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La Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione (UNCAC) – Parte I

Premessa: questo è il primo di una serie di articoli con i quali si propone ai lettori un’analisi della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione. 

In collaborazione con AITRA (Associazione Italiana Trasparenza ed Anticorruzione)

Introduzione

La Convenzione della Nazioni Unite contro la Corruzione (UNCAC, United Nations Convention against corruption) costituisce la testimonianza dello sforzo della comunità internazionale nella lotta alla corruzione come fenomeno transnazionale.
L’UNCAC, adottata dall’Assemblea Generale a Merida il 31 ottobre 2003, con la risoluzione 38/4, è entrata in vigore il 14 dicembre 2005 e, ad oggi, sono 183 i Paesi aderenti (dato aggiornato a: 3 ottobre 2017), tra cui l’Italia, che ha ratificato la convenzione con la legge 116/2009.

La Guida legislativa per l’implementazione dell’UNCAC (ed. 2012), appositamente redata per aiutare gli Stati nell’applicazione della convenzione, dedica un paragrafo iniziale per spiegare quali siano gli scopi e motivi di essere del testo in esame. La corruzione pervade tutti gli aspetti della società democratica: danneggia l’economia perché disincentiva gli investimenti stranieri e i malfunzionamenti dell’apparato pubblico costano alle tasche dello Stato; la cd. petty corruption (corruzione minore) produce costi aggiuntivi per i cittadini, i quali si ritrovano a dover pagare un “sovrapprezzo” anche per lo svolgimento della più semplice attività amministrativa, come può essere l’emissione di un documento. Ma soprattutto “la corruzione ha il più grande impatto sulla parte più vulnerabile della popolazione, i poveri” perché lo Stato finisce per essere sempre meno efficiente, sempre meno in grado di assicurare i servizi essenziali, sempre meno capace di rivestire il ruolo di “stato sociale”. La transnazionalità di tale fenomeno ha, perciò, spinto alla redazione di un trattato internazionale al fine di sviluppare un approccio globale e multidisciplinare con l’adozione di regole e strategie comuni.

Analisi normativa

La Convenzione è suddivisa in un Preambolo, VIII capitoli e ben 71 articoli.

Il primo capitolo è dedicato alle “Disposizioni generali” (artt. 1-4); in particolare, l’art. 1 individua l’oggetto del trattato, ovvero “la promozione ed il rafforzamento delle misure volte a prevenire la corruzione”, la promozione della cooperazione internazionale e dell’integrità, responsabilità e buona fede nella gestione dei pubblici affari. L’art. 2 provvede a spiegare la terminologia usata nel testo, mentre all’art. 3 è indicato l’ambito di applicazione dell’UNCAC, relativo a “indagini ed ai procedimenti concernenti la corruzione nonché al congelamento, al sequestro, alla confisca ed alla restituzione dei proventi dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione”.

Il secondo capitolo investe l’ambito delle “Misure preventive” (artt.5-14), indicando in maniera piuttosto generica quali sono le misure che gli Stati si impegnano a portare avanti nell’ambito dell’operazione comune di contrasto alla corruzione. Come scritto anche all’interno della Guida legislativa, la prevenzione della corruzione è più efficace in ambienti che incoraggiano l’integrità, consentono la trasparenza, godono di una forte e legittima guida normativa e integrano insieme gli sforzi del settore pubblico, privato e della società civile.
Oltre alla menzione di un generale dovere di promuovere politiche di prevenzione (art.5), il testo, all’art. 6, prevede che ciascuno Stato, compatibilmente con il proprio sistema giuridico, si munisca di un organo di prevenzione. Il suddetto articolo, formulato brevemente, non specifica il ruolo di un eventuale organo, se non indicando vagamente la promozione delle politiche di cui all’art.5. Ciò che rileva è che, al par.2, è sottolineata l’assoluta importanza che tale entità sia dotata di indipendenza, di mezzi e personale necessario per l’adempimento del proprio ruolo istituzionale. L’organo cui fa riferimento il presente articolo potrebbe essere lo stesso cui si riferisce anche l’art. 36, che prevede l’istituzione di “autorità specializzate” nella lotta alla corruzione mediante attività di individuazione e repressione, sottolineando, anche in questo caso, la necessaria indipendenza di cui devono godere questi organi.

