sabato, Aprile 20, 2024
Criminal & Compliance

La corruzione del parlamentare tra prerogative costituzionali ed esigenze politico-criminali

Il caso Berlusconi-De Gregorio al vaglio della Cassazione. Nota a sentenza Cass. Pen. Sez. VI, 11 settembre 2018 (ud. 2 luglio 2018), n. 40347.

A cura di: Alfredo Pepe, Andrea Quaratino, Valentina Semplice e Francesca Verde.  I paragrafi 1., 2., 6., 7. sono stati redatti da Valentina Semplice, il paragrafo 3. da Alfredo Pepe, i paragrafi 4. e 4.1 da Francesca Verde, il paragrafo 5. da Andrea Quaratino.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La corruzione del parlamentare: il caso di specie – 3. Una riflessione preliminare: la compatibilità tra la corruzione del parlamentare e i reati contro la p.a. – 4. L’ambito di operatività dell’immunità ex art. 68 Cost. – 4.1 Il limitato ambito di operatività dell’immunità nel dictum della Cassazione – 5. La qualificazione in primo grado ex art. 319 c.p. e il cd. “statuto del parlamentare” – 6. L’approdo della Cassazione: l’incompatibilità dello statuto del parlamentare con la qualificazione in termini di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio – 7. Il principio di diritto in materia di corruzione propria ed impropria.

1.Introduzione

La sentenza in epigrafe si pone all’attenzione dell’interprete per i due profili di diritto in essa esaminati. Essa costituisce uno dei rari arresti di legittimità sull’operatività delle prerogative parlamentari sancite in Costituzione in relazione alle fattispecie di corruzione. In tale sede l’organo nomofilattico ha, inoltre, preso espressa posizione sui requisiti di tipicità del delitto di corruzione propria ex art. 319 c.p., operando un condivisibile self restraint rispetto al precedente orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità. Invero, la Corte ha operato un’actio fiunium regundorum tra le due fattispecie di corruzione ed è approdata alla sussunzione della corruzione parlamentare nell’incriminazione di cui all’art. 318 c.p., la quale, pur presentando rilevanti elementi di differenza tra le formulazioni ante e post l. 190/2012, costituisce presidio penalistico unico per l’incriminazione dei fatti di cd. asservimento della funzione.

2.La corruzione del parlamentare: il caso di specie

Con la terminologia “corruzione del parlamentare” vuole farsi riferimento alla condotta di «chi abbia deciso di esprimere un determinato voto o una certa opinione a fronte della promessa o della dazione di danaro o, ancora più spesso, di altra utilità»[1].

È consapevolezza da tempo acquisita alle scienze criminologiche che il fenomeno corruttivo ha cambiato volto nell’esperienza italiana, riversandosi dalla dimensione burocratico-amministrativa alle sedi politico-istituzionali. Il cambiamento “genetico” della vicenda corruttiva si palesa sia da un punto di vista qualitativo, in quanto lo scambio di utilità illecito coinvolge sempre più spesso centri di poteri a carattere partitico, sia da un punto di vista quantitativo, dal momento che oggetto del pactum sceleris è di rado costituito dal mercimonio del singolo atto (cd. modello mercantile), ma è più di frequente esteso alla messa a disposizione del munus publicum, comprensivo della stessa funzione parlamentare (cd. modello clientelare)[2]. Va tuttavia rilevato che il carattere sistemico e politico-istituzionale della corruzione ha solo di recente ricevuto attenzione dal legislatore e, con specifico riferimento alle vicende parlamentari, dall’esperienza giudiziaria.

Il volto politico-parlamentare del fenomeno lascia emergere una «dannosità polivalente»[3] delle vicende corruttive, che trascende gli interessi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione e si estende alla stessa crisi del modello democratico della rappresentanza. È indubbio che simili vicende, soprattutto se di ampia risonanza mediatica, suscitino particolare disvalore etico-morale e, di conseguenza, esigenze di interventi legislativi, specie in chiave general-preventiva positiva. Eppure tali esigenze devono fare i conti con le garanzie costituzionali poste a difesa della funzione parlamentare.

Nel caso di specie, il giudice di legittimità si è pronunciato in ordine alla rilevanza penale e alla qualificazione giuridica dei fatti contestati a Silvio Berlusconi, il quale, nella sua posizione di leader dello schieramento di centro-destra ed in veste di privato corruttore, all’indomani delle elezioni del 2006, avrebbe promesso e corrisposto un’ingente somma di danaro al senatore Sergio De Gregorio per assicurarsi il traghettamento di quest’ultimo nelle sue fila e pilotarne le manifestazioni di voto, al fine di erodere la ridotta maggioranza numerica dell’allora Governo Prodi.

3.Una riflessione preliminare: la compatibilità tra corruzione del parlamentare e reati contro la p.a.

Per comprendere correttamente l’ambito applicativo delle fattispecie corruttive alle condotte poste in essere dai parlamentari, è necessario innanzitutto interrogarsi sulla configurabilità in capo al parlamentare della qualifica di pubblico ufficiale, sebbene apparentemente l’art. 357 c.p., così come riformulato dalla l. 86/1990, non sembra lasciare spazio a dubbi interpretativi.

Va, in ogni caso, precisato che la nozione di pubblica amministrazione accolta dal codice penale del 1930, che risente inevitabilmente dell’ideologia fascista, non poteva essere ridotta alla sola attività amministrativa in senso stretto, ricomprendendo anche la funzione giudiziaria e, per quel che rileva in questa sede, quella legislativa[4]. Una simile ricostruzione non può che avere macroscopiche ripercussioni sulla stessa individuazione del bene giuridico tutelato e dell’offesa tipica delle fattispecie di reato contenute nel Titolo II del Libro II c.p. Infatti l’imparzialità e il buon andamento, quali beni giuridici individuati dalla Costituzione a tutela dell’attività amministrativa[5], mal si adattano alle ipotesi di corruzione dei parlamentari, destinatari di doveri diversi rispetto a quelli che la Carta costituzionale impone ai soggetti che ricoprono incarichi amministrativi in senso stretto[6]. In particolare, il principio di imparzialità, sancito dall’art. 97 Cost., non risulta conciliabile con il ruolo svolto dal parlamentare, portatore per definizione di interessi parziali e particolari corrispondenti alle esigenze di una porzione del corpo elettorale, così come il dovere di buon andamento non potrebbe mai costituire parametro di legittimità dell’atto politico, insindacabile ex art. 68 Cost. Ne deriva pertanto che la possibilità di incriminare la condotta in esame non può che passare per il preliminare interrogativo circa l’opportunità di ridefinire ad hoc il bene giuridico tutelato, che non può che essere individuato nel rapporto fiduciario di rappresentanza instaurato tra elettori e politici eletti e nello stesso principio democratico[7], configurando una sorta di plurioffensività eventuale delle fattispecie corruttive.

