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Criminal & Compliance

La Corte Penale Internazionale si pronuncia sull’appello formulato dalla Giordania nel caso Al Bashir

Lunedì 6 maggio 2019 la Camera d’Appello della Corte Penale Internazionale (“CPI”) ha confermato all’unanimità la decisione della Pre-Trial Chamber, rilevando la violazione da parte della Giordania dei suoi obblighi di cooperazione con la Corte, per il mancato arresto e consegna del (ormai ex-) Presidente sudanese Omar Al Bashir. Riformando la decisione impugnata, inoltre, la Camera d’Appello ha a maggioranza deferito la mancata cooperazione della Giordania all’Assemblea degli Stati Parte e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (“CSNU”)[1].

I giudici dell’Aja sono stati chiamati a pronunciarsi sull’annosa questione dell’operatività delle immunità personali di un Capo di Stato, cittadino di uno Stato non membro dello Statuto di Roma, rispetto agli obblighi di cooperazione con la Corte che gravano sugli Stati parte.

In particolare, l’art. 98 (Parte 9 Statuto) impedisce alla Corte di chiedere alle autorità nazionali di uno Stato parte l’arresto e la consegna di un cittadino di uno Stato non membro, se l’indagato gode di un’immunità riconosciuta dal diritto internazionale. L’art. 98 dovrebbe risolvere il dilemma che potrebbe presentarsi allo Stato membro di esecuzione, che, di fronte a due obbligazioni internazionali confliggenti, deve, da una parte, onorare il dovere convenzionale di arresto e consegna e, dall’altra, rispettare le immunità personali di rilevanza consuetudinaria[2].

In dottrina già si era sottolineato che il legame tra l’art. 27[3] e l’art. 98 Statuto è rilevante non solo per la determinazione della giurisdizionale della Corte, ma anche per gli obblighi di esecuzione delle richieste di cooperazione della Corte agli Stati membri dello Statuto di Roma. Tuttavia, secondo la CPI, tale legame si esplicherebbe solo in caso di relazioni tra Stati membri dello Statuto[4].

L’Appeals Chamber, richiamando precedenti giurisprudenziali del Tribunale Speciale per la Sierra Leone (in particolare, il caso Taylor)[5] e la decisione sul mancato arresto di Basir da parte del Malawi, ha confermato l’assenza di una norma di diritto internazionale consuetudinario che riconosca l’opponibilità dell’immunità di un Capo dello Stato nei confronti di corti internazionali penali nell’esercizio della loro giurisdizione e, in particolare, relativamente all’emissione di un mandato d’arresto.

Sorprendentemente, però, l’assenza di detta norma nei confronti dei tribunali internazionali è estesa dalla CPI anche a livello orizzontale, ovvero nelle relazioni tra Stati, disciplinate dal diritto internazionale consuetudinario, qualora uno Stato non abbia ratificato lo Statuto di Roma. E’ questo il caso di uno Stato membro che riceve la richiesta della Corte di arresto e consegna di un Capo di Stato di uno Stato terzo.

I giudici hanno sottolineato il diverso carattere dei tribunali internazionali rispetto alle giurisdizioni nazionali, per affermare che non c’era alcuna regola di diritto internazionale consuetudinario che avrebbe garantito l’immunità di Bashir dall’arresto e consegna della Giordania sulla base della richiesta della Corte. Le giurisdizioni nazionali sarebbero, infatti, espressione del potere sovrano di uno Stato, che è necessariamente limitato dal potere sovrano degli altri Stati (par in parem non habet imperium), mentre i tribunali internazionali, nel giudicare crimini internazionali, non agirebbero per conto di un particolare Stato, ma a nome della comunità internazionale nel suo insieme[6].

La dottrina ha da subito accolto con diverse critiche la soluzione adottata dalla CPI, sotto più aspetti.

E’ stato innanzitutto notato che l’inopponibilità delle immunità di fronte a un tribunale internazionale non costituisce il cuore della questione oggetto di giudizio di fronte alla Camera d’Appello, dovendosi piuttosto trattare dell’operatività di norme consuetudinarie nelle relazioni orizzontali tra Stati[7].

