martedì, Dicembre 3, 2024
Di Robusta Costituzione

La Corte costituzionale sul rapporto tra le fonti primarie e secondarie nel contesto dell’emergenza pandemica da Covid-19

Riflessioni a margine della Sentenza n. 198 del 2021

di Diana Amoroso

Dottoranda in Diritto pubblico, comparato e internazionale Università degli studi la Sapienza – Roma e funzionario giuridico presso l’Agenzia Italiana del Farmaco

e Michele Pappone

Dottore di ricerca in Gestione e innovazione delle risorse pubbliche – Università degli studi del Molise e funzionario giuridico presso l’Agenzia Italiana del Farmaco

 

Sommario: 1. L’insorgenza della pandemia nel contesto internazionale e nazionale – 2. Lo stato di emergenza nel sistema delle fonti – 3. Il contesto normativo di riferimento: il Decreto legge n. 6 del 2020 – 4. Il Decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020 e la tipizzazione delle misure di contenimento – 5. Brevi cenni alle soluzioni adottate in altri ordinamenti europei nella prima fase pandemica – 6. L’inammissibilità e la non fondatezza delle questioni poste al vaglio della Corte Costituzionale – 7. A due anni dalla dichiarazione dello stato d’emergenza: riflessioni conclusive.

 

1.L’insorgenza della pandemia nel contesto internazionale e nazionale.

Come noto, in data 30 gennaio 2020, il Direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato il focolaio internazionale di COVID-19 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale (Public Health Emergency of International Concern – PHEIC), intendendosi per tale “un evento straordinario che può costituire una minaccia sanitaria per altri Stati membri attraverso la diffusione di una malattia e richiedere una risposta coordinata a livello internazionale”.

Successivamente, l’11 marzo 2020, il Direttore generale dell’OMS ha dichiarato che il focolaio internazionale di infezione da nuovo coronavirus SARS-CoV-2 poteva essere considerato una pandemia, definita dalla stessa OMS, come la diffusione di una nuova malattia in almeno due continenti, molto contagiosa e ad alta mortalità, per la quale le persone non hanno immunità. Ebbene, qualora l’OMS dichiari lo stato di pandemia, ciascun Paese è obbligato a mettere a punto un Piano Pandemico da aggiornare costantemente, sulla base delle linee guida fornite dall’OMS stesso.

In tale contesto, l’OMS ha svolto, pertanto, un ruolo di indirizzo e coordinamento tra i vari Stati, fornendo raccomandazioni e misure di salute pubblica necessarie per affrontare l’emergenza sanitaria in corso nei vari Paesi coinvolti.

Parallelamente, nel nostro ordinamento, con deliberazione del 31 gennaio 2020, il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 1 del 2018, recante il «Codice della protezione civile», a seguito della quale sono stati adottati numerosi decreti-legge, Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e ordinanze degli enti locali e del Ministero della Salute che, con l’obiettivo di tutelare la salute collettiva di cui all’art. 32 Cost., hanno previsto le principali misure di contenimento del contagio[1].

In particolare, nel definire la tipologia degli eventi emergenziali di protezione civile, l’art. 7, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 1 del 2018 descrive l’ipotesi di maggiore gravità: «emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24».

L’art. 24, comma 1, del medesimo testo normativo stabilisce appunto che, al verificarsi degli eventi rientranti nella previsione dell’art. 7, comma 1, lettera c), il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza di rilievo nazionale, ne fissa la durata, ne determina l’estensione territoriale «e autorizza l’emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all’articolo 25».

A norma del successivo art. 25, comma 1, «per il coordinamento dell’attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di emergenza di rilievo nazionale si provvede mediante ordinanze di protezione civile, da adottarsi in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea»; tali ordinanze, «ove rechino deroghe alle leggi vigenti, devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere specificamente motivate». Il comma 4 del medesimo art. 25 prescrive che queste ordinanze siano pubblicate in Gazzetta Ufficiale e il comma 9 assicura avverso di esse la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo. I poteri di ordinanza in materia di protezione civile sono attribuiti dall’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 1 del 2018 al Presidente del Consiglio dei Ministri, «che può esercitarli, salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione di cui all’articolo 24, per il tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile».