Con l’abbandono della precedente impostazione soggettivistica che riconosceva lo status pubblicistico al soggetto agente in forza del vincolo di appartenenza all’ente, oggi, grazie alla novella del ‘90, ad assumere rilievo è l’attività svolta in concreto dal soggetto stesso, a prescindere dal rapporto che lo lega all’amministrazione pubblica. Alla luce di ciò, sembra consentirsi qualche margine di manovra a quella parte di dottrina che ritiene opportuna una valutazione penalistica differenziata per i soggetti che svolgono attività politica in sede parlamentare, fermo restando che il riferimento normativo espresso dall’art. 357 c.p. alla «pubblica funzione legislativa» non può che condurre l’interprete a considerare come pubblici ufficiali anche i membri del Parlamento, almeno in astratto. Diventa quindi necessario concentrarsi sull’attività concretamente svolta per verificare la sussistenza in capo al politico con cariche parlamentari dello status di pubblico ufficiale e la conseguente punibilità a titolo di corruzione dei casi di scambio di utilità e compravendita dei voti. Come si evince da alcuni contributi dottrinali[8], sembrerebbe che il riconoscimento della qualifica di pubblico ufficiale sia da limitare alle sole funzioni strictu sensu legislative, ossia quelle dirette alla produzione di norme giuridiche. Andrebbero, invece, esclusa la funzione di controllo e di indirizzo politico, in quanto connaturata al ruolo di rappresentanza politica ed esente da scopi predeterminati. Risulterebbe quindi una radicale incompatibilità tra svolgimento di funzioni politico-rappresentative e punibilità a titolo di corruzione, dal momento che «la sovrapposizione tra valutazioni astratte ed interessi di parte, che incarna abitualmente lo specifico disvalore delle vicende corruttive, costituisce in tal senso un aspetto immanente dell’attività politica e partitica»[9]. Da qui la necessità di individuare un discrimen tra accordo politico e accordo corruttivo, data la costante diffusione nella prassi politica di scambi di utilità reciproche. Di grande ausilio al riguardo e di evidente compatibilità con il caso di specie è la pronuncia della Cassazione sul caso Volontè[10], in cui viene individuato, in via pretoria, il requisito dell’utilità percepita a titolo meramente personale. I giudici di legittimità ritengono che gli estremi del reato di corruzione per l’esercizio della funzione siano in linea di principio ravvisabili anche in rapporto a quelle condotte in cui l’attività del parlamentare viene strumentalizzata per il conseguimento di una retribuzione illecita, a nulla rilevando la specificità della funzione parlamentare e il suo essere caratterizzata da una «inevitabile contaminazione tra interessi particolari e interessi collettivi». A tal proposito, precisa infatti il Collegio, se è vero che lo svolgimento dell’ufficio politico consiste in una «attività di compromesso e di composizione di parte», è altresì pacifico che nell’ambito di liceità non potrebbe farsi rientrare la ricezione di utilità a titolo meramente personale: in questo caso, ci troveremmo piuttosto di fronte ad «uno sfruttamento ai fini privati dell’altissimo ufficio pubblico ricoperto».

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha allo stesso modo ritenuto non sussistente una radicale incompatibilità tra fattispecie corruttive e attività politico-rappresentativa, rilevando piuttosto che il disposto dell’art. 357 c.p. attribuisca rilevanza penale all’attività parlamentare largamente intesa.

Ciò non toglie che, in una prospettiva de iure condendo, sarebbe quanto mai auspicabile un intervento del legislatore sul Titolo dei reati contro la pubblica amministrazione, al fine di abbandonare l’impostazione “monolitica” e sistematizzare le fattispecie inerenti all’esercizio delle pubbliche funzioni, portando a compimento il disegno costituzionale che innerva di principi differenti il potere politico-legislativo, da un lato, e l’attività strettamente amministrativa, dall’altro.

4. L’ambito di operatività dell’immunità ex art. 68 Cost. 

La rilevanza penale dei mercanteggi di voti ed opinioni parlamentari deve innanzitutto fare i conti con il dettato costituzionale di cui all’art. 68 co.1 Cost., a norma del quale «i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Di questa disposizione vengono date differenti interpretazioni in dottrina[11]. Secondo un primo orientamento più estensivo, l’immunità di cui all’art. 68 Cost. sarebbe tale da ricomprendere tutti i comportamenti del parlamentare a qualsiasi titolo collegati all’attività pubblica esercitata, quand’anche la condotta in sé sia estranea cronologicamente e funzionalmente all’ufficio politico detenuto. Al contrario, l’indirizzo più restrittivo della dottrina, in ossequio al fondamentale principio di eguaglianza, ritiene coperte dalla garanzia dell’irrilevanza penale le sole condotte del parlamentare strettamente inerenti alla funzione legislativa. La Corte costituzionale, dal suo canto, almeno a partire dagli anni 2000, ha accolto la seconda di queste impostazioni[12]. Nel timore che l’insindacabilità delle condotte parlamentari ex 68 Cost. potesse trasformarsi in un’irragionevole esenzione da qualsiasi responsabilità penale, il giudice delle leggi ha affermato che la garanzia costituzionale si estende alle sole condotte legate da un nesso funzionale con l’attività politica svolta, il quale non può che manifestarsi anche tramite l’avvicendamento cronologico tra l’attività strictu sensu parlamentare e l’attività esterna[13]. Invero, la Corte ha avuto modo di pronunciarsi solo in materia di atti dichiarativi a contenuto diffamatorio, per i quali risulta consolidato in sede di giurisprudenza costituzionale che l’insindacabilità vada estesa alle sole dichiarazioni che, seppur rese dal parlamentare al di fuori della Camera di appartenenza, costituiscano divulgazione esterna di opinioni già espresse in occasione dei lavori parlamentari.

