La Costituzionalizzazione dell’equilibrio di Bilancio: il nuovo art 81 e gli effetti sul Welfare State
- Introduzione
Il testo dell’art 81 della Costituzione è stato recentemente novellato per poter dare attuazione al Fiscal Compact. Tuttavia, la costituzionalizzazione dell’“equilibrio di bilancio” ha apportato non pochi problemi di coerenza nel nostro ordinamento sul concreto bilanciamento dei diritti operato dalla Corte Costituzionale. Come è percepibile dal confronto tra nuovo[1] e vecchio[2] testo, il tema del bilancio dello stato, è passato dall’essere una questione attinente alla distribuzione dei poteri interna allo stato all’essere una questione attinente allo Stato nella sua organicità, il quale si impegna ad “assicurare” il proprio equilibrio di bilancio nei confronti della Commissione Europea, abilitata al controllo da un trattato tra gli stati dell’eurozona. L’erosione della sovranità finanziaria che ne deriva è evidente.
- La legge di bilancio nella storia: da problema di “forma di governo” a “problema di forma di stato”
Il “problema” della legge di bilancio nasce con lo stato liberale e attiene ai rapporti tra potere legislativo e potere esecutivo: problema che è stato risolto con la veste formale della “legge di bilancio”, la quale attiene al rapporto fiduciario tra parlamento e governo, di cui il parlamento assume solo un controllo politico. Passò poi ad essere più che un “problema di forma di governo” (e quindi attinente alla forma giuridica dei rapporti fra gli organi costituzionali), un “problema di forma di stato” concernente i rapporti tra stato e società riguardante “i diritti e i doveri dei cittadini nei loro rapporti reciproci e con le istituzioni pubbliche”[3]. Questo passaggio si intravede in Italia nella metà degli anni Settanta, quando il peso del debito pubblico iniziò a farsi sentire e con esso la discussione sul bilancio passò da essere un problema di forma a un problema di contenuti. La scarsità delle risorse imponeva una “ricontrattazione” dei diritti sociali, una rimodulazione del Welfare State. Tuttavia, il problema della copertura del bilancio statuale risale all’epoca costituente, in particolare nell’interpretazione del comma 4 dell’art 81.
- La Copertura finanziaria del bilancio: il 4 comma dell’originario art. 81 tra dibattito costituente, interpretazioni dottrinali e l’interpretazione della Corte Costituzionale: esisteva già il “pareggio di bilancio”?
Il dibattito costituente [4]fu animato dalla preoccupazione che l’attribuzione dell’iniziativa in materia di bilancio al Parlamento potesse generare una politica di spesa demagogica, così si dispose l’esclusività della competenza del Governo in relazione alla predisposizione del disegno di bilancio e, su sollecitazione di Einaudi, Mortati e Vanoni fu inserito il 4 comma: “Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.” Ab origine il 4 comma fu oggetto di due interpretazioni in dottrina[5]. Una interpretazione vi ritenne codificato il pareggio di bilancio: l’incapacità della legge di bilancio di introdurre nuovi tributi o spese, unita all’obbligo di indicare la copertura finanziaria da parte di “ogni altra legge” avrebbe dovuto garantire un bilancio in pareggio. L’altra invece (V. Onida[6]), facendo propria una concezione di tipo keynesiano, evidenziava come da un punto di vista costituzionale il pareggio di bilancio “non fosse un obbligo giuridico ma un obiettivo politico”: il comma 4 avrebbe quindi avuto il solo scopo di responsabilizzare gli attori istituzionali nel prendere singole decisioni politiche che sarebbero andate inevitabilmente ad impattare sul bilancio dello stato. Le argomentazioni della prima dottrina vennero presto smentite dalla storia nonché dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 1/1966[7], la quale ritenne conforme a Costituzione la prassi della copertura della spesa anche mediante il ricorso all’indebitamento del Tesoro.
Tuttavia le continue violazioni del precetto costituzionale sulla copertura dei nuovi e maggiori oneri per il bilancio statale (legati all’interventismo statale del Welfare State), suggerivano già da tempo la necessità di una revisione : così parte della dottrina (Ruini) riteneva di dover ricorrere al disposto di nuove leggi ordinarie e sia pure di revisione costituzionale per completare l’articolo de quo, l’altra (Cambi) optava di ricorrere alla soppressione di tale disposizione “per tornare, con miglior profitto per la finanza, all’antico”. Il dibattito si affievolì sino al riemergere con forza dirompete con l’attuazione del Fiscal Compact nella nuova formulazione di “problema inerente alla forma di stato”.
