venerdì, Aprile 19, 2024
Criminal & Compliance

La Corte di cassazione sullo stalking nei confronti del coniuge

1. Premessa.

Dall’entrata in vigore del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. e dopo le ultime modifiche normative i casi di stalking, anche a causa del crescente interesse manifestato dagli organi di informazione, ha interessato con maggiore frequenza la casistica giurisprudenziale, sociale ed anche psicologica.

I casi di stalking infatti, nonostante le ampie tutele fornite dalla norma, non sembrano essere diminuiti[1]; sintomo questo che occorre, prima che la tutela penale, la capacità di educare i soggetti al rispetto del singolo.

 

2. Sul delitto di stalking.

Introdotto nel nostro ordinamento con il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11e convertito con modificazioni nella L. 23 aprile 2009, n. 38.

Per sua stessa struttura intrinseca il nostro codice penale, fin dagli albori nell’epoca fascista, ha sempre cercato di evitare di intromettersi nelle questioni attinenti alla vita familiare e di relazione. La pretesa punitiva dello Stato quindi si fermava e arretrava di fronte al fulcro familiare, in quanto il legislatore voleva evitare di andare a sanzionare penalmente delle condotte che attenevano strettamente alla vita familiare.

Un chiaro e lampante esempio si rinviene all’art. 649 c.p. il quale prevede che, qualora uno dei reati contenuti nel Libro II, Titolo XIII del codice penale sia commesso in danno del coniuge, l’autore del reato può non essere punito[2].

Tuttavia nella sua evoluzione il diritto penale, su impulso anche del legislatore europeo, ha deciso di superare tale limite, considerando non la famiglia nella sua globalità, bensì il singolo individuo che necessita di adeguata tutela e protezione. Proprio in tale ottica s’inseriscono le numerose riforme volte a tutelare, all’interno del nucleo familiare, il soggetto più debole e bisognoso di una maggiore protezione. Ci si riferisce ai fenomeni di c.d. violenza assistita o indiretta[3]comprensiva di quelle condotte che, pur non traducendosi in forme di violenza fisica direttamente rivolte, in particolare, a un soggetto vulnerabile, cagionino allo stesso sofferenze morali capaci di incidere in maniera negativa sulla sua integrità psico-fisica.

A fronte di fenomeni di questo tipo, la fattispecie chiamata a sorreggere il peso di una risposta penale indubbiamente non scontata è anzitutto quella dei maltrattamenti contro familiari o conviventi (art. 572 c.p.), che, del resto, ha visto progressivamente ampliare la propria sfera di operatività: si pensi alla rilevanza attribuita dalla giurisprudenza ai c.d. maltrattamenti omissivi e al concorso per omissione in condotte commissive maltrattanti o, ancora, alla sostanziale riscrittura legislativa del concetto di famiglia[4].

Come detto, l’evoluzione normativa ha di fatto esteso le maglie della tutela penale anche ai soggetti c.d. deboli.

La L. 15 ottobre 2013, n.119 (di conversione del D.L. 14 agosto 2013, n. 93) ha introdotto all’art. 61, n. 11-quinquies c.p. una circostanza aggravante applicabile quando, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità  individuale, contro la libertà personale nonché in relazione al delitto di cui all’articolo 572 c.p., il fatto fosse commesso in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza. La stessa legge abrogava l’allora secondo comma dell’art. 572 c.p., che prevedeva un aumento di pena per il fatto commesso in danno di persona minore degli anni quattordici.