Dalla dichiarazione dello stato di emergenza, si sono susseguiti una serie di interventi normativi, attraverso numerosi decreti-legge e d.p.c.m. attuativi[2], che hanno imposto misure incidenti anche sulle libertà dei cittadini e sui diritti costituzionali[3], tra cui la libertà personale, di circolazione, di iniziativa economica, di riunione e di associazione, fino ad arrivare a determinare, nelle prime settimane di marzo 2020, il lockdown totale della nazione[4].

 

  1. Lo stato di emergenza nel sistema delle fonti.

A fronte di tale quadro, ci si è interrogati sulla disciplina applicabile nel nostro ordinamento durante lo stato di emergenza idoneo a dar luogo a un assetto giuridico extra ordinem, partendo proprio dall’analisi dei principi costituzionali rilevanti in materia.

Ebbene, la Costituzione italiana non contiene una definizione specifica di stato di necessità, ma considera l’emergenza[5], con riferimento a fattispecie specifiche, solo negli artt. 77, 78, 120 e 126, i quali contemplano la decretazione d’urgenza, la dichiarazione dello stato di guerra, il potere sostitutivo del Governo nei confronti delle Regioni e degli enti locali in caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica e, infine, lo scioglimento del Consiglio regionale per ragioni di sicurezza nazionale.

La Carta Costituzionale prevede la possibilità che il Governo adotti disposizioni normative, nei casi di necessità e di urgenza, utilizzando lo strumento dei “decreti legge” definiti dall’art. 77, comma 2, Cost. «provvedimenti provvisori con forza di legge», che l’esecutivo, assumendosene la piena responsabilità, deve «il giorno stesso» dell’adozione presentare alle Camere «che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni». I provvedimenti in questione sono destinati tuttavia a perdere efficacia ex tunc qualora non convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (comma 3).

La Costituzione rappresenta, pertanto, il fondamento normativo legittimante della normazione extra ordinem, malgrado l’operatività della legittimazione sia condizionata dall’intermediazione di una fonte primaria.

Il potere di adottare decreti-legge può essere esercitato solamente al ricorrere dei presupposti previsti dalla Costituzione a presidio della legalità, affinché sia possibile derogare alla fondamentale regola della divisione dei poteri, consentendo eccezionalmente all’esecutivo di esercitare il potere legislativo, normalmente spettante al Parlamento.

Tale strumento normativo è stato utilizzato nel corso degli anni per far fronte a situazioni imprevedibili ed eccezionali, quali anche l’attuale emergenza sanitaria causata dalla pandemia da Coronavirus, che per loro natura richiedono interventi immediati, non compatibili con i tempi per l’adozione di una legge ordinaria, atteso l’immanente pregiudizio ai beni primari previsti dalla Costituzione.

Il ricorso al decreto-legge è, inoltre, presidiato da garanzie costituzionali consistenti, nello specifico, nel controllo delle Camere tramite il procedimento di conversione, nella provvisorietà degli effetti per cui l’eventuale compromissione di libertà costituzionali è comunque temporalmente circoscritta nel termine di sessanta giorni e nel sindacato della Corte costituzionale.

Nell’ambito della gestione delle emergenze, rileva anche l’esercizio del potere sostitutivo di cui all’art. 120, comma 2, Cost., che consente al Governo di sostituirsi agli organi della Regione e degli altri enti locali territoriali al ricorrere di alcune circostanze eccezionali («mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali»). In attuazione a tale disposto costituzionale, l’art. 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. legge La Loggia) ha disciplinato le fasi del procedimento di sostituzione sulla base di principi di leale collaborazione e sussidiarietà tra Stato e Regione, prevedendo altresì una soluzione differenziata nei casi di assoluta urgenza.

Quanto alla legislazione ordinaria, la legge sulla protezione civile (legge n. 225 del 1992, poi confluita nel decreto legislativo n. 1 del 2018, recante il Codice della protezione civile) definisce una concatenazione di atti giuridici – deliberazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri, per un lasso temporale determinato (fino a sei mesi); ordinanze del Presidente del Consiglio; ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile – calibrata su fenomeni (come terremoti e disastri naturali) tali da poter sì recare limitazioni di diritti individuali (come il divieto di ingresso e dimora in zone o edifici pericolanti), verosimilmente però non così pervasive ed estese su tutto il territorio nazionale, quali le restrizioni imposte dall’emergenza da Covid-19.

