce infatti come “lo spirito che deve informare il procedimento di adozione e di approvazione dei piani paesaggistici, improntato al principio di leale collaborazione….si caratterizza per «la sua elasticità e la sua adattabilità», che se, da un lato, «lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti», dall’altro lato, richiedono «continue precisazioni e concretizzazioni» (sentenza n. 31 del 2006)”.

Quanto alla presunta violazione del principio di leale collaborazione, il Giudice delle Leggi ha invece affermato che “la Regione Lazio, dopo aver assicurato il coinvolgimento del MiBACT fino alla proposta di delibera consiliare 10 marzo 2016, n. 60, adottata dalla Giunta regionale con decisione 8 marzo 2016, n. 6, ha posto in essere una condotta che viola i canoni della leale collaborazione. Da questo punto di vista l’approvazione e poi la pubblicazione della deliberazione del Consiglio regionale n. 5 del 2019 hanno determinato una soluzione di continuità nell’iter collaborativo avviato tra Stato e Regione, hanno prodotto l’affermazione unilaterale della volontà di una parte e si sono tradotte in un comportamento non leale, nella misura in cui – a conclusione del (e nonostante il) percorso di collaborazione – la Regione ha approvato un piano non concordato, destinato a produrre i suoi effetti nelle more dell’approvazione di quello oggetto di accordo con il MiBACT”.

In definitiva, dunque, non spettava al Consiglio Regionale approvare la Deliberazione n. 5 del 2 agosto 2019 avente ad oggetto l’approvazione del PTPR senza il previo coinvolgimento del MIBACT.

Conseguentemente, la Corte Costituzionale, ha dichiarato l’annullamento della deliberazione de quo e dei relativi atti attuativi e conseguenziali, tra cui la nota della Direzione regionale per le politiche abitative e la pianificazione territoriale, paesistica e urbanistica della Regione Lazio del 20 febbraio 2020, attuativa della delibera impugnata in quanto relativa ai procedimenti in corso per l’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica.

La sentenza, annullando la deliberazione del PTPR, apre ad una moltitudine di ipotesi di gestione dei procedimenti di autorizzazione paesaggistica.

 Tuttavia, la maggiore problematica deriverebbe dal fatto che le misure di salvaguardia conseguenti alla Delibera di adozione del PTPR sarebbero decadute e, quindi, potrebbe verificarsi una reviviscenza dei singoli PTP.

 

[1] Corte Costituzionale, 17 novembre 2020, n. 240

[2] Lo strumento di pianificazione è stato pubblicato su B.U.R.L., 13 febbraio 2020, n. 13.

[3] Sul tema si veda M. Armanno, Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato come strumento di verifica della regolarità del procedimento legislativo e l’invalicabile soglia del controllo di ammissibilità, in Osservatorio Costituzionale, n. 4, 2020, p. 200 ss.

[4] Nello specifico, veniva censurata la violazione degli artt. 133, 135, comma 1, 143, comma 2, 145, commi 3 e 5, e 156, comma 3, del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

[5] Sulla finalità di tutela ambientale dei piani paesaggistici si veda P. Urbani, S. Civitarese Matteucci, Diritto Urbanistico, Giappicahelli, Torino, 2017, p. 222 ss. e A. Crosetti, Governo del territorio e tutela del patrimonio culturale: un difficile prcorso di integrazione, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, n. 2, 2018, Giuffrè, Milano.

[6] L’approvazione del PTPR in questione è avvenuta con la Deliberazione n. 5 del 2019, oggetto del conflitto.

[7] L’art. 135 prevede che “Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono” che “a tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: piani paesaggistici”; e che “l’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143”.

[8] Cfr. Corte Cost., 15 aprile 2019, n. 86; Corte Cost., 16 settembre 2016, n. 210.

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