Ai fini di pervenire a un coerente coordinamento sistematico tra l’art. 61, n. 11-quinquies, c.p. e la fattispecie di maltrattamenti in famiglia, la giurisprudenza era pervenuta a distinguere due ipotesi, con evidenti ripercussioni sul piano processuale. Nel caso in cui le condotte vessatorie commesse nei confronti dell’altro genitore si traducessero in veri e propri maltrattamenti (in forma omissiva) del minore, la Corte di Cassazione, sviluppando un orientamento già emerso nella giurisprudenza di legittimità[5], concludeva per la diretta applicabilità dell’art. 572 c.p.: in questo caso il minore sarebbe stato considerato persona offesa del reato. Al contrario, qualora il minore “fosse stato presente” agli atti di violenza, senza però che nei suoi confronti potesse considerarsi superata la soglia dei maltrattamenti, avrebbe trovato applicazione l’art. 61, n. 11-quinquies c.p. e il minore non avrebbe potuto considerarsi soggetto passivo del reato[6]. Dalla L. 119/13 è inoltre ricavabile la definizione di “violenza domestica”, che comprenderebbe cioè: “tutti gli atti, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima“.

La “violenza di genere” è invece definita dalla direttiva 2012/29/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, come quella «diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale o psicologico, o una perdita economica della vittima.La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l’aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i c.d. reati d’onore»[7].

Come è noto la L. 19 luglio 2019, n. 69, c.d. codice rosso, ha apportato delle consistenti modifiche al codice penale e al codice di procedura penale.

La novella si compone di 21 articoli, che individuano un catalogo di reati attraverso i quali si esercita la violenza domestica e di genere e, in relazione a queste fattispecie, interviene sul codice di procedura penale al fine di velocizzare l’instaurazione del procedimento penale e, conseguentemente, accelerare l’eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime. Il provvedimento, inoltre, incide sulla stessa disciplina sostanziale, prevedendo ora l’inasprimento della cornice edittale di taluni reati, ora la rimodulazione di alcune circostanze aggravanti, ora infine l’introduzione di alcune nuove fattispecie incriminatrici[8].

Si tratta di un elenco che è solo in parte coincidente con quello dei reati che generano la vulnerabilità presunta della vittima, indicati nell’elenco contenuto negli artt. 351, c. 1-ter e 392, c. 1-bis, c.p.p. (richiamato dall’art. 362, c. 1-bis, c.p.p.), cui è riservato uno statuto speciale di raccolta della testimonianza: il reato di diffusione di immagini sessuali, il reato di deformazione permanente del volto, e le lesioni aggravate non sono compresi nell’elenco dei reati cui è associata la vulnerabilità della vittima, sicché in relazione a tali fattispecie l’attivazione delle garanzie che il codice riserva ai dichiaranti in condizione di particolare vulnerabilità deve essere valutata caso per caso sulla base dei parametri previsti dall’art. 90-quater c.p.p..

L’obiettivo del testo di legge è quello di creare una corsia celere – di fatto preferenziale – riservata ai reati che segnalano non solo gravi crisi relazionali, ma che rivelano altresì un elevato pericolo di reiterazione delle devianze e un grave rischio per la persona: trattasi di situazioni in cui, in altri termini, eventuali ritardi nello svolgimento delle indagini rischierebbero di pregiudicare la tutela dell’integrità fisica o della vita dell’offeso.

La violenza domestica o di genere viene ricondotta dal disegno di legge alle seguenti fattispecie: maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.); violenza sessuale, aggravata e di gruppo (artt. 609-bis, 609-ter e 609- octies c.p.); atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.); atti persecutori (art. 612-bis c.p.); diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter c.p.); lesioni personali aggravate e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 582 e 583-quinquies, aggravate ai sensi dell’art. 576, c. 1, n. 2, 5 e 5.1, c.p. e ai sensi dell’art. 577, c. 1, n. 1 e c. 2., c.p.-

Viene poi previsto che la Polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, riferisca immediatamente al Pubblico Ministero, anche in forma orale; alla comunicazione orale seguirà senza ritardo quella scritta (art. 1). Viene inoltre stabilito che la P.G. debba procede senza ritardo al compimento degli atti di indagine delegati dal Pubblico Ministero e che debba porre, sempre senza ritardo, a disposizione dello stesso la documentazione delle attività svolte (art. 3).

Con particolare riferimento al delitto di stalking di cui all’art. 612-bis c.p., soggetto attivo può essere chiunque, anche non avente legami di alcun tipo con la vittima, trattandosi unreato comune: è tuttavia, prevista un’aggravante nel caso in cui l’autore del reato sia legato alla comunità familiare della persona offesa[9].

