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La convivenza more uxorio determina l’automatica estinzione dell’assegno divorzile?

Con l’ordinanza n. 28995 del 17.12.2020, la Prima Sezione della Corte di Cassazione sollecita un nuovo intervento delle Sezioni Unite sulla estinzione automatica dell’assegno divorzile. In particolare, il rimettente, alla luce della funzione retributivo-compensativa dell’assegno, dubita della possibilità di fare applicazione dell’ormai consolidato orientamento che impone l’estinzione dell’assegno una volta accertata una sopravvenuta stabile convivenza di fatto.

 

  1. Il caso

L’ordinanza in commento trae origine dalla pronuncia con cui la Corte d’Appello di Venezia, nel 2015, ha respinto la domanda di riconoscimento dell’assegno divorzile proposta dall’ex moglie, ciò in ragione dell’instaurazione di una convivenza more uxorio.

Nel caso di specie, la donna aveva creato una nuova formazione sociale con un nuovo compagno, da cui aveva avuto una figlia. Conseguentemente, la Corte d’Appello ha affermato che “la semplice convivenza more uxorio con altra persona provoca, senza alcuna valutazione discrezionale del giudice l’immediata soppressione dell’assegno divorzile”.

Tuttavia, la donna ha impugnato la pronuncia con ricorso per Cassazione per la violazione a falsa applicazione dell’art. 5, comma 10°, l. 898 del 1970. In particolare, la ricorrente ha osservato che il dettato normativo fa riferimento esclusivamente all’automatismo estintivo previsto in caso di nuove nozze e non invece alle diverse formazioni sociali, pur protette dall’ordinamento.

L’estinzione per sopravvenuta convivenza more uxorio deriva, invece, da una recente ma compatta impostazione interpretativa di matrice giurisprudenziale, determinata dalla esaltazione pretoria della funzione assistenziale dell’assegno divorzile.

La ricorrente, allora, ha sollecitato una importante riflessione del giudicante attorno all’applicazione acritica di siffatto automatismo estintivo, atteso il recente intervento delle Sezioni Unite[1], con cui è stata affermata la natura non solo assistenziale, bensì anche perequativo-compensativa.

Per questo motivo, la I Sezione civile rimette la questione alla corte nella sua più autorevole composizione.

  1. La funzione assistenziale e perequativo-compensativa dell’assegno divorzile.

Come è noto, la Suprema Corte ha messo fine ad un acceso dibattito[2] attorno alla funzione dell’assegno divorzile nel 2018, quando ha affermato che deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura compensativa.

Siffatta natura discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, che trova il suo referente nell’art. 2 cost.

Il principio menzionato, ha osservato nella storica sentenza la Cassazione, impone al giudice di riconoscere a titolo di assegno un contributo economico che consenta al richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza, alla stregua di un parametro astratto, quanto piuttosto il raggiungimento in concreto di un livello reddituale, che tenga conto del contributo fornito dall’ex coniuge nella realizzazione della vita familiare.

Tale contributo deve considerare le aspettative professionali sacrificate, le rinunce, le attività poste in essere in costanza di matrimonio e da cui è stato esentato l’altro coniuge.

La funzione equilibratrice del reddito, tuttavia, non può essere piegata per ricostituire il medesimo tenore di vita coniugale, come ha fatto la giurisprudenza per almeno un ventennio. Diversamente, il contributo economico deve essere finalizzato a riconoscere il ruolo e il contributo dell’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia o di quello personale dell’altro consorte.

La Cassazione, nell’occasione, ha pure chiarito l’iter di determinazione[3] del quantum debeatur.

In specie, lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi costituisce una precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6°, prima parte, l. n. 898 del 1970[4].

Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge richiede, ai fini dell’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, l’applicazione dei criteri contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, i quali costituiscono, in posizione equiordinata, i parametri cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

A questo punto, si deve tenere conto della funzione assistenziale e, a determinate condizioni, anche compensativo-perequativa che tale assegno assolve.

Da ciò consegue che, nel valutare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge che ne faccia richiesta, o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, si deve tener della impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente e della necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale.