La Costituzione non prevede e non consente un diritto speciale per tempi eccezionali, e ciò per una scelta consapevole, ma contempla i principi posti alla base del nostro ordinamento che costituiscono lo strumento normativo imprescindibile per risolvere situazioni di crisi, a cominciare proprio dalla leale collaborazione fra le istituzioni, che è la proiezione istituzionale della solidarietà tra i cittadini.

La Repubblica, «una e indivisibile» (art. 5 Cost.), non può tollerare che parti del territorio e della popolazione nazionali si pongano in contrapposizione tra loro. È, quindi, in virtù del principio di solidarietà (art. 2 Cost.) e del principio di collaborazione che deve essere garantita l’unità nazionale, anche in situazioni di emergenza che vanno affrontate nel rispetto dei capisaldi della Costituzione italiana.

 

  1. Il contesto normativo di riferimento: il Decreto legge n. 6 del 2020.

La Consulta (sentenza n. 198 del 2021) si è pronunciata sulle questioni sollevate dal Giudice di pace di Frosinone sulla legittimità costituzionale dei Decreti legge n. 6 e n. 19 del 2020, ambedue convertiti in legge, ed afferenti l’adozione, per il tramite dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm), di misure urgenti di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica[6].

Prima di analizzare le questioni poste al vaglio della Corte Costituzionale, occorre ricostruire il contesto normativo, anche internazionale, nell’ambito del quale il Governo ha gestito la pandemia Covid-19, con specifico riguardo al d.l. n. 6 e al d.l. n. 19 del 2020, oggetto delle questioni di legittimità costituzionale.

In risposta all’emergenza sanitaria, è stato adottato il decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020, convertito dalla legge n. 13/2020, con cui sono state individuate alcune misure di contrasto e di emergenza epidemiologica, da adottare con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, consentendo, in alcuni casi, alle autorità competenti l’adozione di ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, anche diverse da quelle previste dal decreto-legge medesimo. In attuazione di tale decreto-legge sono stati adottati una serie di d.P.C.m. nonché di ordinanze e decreti ministeriali, che di volta in volta hanno aggravato e diversamente modulato le misure applicabili in ragione dell’evolversi della situazione epidemiologica[7].

In sintesi, il decreto-legge prevede che nei comuni o nelle aree nei quali risulti positiva al COVID-19 almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque vi sia un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio, le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica. Le misure comprendono il divieto di allontanamento e quello di accesso al comune o all’area interessata; la sospensione di manifestazioni, eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato; la sospensione dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole e dei viaggi di istruzione; la sospensione dell’apertura al pubblico dei musei; la sospensione delle procedure di concorsi pubblici e delle attività degli uffici pubblici, fatta salva l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità; l’applicazione della “quarantena con sorveglianza attiva” a chi ha avuto contatti stretti con persone affette dal virus e la previsione dell’obbligo per chi fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico di comunicarlo al dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente, per l’adozione di una misura definita “permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva”; la sospensione dell’attività lavorativa per alcune tipologie di impresa e la chiusura di alcune tipologie di attività commerciali; la possibilità che l’accesso ai servizi pubblici essenziali e agli esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima necessità sia condizionato all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale; la limitazione all’accesso o la sospensione dei servizi del trasporto di merci e di persone.  È prevista la facoltà di adottare ulteriori misure di contenimento, al fine di prevenire la diffusione del virus.

L’attuazione delle misure di contenimento è disposta con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti i Ministri e il Presidente della Regione competente ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui gli eventi riguardino più regioni. Nei casi di estrema necessità e urgenza, prima dell’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri le stesse misure possono essere adottate dalle autorità regionali o locali ai sensi dell’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.

