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La Corte Costituzionale si pronuncia sulla legittimità costituzionale dei minimi edittali di pena del delitto di rapina impropria

Con sentenza n. 190/2020, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 628, II comma c.p., sollevate con tre distinte ordinanze del Tribunale ordinario di Torino, in riferimento agli artt. 3, 25, II comma, 27, III comma e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 49 della Carta di Nizza.

In particolare, la Consulta ha escluso la manifesta irragionevolezza dei minimi edittali previsti per il reato di rapina impropria, ovvero la reclusione da cinque a dieci anni e la multa da 927 a 2.500 euro, corrispondenti a quelli previsti per il delitto di rapina propria.

Il delitto di rapina impropria e le censure del giudice rimettente

In virtù dell’art. 628, II comma c.p., sussiste il delitto di rapina impropria quando l’agente usa violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione della cosa, per assicurarne a sé o ad altri il possesso, o per procurare a sé o ad altri l’impunità.

Tale delitto si distingue dalla rapina propria, che si realizza quando l’autore, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto (art. 628, I comma c.p.).

In primo luogo, secondo il giudice rimettente sarebbero violati i principi di eguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., poiché il legislatore ha previsto la medesima pena per due condotte di diversa gravità. Sussisterebbe un maggior disvalore sul profilo oggettivo e soggettivo nel caso di rapina propria, che richiede violenza o minaccia quali mezzi essenziali, preventivamente programmati, per la lesione patrimoniale.

Diversamente, nel caso di rapina impropria, l’uso della violenza o della minaccia non sarebbe preordinato, avendo luogo solo dopo la sottrazione, per effetto di una «tensione istintiva alla libertà». Conseguentemente, si imporrebbe una sanzione inferiore rispetto a quella prevista per la rapina propria.

Inoltre, si rileva che la fattispecie di cui al secondo comma non richiede neppure l’effettivo impossessamento della cosa mobile altrui, invece testualmente richiesto per la rapina propria, la quale risulterebbe quindi maggiormente lesiva del bene giuridico tutelato.

In secondo luogo, vi sarebbe un trattamento difforme di situazioni eguali, a seconda del legame cronologico tra la sottrazione della cosa e l’uso della violenza o minaccia. Si osserva che, qualora la condotta violenta o minacciosa non sia immediatamente successiva alla sottrazione, non si configura il reato di rapina impropria, ma i reati di furto e resistenza a pubblico ufficiale o violenza privata. Ciò anche nel caso in cui si miri a conseguire l’impunità o il profitto del reato. A parità di condotta ed elemento soggettivo, nel caso in cui la reazione dell’agente sia contestuale alla sottrazione, egli è sottoposto al più severo trattamento sanzionatorio previsto per la rapina impropria.

Si assume inoltre violato il principio di offensività, desumibile dell’art. 25, II comma Cost., in virtù del quale la sanzione deve essere calibrata al livello di gravità dell’offesa. In particolare, gli elevati minimi edittali della pena non permetterebbero al giudice di graduare la sanzione secondo l’offensività della condotta concreta. Da ciò discenderebbe l’ulteriore contrasto con l’art. 27 Cost., considerato che il presupposto per la rieducazione del reo è proprio la proporzionalità tra il fatto e la pena. La sproporzione del regime sanzionatorio comporterebbe inoltre la violazione dell’art. 117, I comma, Cost., in relazione all’art. 49 Carta di Nizza.

La soluzione della Consulta

La Corte dichiara in primo luogo inammissibile la censura relativa all’art. 117 Cost., poiché le norme della Carta di Nizza si applicano esclusivamente in attuazione del diritto dell’Unione (art. 51 Carta di Nizza), mentre nel caso in esame manca detto legame con il diritto comunitario.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., per un’asserita diversità dell’elemento psicologico dell’agente, la Corte Costituzionale osserva che non è necessariamente ravvisabile una diversa capacità criminale del soggetto agente.

In entrambi i reati, le condotte sono consapevoli e volontarie e l’oggetto del dolo comprende, sia l’impossessamento della cosa mobile altrui, sia il ricorso alla violenza o alla minaccia. Inoltre, le condotte si caratterizzano dal contesto unitario di una medesima aggressione patrimoniale. La diversa fisionomia del dolo dipende piuttosto dal singolo caso concreto. Nella rapina impropria, il dolo può indirizzarsi, più che sul consolidamento della situazione possessoria, sul conseguimento dell’impunità, ma non è da escludersi che la condotta sia finalizzata a conseguire l’impossessamento della cosa.

Ancora, è arbitrario ritenere che nelle ipotesi di rapina propria vi sia sempre una volontà preordinata di ricorso alla violenza e che nel caso di rapina impropria vi sia sempre dolo istantaneo. E’ infatti possibile che, nel primo caso, la violenza si riveli necessaria ai fini dello spossessamento per fattori contingenti e, nel secondo caso, che si sia progettato di conseguire l’impunità con violenza ancor prima di procedere alla sottrazione.