Al contrario, nel caso specifico della corruzione, si ha una condotta cronologicamente e logicamente anteriore all’estrinsecazione dell’attività o del voto parlamentare, che concerne il movente dell’esercizio delle proprie funzioni in uno o in un altro senso. Il problema si è posto, in tempi ormai risalenti, all’attenzione della Giunta per le autorizzazioni a procedere, la quale ha sposato soluzioni opposte[14]. Nel 1971 ha negato l’autorizzazione a favore dell’on. Felici, indagato per aver accettato una somma di danaro al fine di sostenere alcune proposte di legge, estendendo l’immunità anche al patto corruttivo antecedente, in quanto diversamente sarebbe stato legittimato un sindacato giurisdizionale sul processo di formazione della volontà del parlamentare, vanificando le prerogative costituzionali[15]. Al contrario, nel 1972 la stessa Giunta, nel decidere un caso di mercimonio delle posizioni politiche di tre deputati, ha autorizzato a procedere, sostenendo che l’immunità ex art. 68 Cost. si estende a qualsiasi attività preparatoria dell’atto parlamentare tipico «purché sempre riconducibile al quadro costituzionale», cioè purché tale attività sia riconosciuta e tutelata dalla Costituzione. Di conseguenza, secondo tale pronuncia della Giunta, esula dall’art. 68 Cost. l’accettazione di danaro o di altro bene materiale che condizioni lo svolgimento della funzione parlamentare.

4.1 Il limitato ambito di operatività dell’immunità nel dictum della Cassazione

Alle due posizioni attenzionate, la Corte di Cassazione ed i giudici di merito, nella vicenda Berlusconi-De Gregorio, ne hanno preferito una terza. In particolare, il giudice di legittimità, anche richiamando la giurisprudenza costituzionale, prende le mosse dalla ratio dell’immunità, la quale non può risolversi in un ingiustificato privilegio, lesivo del principio di uguaglianza, ma è piuttosto presidio della libertà del parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni e strumento di attuazione del principio di autonomia delle Camere di cui agli artt. 64 e 72 Cost.[16].

Pertanto, in ossequio al principio di autonomia delle istituzioni parlamentari, l’insindacabilità di cui all’art. 68 Cost. è strumento per precludere l’intervento giurisdizionale rispetto alle sole attività parlamentari tipiche, che sono cioè interamente disciplinate dai regolamenti delle Camere[17]. Tuttavia, la Cassazione non esclude che vi siano «frammenti esterni all’attività», ossia segmenti di condotta autonomi rispetto all’atto parlamentare tipico, che possano essere sottoposti a sindacato giurisdizionale ove integrino gli estremi di una fattispecie incriminatrice. In altre parole, sono punibili quelle condotte che, pur collegate all’esercizio della funzione strictu sensu parlamentare, costituiscono autonomamente reato. Del resto, autorevole dottrina ha sottolineato l’illogicità di una estensione indiscriminata dell’immunità ex art. 68 Cost. anche alle condotte antecedenti ad una manifestazione di voto solo futura ed eventuale[18].

All’esito di tale argomentazione restrittiva, la Cassazione ha affermato che, nel caso di specie, l’accordo di scambio tra Berlusconi e l’on. De Gregorio costituisce segmento di condotta antecedente ed autonomo rispetto allo svolgimento della funzione parlamentare tipica (ovvero le espressioni di voto, queste sì coperte da immunità), che fuoriesce dal raggio di garanzia dell’art. 68 Cost. e dunque, integrando i requisiti di tipicità della fattispecie corruttiva, è in quanto tale punibile[19].  Invero, per i delitti di corruzione il legislatore ha adottato una tecnica di tipizzazione che risponde al modello del reato-contratto, cosicché essi giungono a consumazione per il solo fatto dell’accordo tra il pubblico agente corrotto ed il privato corruttore.

5. La qualificazione in primo grado ex 319 c.p. e il cd. “statuto del parlamentare”

L’incisività della pronuncia della Corte in esame è meglio comprensibile se ricostruita partendo proprio dalla genesi del suo iter processuale e dalla qualificazione del reato prospettata in primo grado.

Con la sentenza n. 11917, 8 luglio 2015, il Tribunale di Napoli ha condannato Silvio Berlusconi per corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, in ossequio ad una tendenza estensiva della giurisprudenza comune, sia antecedente alla l. 190/2012 che successiva, che riconduce all’art. 319 c.p. tutte le ipotesi di stabile asservimento della funzione pubblica ad interessi privati (indipendentemente dalla contrarietà o dalla conformità dell’atto ai doveri d’ufficio). In assenza di norme primarie o secondarie cui ancorare la valutazione della contrarietà dell’atto a tali doveri, il tribunale ha dovuto ricostruire la disciplina dell’attività parlamentare partendo dai principi costituzionali, delineando così lo «statuto del parlamentare»[20], che sarebbe stato disatteso dalle condotte di De Gregorio. In particolare, un ruolo centrale è stato riconosciuto all’art. 67 Cost. e al relativo principio della rappresentanza politica nei confronti dell’intera Nazione, posto al fine di svincolare i singoli parlamentari tanto dai collegi elettorali quanto dai partiti di appartenenza. In tale ordine di idee, i principi ivi desumibili del divieto di mandato imperativo e del primato della rappresentanza sarebbero manifestazioni di un più generale e fondamentale dovere di autonomia della funzione, ribadito in senso lato anche dall’art. 54 Cost.[21]; inoltre, essi imporrebbero una serie di regole di onore e di legalità istituzionale verso la Nazione, non sempre codificate nel diritto positivo, ma dettate da perduranti esigenze di correttezza volte a garantire l’indipendenza da influenze e poteri, sia privati che pubblici. Ne consegue che «l’ispirare il proprio agire e lo svolgimento della propria funzione non già all’espressione del sentire della Nazione o di una sua parte, ma al perseguimento di interessi particolaristici e individuali, come corrispettivo di pagamenti in denaro ricevuti, costituisce per il parlamentare una violazione di tale primo e importantissimo dovere»[22].

Tale “statuto del parlamentare”, ricostruito dal Tribunale dal combinato disposto degli artt. 67 e 54 Cost., era, in realtà, già stato delineato dalla Corte costituzionale, nel tentativo di configurare (rectius ipotizzare) il delitto di corruzione in capo ad un parlamentare, seppur in una vicenda diversa ed alquanto specifica[23]. Ripresa sia dal giudice di merito che da quello di legittimità, come precedente in tema di insindacabilità delle condotte dei parlamentari[24], la sentenza Corte cost. n. 379/1996 ha avuto il merito di distinguere, rispetto ai diritti riconosciuti in capo ai parlamentari, quelli che spettano loro «come persone» e quelli che «appartengono loro quali membri delle Camere», direttamente connessi al loro specifico status, delineando, per sottrazione, per la prima volta uno “statuto” della funzione [25].