Non hanno rilievo, invece, se considerati isolatamente e non in via sistematica, lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale dell’altro ex coniuge.

La differenza reddituale è coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale solo nell’assegno di mantenimento, quale conseguenza economica della separazione tra i coniugi, ancora avvinti dal vincolo del matrimonio. All’opposto, è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno divorzile la sperequazione tra redditi, a differenza di quanto sostenuto in passato da costante giurisprudenza sedimentatasi a partire dagli anni Novanta fino al 2017[5].

Con il divorzio cessano gli effetti civili del matrimonio, viene così in rilievo tra i due soggetti il principio di autoresponsabilità e l’entità del reddito dell’uno, ancorché cospicua, non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno ad essa proporzionato nei confronti dell’altro[6].

Il giudizio, premessa la valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, deve avere per oggetto, in particolare, una indagine attorno al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, al contributo offerto alla formazione del patrimonio personale di ciascuno degli ex coniugi e, infine, deve tenere conto della durata del matrimonio e dell’età dell’avente diritto[7].

In forza del principio costituzionale di solidarietà, l’assegno commisurato sarà tale da consentire al richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare.

Dunque, solo quando viene accertata la sussistenza di un contributo alla formazione del patrimonio familiare o personale dell’ex consorte l’assegno si caratterizza per la sua funzione equilibratrice e compensativa. A contrario, il difetto del contributo in esame esclude l’operatività della funzione.

  1. La compatibilità dell’automatismo estintivo a fronte della funzione perequativo-compensativa.

La questione posta all’attenzione della I Sezione civile suscita un grande interesse nel giurista, poiché costituisce un corollario applicativo della esaltata funzione equilibratrice accordata all’assegno di divorzio.

In specie, il giudice rimettente dubita della possibilità di fare applicazione del noto automatismo estintivo dell’assegno, il quale ricorre in occasione di una instaurata convivenza di fatto[8].

Se la littera legis individua nel nuovo matrimonio la causa di estinzione dell’assegno, l’interpretazione evolutiva inaugurata dalla giurisprudenza ha ampliato il perimetro dell’art. 5, comma 10°, l. divorzio, anche alle altre formazioni sociali, tutelate ai sensi dell’art. 2, 3, 29 e 30 Cost. Tra queste si annoverano le convivenze more uxorio, dotate di una relazione affettiva ed il carattere di stabilità, ai sensi della l. n. 76/2016, all’art. 1 co. 36 e ss.

In questo senso, è stato affermato che l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, realizza una rescissione rispetto ad ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale[9].

L’opzione esegetica in esame trova applicazione dal 2015[10] e da allora individua nel nuovo costrutto sociale una cesura che fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge.

Ha sostenuto la Cassazione: “la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost., come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo”[11].

Come è evidente, l’automatismo estintivo di stampo pretorio deriva dalla lettura marcatamente assistenziale dell’assegno, alla stregua del tenore di vita precedentemente goduto, e allora occorre verificare se tale orientamento possa resistere oggi alla funzione equilibratrice.

Nulla quaestio per quanto concerne i casi in cui non sussiste un contributo alla formazione del patrimonio familiare o dell’ex coniuge. Diversamente, il dubbio si pone a fronte di una accertata attività del soggetto economicamente più debole tesa ad accrescere o quantomeno a preservare siffatto reddito.

Osserva il rimettente: “dopo una vita matrimoniale che si è protratta per un apprezzabile arco temporale, l’ex coniuge economicamente più debole, che abbia contribuito al tenore di vita della famiglia con personali sacrifici anche rispetto alle proprie aspettative professionali ed abbia in tal modo concorso occupandosi dei figli e della casa, pure all’affermazione lavorativo-professionale dell’altro coniuge, acquista il diritto all’assegno divorzile”.

Neanche il principio di autoresponsabilità, cristallizzato dalle Sezioni Unite nel 2018, vale ad escludere il diritto a fronte di una convivenza di fatto. Si rischierebbe altrimenti di esautorare nuovamente la funzione perequativo-compensativa.