- La sostenibilità del Welfare State
Analizzando la questione sotto il profilo economico si deve sottolineare come “il mito ottocentesco di chiudere i bilanci pubblici in pareggio non sembri facilmente conciliabile con gli interventi pubblici tipici dello stato sociale[8]”. Perché questo? Per lo stato liberale le spese degli stati piccoli occidentali oscillavano tra l’8 e il 12 % del PIL, mentre le spese di uno Stato Sociale (quindi interventista) variano da un minimo del 35% a un tetto del 50 %, senza considerare lo stato disastroso del nostro debito che è arrivato sino al 120 % del PIL[9]: “la differenza di tale volume è il prodotto del Welfare state tanto che la presenza di bilanci in deficit anche consistenti è un fatto oramai del tutto abituale in tutti gli ordinamenti di questo periodo storico[10]”. Ma, se la sostenibilità di un poderoso debito pubblico potrebbe essere compatibile (seppur astrattamente) con il periodo di recessione (secondo la teoria keynesiana[11] infatti i maggior investimenti effettuati grazie all’indebitamento produrrebbero quei profitti che andrebbero a risollevare l’economia), di certo non è compatibile con un mercato unico ove viga una moneta unica. Questo concerne infatti il problema di “salute della moneta”, e da qui la necessità di trovare parametri di riferimento per coordinare le politiche economiche dei diversi stati membri. La stabilizzazione della moneta si è resa necessaria per riequilibrare il dislivello tra Paesi che contribuivano alla salute dell’euro ed altri meno responsabili che con il loro enorme debito pubblico la mettevano in pericolo. Per far fronte a ciò nel 2011 si è optato a livello europeo (ma fuori dalle istituzioni europee[12]) per una cooperazione rafforzata in materia di stabilità economica: il cosiddetto “Fiscal Compact”. Trattato che sarebbe il fondamento della garanzia di “salute” degli stati appartenenti all’area Euro, prevedendo dei parametri numerici di salute finanziaria e una particolare procedura di controllo da parte della “Commissione che sorveglia sull’evoluzione della situazione di bilancio e sull’entità del debito pubblico degli stati membri.”[13].
- Il nuovo art 81: la scelta mediana dell’Italia nell’attuazione del Fiscal Compact
È stata la riscrittura dell’art 81, operata con la legge costituzionale n 1. del 2012 a dare attuazione al Fiscal Compact. La novellazione dell’articolo ha costituzionalizzato il “il principio dell’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio. Si è parlato di “pareggio di bilancio”, tuttavia la norma è più elastica: più che un vero e proprio “pareggio” essa impone un generico “equilibrio[14]”, introducendo così un “principio di sostenibilità del debito” che deve essere adottato da tutte le amministrazioni. Per conseguire questo risultato, da un lato si è abrogato il divieto di stabilire con la legge di bilancio nuovi tributi e nuove spese, dall’altro si è legata la definizione del bilancio all’andamento dei cicli economici “tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli al ciclo economico”.
In questo modo non si esclude completamente il ricorso all’indebitamento, certo però questo deve essere collegato a questi effetti del ciclo economico e deve essere autorizzato dalle Camere con un voto a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti (nonché poi sottoposto al vaglio della Commissione Europea secondo la procedura stabilita sempre dal trattato).
Approfondendo lo studio della norma si scorge la scelta mediana adottata dal nostro legislatore: mentre infatti alcuni Paesi Europei[15] hanno optato per una vera e propria costituzionalizzazione del pareggio di bilancio (vedi Spagna e Germania), ed altri invece hanno preferito l’attuazione tramite legge organica ordinaria (vedi la Francia),l’Italia ha optato per la costituzionalizzazione dell’ “equilibrio di bilancio”: una scelta che si traduce nel rimettere gran parte della decisione politica sul bilancio e sui margini dell’indebitamento alla contrattazione in sede europea e ai rapporti di forza politici interni.