Attraverso tale operazione ermeneutica, la Consulta ha fatto propria quella dottrina[26] che propugnava già da tempo di scardinare l’unitarietà, fino ad allora consolidata[27], dello status-funzione di parlamentare. Trova allora fondamento la dicotomia tra diritti di cui è titolare il parlamentare-rappresentante della Nazione, fondati in Costituzione e giustiziabili a livello costituzionale, e diritti del parlamentare-membro dell’Assemblea, fondati nelle norme dei regolamenti parlamentari e sindacabili dall’autorità giudiziaria. Si è osservato inoltre che rispetto ad altri ordinamenti nei quali lo statuto del parlamentare è interamente tutelabile davanti gli organi di giustizia costituzionali, nel nostro sistema, e per quanto rileva in questa sede, «si delinea in maniera immediata e certa il confine tra l’autonomia del Parlamento e il principio di legalità»[28].

Pertanto, nell’ipotesi di corruzione qui in esame, come rilevato, il delitto è astrattamente configurabile, in quanto costituisce una frazione di una condotta che, seppur derivante dall’esercizio della funzione di parlamentare, si colloca al suo esterno, e non è coperta dall’autonomia delle Camere.

Ricostruito in tali termini, secondo il combinato disposto degli artt. 54 e 67 Cost., il pactum sceleris intercorso tra le parti rappresenterebbe, nell’argomentazione del Tribunale, una violazione dei doveri del parlamentare nei confronti della Nazione e, dunque, un atto contrario ai doveri d’ufficio. Nello schema tipico dell’art. 319 c.p., pertanto, l’illiceità del fatto contestato non sta nell’aver ricevuto un’utilità indebita per cambiare schieramento politico o per contrastare la linea del partito di appartenenza, ma «nell’aver abdicato in cambio di denaro alla sua libera ed incoercibile facoltà di scegliere se fare eventualmente proprio tutto ciò, laddove egli lo avesse ritenuto meglio rispondente all’interesse della Nazione, o di non farlo nei casi in cui non ne ricorressero le condizioni».

Infine, va rilevato che il Tribunale esclude a priori la possibilità di ricondurre la fattispecie nelle maglie della corruzione per atto d’ufficio ex art. 318 c.p. (oggi riformulato in corruzione per l’esercizio della funzione). La norma non avrebbe, secondo il giudice di primo grado, «alcuna rilevanza nel caso di specie perché questo rientra a pieno e senza alcun dubbio nella corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, vista l’integrale e totale violazione dei doveri essenziali del parlamentare che Berlusconi richiese a De Gregorio in cambio del denaro pattuito». Invero, ferma restando l’inapplicabilità dell’attuale versione dell’art. 318 c.p. al caso di specie in virtù del principio dell’irretroattività della legge penale successiva sfavorevole al reo, il giudice di merito dimostra di non aver considerato l’inquadramento nella formulazione della norma vigente all’epoca dei fatti, punto che invece è risultato determinante nella riqualificazione della Corte di Cassazione nella pronuncia in esame.

6. L’approdo della Cassazione: l’incompatibilità dello statuto del parlamentare con la qualificazione in termini di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio

 La qualificazione, in primo grado, dello scambio di utilità tra Berlusconi e De Gregorio come corruzione propria non ha riscosso consensi in dottrina, la quale ha espresso una serie di dubbi circa la configurabilità di un «atto contrario ai doveri d’ufficio» in seno all’attività parlamentare. È stato osservato che la ricostruzione dello “statuto del parlamentare” operata del giudice di merito risulti alquanto arbitraria e incoerente rispetto alla portata delle disposizioni costituzionali[29]. Simili perplessità sono state condivise anche dalla Cassazione, la quale ha ribaltato la statuizione di merito, configurando al contrario un’ipotesi di corruzione impropria antecedente ai sensi della vecchia formulazione dell’art. 318 c.p.

Va peraltro ricordato che la medesima conclusione era già da tempo prospettata da autorevole dottrina, la quale, escludendo in radice la sussumibilità della condotta corruttiva del parlamentare nell’art. 319 c.p., reputava possibile contestare l’adiacente fattispecie di corruzione propria di cui all’art. 318 c.p. In tal modo, nei casi di scambi di utilità a fini di mera locupletazione del parlamentare, sarebbe possibile condurre una valutazione di rilevanza penale del solo pactum, prescindendo da qualunque considerazione in ordine alla successiva attività parlamentare posta in essere[30].

Invero, un’interpretazione rigorosa del disposto dell’art. 319 c.p. induce a ritenere necessario, ai fini dell’integrazione della fattispecie, un accertamento sulla legittimità dell’atto pubblico posto in essere. Ed è proprio un simile accertamento che sembra precluso dalle garanzie di cui agli artt. 67 e 68 Cost. in materia di libertà parlamentare.

Innanzitutto, non convince il richiamo all’art. 67 Cost. quale fonte degli obblighi violati nel caso di specie mediante il patto corruttivo; patto che costituirebbe, secondo la ricostruzione del Tribunale, un mandato imperativo, pertanto direttamente incompatibile con il succitato articolo.

In realtà, deve rilevarsi come il divieto di mandato imperativo non costituisce un dovere specifico e direttamente precettivo per il parlamentare, ma piuttosto è presidio della sua piena libertà ed autonomia nel compimento di atti che sono liberi nel fine e nelle ragioni[31]. Peraltro, la stessa Corte costituzionale (sent. 24 febbraio 1964, n. 14) ha attribuito alla norma in esame un carattere residuale e negativo, che risponde ad una ratio di garanzia piuttosto che di obbligo, in quanto consente al parlamentare di votare svincolandosi tanto dall’indirizzo dei suoi elettori, quanto dalle indicazioni del suo partito. È conclusione unanime in senso alla dottrina costituzionalistica che l’art. 67 Cost. impedisca non tanto la conclusione di accordi o la conduzione di trattative, quanto piuttosto che simili accordi possano vincolare giuridicamente il parlamentare, il quale, laddove dovesse disattendere le indicazioni ricevute ab externo, potrebbe risponderne esclusivamente a titolo di responsabilità politica[32]. Il giudice di legittimità, dando nuova voce alla fondamentale sentenza costituzionale n. 14/1964, rinviene «il contenuto essenziale della previsione della mancanza di vincolo di mandato» nella circostanza che «il parlamentare non può essere compulsato ab extrinseco nelle sue determinazioni, che devono essere il frutto di una sua scelta, quale che ne sia l’origine e la finalità, non essendo dunque vietata la conclusione di intese e l’assunzione di impegni, in quanto costituenti il risultato di una opzione libera del parlamentare, senza che possano essere predisposti strumenti attuativi e di controllo, volti ad incidere sulla libertà di quella determinazione».

