La copia privata tra pandemia e necessità di digitalizzazione
a cura di Dott. Pierfrancesco De Felice
1 Introduzione
La pandemia globale, causata dalla diffusione del nuovo Coronavirus (Covid-19), ha costretto all’assunzione di misure di restrizione per evitare l’incontrollata diffusione del contagio, e, di conseguenza, ad un inevitabile rallentamento economico di molti settori produttivi, in diversi casi creando vere e proprie crisi occupazionali e sociali. Tra questi un impatto particolarmente grave è stato sofferto dal settore della cultura e dello spettacolo, con il divieto prolungato di svolgimento di persona di eventi come concerti, mostre, spettacoli teatrali e cinematografici. Si è previsto il ritorno a tali tipologie di attività solo dallo scorso 15 giugno in base al DPCM firmato in data 11 giugno, in base al quale si è prevista, appunto, la ripresa degli spettacoli, fermi dall’inizio dell’emergenza, con adeguate misure precauzionali atte ad evitare il diffondersi del contagio virale (preassegnazione dei posti a sedere preassegnati e distanziati, distanza obbligatoria tra personale e spettatori di almeno un metro e vicinanza consentita solo tra chi è abitualmente convivente, obbligo di mascherina, numero massimo di spettatori all’aperto fissato a 1000, numero massimo di spettatori al chiuso fissato a 200)[1].
Nonostante tale ripresa, è indubbio che il settore abbia subito un danno immediato causato dall’inattività forzata per un periodo superiore ai tre mesi, nonché dalla diminuzione degli incassi causata dalle misure restrittive persistenti. In ragione di ciò, il Governo ha attuato una serie di misure atte a supportare economicamente il settore della cultura e delle arti.
Tra le varie misure realizzate ha suscitato clamore nell’industria tech il rincaro della quota di compenso dovuta alla SIAE prevista dalla normativa sulla c.d. “copia privata”.
2 La copia privata: ratio e funzionamento dell’eccezione
Prima di soffermarsi sulle conseguenze di tale decisione, risulta necessario soffermarsi su cosa sia la copia privata.
La normativa in questione è rinvenibile nella Legge n. 633/1941 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) all’art. 71-sexies e seguenti[2]. La copia privata è qualificata come “riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali” (art. 71-sexies, comma 1).
La norma, dunque, prospetta la possibilità per il soggetto che abbia a sua disposizione un dispositivo (analogico o, più spesso, digitale) con la capacità di realizzare una copia di un’opera, ancorché tutelata dal diritto d’autore, senza procedere a particolari iter amministrativi o ottenere la concessione da parte dei titolari dei diritti di sfruttamento economico dell’opera. Ciò è consentito a patto che si rispettino determinate condizioni:
- finalità di utilizzo esclusivamente personale della copia realizzata (tali da escludere le ipotesi di abusiva duplicazione, riproduzione in pubblico, trasmissione, diffusione, noleggio, pubblicazione, tutte condotte penalmente rilevanti ai sensi degli artt. 171 e seguenti);
- assenza di scopo di lucro, o altrimenti di fini commerciali (diretti o indiretti, si pensi ad esempio al valore economico del semplice utilizzo di un brano celebre);
- assenza di qual si voglia tipologia di contrasto con lo sfruttamento normale dell’opera o degli altri materiali e di un ingiustificato pregiudizio ai titolari dei diritti.
Gli unici casi in cui non è consentita la possibilità di produrre una copia privata soggiungono quando questa riguardi opere o materiali protetti “messi a disposizione del pubblico in modo che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente, quando l’opera è protetta dalle misure tecnologiche di cui all’articolo 102-quater ovvero quando l’accesso è consentito sulla base di accordi contrattuali” (art. 71-sexies, comma 3). Sembra ragionevole in questi casi escludere tale possibilità alla luce della volontà del titolare dei diritti di sfruttamento economico dell’opera di rendere accessibile il contenuto solo a determinati soggetti, ed a determinate condizioni. Si pensi, ad esempio, alle c.d. piattaforme di streaming video (ad es. Netflix): queste concedono la fruizione dei contenuti sui devides degli utenti solo dietro pagamento di un corrispettivo economico (nella specie un canone mensile), ed, inoltre, tutelano la propria posizione con l’implementazione di misure tecniche che mirano a rendere impossibile azioni come la duplicazione dell’opera, o la possibilità di proiettarla in pubblico (i c,d. DRM, Digital Rights Management, richiamati nella disciplina in esame proprio dagli artt. 102-quater e seguenti)[3].