- Le conseguenze sul bilanciamento dei diritti: la Corte costituzionale
L’introduzione dell’equilibrio di bilancio in Costituzione ha come immediato effetto quello di divenire elemento attivo del bilanciamento tra diritti costituzionali “e non più solo una precondizione o una finalità di cui il legislatore in primis e la stessa Corte in seconda battuta avrebbero dovuto tenere conto” (questo è stato affermato da subito nella sent. Corte Cost. n. 88 / 2014[16] ove si afferma al punto 6 del Considerato in diritto che: “Il nuovo sistema di finanza pubblica disegnato dalla legge cost. n. 1 del 2012 ha dunque una sua interna coerenza e una sua completezza, ed è pertanto solo alla sua stregua che vanno vagliate le questioni di costituzionalità sollevate nei confronti della legge”. Tuttavia, la giurisprudenza della Suprema Corte sembra non dare un orientamento univoco e chiaro alla delicata materia dei rapporti che intercorrono tra i diritti sociali e le esigenze economico-finanziarie discendenti dalla portata vincolante del nuovo art. 81: in questo paragrafo si cercherà di ricostruirne la logica. C’è da dire che già precedentemente l’art 81 era stato impiegato per valutare i costi delle sentenze[17] e per far questo la Corte creò l’espressione di “diritto costituzionale condizionato”: però tale condizione di limitatezza delle risorse operava come limite esterno[18], rimanendo fuori da un vero e proprio bilanciamento eseguito in sede politica tra i vari interessi o beni costituzionalmente protetti. La Corte ha così rivendicato la possibilità di sindacare la discrezionalità del legislatore nell’attuazione dei diritti sociali e nel conseguente loro finanziamento richiamando da un lato “la nozione di contenuto minimo essenziale dei diritti sociali”, dall’altro al “principio di gradualità delle risorse economiche “così da poter salvaguardare la tutela dei diritti anche di fronte alla scarsità delle risorse. Se formalmente le norme del Fiscal Compact non toccano la sovranità finanziaria, esse lo fanno sostanzialmente ed esempio lampante ne è la sentenza Corte Cost. 10/ 2015 [19]ove la Corte pur riconoscendo la incostituzionalità di un tributo, sposta gli effetti della propria sentenza (normalmente retroattivi) pro futuro e lo fa solo per ovviare al problema di “cassa dello stato” così come eloquentemente specificato al punto 7 del “considerato in diritto”: “nel pronunciare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate, questa Corte non può non tenere in debita considerazione l’impatto che una tale pronuncia determina su altri principi costituzionali, al fine di valutare la necessità di una graduazione degli effetti temporali della propria decisione sui rapporti pendenti”; ed al punto 8: “deve osservarsi che nella specie l’applicazione retroattiva della presente declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe anzitutto una grave violazione dell’equilibrio di bilancio ai sensi dell’art 81 Cost[..].” Ed ancora” l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale determinerebbe infatti uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva, anche per non venire meno al rispetto dei parametri cui l’Italia si è obbligata in sede di Unione Europea e internazionale”.
Occorre precisare che tale tributo concerneva la c.d. “Robin Hood Tax”: disposizione che prevedeva un regime fiscale differenziato di prelievo fiscale addizionale a carico di operatori del settore petrolio e gas che avessero registrato nel periodo di imposta di riferimento ricavi maggiori a 25 milioni di euro. Era così un tributo che gravava sui “ grandi contribuenti” ed anche su questo la Corte basa la propria argomentazione valutando che le “conseguenze complessive della rimozione con effetto retroattivo della normativa impugnata finirebbero per richiedere, in un periodo di perdurante crisi economica e finanziaria che pesa sulle fasce più deboli, una irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio di quegli operatori economici che possono avere invece beneficiato di una congiuntura favorevole” determinandone “un irrimediabile pregiudizio”.
La seconda sentenza che rileva in questo contesto è la sent. Corte Cost. n 70/2015[20], ove invece, in totale controtendenza rispetto alla precedente la Consulta ignora i vincoli derivanti dall’art 81 concedendo larga attuazione ai diritti di prestazione sociale senza tener conto delle ingenti conseguenze finanziarie derivanti dalla pronuncia di annullamento. La questione oggetto di costituzionalità era la normativa che stabiliva l’adeguamento delle pensioni all’inflazione. In un confronto tra le “Sentenze che costano[21]” tra la tutela offerta ai piccoli contribuenti rispetto a quella offerta ai grandi contribuenti, l’art 81, nell’ottica della Consulta, sembrerebbe da dover bilanciare nella direzione di una redistribuzione della ricchezza a favore dei piccoli contribuenti
“i quali non hanno giovato (citando la sentenza 10 del 2015) dell’odierna situazione economica”.