Di conseguenza, l’art. 67 Cost. non può costituire valido parametro per il giudizio di conformità dell’atto, richiesto invece dalla tipicità della fattispecie ex art. 319 c.p.

Nel caso di specie, la Cassazione conclude pertanto che il divieto costituzionale va valorizzato nel senso esattamente opposto da quello messo in rilievo in sede di merito, in quanto la finalizzazione del munus parlamentare agli interessi generali della Nazione non poteva costituire per De Gregorio un dovere d’ufficio.

Del pari, anche il dovere di fedeltà alla Repubblica di cui all’art. 54 Cost. non è idoneo a costituire parametro di giudizio per la valutazione di conformità dell’atto. Non è in dubbio che le disposizioni che prevedono doveri di fedeltà alla Repubblica e di rappresentanza degli interessi generali del Paese abbiano alto valore programmatico[33]. Tuttavia, esse non sono idonee ad assurgere a doveri specifici, chiari e determinati[34], se non con il rischio di manipolare il vincolo di stretta legalità, sub specie tassatività, costituito dagli elementi di tipicità dell’art. 319 c.p. e di lasciare all’arbitrio del giudice l’accertamento dei requisiti di fattispecie[35].

Nell’iter dimostrativo adottato, emerge un ulteriore argomento di difficile confutazione. La Cassazione si rifà nuovamente all’art. 68 Cost., letto in chiave argomentativa ulteriore, in quanto servente, non già ad affermare la rilevanza penale o meno della condotta, ma ad inquadrare correttamente la condotta nella fattispecie della corruzione propria o impropria. In particolare, il Tribunale aveva rilevato l’esclusione dell’operatività dell’insindacabilità di cui all’art. 68 Cost., in quanto nel caso di specie veniva in rilievo la posizione del privato corruttore Berlusconi, a fronte dell’attribuzione all’immunità della natura di causa soggettiva di non punibilità. Al contrario, la Corte ritiene di dover prescindere dalle posizioni di giurisprudenza e dottrina, che configurano l’immunità ora come causa di non punibilità in senso stretto, incidente esclusivamente sul momento sanzionatorio, ora come causa di esclusione dell’antigiuridicità, incidente sulla sussistenza del reato[36].

Piuttosto, nel caso di specie, l’insindacabilità di cui all’art. 68 Cost. ha duplice portata. Essa, come in precedenza rilevato, non è tale da escludere in assoluto la rilevanza penale dell’accordo di scambio contestato che, consistendo in un ante factum dell’esercizio delle funzioni, esula dalla garanzia costituzionale. Al contempo, tuttavia, tale insindacabilità vale ad escludere la qualificazione del pactum sceleris come corruzione propria, alla luce della rigorosa e condivisibile lettura del requisito dell’atto contrario ai doveri d’ufficio. Invero, volendo prescindere dalle categorie proprie del diritto penale, l’immunità costituisce «una causa di imperscrutabilità dell’attività del parlamentare». L’insindacabilità delle attività parlamentari poste in essere rende inammissibile una responsabilità del parlamentare a titolo di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, perché una valutazione sulla contrarietà o conformità dell’atto è preclusa al sindacato giurisdizionale.

Non può allora che essere condivisa la conclusione della Corte per cui «nei confronti del parlamentare non è mai configurabile il reato di corruzione propria (per atto contrario ai doveri d’ufficio), antecedente e/o susseguente, previsto dall’art. 319 c.p.». Delle differenti impostazioni dogmatiche accolte dalla dottrina e dalla giurisprudenza, la Corte sembra utilizzarne una terza, configurando, con esclusivo riguardo alla corruzione propria, una sorta di elemento negativo del fatto tipico. Invero, afferma la Corte che «nell’ipotesi del parlamentare la discrezionalità sottende una non confrontabile e comparabile libertà, che induce a formulare già in astratto un giudizio di non contrarietà». L’insindacabilità ex art. 68 Cost. impedisce l’integrazione degli elementi della fattispecie tipica, con la conseguenza che è inibita altresì la punibilità del privato corruttore ai sensi del combinato disposto degli artt. 319 e 321 c.p.

7. Il principio di diritto in materia di corruzione propria ed impropria

Le questio iuris rilevanti nel caso di specie esulano dallo specifico campo di materia della corruzione parlamentare, per coinvolgere i controversi rapporti tra le adiacenti fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 318 e 319 c.p. Non a caso, il principio di diritto affermato dalla Corte concerne i requisiti di tipicità e, in quanto tale, è destinato ad operare in relazione a vicende corruttive “comuni”, ossia scambi di utilità illeciti tra privati e pubblici ufficiali esercenti attività strictu sensu Infatti in massima si è statuito che «l’ipotesi della corruzione propria, di cui all’art. 319 c.p., pur in presenza del mercimonio della funzione, discende comunque non dal mero riscontro di questa, ma dalla deduzione del perseguimento degli interessi del privato corruttore, attraverso atti contrari ai doveri di ufficio, connotati, pur a fronte di atti di natura discrezionale e formalmente legittimi, da quell’interesse. Per contro ricorre l’ipotesi di cui all’art. 318 cod. pen., in presenza della remunerazione del munus publicum, allorché non sia specificamente individuata la categoria degli atti di riferimento ovvero quando non possa prospettarsi la deduzione della specifica violazione dei doveri di ufficio nel compimento degli atti inerenti all’esercizio della funzione».

Ed allora, non va sicuramente trascurato il portato di novità della sentenza in esame per ciò che concerne le tipologie corruttive di dimensione politico-istituzionale, specie se si considera che la punibilità del parlamentare ex art. 318 c.p. è stata affermata anche nel recente arresto Volontè. L’interprete deve, pertanto, prendere atto di un principio di consolidamento giurisprudenziale in tal senso.

