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La Corte europea condanna le operazioni chirurgiche di riassegnazione del sesso come requisito per il riconoscimento di genere: il caso X e Y c. Romania

Nel caso X e Y c. Romania del 19 gennaio 2021[1], la Corte europea dei diritti umani (“Corte” o “Corte EDU”) si è scagliata contro l’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso come requisito obbligatorio per il riconoscimento del genere ed ha dichiarato che la necessarietà di tale intervento ai fini del riconoscimento del  viola i diritti delle persone trans[2].

Si rammenta che il riconoscimento legale del genere (“RLG”) è quel processo attraverso il quale le persone trans possono chiedere di cambiare il loro nome ed il loro indicatore di genere nei registri amministrativi, nei registri ufficiali e nei loro documenti, come quello d’identità, i certificati di nascita o i certificati di stato civile.

Attualmente, in Europa non si è sviluppata una legislazione omogenea per ciò che concerne tale processo: le leggi nazionali degli Stati europei variano in larga misura ed i requisiti per accedervi possono comprendere da mere prassi burocratiche a pratiche mediche invasive, come la sterilizzazione[3].

Vi sono inoltre Stati nei quali la procedura per ottenere il RLG non è stabilita esplicitamente dalla legge ed i casi vengono analizzati e valutati singolarmente dai giudici nazionali. Ad oggi, questo avviene in Bulgaria, Cipro, Italia, Lituania, Lettonia, Polonia e Romania[4].

Tuttavia, se in Italia ed in Polonia la giurisprudenza ha chiarito quali siano la procedura ed i requisiti per il RLG, negli altri Stati in elenco si è concessa un’ampia discrezione al singolo giudice e ciò ha portato ad uno stato di incertezza legale.

Per quanto riguarda i requisiti medici per accedere al RLG, essi comprendono le operazioni chirurgiche per il cambio di sesso, la sterilizzazione, test medici, trattamenti ormonali e la diagnosi di disforia di genere[5]. Da uno studio del 2020 condotto dalla Commissione Europea[6] è emerso che in Romania, per ottenere il RLG, sia necessaria la diagnosi di disforia di genere[7] e che, nonostante il regime incerto, è possibile che vengano inoltre richiesti dal giudice l’operazione chirurgica di riassegnazione del sesso, la sterilizzazione e/o i trattamenti ormonali.

I fatti del caso

In X e Y c. Romania, i ricorrenti sono due uomini trans romeni ai quali il cambio legale di genere sui documenti ufficiali è stato negato dalle autorità e dai giudici, poiché ritenuta anteriormente necessaria l’operazione chirurgica di riassegnazione del sesso[8].

Ad X, il primo ricorrente, è stato assegnato il sesso femminile alla nascita, ma, sin dall’adolescenza, egli ha – a sua detta – cominciato a comportarsi e a vestirsi come un ragazzo. Poiché l’identità di X non corrispondeva con il sesso assegnato alla nascita, il ricorrente si è rivolto prima ad uno psicoterapeuta e, in seguito, ad uno psichiatra. Quest’ultimo, durante una visita nel 2012, gli ha diagnosticato un disturbo dell’identità di genere, definita anche “sindrome del transessualismo”.

Secondo lo psichiatra, successivamente alla diagnosi, il ricorrente sarebbe stato tenuto a seguire un trattamento diviso in più fasi che cominciava con un periodo iniziale di real-life experience[9] (“RLE”), il cui scopo era quello di studiare la capacità di vivere nel ruolo di genere desiderato e comprendeva, successivamente, il trattamento ormonale e, in ultimo, l’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso.

X ha cominciato il trattamento ormonale nel 2012 e nell’anno successivo si è rivolto ad una clinica di Belgrado per sottoporsi all’intervento chirurgico. La clinica, prima di procedere con l’intervento, ha chiesto al ricorrente di fornire dei certificati medici che raccomandassero tale operazione, uno scritto dallo psichiatra e l’altro dall’endocrinologo. Tuttavia, il ricorrente ha potuto ottenere il certificato medico solo dallo psichiatra poiché l’endocrinologo che lo aveva in cura si è rifiutato di emetterlo in assenza di una decisione giudiziaria che autorizzasse tale intervento.