Un ulteriore passo avanti è stato fatto nella sent. Corte Cost 275 del 2016[22] ove la Consulta approda ad una “concezione del bilancio costituzionalmente orientata[23]”. La sentenza fa leva sui diritti incomprimibili della Costituzione (la sentenza aveva ad oggetto il trasporto di persone disabili a scuola) contro il pareggio di bilancio.
Così scrive S. Cassese: “La Corte deve rispettare l’art 81, dandosi carico dell’equilibrio di bilancio. Ma non fino al punto di non rispettare i diritti dei cittadini, garantiti da altri articoli della Costituzione”. Certo è da chiedersi fino a che punto potrà farlo allo stato delle norme in vigore.
- Una non costituzionalizzazione era davvero possibile? L’esempio della Francia
Occorre specificare difatti che non vi era un obbligo in capo agli Stati di recepire le regole del Fiscal Compact in costituzione, ma solo una “preferenza”[24]. L’esempio della Francia ci mostra come: essa infatti ha difeso la propria sovranità nazionale nel processo di integrazione da un’eventuale intromissione di stringenti limiti economici finanziari imposti a livello europeo. L’inserimento in costituzione è stato percepito come misura non opportuna, anzi lesiva del suo stato sociale. La riforma dapprima non raggiunse i due terzi in Parlamento, e in un secondo momento il Conseil Constitutioneel su richiesta del Presidente della Repubblica si pronunciò a sfavore di una modifica della Costituzione, ritenendo sufficiente per l’attuazione del Fiscal Compact l’approvazione di una legge ordinaria organica: una legge quadro[25]. La Francia ha così optato per una forma che fosse il meno lesiva possibile della propria sovranità nazionale distinguendosi dalla Germania, Italia e Spagna che hanno optato invece per una norma vincolante all’interno delle proprie costituzioni.
C’è da dire però che l’Italia (ora come allora), aveva ben poca scelta avendo un potere contrattuale minore a causa dell’enorme indebitamento (che supera il 120 % del PIL), nonché un differenziale tra Btp (titoli di stato italiani) e quelli tedeschi (bund) che all’epoca si aggirava intorno alla soglia dei 400 punti base. In Italia il rapporto tra finanza pubblica e sovranità ha avuto una tangibile inversione di marcia nel 2011, “quando la Banca Centrale Europea inviò al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi una lettera in forma riservata la quale “invitava” il governo italiano ad adottare alcune misure, ritenendole necessarie affinché l’Italia potesse uscire dalla grave crisi economico finanziaria. Una vera e propria ingerenza senza precedenti negli affari interni dello Stato Italiano dettata da un organismo come la BCE, al di fuori del circuito europeo (anch’esso già debole di legittimazione democratica), dettava al governo di uno stato membro una serie di serie di misure che andavano ben oltre la sfera strettamente economico- finanziaria[26]” (es. mettere mano alla piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali ricorrendo a privatizzazioni su larga scala, interventi sul sistema pensionistico, una significativa riduzione dei costi del pubblico impiego[27] ecc.) . Le raccomandazioni furono poi a breve attuate, e questo fu solo l’anticipo di quel che poi qualche mese dopo fu disciplinato dal cosiddetto Patto di Stabilità, o “Fiscal Compact”.
- Dal Welfare state al neo-liberismo: la Costituzione è ancora in grado di guardare lontano?