L’esecuzione delle misure avviene avvalendosi delle forze di polizia e, ove occorra, delle forze armate.  A tal proposito, l’articolo 3, comma 4, richiama l’articolo 650 del codice penale dando così rilevanza penale all’inosservanza delle misure di contenimento previste dalla suddetta normativo; con la clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”.

 

  1. Il decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020 e la tipizzazione delle misure di contenimento.

In ragione del perdurare dell’emergenza dovuta all’evolversi della situazione epidemiologica conseguente alla diffusione pandemica del virus Sars-Cov2, è stato adottato il decreto-legge n. 19 del 25 marzo 2020, convertito dalla L. n. 35/2020, con la finalità di tipizzare, in un atto di rango primario, le misure di contenimento applicabili su tutto il territorio nazionale o su parte di esso, per contenere e contrastare i rischi sanitari dovuti al contagio della malattia.

Il decreto citato ha abrogato il d.l. n. 6 del 2020 (ad eccezione delle disposizioni civilistiche di cui all’art. 3, comma 6-bis, e delle disposizioni finanziarie di cui all’art. 4).

Per la clausola di salvezza di cui all’art. 2, comma 3, del medesimo d.l. n. 19 del 2020, «sono fatti salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze» emanati ai sensi del d.l. n. 6 del 2020 e «continuano ad applicarsi nei termini originariamente previsti le misure già adottate» – tra gli altri – con il d.P.C.m. 22 marzo 2020, «come ancora vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto». L’art. 4, comma 1, del d.l. n. 19 del 2020 ha infine depenalizzato l’inosservanza delle misure di contenimento, assoggettandola a sanzione amministrativa pecuniaria, escluse quindi le sanzioni contravvenzionali di cui all’art. 650 del codice penale.

La ratio del legislatore è stata quella «sottoporre a una più stringente interpretazione del principio di legalità la tipizzazione delle misure potenzialmente applicabili per la gestione dell’emergenza», attraverso «una compilazione che riconduce a livello di fonte primaria il novero di tutte le misure applicabili all’emergenza stessa, nel cui ambito i singoli provvedimenti emergenziali attuativi potranno discernere, momento per momento e luogo per luogo, quelle di cui si ritenga esservi concretamente maggiore bisogno per fronteggiare nel modo più efficace l’emergenza stessa».

A tal fine l’articolo 1 prevede che – allo scopo di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19 – su specifiche parti del territorio nazionale, ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possano essere adottate, con le tipologie di provvedimenti individuate dal decreto-legge in esame, una o più misure tra quelle previste dal legislatore.

Ed in particolare, il comma 2 definisce le misure che possono essere adottate per contrastare l’emergenza sanitaria, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso. L’elenco in esame ha carattere esaustivo (e non esemplificativo), fermo restando che, a seconda delle diverse situazioni, territoriali o temporali, può essere disposta o meno l’applicazione delle misure elencate.

La tipizzazione delle misure di contenimento, afferma la Corte, è stata accompagnata da ulteriori garanzie, sia per quanto attiene alla responsabilità del Governo nei confronti del Parlamento, sia sul versante della certezza dei diritti dei cittadini.

Dal punto di vista della certezza dei diritti infatti il d.l. n. 19 del 2020 ha disposto la temporaneità delle misure restrittive, adottabili solo per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a 30 giorni, reiterabili e modificabili anche più volte, fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, e con possibilità di modularne l’applicazione, in aumento o in diminuzione, secondo l’andamento epidemiologico del virus.

Al fine di tener conto di eventuali indirizzi formulati in sede parlamentare e definire la responsabilità del Governo dei confronti del Parlamento, il d.l. stabilisce, il legislatore ha introdotto la previsione di una illustrazione preventiva alle Camere – da parte del Presidente del Consiglio o di ministro da lui delegato – del contenuto dei provvedimenti da adottare ai sensi del medesimo comma 1.

 

In ogni caso, i provvedimenti sopra citati, per i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità, sono adottati sentito, di norma, il Comitato tecnico-scientifico istituito ai sensi dell’articolo 2 dell’ordinanza n. 630 del 3 febbraio 2020 del Capo del Dipartimento della protezione civile.

 

  1. 5. Brevi cenni alle soluzioni adottate in altri ordinamenti nella prima fase pandemica.