In seguito a questi avvenimenti, è iniziata l’azione legale intentata da X. Dapprima egli ha citato in giudizio il consiglio comunale di Bucarest dinnanzi al tribunale di primo grado, chiedendo di autorizzare, inter alia, la riassegnazione di sesso da femminile a maschile, il cambio del nome di battesimo, le modifiche al registro dello stato civile e l’emissione di nuovo certificato di nascita contenente il nuovo nome ed il sesso maschile.

Il primo ricorrente lamentava che, poiché i suoi documenti d’identità contenevano informazioni non corrispondenti alla sua identità di genere, fosse obbligato costantemente a rivelare la sua identità transgender, in contrasto con il suo diritto alla vita privata.

In tale occasione, il tribunale di primo grado ha dichiarato l’inammissibilità della prima domanda presentata da X e la prematurità delle altre richieste rispetto all’operazione chirurgica di rassegnazione di sesso. Il primo ricorrente specificava, dunque, che la sua intenzione non fosse di ottenere il permesso per la riassegnazione del sesso, bensì di poter cambiare il nome e l’indicatore di genere sui suoi documenti ufficiali. A ciò aggiungeva che nessun medico romeno avrebbe consentito l’operazione senza l’autorizzazione di un giudice e che la prematurità delle modifiche sui documenti rispetto alla riassegnazione costituisse un’interferenza non giustificata nella sua vita sessuale e nella sua integrità fisica. Tuttavia, nel 2014, il Tribunale del primo distretto di Bucarest ha respinto il ricorso e così anche, nel 2015, la Corte di Bucarest, avallando le conclusioni del Tribunale di prima istanza.

Nel 2014, non potendo rettificare i suoi documenti in relazione alla sua identità di genere, X si è trasferito nel Regno Unito, ove ha ottenuto che il suo nome di battesimo fosse cambiato e, di conseguenza, fossero prodotti documenti ufficiali riportanti il suo nuovo nome, come la patente ed il contratto del conto bancario.

Tuttavia, il primo ricorrente ha lamentato di dover ancora subire disagi e discriminazioni derivanti dall’incongruenza tra suoi documenti nel Regno Unito e quelli in Romania. Ad esempio, nel 2016, il X non si è potuto iscrivere all’esame finale per diventare avvocato poiché i documenti utilizzati per l’iscrizione preliminare riportavano il suo nome maschile mentre quelli che attestavano gli studi in Romania presentavano il nome femminile.

Il caso del secondo ricorrente, Y, è molto simile a quello del primo. Invero, Y era stato civilmente registrato alla nascita come femmina, ma ha cominciato, sin da bambino, a comportarsi in maniera “maschile”. Poiché la sua identità di genere – maschile – non corrispondeva con il sesso assegnato alla nascita – femminile – X ha intrapreso una fase di transizione, presentandosi socialmente come un uomo.

Nel 2009, ad Y è stata diagnosticata la c.d. sindrome di transessualismo, legata ad una “sindrome di Turner”[10] e nel 2011, ha iniziato un trattamento ormonale seguito da un endocrinologo. Successivamente, una visita psicologica ha confermato che Y era pronto a sottoporsi un’operazione di riassegnazione del sesso.

Nel 2011, il secondo ricorrente si è appellato al Tribunale del terzo distretto di Bucarest, chiedendo a quest’ultimo di autorizzare l’operazione di riassegnazione del sesso ed il cambio di nome e di genere sui documenti ufficiali, compreso il certificato di nascita.