A tal proposito, si ricorda che in Italia opera l’ANAC (Autorità nazionale anti corruzione), autorità amministrativa indipendente, nata con la legge 190/2012 (legge Severino) sotto il nome di CIVIT (Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche); in seguito, il d.l. 90/2014 (art. 19) ha ri-definito le competenze dell’attuale ANAC, trasferendo a quest’ultima i compiti e le funzioni dell’AVCP (Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori).

Ritornando all’esame del capitolo II UNCAC e alle misure preventive, l’art. 7, rubricato “settore pubblico”, detta una serie di “linee-guida” da rispettare quali la previsione di appropriate procedure di selezione, promozione e pensionamento per i funzionari, basate su meritoequitàattitudine; un adeguato compenso per lo svolgimento dei loro compiti e un programma di formazione ed educazione per incoraggiare competenze specializzate. Inoltre, l’articolo presente invita gli Stati firmatari a stabilire criteri per la candidatura e l’elezione ad un pubblico mandato e a promuovere la trasparenza dei finanziamenti nelle candidature e nei partiti politici.

L’art.8, sempre in tema di cariche pubbliche, incoraggia gli Stati all’adozione di codici o norme di condotta; in particolare, la guida legislativa sottolinea che, sulla base dell’esperienza, è importante che le regole etiche e i principi  siano condivisi e accettati dai pubblici dipendenti; in tal senso, appare conveniente promuovere lo sviluppo di tali regole in cooperazione con i lavoratori anziché adottare un approccio unilaterale “dall’alto” e promuovere iniziative che aumentino la consapevolezza. Al riguardo, in Italia è in vigore il DPR n. 62 del 2013, conosciuto come Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, che definisce “i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare”.

L’art. 9 è, invece, dedicato alla stipulazione di appalti pubblici e gestione delle finanze pubbliche.

Non manca all’interno della convenzione un riferimento al settore privato: l’art. 12 indica una serie di misure da adottare, agendo su tre fronti diversi: prevenzionerafforzamento delle norme in materia di contabilità e revisione dei conti con la previsione di sanzioni civili, amministrative o penali efficaci, proporzionate e dissuasive in caso di inosservanza di tali misure. In particolare, è prevista la promozione della trasparenza degli enti privati e prevenzione di conflitti d’interesse “mediante l’imposizione, se del caso e per un periodo ragionevole, di restrizioni all’esercizio di attività professionali da parte di ex pubblici ufficiali”.

Infine si segnala, all’interno di questo capitolo, l’art. 13 che richiede agli Stati di stimolare la partecipazione della società civile (individui, comunità e organizzazioni non governative) nella lotta alla corruzione, promuovendo campagne d’informazione, ma soprattutto trasparenzapartecipazione nei processi decisionali. La lettera b) del presente articolo invita ad “assicurare l’accesso effettivo del pubblico all’informazione”; l’Italia ha colto tale invito prevedendo, per esempio, l’istituto dell’accesso civico generalizzato, ex art. 6 del d.lgs. 33/2013, come modificato dal d.lgs. 97/2016, che, “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”, garantisce a chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni.

[1] Convenzione della Nazioni Unite contro la Corruzione

[2] Legislative guide for the implementation of the United Nations Convention Against Corruption

Claudia Cantone

Laureata con lode e menzione presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli "Federico II", ha conseguito il dottorato di ricerca in "Internazionalizzazione dei sistemi giuridici e diritti fondamentali" presso l'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli". Durante gli anni di formazione, ha periodi di ricerca all'estero presso l'Università di Nantes (Francia), l'Università di Utrecht (Olanda) e il King's College London (Regno Unito). Avvocato presso lo studio legale "Saccucci & Partners", specializzato nel contenzioso nazionale e internazionale in diritti umani e diritto penale europeo e internazionale. Indirizzo mail: claudia.cantone@gmail.com

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