Con riferimento al soggetto passivo, la norma tende a tutelare un ampio spettro di situazioni, comprendendo anche ipotesi in cui oggetto delle molestie dello stalker siano i prossimi congiunti della vittima, oppure persone legate alla stessa da una relazione affettiva.

Si tratta di un reato abituale che richiede, ai fini della sua integrazione, la reiterazione delle condotte persecutorie idonee, alternativamente, a cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura oppure ad ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero a costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La reiterazione delle condotte, insieme al grave e perdurante stato di ansia prodotto, è ciò che permette di differenziare questo delitto dalle minacce e dalle molestie. La giurisprudenza di legittimità ha altresì qualificato lo stalking come un reato abituale di evento, a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza per la produzione di un evento di danno, consistente proprio nell’alterazione delle abitudini di vita, nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona vicina[10].

Quanto al perdurante e grave stato di ansia e di paura, è stato sottolineato in giurisprudenza come non sia richiesto l’accertamento di uno stato patologico, ma è sufficiente che le molestie dello stalker siano idonee a provocare un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio dell’individuo.

Elemento soggettivo del reato è il dolo generico, essendo sufficiente la volontà di porre in essere i comportamenti descritti nella norma e la consapevolezza dell’idoneità degli stessi a cagionare uno degli eventi enunciati nella medesima, mentre non è necessaria la prefigurazione del   risultato finale.

Lo stalking di regola è punibile a querela della persona offesa dal reato, proponibile nel termine di sei mesi dalla consumazione del reato, coincidente con l’evento di danno. Unicamente nelle ipotesi in cui il fatto sia commesso a danno di un minore o di una persona con disabilità (oppure sia connesso con altro delitto per il quale è prevista la procedibilità d’ufficio) si può procedere di ufficio.

Esiste, tuttavia, un’alternativa alla querela, ed è la procedura di ammonimento, con la quale si invita lo stalker a desistere dalla sua attività persecutoria e molesta. La persona offesa che non abbia già presentato querela può, infatti, esporre i fatti al Questore, il quale, ove ritenga fondata l’istanza, emette il provvedimento che ha natura amministrativa.

Infine in tema di remissione della querela questa può essere soltanto processuale e non è consentita, e la querela è perciò irrevocabile, quando il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, c.2, c.p., cioè nei casi di minaccia aggravata dalle modalità di cui all’art. 339 c.p.-

Parallelamente all’introduzione dell’art. 612-bis c.p. il legislatore ha provveduto a modificare anche l’art. 576 c.p., introducendo il comma 1, n. 5.1. che prevede: “si applica la pena dell’ergastolo se il fatto preveduto dall’articolo precedente è commesso dall’autore del delitto previsto dall’art. 612-bis c.p. nei confronti della stessa persona offesa”.

 

3. Ultimi arresti di legittimità.

La Corte di cassazione è ritornata, con una recente decisione[11], sul reato di stalking commesso in danni del coniuge.

La pronuncia origina dal ricorso per cassazione presentato dal difensore dell’imputato contro la sentenza della Corte d’appello, la quale aveva confermato quella resa dal Tribunale e che aveva condannato l’imputato per il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. commesso in danno della moglie.

Il primo motivo di gravame concerneva la violazione del diritto di difesa, con la secondo la violazione dell’art. 192 c.p.p. e con il terzo vizio di motivazione.

Preliminarmente nel ritenere il ricorso inammissibile, la Corte si sofferma anche sulla valenza probatoria delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.

Difatti, secondo un consolidato orientamento di legittimità, le regole dettate dall’art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che, peraltro, deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.

Per quanto attiene gli elementi costitutivi del reato di stalking dalle risultanze probatorie è emerso che la persona offesa avesse un concreto timore per l’incolumità propria e dei genitori, oggetto delle minacce dell’imputato.