Tuttavia, nel 2013, il Tribunale di primo grado ha accolto la richiesta in merito all’operazione di riassegnazione, ma ha rifiutato la domanda di RLG e, similarmente al caso di X, ha dichiarato che quest’ultima fosse prematura rispetto alla transizione fisica.

Nel 2014, Y ha presentato un ricorso simile a quello del 2011, ma ancora una volta il Tribunale ha respinto l’azione perché nessuna operazione di riassegnazione del sesso era stata effettuata. Lo stesso giudizio veniva espresso dal Tribunale d’appello.

Solo nel 2017, Y ha ottenuto la rettifica del genere sui documenti ufficiali e, nel 2018, l’emissione di un nuovo certificato di nascita. Tuttavia, le sue richieste sono state accolte solo dopo l’intervento chirurgico che ha rimosso gli organi riproduttivi interni femminili e l’operazione di costruzione dei genitali esterni maschili.

Il ricorso alla Corte EDU

Nel 2015, X e Y hanno presentato ricorso dinnanzi alla Corte EDU. Secondo i ricorrenti, lo Stato rumeno avrebbe violato l’articolo 3[11] e l’articolo 8[12] della Convenzione perché la legislatura romena non stabilisce chiaramente quale debba essere la procedura di RLG da seguire. L’operazione di riassegnazione del sesso come requisito necessario per il RLG si configurerebbe come un’interferenza statale nella vita privata delle persone trans senza basi legali, che non persegue uno scopo legittimo e che non è necessaria in una società democratica[13].

Inoltre, X ha sostenuto che doversi necessariamente sottoporre al trattamento chirurgico per ottenere il RLG costituirebbe discriminazione basata sull’identità di genere tra coloro che vivono l’incongruenza di genere e le persone, invece, cisgender[14]. Di conseguenza, tale requisito costituirebbe altresì una violazione dell’articolo 14[15] della Convenzione EDU.

Infine, secondo X, la necessarietà dell’operazione chirurgica sarebbe in contrasto con il diritto al matrimonio contenuto nell’articolo 12 della Convenzione, considerando che tali interventi provocano sterilità.

Il ragionamento della Corte

Nel suo ragionamento, la Corte ha cominciato col ricordare che, nonostante l’articolo 8 della Convenzione riguardi principalmente l’obbligo negativo di non ingerenza statale nella vita privata dei cittadini, esso stabilisce altresì l’obbligo positivo da parte dello Stato di rispettare in maniera effettiva la vita privata e familiare dei cittadini[16]. I principi generali che connotano la dottrina del margine di apprezzamento e che si devono tenere in considerazione in casi di obblighi positivi sono gli stessi da valutare in caso di obblighi negativi, ossia va raggiunto un equilibrio adeguato tra l’interesse generale e l’interesse dei singoli.

Anche facendo riferimento a casi simili nella sua giurisprudenza[17], secondo la Corte, la principale questione da affrontare nel caso era di capire se il quadro giuridico romeno e le decisioni delle corti nazionali rispetto ai ricorrenti fossero in linea con l’obbligo positivo dello Stato contenuto nell’articolo 8.

Dopodiché, avendo deciso di affrontare l’articolo 8 da un punto di vista di obbligo positivo, la Corte ha diramato il suo ragionamento in due direzioni principali.

Da una parte, la Corte EDU ha riconosciuto che in Romania esistono delle basi legali per quanto riguarda il RLG. Invero, in Romania è possibile modificare l’indicatore di genere sui documenti ufficiali grazie a una sentenza della Corte Costituzionale romena emessa nel 2008, che ha stabilito una procedura di RLG giudiziale[18]. Tuttavia, prendendo in esame venti pronunce dei tribunali romeni in materia di RLG, la Corte ha evidenziato che in Romania non esiste una pratica interna coerente per ciò che concerne il RLG. Chiamando in causa la “difformità di giurisprudenza” delle corti nazionali ed “esitazioni di tipo procedurale”, la Corte ha dichiarato che il quadro legale romeno in materia di RLG “non è chiaro e, di conseguenza, prevedibile”.  A tale proposito, nella sentenza sono citate le raccomandazioni di alcuni organi internazionali che hanno invitato gli Stati a adottare delle procedure per il RLG che siano il più possibile rapide, trasparenti e accessibili[19].