Fino a che punto il pareggio di bilancio può gravare sui cittadini? C’è da chiedersi quante porzioni di sovranità continuino a sussistere in capo agli stati membri. Assistiamo ad un vero e proprio passaggio della tavola di valori: da quelli dello Stato Nazionale che molto lentamente ha approdato al Welfare State ad una tavola di valori al cui centro vi è l’obiettivo di una finanza pubblica sana in nome della libera circolazione e della concorrenza, totalmente priva di un piano redistributivo di welfare (piano redistributivo che nella Carta costituzionale italiana ha il suo perno nell’art 53). Non solo, è la stessa stabilità dei governi ad essere condizionata dalla credibilità che “i mercati” gli attribuiscono. Vi è un vero e proprio “deficit di democrazia” che ormai dilaga ovunque: nella “superiorità” dell’esecutivo rispetto al potere legislativo[28], nelle istituzioni europee, sino ad arrivare alla sovranità menomata degli Stati stessi rispetto ai mercati: sembrerebbe quindi esserci “un nuovo ordine” dello stato delle cose, ordine che due recenti volumi di Pierre Dardot e Christian Laval hanno qualificato come “ordine neo-liberale”[29]. Un Neoliberismo quindi, ma non (come il tradizionale liberismo) fondato sul “lassaiz faire”, sullo “stato minimo”, al contrario un nuovo ordine liberale in cui il mercato ha bisogno di uno “Stato forte che produce le proprie regole giuridiche, che crea le proprie istituzioni ovvero modella quelle esistenti a proprio uso e consumo”[30]. Il diritto verrebbe ad assumere un nuovo ruolo: “plasmare dall’interno l’economia, perdendo però al contempo il proprio status di scienza autonoma in quanto si funzionalizza alle logiche di mercato, ossia alla logica del profitto, dell’efficacia, dell’efficienza[31]”. In questa metamorfosi del giuridico il “liberismo non sarebbe più solo una teoria economica ma una
“teoria giuridico economica in quanto si pone l’obiettivo di creare un proprio diritto”. Il passaggio consisterebbe dunque dal modello del Welfare state in cui vigeva l’obbligo per le istituzioni di
adempiere alle proprie funzioni sociali (e quindi alle proprie prerogative pubbliche) allo Stato neoliberale ed il “primo passo verso questo modello consisterebbe proprio nella costituzionalizzazione del pareggio di bilancio”[32]. Assistiamo dunque ad una trasformazione dello stato costituzionale: l’intero edificio della democrazia costituzionale ne risulta minato alla radice. La dottrina costituzionalistica (e non solo) ha parlato di una costituzione “non più in grado di guardare lontano” (perché storicamente fondata), ma una Costituzione che si ferma al “qui e ora” perché chiamata a legittimare il contingente e a registrare i momentanei equilibri del sistema politico- istituzionale[33].
La Costituzione è ancora in grado di guardare lontano? In un equilibrio di lungo periodo, quanto inciderà la costituzionalizzazione dell’equilibrio di bilancio sulle nuove generazioni? [34]Fino a quando la Corte Costituzionale potrà permettersi un margine di manovra così ampio? Sono tutte domande lecite ma per ora non è dato sapere, è certo però che in futuro sarà necessario trovare una nuova legittimazione politica della sovranità finanziaria [35]se non in capo agli Stati almeno in un Federalismo Europeo che garantirebbe un modello omogeneo di piattaforma dello stato sociale, per non andare alla deriva.
[1] Nuovo testo art 81: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale”.
[2] Originaria formulazione art 81: “Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. [2]Si veda in dottrina M. Luciani, “Costituzione, bilancio, diritti e doveri dei cittadini”, 2012, disponibile qui https://www.camera.it/temiap/allegati/2015/03/19/OCD177-1158.pdf; nonché per la particolare distinzione tra forma di governo e forma di stato qui rievocata M. Luciani “Governo (forme di) in Enc. Dir. Annali, Vol. III Milano, Giuffrè 2009, cit. spec. 556;
[4] Enciclopedia Giuridica, voce “Bilancio”, diritto pubblico, redatta da A. Barettoni;
[5] M. Stramacci “Istanze al legislatore. Contributo all’interpretazione dell’art 81 della Costituzione” Rassegna parlamentare: rivista mensile di studi costituzionali e di documentazione legislativa. – 1 (1959), n. 12, p. 151-191; disponibile qui https://storia.camera.it/bpr/faccette/:%7cautore:Stramacci%20Mauro%7ctipo:articolo#noNav;
[6] V. Onida “Le leggi di spesa nella Costituzione, Giuffrè, Milano 1969 p. 152. Sul timore che i deputati possano avanzare delle proposte “determinando fermenti e sollecitando appetiti a puro scopo demagogico” si veda l’intervento dell’on. Porzio nella seduta del 24 ottobre 1946, “Atti Assemblea costituente, Commissione per la Costituzione, Seconda Sottocommissione”, p. 420;
[7] www.giurcost.org/decisioni/1966/0001s-66.html;
[8] M .Passalacqua “«Pareggio» di bilancio contro intervento pubblico nel nuovo art.81 della Costituzione”, in Amministrazione in Cammino, 2012, disponibile qui: www.amministrazioneincammino.luiss.it/app/uploads/2012/07/Passalacqua_Pareggio-bilancio-in-Costituzione.pdf;
[9] P. Boria “Diritto Tributario”, G. Giappichelli Editore, Torino 2016, p.161;
[10] Anche per i dati citati si veda: G. Bognetti “Costituzione e bilancio dello stato. Il Problema delle spese in deficit.