Quanto alla diversa soglia di consumazione del reato, i rimettenti ritengono che sarebbe anticipata nella rapina impropria, con conseguente minore gravità della lesione del patrimonio del soggetto passivo. La Corte nota che la questione del momento di consumazione della rapina impropria, strettamente connesso al tema del tentativo, è stato oggetto di ampio dibattito in giurisprudenza e in dottrina. Nel diritto vivente, è ormai riconosciuto che il reato si consuma a seguito della sottrazione della cosa altrui, senza che occorra l’instaurazione di una nuova e autonoma situazione di possesso in capo all’agente[1]. L’impossessamento è invece requisito necessario per la rapina propria. Ciò posto, la non perfetta coincidenza degli elementi costitutivi dei reati non impone un diverso trattamento sanzionatorio, né il trattamento previsto dall’art. 628 c.p. risulta manifestamente irragionevole [2]. Dato comune rilevante è infatti il ricorso a una condotta violenta o minacciosa nel medesimo contesto di tempo e di luogo di un’aggressione patrimoniale. L’eventuale mancato impossessamento in caso di rapina impropria non assume invece un ruolo determinante nella previsione sanzionatoria.

La Corte osserva poi che l’art. 628 c.p. contiene due ipotesi di reato complesso, di cui sono elementi costitutivi (o circostanze aggravanti) più fatti che costituirebbero reato per sé stessi (art. 84 c.p.). La combinazione di tali elementi comporta non irragionevolmente un trattamento sanzionatorio diverso rispetto a quello che sarebbe applicabile in base al cumulo delle figure componenti.

Passando alla questione di un’asserita irragionevole diversificazione nel trattamento di situazioni analoghe, la Corte esclude che la rapina impropria sia equivalente al furto seguito da reati volti a evitare la punizione o ad assicurare il possesso della cosa mobile altrui.

La Consulta ribadisce che l’immediatezza e della contestualità, o la loro assenza, sono essenziali ai fini della valutazione della gravità del fatto, nei suoi profili oggettivi e soggettivi, e delle scelte legislative di politica penale. In particolare, a fronte di aggressioni concomitanti a più beni giuridici, il legislatore gode di un’ampia discrezionalità repressiva. Di conseguenza, la disciplina sanzionatoria, qualora non manifestamente irragionevole, non può essere sorpassata tramite lo “scioglimento” del reato complesso e la riespansione di altre figure di reato (furto, violenza privata o resistenza a pubblico ufficiale).

La Consulta ricorda poi che l’immediatezza della condotta violenta o minacciosa rispetto alla sottrazione del bene assume rilievo sotto molteplici profili, integrando, ad esempio, uno dei presupposti della legittima difesa (art. 52 c.p.). Inoltre, gli agenti di polizia, in caso di flagranza, potranno procedere all’arresto senza il previo intervento dell’autorità giudiziaria.

Qualora invece difetti il requisito dell’immediatezza, la vittima del furto può ottenere il bene solo tramite un’azione possessoria avanti il giudice civile, non essendo autorizzata a utilizzare violenza o minaccia. In caso contrario, potrebbe essere integrato il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone. Ancora, l’autore del fatto non può più essere arrestato, e l’eventuale applicazione di una misura cautelare nei suoi confronti (salva l’ipotesi di un fermo ex art. 384 c.p.p.) richiede una valutazione giudiziale, sia riguardo alla gravità degli indizi di colpevolezza, sia riguardo alla ricorrenza delle esigenze cautelari (art. 274 c.p.p).

Passando alle censure riguardanti i principi di offensività, di proporzionalità della pena e di rieducazione di cui agli artt. 25 e 27 Cost., esse si fondano sull’asserita irragionevole equiparazione con la rapina propria, proponendo come parametri più adeguati le soglie fissate per furto seguito da violenza o minaccia. La Corte rileva che l’infondatezza delle questioni relative alla pretesa violazione dell’art. 3 Cost. è estendibile anche alle questioni relative agli artt. 25 e 27 Cost.

Ciò considerato, la Corte sottolinea che l’incremento dei valori edittali per la rapina impropria si inserisce coerentemente nella recente tendenza legislativa a una severa repressione delle aggressioni patrimoniali connotate da violenza o minaccia. In un primo tempo, oltre ad aver inasprito la pena per il delitto di rapina, la l. n. 103/2017 ha aumentato i valori edittali del furto con strappo o in abitazione (art. 624-bis c.p) e dell’estorsione (art. 629 c.p.), incrementando anche la pena in caso di ricorrenza delle aggravanti specifiche per il furto (art. 625 c.p.).

Recentemente, la l. n. 36/2019 ha ulteriormente innalzato i valori minimi (e in qualche caso anche i massimi) fissati all’art. 624-bis I e III comma c.p. e ha previsto l’ulteriore incremento della sanzione per i delitti di rapina (art. 628 c.p).

In considerazione di ciò, la Corte lancia un monito al legislatore, invitandolo a valutare la necessità di un’attenta considerazione della pressione punitiva riservata ai delitti contro il patrimonio, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa, dei beni giuridici tutelati dal diritto penale e del livello di protezione loro assicurato.

Fonte dell’immagine: www.ondanews.it

[1] La lettera dell’art. 628 cod. pen. distingue infatti tra sottrazione e impossessamento, includendo nel primo comma entrambi i fattori come elementi costitutivi sul piano materiale, e indicando invece l’impossessamento, nel secondo comma, quale obiettivo “da assicurare” mediante l’azione violenta o minacciosa, attuata «immediatamente dopo la sottrazione».

[2] Criterio essenziale per l’intervento della Consulta rispetto alla legittimità costituzionale dei regimi sanzionatori (sent 212, n. 155, n. 115, n. 112, n. 88 e n. 40 del 2019 e ordinanza n. 66 del 2020).

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