D’altra parte, la Corte ha riconosciuto che le operazioni di riassegnazione del sesso hanno un notevole impatto sull’integrità fisica e che le corti nazionali romene non hanno né giustificato la necessarietà di tali operazioni, né hanno condotto una mise en balance tra gli interessi generali e quelli dei singoli cittadini che chiedono il RLG. A detta della Corte, questa situazione porrebbe le persone trans romene di fronte a un dilemma impossibile, un aut-aut esistenziale in cui le persone trans possono scegliere di sottoporsi ad un intervento chirurgico invasivo e rinunciare al loro diritto all’integrità fisica o, in alternativa, rinunciare a vedersi legalmente riconoscere la loro identità sessuale, il che ammonta, parimenti, ad una violazione del diritto alla vita privata. Inoltre, la Corte ha tenuto in considerazione che sempre meno Stati chiedono come requisito obbligatorio per il RLG l’operazione di riassegnazione del sesso: nel 2020 ventisei Stati membri del Consiglio d’Europa non esigevano più la chirurgia come requisito per il RLG. Per tali motivi, il requisito in oggetto costituisce un’interferenza statale non giustificata con il diritto alla vita privata come stabilito dall’articolo 8 della Convezione.

Una sentenza discutibile: i suoi pros and cons

La sentenza della Corte EDU nel caso X e Y contro Romania si presenta come un enorme passo per i diritti delle persone trans, specialmente per ciò che riguarda il loro diritto di autodeterminazione.

Essa vincola la Romania e gli Stati che hanno un assetto legislativo simile – Bulgaria, Cipro, Lituania e la Lettonia – a adottare delle procedure più chiare e prevedibili in materia di RLG e che, soprattutto, non stabiliscano come necessaria l’operazione chirurgica di riassegnazione del sesso.

Senza dubbio, tale abolizione garantisce una maggiore protezione del diritto all’integrità fisica delle persone trans e rende accessibile il RLG ad una platea più vasta, ossia anche a chi non vuole, o per esigenze di varia natura non può, sottoporsi ad un intervento chirurgico. Un’altra importante conseguenza è che il tempo necessario per ottenere il RLG viene ridotto notevolmente: la chirurgia è solitamente l’ultima fase di un prolisso iter medico che può protrarsi anche per anni e le liste d’attesa per gli interventi sono, di norma, molto lunghe[20].

Inoltre, nel ragionamento della Corte, un importante peso viene dato alle raccomandazioni del Parlamento Europeo, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell’Uomo e dell’Esperto Indipendente sulla protezione contro la violenza e la discriminazione basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Questo non può che costituire motivo di buon auspicio per quelle recenti raccomandazioni da parte degli organi istituzionali che, seppure non essendo a carattere vincolante, sperano di veder riconosciute le loro istanze dagli Stati.

La Corte ha inoltre ammesso le istanze di alcune organizzazioni LGBTQ+, come quelle di Transgender Europe[21], ILGA- Europe[22] e Accept[23], riconoscendo, di conseguenza, l’importanza delle considerazioni che giungono dalla società civile.

Tuttavia, la sentenza in oggetto non è esente da criticità.

Innanzi tutto, la Corte ha dimostrato di non aver ancora abbracciato il principio di autodeterminazione, grazie al quale le persone trans potrebbero ottenere il RLG con una dichiarazione statutaria o notarile, senza requisiti aggiuntivi di alcun genere[24]. Nonostante, per ora, solo cinque Stati del Consiglio d’Europa abbiano adottato tale principio, l’adozione del diritto all’autodeterminazione del proprio genere è in realtà demandato da diversi organi istituzionali europei, come fanno notare Transgender Europe e ILGA-Europe[25]; sia il Comitato dei Ministri[26], sia l’Assemblea Parlamentare[27] hanno chiesto che le procedure di RLG siano basate sul suddetto principio.