E allora, semmai, si pone un problema di rimodulazione dell’assegno sulla base di una valutazione in concreto.

  1. Il quesito sottoposto alle Sezioni Unite

In conclusione, la Prima Sezione sollecita l’intervento delle Sezioni Unite per stabilire se “instaurata la convivenza di fatto, definita all’esito di un accertamento pieno su stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto dell’ex coniuge, sperequato nella posizione economica, all’assegno divorzile si estingua comunque per un meccanismo ispirato ad automatismo, nella parte in cui prescinde di vagliare le finalità proprie dell’assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dalla obiettiva valorizzazione del contributo dato all’avente diritto al patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge, sostengano dell’assegno divorzile, negli effetti compensativi suoi propri, la perdurante affermazione, anche, se del caso, per una modulazione da individuarsi nel contesto sociale di riferimento”.

[1] Cass. civ., sez. I, 17 dicembre 2020, n. 28993, rv. 650267 – 02, in Giur. it., 2018, 8-9, p. 1843 ss., con nota di C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa; in Resp. civ. prev., 2018, 6, p. 1857 ss., con nota di G. Basini, Le Sezioni Unite ripensano i criteri di attribuzione, e rideterminano la funzione, dell’assegno post-matrimoniale; in Foro it., 2018, 12, c. 3999 ss., con nota di C.M. Cea, L’assegno di divorzio e la nomofilachia intermittente; in NGCC, 2018, 11, p. 1601 ss., con nota di C. Benanti, La “nuova” funzione perequativo-compensativa dell’assegno di divorzio.

[2] C. Rimini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fondamento assistenziale, in Giur. it., 2017, c. 1799 ss.

[3] Per un approfondimento, G. Iorio, Corso di diritto privato, VI ed., 2020, p. 1066 ss.

[4] Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2020, n. 5603, rv. 657088 – 01, in Italgiure.

[5] Il riferimento va alle sentenze gemelle degli anni Novanta: Cass. civ., 29 novembre 1990, n. 11489, 11490, 11491, 11492.

[6] Cass. civ., sez. I, 9 agosto 2019, n. 21234, rv. 655296 – 01, in Italgiure.

[7] Cass. civ., 23 gennaio 2019, n. 1882, rv. 652412 – 01, in Italgiure.

[8] Tribunale Salerno, sez. I, 03 gennaio 2020, in Ilfamiliarista, 29 giugno 2020.

[9] Cass. civ., sez. I, 19 dicembre 2018, n. 32871, rv. 651937 – 01, in Italgiure.

[10] Cass. civ., sez. I, 3 aprile 2015, n. 6855, rv. 634861 – 01, in Italgiure.

[11] Cass. civ., sez. VI, 11 gennaio 2016, n. 225, rv. 638441 – 01, in Italgiure; Cass. civ., sez. VI, 8 febbraio 2016, n. 2466, rv. 638605 – 01, in Italgiure.La convivenza more uxorio determina l’automatica estinzione dell’assegno divorzile La parola alle Sezioni Unite

Stefania Pia Perrino

Nel marzo 2016, la dott.ssa Stefania Pia Perrino consegue il diploma di Laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca, con una tesi in Procedura penale, intitolata "Le indagini preliminari nel processo agli enti", con votazione 110 e Lode. Dopo aver svolto un tirocinio formativo presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Milano, VI Dipartimento, consegue l'abilitazione all'esercizio della professione forense nel 2019. Nello stesso anno è Visiting Scholar presso l'Università di Edimburgo, Scozia. E' dottoranda di ricerca in Diritto Privato presso l'Università degli Studi di Milano - Bicocca, con un progetto dedicato a "La natura giuridica dell'embrione", e tutor accademico in Diritto Privato nei corsi di Scienze dei Servizi Giuridici e Scienze dell'Organizzazione. E' autrice di numerose pubblicazioni scientifiche ed accademiche, nonché vincitrice del Premio Laura Bassi (winter 2020) per la sua ricerca sul trattamento giuridico delle cellule riproduttive e degli embrioni umani.

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