Eppure, il dictum nomofilattico ha portata ulteriore. Va sottolineato che la Corte ribalta la statuizione di merito, in conseguenza di un’interpretazione della fattispecie di corruzione propria distonica rispetto alle precedenti tendenze estensive.

Invero, la giurisprudenza precedente alla novella del 2012 interpretava in modo particolarmente estensivo, se non analogico, i due requisiti di fattispecie dell’art. 319 c.p.[37]. L’esigenza nasceva dalla inadeguatezza dello strumentario codicistico a contrastare i casi di cd. mercimonio della funzione, nei quali l’accordo corruttivo ha ad oggetto non singoli atti d’ufficio o una categoria di questi individuata nel genus, ma la messa a disposizione dell’ufficio amministrativo detenuto per future ed eventuali esigenze del privato. Le due fattispecie di corruzione ex artt. 318 e 319 c.p. erano, infatti, entrambe incentrate sulla nozione di atto d’ufficio; ma tra i due delitti la giurisprudenza designava un rapporto di radicale alternatività, fondato sull’eterogeneità dell’oggetto del pactum: nell’un caso un atto conforme ai doveri d’ufficio, nell’altro un atto contrario agli stessi.

Dinnanzi ad un simile apparato repressivo, la giurisprudenza ha innanzitutto ritenuto sufficiente in sede di accertamento processuale l’asservimento dell’attività latamente intesa, pur non procedendo all’individuazione degli atti “venduti” o del genus di essi. Inoltre, la medesima giurisprudenza ha spesso configurato la contrarietà ai doveri d’ufficio per il solo fatto dell’intervenuto accordo corruttivo, ritenendo sussistente la lesione dei principi di cui all’art. 97 Cost. in forza della violazione di generici doveri di fedeltà e correttezza del pubblico agente.

Una simile impostazione ha determinato l’assorbimento in via ermeneutica della maggior parte delle ipotesi corruttive nella corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio ex art. 319 c.p., anche considerata la cornice sanzionatoria più severa, e la conseguente depenalizzazione di fatto della meno grave ipotesi di corruzione impropria ex art. 318 c.p.

Simili flessibilizzazioni giurisprudenziali in punto di fatto tipico non sono comunque venute meno con la chiarificazione legislativa del 2012, che ha espressamente sostituito alla corruzione impropria la nuova incriminazione della «corruzione per esercizio della funzione», revitalizzando l’autonoma applicabilità dell’art. 318 c.p. [38]. È tuttavia oggi indubbio che ogni ipotesi di mercimonio della funzione pubblica ricada in tale disposizione, così come vi ricade l’ipotesi in cui nell’accordo corruttivo siano dedotti singoli atti conformi ai doveri d’ufficio. Invero, la riforma non ha portato ad alcuna abolito criminis, ma, al contrario, ad un allargamento del penalmente rilevante[39].

Pertanto, il principio di diritto affermato nel caso Berlusconi-De Gregorio non perde di attualità di fronte all’intervento normativo perché consente una rinnovata lettura dei confini applicativi dell’art. 319 c.p., indipendentemente dal suo rapporto con la previgente o nuova formulazione dell’art. 318 c.p.

Il giudice di legittimità ha innanzitutto richiesto che, ai fini della punibilità a titolo di corruzione propria, la contrarietà ai doveri d’ufficio dell’atto venga accertata con riguardo a doveri specifici e precettivi. Il dictum della Corte è tutto incentrato sullo statuto del parlamentare disposto in Costituzione, nel quale non si rinvengono obblighi di comportamento immediatamente rilevanti in sede penale. Tale impostazione, tuttavia, non può non avere una portata deterrente rispetto all’orientamento giurisprudenziale che ravvisa, rispetto al pubblico ufficiale “comune”, una violazione dei canoni di imparzialità e buon andamento ex art. 97 Cost., per il solo fatto che vi sia stato un accordo corruttivo. Va allora rinnegata tale semplificazione dimostrativa, volta a ritenere sussistente una contrarietà ai doveri d’ufficio in re ipsa.

In secondo luogo, la Corte esclude che la contestazione a Berlusconi possa essere formulata in termini di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, in quanto il giudice di merito ha mancato di individuare i singoli atti oggetto del mercimonio, rilevando piuttosto una generica messa a disposizione della funzione pubblica. La fattispecie di corruzione propria, anche a seguito della novella operata nel 2012, è incentrata sull’elemento dell’atto d’ufficio, il quale deve pertanto essere individuato, quanto meno nel genus.

In conclusione, secondo tale ordine di idee, l’organo di legittimità adotta ragionevolmente un’impostazione ermeneutica maggiormente coerente con il canone costituzionale di tassatività, scardinando il consolidamento di prassi giurisdizionali volte a flessibilizzare i requisiti di tipicità della fattispecie ex art. 319 c.p. Ne deriva che, secondo l’iter argomentativo della Cassazione, i casi di mercimonio della funzione, parlamentare o amministrativa che sia, non possono che essere puniti ai sensi dell’art. 318 c.p., in quanto sussumibili tanto nella vecchia corruzione impropria quanto nella nuova corruzione per l’esercizio della funzione.

[1] AMISANO TESI, Le tipologie della corruzione, Giappichelli, Torino, 2012, cit. p. 209.

[2] Sul punto, DAVIGO, MANNOZZI, La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo sociale, Laterza, Roma, 2008, pp. 7 ss.; FIANDACA, MUSCO, La recente riforma dei reati contro la pubblica amministrazione. Addenda a Diritto penale – parte speciale, I, Bologna, Zanichelli, 2013, pp. 3 e ss.; GAMBARDELLA, Le recenti riforme in materia di corruzione: un sistema da rifondare, in D’ALBERTI, Combattere la corruzione, pp. 104 e ss.; TORTORELLI, I delitti di corruzione, in AMARELLI, FIORE, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Wolters Kluwer, Milano, pp. 131 ss. Per mercimonio della funzione pubblica, talvolta definito «pubblico ufficiale a libro paga del privato» o corruzione «a futura memoria» (FIANDACA, Esigenza e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, cit. p. 883), si intende la vicenda corruttiva in cui il soggetto pubblico viene sistematicamente pagato affinché si renda disponibile pro futuro a compiere o ad omettere gli atti che eventualmente dovessero tornare utili al privato corruttore.

[3] FIANDACA, Esigenza e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, cit. p. 886.