Se è vero che la sentenza ha rimosso le operazioni chirurgiche dalla lista di possibili requisiti per il RLG, è chiaro altresì che ha lasciato intatti altri abusive requirements[28], come le terapie ormonali. Non solo. La Corte ha fortemente basato il suo ragionamento sul fatto che entrambi i ricorrenti avessero precedentemente ricevuto una diagnosi di disforia di genere – o transessualismo – e avessero vissuto “come uomini” fin dalla tenera età.

La Corte, quindi, non solo ha fallito nel depatologizzare la disforia di genere, ma ha attribuito alla sua diagnosi un notevole peso. Inter alia, la Corte non ha minimamente messo in discussione la pratica del real-life experience, già condannata da diverse associazioni, tra cui anche Amnesty International[29].

Inoltre, come già si evidenziava, i requisiti per accedere al RLG non appartengono al solo ambito medico, ma possono riguardare anche altri aspetti della vita privata. Ad esempio, in tredici Stati del Consiglio d’Europa e dell’Associazione Europea di Libero Scambio, il divorzio figura ancora come condizione necessaria per accedere al RLG[30]. Anche in questi casi le persone trans si trovano dinnanzi ad un “dilemma impossibile”, essendo costretti a scegliere tra il loro diritto all’identità di genere ed il loro diritto alla vita privata e familiare. Tuttavia, la Corte non ha menzionato tali requisiti ed ha, implicitamente, legittimato la loro presenza.

Un altro aspetto critico è il fatto il ragionamento della Corte si poggi in maniera esclusiva sull’esperienza abbastanza “classica” di transizione vissuta dai due ricorrenti, che si inserisce in un contesto meramente dicotomico del genere. Alla luce di questo approccio, le c.d. identità non binarie rimarrebbero ancora invisibili agli occhi della Corte.

Infine, nonostante al secondo ricorrente sia stata diagnosticata la sindrome di Turner, la quale viene compresa nel più grande spettro dell’intersessualità, nella sentenza tale aspetto non è stato considerato. Il caso del ricorrente viene comunque esaminato alla luce di un’esperienza trans e gli aspetti che riguardano l’intersessualità vengono completamente – o quasi – oscurati.

Conclusioni

X e Y contro Romania è una sentenza senz’altro positiva per la protezione ed il riconoscimento dei diritti umani delle persone trans, soprattutto per ciò che concerne la loro integrità fisica. Essa aggiunge un ulteriore e fondamentale tassello verso un’Europa più inclusiva ed egalitaria.

Indubbiamente, è importante riconoscerne la validità ed i progressi che essa apporta al diritto europeo. Nella sentenza del 2019 X contro FYROM[31], la Corte aveva riconosciuto l’obbligo da parte degli Stati membri di adottare una legislazione trasparente in materia di RLG, ma aveva rifiutato di esaminare il reclamo del ricorrente, il quale affermava che l’intervento chirurgico obbligatorio di riassegnazione del sesso come requisito per il riconoscimento del sesso violava l’articolo 8 della Convenzione. A distanza di due anni, la Corte è finalmente tornata sulla questione e ha affermato in maniera decisa il diritto all’integrità fisica delle persone trans.

Riconoscere gli aspetti positivi apportati dalla sentenza in oggetto è fondamentale, ma è altresì necessario “leggere tra le righe” e riconoscere quali siano gli aspetti critici. Il fatto che la Corte, nel tempo, sembri rimuovere alcuni requisiti per il RLG uno ad uno porta inevitabilmente a chiedersi se questo approccio sia adeguato o se sia più appropriato, invece, analizzare nel complesso la legislazione che gli Stati hanno adottato – o no – in materia di RLG.