Volgendo lo sguardo ai principali paesi europei, possono essere in questa sede brevemente richiamate le soluzioni normative, più o meno simmetriche, adottate dai rispettivi ordinamenti per fronteggiare la c.d. “fase 1” della pandemia da SARS-CoV-2.

In Francia, con la legge n. 290 del 23 marzo del 2020, non sottoposta a sindacato preventivo dinanzi al Consiglio costituzionale, si è provveduto primariamente a creare il nuovo stato di emergenza sanitaria. L’approvazione di tale legge ha consentito, infatti, di convalidare le decisioni prese dal Governo a partire dal 12 marzo 2020, nonché di dare il fondamento giuridico ai successivi interventi governativi, in modo da consentire una gestione più efficiente della situazione emergenziale. In particolare, si è introdotto, unitamente allo stato di emergenza di diritto comune previsto dalla legge del 3 aprile 1955, un nuovo stato di emergenza sanitaria, che conferisce al Primo ministro il potere di adottare le misure consentite dalla legge, disponendo un obbligo di motivazione e il rispetto del requisito della proporzionalità. Al Ministro della Solidarietà e della Salute e al Prefetto, rispettivamente, sono attribuiti invece i poteri di fissare misure generali e di attuazione a livello locale. La legge prescrive anche la costituzione di un comité scientifique, con il compito di fornire pareri pubblici sulle conoscenze scientifiche e sulle misure necessarie per gestire la crisi sanitaria, tra cui quella in merito all’opportunità del prolungamento dello stato di emergenza. Tale stato, infatti, dichiarato originariamente per due mesi, è stato poi prorogato, con la legge del 9 maggio del 2020 n. 546, fino al 10 luglio 2020, a sua volta sottoposta, prima della sua entrata in vigore, al sindacato del Consiglio che ne ha dichiarata la parziale conformità, con la decisione n. 800 del 2020[8].

In Spagna, la Costituzione distingue tre diversi stati emergenziali: lo stato di allarme, lo stato di eccezione e lo stato di assedio. Lo stato di allarme è stato previsto per fare fronte a situazioni di emergenza “naturale”, tra cui le crisi sanitarie e quelle dovute alla penuria di alimenti di prima necessità (art. 4, paragrafi b e d, della ley organica n. 4/1981, del 1° giugno, sugli stati di allarme, eccezione ed assedio). Il 14 marzo 2020 è stato pubblicato il regio decreto n. 463/2020, che ha dichiarato lo stato di allarme su tutto il territorio nazionale. Ai sensi dell’art. 4 del regio decreto, l’autorità competente per gestire lo stato di allarme è il Governo, individuando poi autorità competenti delegate sotto l’indirizzo del Presidente del Governo: la Ministra della Difesa, il Ministro degli Interni, il Ministro dei Trasporti, della mobilità e dell’agenda urbana, ed il Ministro della Salute. Spetta loro emanare ordini, risoluzioni, disposizioni e istruzioni interpretative volte a garantire la prestazione dei servizi, ordinari o straordinari, necessari per la tutela delle persone, dei beni e dei luoghi[9].

In Germania, diversamente che in Italia, l’atto normativo primario a fondamento giuridico dell’intera risposta alla crisi sanitaria è stata la legge bicamerale pensata specificamente per combattere il fenomeno pandemico: la cd. legge per la prevenzione e il contrasto delle infezioni

(Infektionschutzgesetz) approvata il 20 luglio 2000 e poi modificata in costanza della emergenza il 17 marzo 2020, la quale prevede un generale obbligo di cooperazione di tutte le amministrazioni federali, dei Länder e di quelle locali, individuando al contempo tre organi ai quali sono attribuiti i poteri regolamentari necessari per impedire la diffusione dell’infezione: il Governo federale (nella persona del Ministro federale della Salute), i Governi dei Länder (nelle persone dei Ministri statali della salute) e il Robert Koch Institut (RKI), una autorità federale che costituisce una sorta di Istituto superiore di sanità[10].