L’istituto della copia privata nasce dalla circostanza fattuale per la quale risulta agevole per chiunque, oggi ancor più che in passato grazie all’avvento del digitale, produrre una copia di un’opera tutelata su svariati dispositivi, e fruirne agevolmente, ancorché per il solo utilizzo personale, senza che il titolare dei diritti sull’opera lo possa sapere. In base a tale considerazione, invece di sostenere l’idea irrealizzabile di perseguire chiunque ponga in essere tale condotta, il legislatore ha saggiamente predisposto un diverso sistema per tutelare i titolari. Il meccanismo della copia privata si sostanzia, in pratica, nel versamento di un compenso forfettario che si applica sui supporti vergini, apparecchi di registrazione e memorie, in cambio della possibilità di effettuare registrazioni di opere protette dal diritto d’autore, in ragione della fisiologica riduzione dei proventi dovuti agli autori, ed agli altri attori della filiera del settore, a causa delle riproduzioni private delle opere protette.
Il compenso per copia privata è dovuto dal soggetto fabbricante, o importatore nel territorio dello Stato, degli apparecchi di registrazione e dei supporti vergini, che agisca per trarne profitto, anche se tali apparecchi vengano commercializzati con marchi di soggetti terzi. È ugualmente qualificato come importatore il soggetto che effettua la vendita o offre la disponibilità del prodotto in caso di operazioni commerciali effettuata da soggetti residenti all’estero direttamente verso un consumatore finale.
Infine, per “distributore” si intende chiunque distribuisca, sia all’ingrosso che al dettaglio, sul territorio nazionale, gli apparecchi in questione. Nel caso in cui il fabbricante e l’importatore non corrispondano il compenso dovuto, anche il distributore è solidalmente responsabile ex art. 71-septies, comma 3.
Nella pratica tale compenso viene ad essere pagato dall’utente al momento dell’acquisto degli apparecchi in questione come quota del loro prezzo di vendita. Tale compenso viene ad essere calcolato ai sensi dell’art. 71-septies. Tali importi, ai sensi del successivo art. 71-octies vengono versati alla SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori)[4], che a sua volta, quale soggetto intermediario, li ridistribuisce agli autori ed agli altri soggetti interessati nella misura del 50% agli autori (e ai loro aventi causa) e per il 50% ai produttori di fonogrammi[5].
Il tariffario viene ad essere definito, ed aggiornato, con un apposito decreto emanato dal Ministero per i beni e le attività culturali[6]. I nuovi importi sono stati cambiati per massimizzarli alla luce delle novità tecnologiche. Entrano nel paniere non solo smartphone e tablet, ma anche i c.d. dispositivi wearable (smartband, smartwatch, ecc., rientranti nella più ampia categoria dell’Internet of Things): il compenso viene ad essere determinato in base alla capacità delle memorie presenti nei vari dispositivi. All’inverso, il decreto riduce il compenso rispetto a strumenti in via di dismissione come i CD.
3 Tolleranza non vuol dire avvallo delle violazioni: un ragionamento intorno alla sentenza 913/2017 CGUE
È importante rimarcare come la copia privata non possa essere considerato il grimaldello per aggirare il diritto d’autore a danno dei titolari dei diritti morali e patrimoniali sull’opera.
Da un lato si è già sottolineato come tale meccanismo abbia contribuito a tutelare gli interessi di tali soggetti, ma dall’altro non bisogna travisare la ratio dell’istituto: la tolleranza che mostra il legislatore rispetto a tale condotta dell’utente, assolutamente legale, non deve confondersi con le ipotesi di violazione dei norme a tutela dei diritti autorali (come, ad esempio, il plagio, la contraffazione, l’abusiva riproduzione o diffusione delle opere), adeguatamente sanzionate dalla normativa in esame, dal punto di vista civile (artt. 156 e seguenti), da quello amministrativo (con sanzioni pecuniarie di cui agli artt. 174-bis e seguenti), nonché dal quello penale (con le fattispecie di cui agli artt. 171 e seguenti).
In materia la Corte di Giustizia Europea ha da tempo affermato un indirizzo giurisprudenziale consolidato: prima di avere il diritto di effettuare una riproduzione per il proprio uso privato, l’utente deve aver avuto accesso in modo lecito all’opera. Nella sentenza 913/2017 la Corte ha affermato come “sebbene l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 vada inteso nel senso che l’eccezione per copia privata vieta effettivamente al titolare di diritti di avvalersi del suo diritto esclusivo di autorizzare o di vietare riproduzioni nei confronti delle persone che realizzano copie private delle sue opere, tale disposizione non dev’essere interpretata nel senso che essa imponga al titolare del diritto d’autore di tollerare, oltre a tale limitazione espressamente prevista, violazioni dei suoi diritti che la realizzazione di copie private può comportare”, ed ancora “anche se l’eccezione per copia privata implica che il titolare di diritti debba astenersi dall’esercitare il proprio diritto esclusivo di autorizzare o vietare copie private realizzate da persone fisiche alle condizioni previste all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29, l’obbligo di interpretare restrittivamente tale eccezione implica che detto titolare non sia con ciò privato del proprio diritto di vietare o di autorizzare l’accesso alle opere o al materiale di cui le persone medesime intendano realizzare copie private”[7].