[4] Sul punto, amplius, FIORE, Introduzione, in AMARELLI, FIORE, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, UTET, Torino, 2018, cit. p. 2. Si veda la Relazione del Guardasigilli al libro II c.p., in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. V, 1929, p. 132 ss., ove si specifica il titolo sui delitti contro la pubblica amministrazione incrimina tutte le condotte che ledono o pongono in pericolo il regolare svolgimento dell’attività statali o pubbliche, ricomprendendo le categorie di soggetti di diritto pubblico che «si distinguono in soggetti appartenenti all’ordine legislativo, soggetti appartenenti all’ordine giudiziario, e soggetti appartenenti all’ordine esecutivo».

[5] Sul bene giuridico tutelato dai delitti di corruzione, ARDENGHI, Corruzione per l’esercizio della funzione, in AA.VV., Manuale di diritto penale, parte speciale. Delitti contro la pubblica amministrazione, Il Mulino, 2015, pp. 150 ss. FIANDACA, MUSCO, Diritto penale, parte speciale, Zanichelli, 2012, vol. I, pp. 225 ss.; TORTORELLI, I delitti di corruzione, in AMARELLI, FIORE, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, pp. 42 ss.

[6] In argomento, TAGLIARINI, Il concetto di pubblica amministrazione nel codice penale, Giuffrè, 1973, pp. 211 e ss.

[7] AMISANO TESI, Le tipologie della corruzione, cit. p. 211.

[8] Anche per gli opportuni riferimenti bibliografici, COMPAGNA, La corruzione del parlamentare: un archetipo costituzionalmente improprio, in penalecontemporaneo.it, 2016.

[9] Ibidem, cit.

[10] Cass. 6 giugno 2017 n. 36769, caso Volontè, la quale, riprendendo la Corte Costituzionale n. 379/1996 cit., ammette in linea di principio la configurabilità del reato di corruzione per l’esercizio della funzione parlamentare (nel caso specifico, si trattava di un componente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa), seppur caratterizzata da una «inevitabile contaminazione tra interessi particolari ed interessi collettivi».

[11] Queste posizioni sono riportate da AMISANO TESI, Le tipologie della corruzione, pp. 209 ss.

[12] Sulle pronunce della Corte costituzionale, amplius LATTANZI G., Codice penale, Giuffrè editore, 2010, vol. I, pp. 225 e ss.

[13] Corte costituzionale sentenze n. 10 ed 11 del 2000. Sul punto anche sentenza Corte Cost. 14 novembre 2006, n. 371, in Giur. cost., 2006, pag. 3895.

[14] In argomento, VASSALLI, Punti interrogativi sulla estensione della irresponsabilità ai membri del parlamento, in Giust. Pen., pp. 143 ss.,1973.

[15] VASSALLI, Comunicazione del presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere, cit. p. 4.

[16] Su cui Corte cost. n. 1150 del 1988.

[17] Questa impostazione è sostenuta da autorevole dottrina costituzionalistica: MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1975, p. 492; ZAGREBELSKY, Le immunità parlamentari (natura e limiti di una garanzia costituzionale), cit. p. 74.

[18] VASSALLI, Punti interrogativi sull’estensione della irresponsabilità dei membri del Parlamento, cit. p. 4304.

[19] «Il delitto di corruzione non è di per sé sottratto, sempre e comunque, alla capacità di qualificazione del diritto comune, quand’anche coinvolga un parlamentare. Va infatti rimarcato che, non essendo necessario il compimento effettivo dell’attività d’ufficio, ben può rilevare la mera pattuizione, che, pur deducendo l’esercizio della funzione e lo svolgimento dell’attività, costituisce una frazione di condotta che si colloca all’esterno di esso», cit. Negli stessi termini il Tribunale di Napoli, per cui «in un patto corruttivo, quello che sicuramente è insindacabile è l’atto parlamentare con cui l’eletto asseritamene corrotto dà corso al suo impegno; ma la riunione preparatoria con cui ha stabilito i termini dell’accordo illecito e le modalità di pagamento della “tangente” sarà fuori dalla prerogativa», in Trib. Napoli, sez. I, 8 luglio 2015, n. 11917, imp. Berlusconi, Lavitola, con nota di UBIALI, In tema di corruzione del parlamentare: il leading-case Berlusconi-De Gregorio, in penalecontemporaneo.it, 2016. Medesima conclusione è stata raggiunta dalla Cassazione nel caso Volontè (Cass., Sez. V, sent. 6 giugno 2017 (dep. 24 luglio 2017), n. 36769 Pres. Rotundo, Rel. Corbo, Ric. Proc. Repubblica di Milano in proc. Volonté).

[20] UBIALI, Nota a Trib. Napoli, sez. I, 8 luglio 2015, n. 11917, in penalecontemporaneo.it

[21] Richiamato come principio generale violato e non di norma dal contenuto precettivo, come invece per l’art. 67, è, secondo l’ispirazione costituzionale che ha colto il Tribunale, vincolante a maggior ragione per «chi riveste l’alta e importante funzione di rappresentanza della Nazione che è insita nel ruolo di parlamentare; senza dubbio vi contravviene, dunque, chi scelga di vincolare il proprio agire a fini egoistici e, ancor più ai pagamenti in denaro pattuiti e le direttive ricevute».

[22] Trib. Napoli, sez I, 8 luglio 2015, n. 11917.

[23] Il riferimento è al caso dei cd. “parlamentari pianisti” o “millemani”.

[24] Ordinanza del Tribunale di Napoli del 12/3/2014, ripresa in Trib. Napoli cit., in cui si fa notare che «l’intera logica cui è improntata la sentenza del 1996 induce ad escludere che in un caso come quello fin qui ricostruito, relativo alla corruzione di un parlamentare, possa realisticamente porsi un problema di copertura delle condotte incriminate ad opera dell’immunità parlamentare, ciò anche al di là del richiamo testuale esplicito al delitto di corruzione, citato come esempio di quelli che giammai potrebbero ricadere nell’alveo dell’immunità parlamentare»

[25] Si è tuttavia osservato che, in merito alle condotte del caso specifico, la Corte «pur potendo escludere la loro giustiziabilità ordinaria anche con argomenti differenti, ha preferito una soluzione dispendiosa quale quella della rinascita dei cd. interna corporis, non mancando, peraltro, di riconoscerla inappagante, se rigidamente intesa, in ipotesi di conflitto con beni costituzionali per la democrazia» – GUARINI, Spunti ricostruttivi sulla (problematica) legittimazione del singolo parlamentare al conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in Rivista A.I.C., n. 4/2017.