 

  1. L’inammissibilità e la non fondatezza delle questioni poste al vaglio della Corte Costituzionale.

Ciò posto quanto al contesto normativo di riferimento ed andando ad analizzare le questioni poste al vaglio della Corte Costituzionale, occorre premettere che, alle questioni riguardanti il D.l. n. 6 del 2020, la Consulta ha dichiarato le stesse inammissibili per difetto di rilevanza, non potendo la normativa in questione essere applicata al tempo in cui è stata posta in essere la condotta sanzionata.

Ed invero, nel caso in esame, la violazione del d.P.C.m. 22 marzo 2020, l’ultimo adottato in base al d.l. n. 6 del 2020, è stata commessa in data il 20 aprile 2020 quando il d.P.C.m, cit. non aveva più efficacia, avendola perduta in data 14 aprile 2020, a norma dell’art. 8, commi 1 e 2, del d.P.C.m. 10 aprile 2020, attuativo del d.l. n. 19 del 2020. La fattispecie oggetto del giudizio a quo non è quindi in alcun modo interessata dalle disposizioni del d.l. n. 6 del 2020, poiché verificatasi in un momento nel quale esse erano già state abrogate dal d.l. n. 19 del 2020 e, in attuazione di quest’ultimo, era già stato emanato un d.P.C.m. sostitutivo. La riprova è fornita dal contenuto stesso del provvedimento opposto, che ha irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria stabilita – nel contesto della depenalizzazione delle violazioni – dall’art. 4, comma 1, del d.l. n. 19 del 2020 («da euro 400 a euro 1.000»). Un’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. l, 2 e 3 del d.l. n. 6 del 2020, afferma la Corte, non avrebbe, quindi, alcuna incidenza sul giudizio a quo, nel quale tali disposizioni sono inapplicabili ratione temporis.

Mentre, le questioni concernenti il D.L. n. 19 del 2020 sono state dichiarate non fondate, in quanto quest’ultimo ha non solamente tipizzato le misure adottabili dal Presidente del Consiglio, bensì, statuendo che la relativa esecuzione debba avvenire in linea coi principi di adeguatezza e proporzionalità, gli ha anche imposto un criterio tipico per esercitare la discrezionalità amministrativa, che di per sé risulta incompatibile con l’attribuzione di potestà legislativa.

La Corte non ha pertanto accolto la tesi del rimettente secondo la quale le norme censurate avrebbero sostanzialmente delegato la funzione legislativa in materia di contenimento della pandemia da COVID-19 all’autorità di Governo per il suo esercizio tramite meri atti amministrativi – i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri – in violazione degli artt. 76, 77 e 78 della Costituzione, atteso che, al di fuori dell’unica ipotesi di emergenza costituzionalmente rilevante, quella dello stato di guerra di cui all’art. 78 Cost., sarebbe stato alterato il principio di tipicità delle fonti di produzione normativa, segnatamente «il principio cardine di cui agli articoli 76 e 77 Cost., per cui la funzione legislativa è affidata al Parlamento, che può delegarla solo con una legge-delega e comunque giammai ad atti amministrativi».

In sostanza, il d.l. n. 19 del 2020, lungi dal dare luogo a un conferimento di potestà legislativa al Presidente del Consiglio dei ministri in violazione degli artt. 76 e 77 Cost., si limita ad autorizzarlo a dare esecuzione alle misure tipiche previste.

A conferma di tale assunto la Corte richiama la distinzione tra «“atti” necessitati» e «“ordinanzenecessitate», aventi entrambi come presupposto l’urgente necessità del provvedere, «ma i primi, emessi in attuazione di norme legislative che ne prefissano il contenuto; le altre, nell’esplicazione di poteri soltanto genericamente prefigurati dalle norme che li attribuiscono e perciò suscettibili di assumere vario contenuto, per adeguarsi duttilmente alle mutevoli situazioni» (cfr. sentenza n. 4 del 1977, con la quale è stata dichiarata non  fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, recante “Approvazione del testo unico della legge comunale e provinciale”, sollevata in riferimento – tra gli altri – agli artt. 76 e 77 Cost.).