A livello giuridico e politico, il tema del RLG è connotato da un’importante complessità e sarà senz’altro interessante seguire gli sviluppi della Corte a riguardo.

[1] Corte Europea Diritti dell’Uomo, ricorsi n. 2145/16 et 20607/16, 19 gennaio 2021, disponibile qui: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-207364

[2] Le persone trans sono coloro che vivono un’incongruenza tra l’identità di genere, cioè l’esperienza interna e individuale del genere, ed il sesso assegnato alla nascita, riconoscendosi nel sesso opposto o in una identità non binaria. Per maggiori informazioni: https://www.iusinitinere.it/identita-di-genere-e-diritto-europeo-di-non-discriminazione-quanto-sono-protette-le-persone-trans-35823

[3] Directorate-General for Justice and Consumers (Commissione europea) , ICF, “Legal gender recognition in the EU. The journeys of trans people towards full equality”, 11 agosto 2020, disponibile qui: https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/7341d588-ddd8-11ea-adf7-01aa75ed71a1  

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] La disforia di genere è il malessere provocato dall’incongruenza tra sesso assegnato alla nascita e genere percepito. Nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V), vi è un’apposita sezione che definisce la disforia di genere e ne identifica i criteri diagnostici. Per maggiori informazioni, K.J. Zucker, “The DSM-5 Diagnostic Criteria for Gender Dysphoria” in C. Trombetta, G. Liguori, M. Bertolotto (edizioni) Management of Gender Dysphoria. Springer, Milano, pp. 33-37, 2015, disponibile qui: https://doi.org/10.1007/978-88-470-5696-1_4

[8] Corte Europea Diritti dell’Uomo, ricorsi n. 2145/16 e 20607/16, 19 gennaio 2021, par. 1.

[9] Per “real life experience” si intende un periodo durante il quale le persone trans vivono secondo il loro genere sentito, ma senza riconoscimenti ufficiali del suddetto genere, per maggiori informazioni si consulti (van den) M. Brink, P. Dunne, “Trans and intersex equality rights in Europe – a comparative analysis”, novembre 2018, disponibile qui: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/trans_and_intersex_equality_rights.pdf

[10] La sindrome di Turner è un’anomalia cromosomica a causa della quale le donne colpite hanno un solo cromosoma X. Tale sindrome appartiene al più ampio concetto di intersessualità, termine ombrello che indica lo sviluppo atipico del sesso a livello di genitali, di gonadi e/o di cromosomi. Per maggiori informazioni sulla sindrome di Turner si consulti H. I. A., “Disorders of sex development: a new definition and classification”, in Best Practice & Research Clinical Endocrinology & Metabolism, Vol. 22, No. 1, pp. 119–134, 2008, disponibile qui: https://doi.org/10.1016/j.beem.2007.11.001

[11] L’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani, che sancisce la proibizione della tortura, stabilisce che “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”, ed è disponibile qui: https://www.coe.int/it/web/conventions/full-list/-/conventions/rms/0900001680063777

[12] L’articolo 8 della Convenzione europea per i diritti umani sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare ed il primo comma recita: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.

[13] L’articolo 8 della Convenzione EDU, infatti, ammette l’interferenza statale nella vita privata dei cittadini europei solo nel caso tale interferenza “[…] sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

[14] Le persone “cisgender” sono coloro la cui identità di genere corrisponde con il sesso assegnato alla nascita.

[15] L’articolo 14 della Convenzione EDU stabilisce il divieto di discriminazione come segue: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”.