La Suprema Corte ha ribadito quindi che: “Ne viene che, poiché per giurisprudenza pacifica di questa Corte il delitto di atti persecutori è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo (Sez. 5, n. 29872 del 19/05/2011, Rv. 250399), una volta non contestata la riconosciuta sussistenza del fondato timore della vittima per l’incolumità propria e dei familiari e l’alterazione delle proprie abitudini di vita, le deduzioni circa l’assenza di nesso di derivazione causale tra la riacutizzazione dei disturbi d’ansia che già affliggevano la persona offesa e le reiterate condotte di minaccia e di molestia del L. sono prive di decisività”.

La Corte di cassazione ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende.

 

[1] https://eurispes.eu/news/risultati-del-rapporto-italia-2021/

[2] I commi 1 e 2 del medesimo articolo prevedono tuttavia dei casi in cui tale disposizione non opera e l’autore è perseguibile.

[3] D. FALCINELLI, La “violenza assistita” nel linguaggio del diritto penale. Il delitto di maltrattamenti in famiglia aggravato dall’art. 61 n. 11 quinquies c.p., in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1, 2017, pp. 173 ss.

[4] A. MASSARO, G. BAFFA, A. LAURITO, Violenza assistita e maltrattamenti in famiglia le modifiche introdotte dal c.d. codice rosso, in Giur. Pen., n. 3, 2020, p.5.

[5] Cass. Pen., sez. VI, 10.12.14, n. 4332; Cass. Pen., sez. VI, 23.02.18, n. 18833; Cass. Pen., sez. V, 29.03.18, n. 32368.

[6] Intervenendo su questo assetto normativo, la legge n. 69 del 2019 (c.d. codice rosso) ha modificato tanto la formulazione dell’aggravante prevista all’art. 61, n. 11- quinquies c.p. quanto quella dell’art. 572 c.p.. Più nel dettaglio, dall’art. 61, n. 11- quinquies c.p. è stato “espunto” il riferimento all’art. 572 c.p., facendo transitare l’aggravante direttamente nel testo dello stesso articolo.

<

p style=”text-align: justify;”>[7] D. RUSSO, Emergenza “Codice Rosso”. A proposito della della l. legge 19 luglio 2019, n. 69 in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, in Sist. Pen., n.1, 2020, pp. 1-4.

[8] F. MARTIN, Il rapporto tra il delitto di stalking e l’omicidio commesso in danno della vittima, in Giur. Pen., 02.11.2021.

[9] F. MARTIN, Isolamento da covid-19 e codice rosso: prospettive e problematiche applicative durante la quarantena, in Cammino Diritto, n. 5, 2020, p. 10.

[10] L. DE ROSA, Stalking: l’inizio di un incubo, in Ius in Itinere, 26.01.17.

[11] Cass. Pen., Sez. V, 10.05.2022, n. 18455.

Francesco Martin

Dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia. Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (Dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studi in materia giuridica. Dal 30 ottobre 2017 ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia. Da gennaio a luglio 2020 ha ricoperto il ruolo di assistente volontario presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia (coordinatore Dott. F. Fiorentin) dove approfondisce le tematiche legate all'esecuzione della pena e alla vita dei detenuti e internati all'interno degli istituti penitenziari. Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia e dal 9 novembre 2020 è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia. Da gennaio a settembre 2021 ha svolto la professione di avvocato presso lo Studio BM&A - sede di Treviso e da settembre 2021 è associate dell'area penale presso MDA Studio Legale e Tributario - sede di Venezia. Da gennaio 2022 è Cultore di materia di diritto penale 1 e 2 presso l'Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. Enrico Amati). Nel luglio 2022 è risultato vincitore della borsa di ricerca senior (IUS/16 Diritto processuale penale), presso l'Università degli Studi di Udine, nell'ambito del progetto UNI4JUSTICE. Nel dicembre 2023 ha frequentato il corso "Sostenibilità e modelli 231. Il ruolo dell'organismo di vigilanza" - SDA Bocconi. È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”, e socio A.I.G.A. - sede di Venezia.

Lascia un commento