Ebbene, afferma la Corte, “la tassatività delle misure urgenti di contenimento acquisita dal d.l. n. 19 del 2020 induce ad accostare le stesse, per certi versi, agli «“atti” necessitati», in quanto «emessi in attuazione di norme legislative che ne prefissano il contenuto», sicché non è dato riscontrare quella delega impropria di funzione legislativa dal Parlamento al Governo che il rimettente ipotizza nel denunciare la violazione degli artt. 76 e 77 Cost”.

Le misure attuative del d.l. n. 19 del 2020 si configurerebbero pertanto come “atti necessitati” a contenuto tipizzato strutturalmente differenti rispetto al modello delle ordinanze contingibili e urgenti previste dal codice della protezione civile, qualificabili come “ordinanze necessitate” a contenuto libero.

Malgrado il punto di intersezione rappresentato dalla dichiarazione dello stato di emergenza, le misure attuative del d.l. n. 19 del 2020 non coincidono, infatti, con le ordinanze di protezione civile, l’emanazione delle quali compete pure al Presidente del Consiglio dei ministri, a norma degli artt. 5 e 25 del d.lgs. n. 1 del 2018. Lo stesso d.P.C.m. 10 aprile 2020, applicabile nel caso di specie, pur richiamando nella premessa la dichiarazione dello stato di emergenza, fin dal titolo definisce le proprie disposizioni «attuative» del d.l. n. 19 del 2020, e non del codice della protezione civile.

A tal proposito la Corte, nel confermare la legittimità costituzionale dell’alternatività dei modelli di gestione dell’emergenza – misure attuative del d.l. n. 19 del 2020 e ordinanze della protezione civile – ha precisato che il “modello tradizionale” affidato alle ordinanze contingibili e urgenti, , «se da un lato appare conforme al disegno costituzionale, dall’altro non ne costituisce l’unica attuazione possibile», essendo «ipotizzabile che il legislatore statale, se posto a confronto con un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari, scelga di introdurre nuove risposte normative e provvedimentali tarate su quest’ultima», come appunto accaduto «a seguito della diffusione del COVID-19, il quale, a causa della rapidità e della imprevedibilità con cui il contagio si spande, ha imposto l’impiego di strumenti capaci di adattarsi alle pieghe di una situazione di crisi in costante divenire» (cfr. sentenza n. 37 del 2021, con la quale la Corte ha riconosciuto che la competenza legislativa per il contenimento della pandemia spetta in esclusiva allo Stato giacché attinente alla «profilassi internazionale» ex art. 117, secondo comma, lettera q), Cost.[11]).

Alla luce di quanto esposto, la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. l, 2 e 4 del d.l. n. 19 del 2020, poiché le disposizioni oggetto di censura non hanno conferito al Presidente del Consiglio dei ministri una funzione legislativa in violazione degli artt. 76 e 77 Cost., né tantomeno poteri straordinari da stato di guerra in violazione dell’art. 78 Cost., ma hanno ad esso attribuito unicamente il compito di dare esecuzione alla norma primaria mediante atti amministrativi sufficientemente tipizzati.

 

  1. A due anni dalla dichiarazione dello stato d’emergenza: riflessioni conclusive.

Tirando le fila di quanto sin qui esposto, la lezione che si può trarre, a distanza di circa due anni dalla dichiarazione dello stato d’emergenza[12], risiede nella constatazione che maggiore è la gravità di un’emergenza, tanto più la Costituzione impone di attivare il sistema dei controlli politici e delle garanzie costituzionali che il nostro ordinamento assicura.

Il Codice della Protezione civile è stato scritto sulla base delle esperienze maturate, sino allora, in numerose emergenze di protezione civile ma senza poter immaginare le problematiche di ordine costituzionale emerse in occasione della pandemia da SARS-CoV-2, implicante – almeno nella prima fase emergenziale – la compressione dei loro diritti costituzionali sull’intero territorio nazionale e per un tempo imprevedibilmente lungo. Al ricorrere di questa evenienza, davvero extra ordinem, la “necessità” diventa essa stessa “fonte del diritto”, capace di provocare la manifestazione di nuove forme del potere del Governo, da fondare e da circoscrivere al contempo, però, nel quadro esistente delle attribuzioni costituzionali di cui all’art. 77 Cost., facendo in ogni caso salve le garanzie – politiche, istituzionali e giuridico-costituzionali – previste dalla Costituzione[13]. L’auspicio, pertanto, è che si possa fare esperienza del biennio ormai trascorso dalla dichiarazione dello stato d’emergenza, onde giungere, pro futuro, ad una pronta risposta normativa idonea, sin da subito, a fugare ogni dubbio di compatibilità con i principi democratici dell’ordinamento.