Tale argomentazione è stata poi criticata, in quanto gli Stati, che formano la comunità internazionale, non possono attribuire a un’Organizzazione Internazionale quale la CPI poteri che non possiedono[8]. Alcuni autori notano, correttamente, che lo Statuto di Roma istitutivo della CPI e l’art. 27 non vincolano gli Stati terzi. In più, lo Statuto pare offrire una soluzione, poiché all’art. 98[9] indica il procedimento che la Corte deve attuare per ottenere il consenso dello Stato terzo, coordinando l’art. 27 Statuto con la rilevanza delle immunità nei rapporti orizzontali tra Stati.

Ulteriormente problematica è la statuizione per cui l’art. 98 “merely imposes a procedural requirement for the Court to consider whether any international law obligation exists and applies with regard to the requested State in a particular situation”[10]. Pare infatti che la CPI escluda, in maniera eccessivamente semplicistica, la sussistenza di due obbligazioni contrastanti in capo allo Stato richiesto e quindi l’applicazione dell’art. 98. La ragione è che tale norma non avrebbe rilevanza nel caso in cui la Corte, escludendo l’applicabilità delle immunità, decida di emettere un mandato d’arresto e una richiesta di cooperazione[11].

Oltre a ciò, un elemento essenziale della questione è la rilevanza del rinvio operato dalla risoluzione CSNU1593 ai sensi dell’art. 13(b) Statuto, in virtù della quale “il governo del Sudan (…) deve cooperare pienamente e fornire ogni necessaria assistenza alla Corte e al Procuratore”. Parte della dottrina ritiene che in tal modo, il CSNU esortò implicitamente il Sudan a revocare le immunità di cui godono i propri cittadini una volta soggetti a un mandato di cattura della CPI. In virtù della risoluzione, perciò, le immunità della giurisdizione e dell’esecuzione degli imputati sudanesi sarebbero inapplicabili. Inoltre, l’articolo 98 dello Statuto non dovrebbe poter essere invocato da uno Stato richiesto, dal momento che lo Stato terzo, obbligato in forza della risoluzione, non potrebbe avvalersi delle immunità. Ciò troverebbe poi riscontro in un’interpretazione dello statuto della Corte secondo il principio dell’effetto utile[12].

Rispetto alla rilevanza della Risoluzione, la CPI considera che la Corte continua ad essere vincolata dalle disposizioni dello Statuto, incluso il regime di cooperazione di cui alla parte 9 dello Statuto. Di conseguenza, il regime di cooperazione per gli Stati parti dello Statuto di Roma è applicabile alla cooperazione del Sudan con la Corte, compreso l’art. 27(2) Statuto, restando invece escluso il regime dell’art. 98(1)[13].

Alcuni autori ritengono che la cooperazione imposta al Sudan debba necessariamente svolgersi nelle forme previste dallo Statuto, che è sola la fonte giuridica sulla base della quale la CPI può emettere richieste di cooperazione. Tuttavia, la conseguente applicabilità dell’art. 27 al Sudan sarebbe meno condivisibile[14], data la mancata menzione della questione delle immunità nella risoluzione.

In conclusione, è stato notato che la volontà della CPI di tutelare l’effettivo esercizio della sua giurisdizione potrebbe risultare una mossa fatale per la Corte[15]. Non si può in particolare escludere il ricorso (già annunciato) alla Corte Internazionale di Giustizia da parte dell’Unione Africana sulla questione.

Fonte dell’immagine: www.hrw.org.

[1] Decisione di appello promossa dalla Giordania, The Prosecutor v. Omar Hassan Ahmad Al Bashir, ICC-02/05-01/09-397, 6 maggio 2019 https://www.icc-cpi.int/CourtRecords/CR2019_02593.PDF (ultimo accesso 20 maggio 2019).

[2] Decisione di appello promossa dalla Giordania, §131.