[26] ZANON, Il libero mandato parlamentare. Saggio critico sull’art. 67 della Costituzione, Milano, 1991

[27] tra gli altri, ZAGREBELSKY, Le immunità parlamentari. Natura e limiti di una garanzia costituzionale, Torino, 1979, 43 e ss., il quale esclude alcuna differenza tra i rappresentanti di organi elettivi e i privati cittadini

[28] Corte Cost. cit., §7 del Considerato in diritto. Rispetto al caso dei cd. pianisti, sussumibile in fattispecie di falso e sostituzione di persona, l’elemento o frammento della concreta fattispecie che coinvolga beni o diritti che si sottraggono all’esaustiva capacità classificatoria del regolamento parlamentare non era stato in alcun modo rinvenuto. Si veda anche Cass., Sez. VI, n. 21117 del 30/11/2007, che riprende il principio della Corte Cost. in tema di immunità dei consiglieri regionali ex art. 122 Cost., nella parte in cui esclude tale guarentigia rispetto a comportamenti corruttivi che «si assume essere stati realizzati con soggetti non partecipi al procedimento legislativo e al fine di predisporre le condizioni per il conseguimento di un vantaggio illecito».

[29] UBIALI, In tema di corruzione del parlamentare: il leading-case Berlusconi-De Gregorio, cit.

[30] In argomento, VASSALLI, Punti interrogativi sulla estensione della irresponsabilità dei membri del Parlamento, cit. pp. 222 ss.; ma anche LUCIBELLO, Il giudice penale e la pubblica amministrazione, Rimini, 1994, cit. p. 159 e, da ultimo, COMPAGNA cit. pp. 11 ss.

[31] In argomento, BARTOLE, BIN, Commentario breve alla Costituzione, II ed., Padova, 2008, sub art. 67, pp. 620 ss.

[32] Per tutti, MORTATI, Commentario della Costituzione a cura di G. Branca – Le Camere, tomo II, artt. 64-69, 1986, Zanichelli, Bologna

[33] «È bensì vero che dal parlamentare si attende nel massimo grado la ponderazione attenta degli interessi della Nazione, cui è funzionale proprio la previsione della sua incoercibilità: ma ciò non implica che in concreto il parlamentare non possa essere ispirato da intendimenti della più diversa specie, tutti destinati a rimanere confinati nella sua libera coscienza», cit.

[34] Osserva la Corte che l’art. 54 Cost. «non possiede uno specifico valore precettivo e non conferisce un preciso contenuto, ove non diversamente risultante, all’esercizio delle funzioni, peraltro insindacabilmente libero», cit.

[35] UBIALI, In tema di corruzione del parlamentare: il leading-case Berlusconi-De Gregorio, cit.

[36] Secondo parte della dottrina, l’immunità costituisce una forma di incapacità penale, da intendersi come incapacità del soggetto agente di divenire centro di imputazione di situazioni giuridiche rilevanti nel sistema penale. Tuttavia, tale impostazione non tiene conto della circostanza che le immunità costituzionali non investono solo la sfera di operatività del diritto penale, ma tutti gli ambiti di responsabilità. Inoltre, tale inquadramento dogmatico non si addice all’immunità parlamentare che, in quanto immunità funzionale, non coinvolge di per sé la persona del parlamentare, ma concerne l’esercizio delle funzioni. Per la dottrina dominante, l’immunità parlamentare costituisce una causa di esclusione dell’antigiuridicità, la quale si estende anche al privato corruttore concorrente che, pur non godendo personalmente dell’immunità, partecipa ad una condotta lecita ab origine. Altra parte della dottrina, invece, ricostruisce l’immunità di cui all’art. 68 co. 1 Cost. come una causa personale di esclusione della pena, che opera solo a vantaggio del soggetto che riveste la qualifica soggettiva di parlamentare. In argomento, si rinvia a LATTANZI G., Codice penale, vol. I, pp. 228 e ss. In giurisprudenza prevale l’impostazione per cui l’immunità debba essere configurata come una causa soggettiva di esclusione della punibilità in senso stretto che inibisce l’intervento punitivo dello Stato solo all’esito dell’accertamento di tutti gli elementi costitutivi del reato (da ultimo, Cass. sez. V, n. 2384 del 26 novembre 2019). Solo in un caso, il giudice di legittimità ha affermato che l’immunità costituisca una causa di esclusione dell’antigiuridicità (Cass. sez. V, n. 38944 del 27 ottobre 2006).

[37] Tra le prime, Cass. Sez. VI, 15 febbraio 1999, n. 3945, in questa rivista, 2000, p. 1223; Sez. VI, 5 febbraio 1998, n. 2894, ivi, 1999, p. 3405, con nota di RAMPIONI, I delitti di corruzione e il requisito costitutivo dell’atto di ufficio: tra interpretazioni abroganti e suggestioni riformatrici, in Cass. pen., 1999. Da ultimo, Cass., Sez. VI, n. 19189 del 11/1/2013, Abruzzese; Cass., Sez. VI, n. 40237 del 7/7/2016, Giangerco. Su tali tendenze, particolarmente critici sono DAVIGO, MANNOZZI, La corruzione in Italia, pp. 234 ss.

[38] In argomento, GAMBARDELLA, Le recenti riforme in materia di corruzione. Un sistema da riformare, in D’ALBERTI, Combattere la corruzione, Soveria Mannelli, 2016, pp. 118 ss. In particolare, si segnala Cass. n. 4486/2019, riprendendo il principio di diritto della pronuncia in esame, riqualifica in corruzione per l’esercizio della funzione ex art. 318 c.p., nuova formulazione, la prospettazione del Tribunale del riesame di Roma in termini di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio ex art. 319 c.p. Nel caso di specie, concernente la costruzione dello Stadio della Roma, il Gip aveva infatti erroneamente ricondotto la generica messa a disposizione del Consigliere Regionale del Lazio Palozzi agli interessi dell’imprenditore Parnasi nell’ipotesi del 319 c.p., sulla base della violazione dei doveri istituzionali di imparzialità e correttezza.

[39] Sui profili intertemporali della novella del 2012, GAMBARDELLA, Le recenti riforme in materia di corruzione. Un sistema da riformare, pp. 110 e ss.

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