 

[1] U. Allegretti, Il trattamento dell’epidemia di “coronavirus” come problema costituzionale e amministrativo, in Forum di Quaderni costituzionali, 25 marzo 2020, 2 ss.

[2] Sia consentito il richiamo a M. Pappone, I rischi di una confusione semantica ai tempi dell’emergenza Coronavirus tra Decreti legge, ordinanze, DPCM e Circolari, in Ius In Itinere, 28 marzo 2020; F. Cerquozzi, Stato d’emergenza” e Costituzione, ibidem, 26 marzo 2020.

[3] A. Candido, Poteri normativi del Governo e libertà di circolazione al tempo del COVID-19, in Forum di Quaderni costituzionali, 10 marzo 2020.

[4] Sul punto, cfr. F. Cintioli, Sul regime del lockdown in Italia (note sul decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020), in Federalismi.it, 4.

[5] M. D’Onofrio, Il diritto dell’emergenza. Attualità e prospettive evolutive, in Ius in Itinere, 3 maggio 2021.

[6] V., inter alios, M. Francaviglia, Il sistema dei d.P.C.m. al vaglio della Corte costituzionale. Impressioni a prima lettura di Corte cost., sent. n. 198/2021, in Diritti Comparati, 10 Gennaio 2022; M. Cavino, La natura dei DPCM adottati nella prima fase di emergenza COVID. Lettura di Corte cost. n.198/2021, in federalismi.it, 3 novembre 2021; A. Saitta, Il Codice della Protezione civile e l’emergenza pandemia anche alla luce di C. Cost. n. 198 del 2021, in Consulta online, 2021, fasc. III.

[7] V., inter alios, M. Cavino, Covid-19. Una prima lettura dei provvedimenti adottati dal Governo, in Federalismi.it, 18 marzo 2020, 4; L. Cuocolo, I diritti costituzionali di fronte all’emergenza Covid-19: la reazione italiana, in Federalismi.it, 31 marzo 2020, 12, 30.

[8] L. De Grazia, Il ruolo del Consiglio costituzionale francese nella definizione del nuovo stato di emergenza sanitaria, in Diritti Comparati, 3/2020.

[9] Amplius, v. Corte costituzionale Servizio Studi, Area di diritto comparato. Segnalazioni sull’attualità costituzionale straniera, n. 34, marzo 2020.

[10] Cfr. A. Gatti, L’emergenza COVID-19 in Germania e Austria: un bilancio comparato, in Gruppo di Pisa. Dibattito aperto sul Diritto e la Giustizia Costituzionale, fasc. 2020/2.

[11] Sulla quale, v. V. Baldini, Conflitto di competenze tra Stato e Regione nella lotta alla pandemia. Un sindacato politico della Corte costituzionale? in Dirittifondamentali.it, fasc. 1/2021; B. Caravita, La sentenza della Corte sulla Valle d’Aosta: come un bisturi nel burro delle competenze (legislative) regionali, in Federalismi.it, 2021, n. 11; D Morana, Ma è davvero tutta profilassi internazionale? Brevi note sul contrasto all’emergenza pandemica tra Stato e Regioni, a margine della sent. n. 37/2021, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2021, n. 2; D. Testa, Il diritto alla salute in tempo di emergenza: la gestione del Servizio Sanitario Nazionale tra Stato sociale e sussidiarietà, in Ius in Itinere, 7 aprile 2020.

[12] La dichiarazione dello stato d’emergenza è stata da ultimo prorogata con l’art. 1 del decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221, convertito con modificazioni dalla L. 18 febbraio 2022, n. 11.

[13] A. Saitta, op. cit., p. 848.

 

Fonte immagine: Foto gratuita di assistenza sanitaria, concettuale, coronavirus (pexels.com)

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