Nel caso di specie l’attore, la società inglese VCAST, fornisce un servizio di registrazione online di emissioni televisive mediante captazione del segnale televisivo diffuso per via terrestre, anche di organismi televisivi italiani, tra cui quello della RTI (il convenuto), consentendo agli utenti di registrare la fascia oraria scelta sul supporto di memorizzazione (un server) in cloud. In pratica, l’utente può selezionare un’emittente dal sito Internet della VCAST, nel quale compare l’intera programmazione dei canali televisivi inclusi nel servizio fornito da detta società. L’utente può indicare una determinata emissione e/o una fascia oraria. Successivamente, il sistema gestito dalla VCAST capta il segnale televisivo mediante le proprie antenne e registra la fascia oraria di emissione selezionata nello spazio di memorizzazione su cloud indicato dall’utente (tale spazio di memorizzazione viene fornito all’utente da un fornitore terzo). In ragione di ciò, la VCAST ha citato la RTI dinanzi alla sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Torino, chiedendo l’accertamento della liceità delle sue attività. Il tribunale, in ragione del fatto che la questione coinvolgeva l’interpretazione di normative europee (in particolare dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29[8]) ha deciso di sospendere il procedimento e di interrogare la CCUE sulla compatibilità del normativa europea con una disciplina nazionale che vieti all’imprenditore commerciale di fornire ai privati un servizio di videoregistrazione da remoto in cloud di copie private relative ad opere protette dal diritto d’autore, mediante un intervento attivo nella registrazione del fornitore del servizio, in difetto del consenso del titolare del diritto, e se tale una disciplina del genere possa essere considerata compatibile con la normativa europea ove si preveda un compenso remuneratorio forfetizzato a favore del titolare del diritto (che dovrebbe considerarsi così assoggettato sostanzialmente a un regime di licenza obbligatoria).
L’articolo citato disciplina le ipotesi in cui gli Stati membri possono prevedere eccezioni e limitazioni al diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, in qualunque modo o forma, in tutto o in parte:
a) agli autori, per quanto riguarda le loro opere;
b) agli artisti interpreti o esecutori, per quanto riguarda le fissazioni delle loro prestazioni artistiche;
c) ai produttori di fonogrammi per quanto riguarda le loro riproduzioni fonografiche;
d) ai produttori delle prime fissazioni di una pellicola, per quanto riguarda l’originale e le copie delle loro pellicole;
e) agli organismi di diffusione radiotelevisiva, per quanto riguarda le fissazioni delle loro trasmissioni, siano esse effettuate su filo o via etere, comprese le trasmissioni via cavo o via satellite.
In particolare, all’art. 5, par. 2, lett. b), della citata direttiva si afferma come gli Stati membri abbiano la facoltà di disporre eccezioni o limitazioni al diritto di riproduzione di cui all’art. 2 per quanto riguarda le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali, a condizione che i titolari dei diritti ricevano un equo compenso (che tenga conto delle eventuali misure tecnologiche precedentemente richiamate, disciplinate nell’ambito della direttiva europea in analisi all’art.6).
La Corte ha determinato come la direttiva 2001/29, in particolare l’art. 5, par. 2, lett. b), si ponga in contrasto con una normativa nazionale che consenta ad un’impresa di fornire ai privati un servizio di videoregistrazione in cloud di copie private, relative a opere protette dal diritto d’autore, in difetto del consenso del titolare del diritto di autorizzare alla riproduzione dell’opera.