[16] La Corte ha riconosciuto la duplice natura dell’obbligo contenuto nell’articolo 8 CEDU in diverse sentenze, tra cui Söderman contro Suède, ricorso n. 5786/08, 12 novembre 2013, disponibile qui: http://hudoc.echr.coe.int/fre?i=001-138444 e Airey contro Irlanda, ricorso n. 6289/73, 9 ottobre 1979, disponibile qui: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-57420

[17] In questo passaggio la Corte ha menzionato i casi Hämäläinen contro Finlandia, ricorso n. 37359/09, 16 luglio 2014, disponibile qui: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-145768, A.P., Garçon e Nicot contro Francia, ricorsi n. 79885/12, 52471/13 e 52596/13, 6 aprile 2017, disponibile qui: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-172913, S.V. contro Italia, ricorso n. 55216/08, 11 ottobre 2018, disponibile qui: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-187111 e X contro Ex Repubblica Jugoslavia di Macedonia, ricorso n. 29683/16, 17 gennaio 2019, disponibile qui: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-189096

[18] La c.d. “procedura giudiziale” avviene quando per il RLG è necessaria la pronuncia di un giudice.

[19] Le raccomandazioni citate sono: Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell’Uomo, “Discriminatory laws and practices and acts of violence against individuals based on their sexual orientation and gender identity”, A/HRC/19/41, 17 novembre 2011, disponibile qui: , Esperto Indipendente sulla protezione contro la violenza e la discriminazione basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, “Report of the Independent Expert on protection against violence and discrimination based on sexual orientation and gender identity”, A/HRC/35/36, 19 aprile 2019, disponibile qui: http://undocs.org/A/HRC/35/36 e Parlamento europeo, Risoluzione del Parlamento europeo del 16 gennaio 2019 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea nel 2017, disponibile qui: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2019-0032_IT.html

 [20] S. Schoentjes e P. Cannoot, “X and Y v. Romania: the ‘impossible dilemma’ reasoning applied to gender affirming surgery as a requirement for gender recognition”, Strasbourg Observers, 2021, disponibile qui: https://biblio.ugent.be/publication/8695927

[21] Transgender Europe è un’organizzazione non governativa con sede a Vienna fondata per promuovere e proteggere i diritti delle persone trans. Per maggiori informazioni: https://tgeu.org/

[22] ILGA-Europe è un’organizzazione che comprende diverse associazioni LGBTI dell’Europa e dell’Asia centra. Per maggiori informazioni: https://www.ilga-europe.org/

[23] Accept è la prima organizzazione non governativa per i diritti delle persone LGBT in Romania. Per maggiori informazioni: http://www.acceptromania.ro/

[24] Directorate-General for Justice and Consumers (Commissione europea) , ICF, op. cit.

[25] Transgender Europe e ILGA-Europe, “Third Party Intervention X v Romania and Y v Romania”, 26 giugno 2018, disponibile qui: https://tgeu.org/third-party-intervention-x-v-romania-and-y-v-romania/

[26] Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, Raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, 31 marzo 2010, disponibile qui: https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectID=09000016804c6add

[27] Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, Discrimination against transgender people in Europe, Risoluzione 2048 (2015), disponibile qui: http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-en.asp?fileid=21736

[28] S. Schoentjes e P. Cannoot, op.cit.

[29] Amnesty International, “Stop trans pathologisation worldwide”, 20 ottobre 2017, disponibile qui: https://www.amnesty.org/en/documents/ior10/7293/2017/en/

[30] M. Brink, P. Dunne, op.cit.

[31] Corte Europea Diritti dell’Uomo, ricorso n. 29683/16, 17 gennaio 2019, disponibile qui: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-189096

Martina Molinari

Martina Molinari, classe 1996, laureata in Scienze Internazionali, dello Sviluppo e della Cooperazione, ha conseguito la laurea magistrale European Legal Studies presso la Facoltà di Giurisprudenza di Torino con tesi in diritto comparato (“Intersexuality and the Law: Current European Approaches”). Appassionata di diritti umani ed Unione Europea, collabora con StraLi, associazione torinese per la Strategic Litigation e frequenta il master di primo livello in Studi e Politiche di Genere presso L’Università Roma Tre. Collaboratrice dell’area di diritto internazionale, con particolare interesse per i diritti umani fondamentali ed il diritto alla non discriminazione all’interno dell’Unione Europea.

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