[3] L’art. 27 Statuto dispone che le immunità non escludono la giurisdizione della CPI sui crimini internazionali.

[4] Decisione di appello promossa dalla Giordania, §130, “article 27(2) of the Statute prevents any reliance on Head of State immunity both vertically in the State Parties’ relationship with the Court and horizontally in the relationship between Sta-tes Parties when cooperation is sought by the Court”.

[5]Decisione di appello promossa dalla Giordania, §§ 108-9.

[6] Decisione di appello promossa dalla Giordania, §115.

[7] Jacobs, You have just entered Narnia: ICC Appeals Chamber adopts the worst possible solution on immunities in the Bashir case, 6 maggio 2019, https://dovjacobs.com/2019/05/06/you-have-just-entered-narnia-icc-appeals-chamber-adopts-the-worst-possible-solution-on-immunities-in-the-bashir-case/ (ultimo accesso 20 maggio 2019)

[8] Jacobs (nota 7); Dapo Akande nota che “this reasoning appears to assert that parties to the Rome Statute, have, by creating the Court, taken away the rights of non-party states under international law”, Akande, ICC Appeals Chamber Holds that Heads of State Have No Immunity Under Customary International Law Before International Tribunals, 6 maggio 2019, https://www.ejiltalk.org/icc-appeals-chamber-holds-that-heads-of-state-have-no-immunity-under-customary-international-law-before-international-tribunals/ (ultimo accesso 20 maggio 2019). Chaumette Commentaire de l’article 98 du Statut de la Cour pénale internationale, 2017, in riferimeno alla decisione sul Malawi, nota che : « s’il est clair que les statuts de juridictions internationales pénales rendent inopposables l’immunité des chefs d’Etat et, partant, l’application de l’article 98, paragraphe 1, en cas de renvoi de la situation par le Conseil de sécurité ; il est loin d’être établi que cette exception est une règle coutumière applicable quel que soit le mode de saisine de la Cour… Le Statut de Rome est une exception, certes, mais de nature conventionnelle ». L’autrice sottolinea poi che tale eccezione non fonda poi necessariamente la competenza della corte, che resta complementare a quella degli Stati che possono decidere di giudicare i crimini internazionali di competenza della CPI in maniera prioritaria rispetto alla Corte.

[9] Chaumette (cit.), a conferma della interazione coerente tra il diritto internazionale consuetudinario sulle immunità personali e l’art. 98 Statuto « les Etats non parties peuvent refuser qu’un de leur ressortissant ou un de leur bien protégé par une immunité soit remis à la Cour (conformément à l’article 98) (…) L’article 98 permet au contraire l’articulation du Statut de Rome avec le droit international coutumier en matière d’immunité. D’une part, il reconnaît aux Etats non parties leur droit de se prévaloir des immunités. D’autre part, il prévoit un moyen pour la Cour d’obtenir le consentement de ces Etats non parties. L’article 98, appliquant les règles du droit des traités, rend possible la coopération des Etats non parties, à condition qu’ils y consentent. L’apport de l’article 98 est qu’il met à la charge de la Cour 27 l’obtention de ce consentement » https://hal-univ-paris10.archives-ouvertes.fr/hal-01483706/document (ultimo accesso 20 maggio 2019).

[10] Decisione di appello promossa dalla Giordania, §131.

[11] In effetti, al § 132 della decisione, la CPI afferma che, data la ratifica dello Statuto da parte degli Stati membri “both in the State Parties’ vertical relationship with the Court and in the horizontal relationship between States Parties there is no Head of State immunity if the Court is asking for the arrest and surrender of a person”.

[12] Chaumette (cit.).

[13] Decisione di appello promossa dalla Giordania, §§141, 143-4.

[14] Jacobs, nota 7.

[15] Jacobs, The Frog that Wanted to Be an Ox: The ICC’s Approach to Immunities and Cooperation, in C. Stahn, The Law and Practice of the International Criminal Court, OUP, 2015.

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