La Corte raggiunge tale conclusione partendo dalla riaffermazione del consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui il principio della libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, provenienti da un altro Stato membro (previsto dall’art. 3 della direttiva e-commerce 2000/31), non è applicabile al campo della regolamentazione del diritto d’autore e alle sue eccezioni. In seguito, ha affermato come l’obbligo di interpretare restrittivamente un’eccezione di legge, come quella della copia privata rispetto ai diritti autorali, comporta che il titolare dei diritti esclusivi sulle opere non possa essere privato del proprio diritto di vietare o di autorizzare l’accesso alle opere, di cui le persone fisiche intendano realizzare copie private (e non il successivo diritto di autorizzare o vietare la riproduzione dell’opera). Da ciò si può desumere, all’inverso, come un accesso abusivo ad un’opera protetta, che si ricordi essere una condotta vietata da legge, non può essere, di fatto, aggirato dalla successiva possibilità di realizzare una copia di un’opera a cui il soggetto non avrebbe avuto il diritto di accedere. La copia allora, di per sé lecita, non può giustificare una condotta che sia in violazione del diritto per la cui tutela la normativa si pone e trova la sua ratio. In tale ipotesi siamo ben fuori dal perimetro dell’applicazione dell’eccezione della copia privata.
Infine, nel caso di specie, la Corte ha individuato tutte le condizioni in presenza delle quali la costante giurisprudenza della Corte riconosce al titolare dei diritti esclusivi il potere di vietare a terzi l’uso delle proprie opere: una comunicazione diretta ad un pubblico “nuovo” rispetto a quello inizialmente preso in considerazione dal titolare dei diritti (tutti i clienti, effettivi o potenziali, della Vcast)[9].
4 Conclusioni e prospettive future
Come detto in fase introduttiva, da una parte, il meccanismo è stato pensato per costituire uno strumento di tutela verso gli autori, e gli altri soggetti titolari dei diritti di sfruttamento economico dell’opera, rispetto ad una pratica pressoché inevitabile. Dall’altra parte, le associazioni di categoria dei produttori degli apparecchi in questione hanno espresso le proprie perplessità circa il rischio per cui un incremento dei prezzi dei dispositivi possa essere un freno all’innovazione e alla digitalizzazione del Paese (soprattutto in un periodo in cui la tecnologia ha mostrato il suo lato positivo: quello di strumento a supporto dei bisogni dell’uomo).
In quest’ottica un incremento non eccessivo dei compensi da copia privata può trovare una sua giustificazione ove la finalità sia quella di sostegno al reddito degli operatori del settore della cultura e dello spettacolo in tempi di chiusura a causa della pandemia, ma in un’ottica di lungo periodo sarebbe forse consigliabile una revisione al ribasso degli attuali indici per andare incontro alla necessità di una diffusione di prodotti essenziali nella società odierna in via di digitalizzazione.
[1] Il DPCM 11 giugno 2020 è consultabile all’indirizzo https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/06/11/20A03194/sg.
[2] La L. 22 aprile 1941, n. 633, in materia di protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, è consultabile all’indirizzo https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1941/07/16/041U0633/sg.
[3] Per un approfondimento del tema si rinvia a E. Palazzolo, “Misure tecnologiche di protezione dei diritti di proprietà intellettuale: mostri giuridici o ancore di salvezza?”, febbraio 2019, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/misure-tecnologiche-di-protezione-dei-diritti-di-proprieta-intellettuale-mostri-giuridici-o-ancore-di-salvezza-17924.
[4] La SIAE è la Società Italiana degli Autori ed Editori, un Ente Pubblico Economico a base associativa di gestione collettiva del diritto d’autore, cioè un ente costituito da associati, che si occupa dell’intermediazione dei diritti d’autore. Gli autori e gli editori che detengono i diritti economici sulle loro opere possono affidarne la tutela a SIAE che raccoglie le somme spettanti agli associati e le distribuisce a ciascuno di essi. Per maggiori informazioni si rinvia al sito internet https://www.siae.it/it.
[5] A loro volta i produttori di fonogrammi devono corrispondere senza ritardo, e comunque entro sei mesi, il cinquanta per cento del compenso loro attribuito per copia privata agli artisti interpreti o esecutori interessati, ai sensi dell’art. 71-octies, comma 2.
[6] Il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo è consultabile all’indirizzo https://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/feed/pdf/%20Copia%20Privata,%20allegato%20tecnico-imported-100345.pdf.
[7] Corte di Giustizia UE, sentenza n. 913, 29 novembre 2017, consultabile all’indirizzo: http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=9ea7d0f130d59ad6e474e9f44d5da9c284e80e9d4679.e34KaxiLc3eQc40LaxqMbN4PaNiPe0?text=&docid=197264&pageIndex=0&doclang=it&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=843964.
[8] La direttiva 2001/29/CE (sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società
dell’informazione), è consultabile all’indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2001:167:0010:0019:IT:PDF.
[9] il diritto di comunicazione al pubblico delle opere deve essere inteso in senso lato, come comprendente qualsiasi trasmissione o ritrasmissione di un’opera al pubblico, su filo o senza filo, inclusa la radiodiffusione.