( Note ispirate dalla lettura di un libro di G. Rivosecchi)” in rivista AIC, sezione dottrina 2003-2010; disponibile qui: https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/old_sites/sito_AIC_2003-2010/dottrina/teoria_generale/Bognetti02.pdf;
[11]J. M. Keynes “The General Theory of Employment, Interest and Money”: La ricetta keynesiana consiste nel sostenere la domanda aggregata attraverso l’intervento pubblico. Ciò può avvenire sia in maniera indiretta, sia diretta. In questo contesto il riferimento è all’intervento diretto dello Stato nell’economia effettuato attraverso spesa pubblica produttiva «finanziata con fondi presi a prestito». Questo è quel che viene definito “deficit spending”: l’autorità di governo, pur di sostenere la domanda aggregata, mette in secondo piano la necessità di avere un bilancio in pareggio.
[12] Art 7 TUE permette la realizzazione di “un’Europa a più velocità” tramite il meccanismo delle cooperazioni rafforzate: procedura istituzionale finalizzata a realizzare una più forte cooperazione su specifici temi e garanzie che non siano già di esclusiva competenza comunitaria anche laddove non vi sia un consenso unanime a livello comunitario. In quest’ottica si inserisce il Fiscal Compact, questo significa che non è un atto dell’Unione ma nel nostro ordinamento rileva quale trattato internazionale (almeno fino a che non si pronuncerà definitivamente l’Ue per l’incorporazione del trattato all’interno del diritto dell’Unione: questo comporterebbe un maggiore aggravio per gli stati perché eventuali violazioni sarebbero supportate da sanzioni della Corte di Giustizia). Per approfondire la trattazione del Fiscal Compact si veda M .Di Domenico “Il Fiscal Compact nella governance economica dell’Ue”, in Ius in Itinere, aprile 2019, disponibile qui : https://www.iusinitinere.it/il-fiscal-compact-nella-governance-economica-dellue-16738;
[13] Parametri stabiliti all’art 3 e 4 del Fiscal Compact da leggersi in combinato disposto con l’art. 126 TFUE: norma che prevede una particolare procedura per lo stato in disavanzo pubblico
[14] M. Passalacqua, op.cit. in particolare si veda il paragrafo 4 “Pareggio di bilancio vs. equilibrio di bilancio nella Costituzione riformata”.
[15] A. Pirozzoli “Il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio”, rivista AIC 4/2011 disponibile qui: https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/Pirozzoli_vincolo_pareggio.pdf;
[16] https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=88;
[17] Sentenze della Corte Costituzionale n 30/ 2004, 342/2002, 180/ 2001;
[18] Come ricordano C. Salazar “Crisi economica e diritti fondamentali” in Rivista AIC, n 4, 2013 disponibile qui https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/R_Salazar.pdf; ed I. Ciolli ”L’art 81 della Costituzione: da limite esterno al bilanciamento a super principio” in Quaderni Costituzionali,2015, disponibile qui: www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2015/05/ciolli.pdf;
[19]www.giurcost.org/decisioni/2015/0010s-15.html;
[20]www.giurcost.org/decisioni/2015/0070s-15.html;
[21] Espressione utilizzata da S. Cassese nel libro “Dentro la Corte” Il Mulino, 2015;
[22] https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2016&numero=275;
[23] A. Longo “Una concezione del bilancio costituzionalmente orientata: prime riflessioni sulla sentenza della Corte Cost. n. 275 del 2016” , disponibile qui: https://federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=34008&dpath=document&dfile=18052017091847.pdf&content=Una%2Bconcezione%2Bdel%2Bbilancio%2Bcostituzionalmente%2Borientata%2B%2D%2Bstato%2B%2D%2Bdottrina%2B%2D%2B;
[24] Fiscal Compact: titolo III , art 3, par. 2 “Le regole enunciate producono effetti nel diritto nazionale delle parti contraenti al più tardi di un anno dopo l’entrata in vigore del presente trattato tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente-preferibilmente costituzionale– o il cui rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto il processo nazionale di bilancio […]”, disponibile qui: https://www.consilium.europa.eu/media/20388/st00tscg26-it-12.pdf;
[25] Camera dei deputati – XVII Legislatura – Dossier di documentazione disponibile qui: documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/BI0599b.htm#_Toc347317109;
[26] E. Olivito “Crisi economico-finanziaria ed equilibri costituzionali. Qualche spunto a partire dalla lettera della BCE al governo italiano” in Rivista AIC n. 1/2014, disponibile qui: https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/1_2014_Olivito.pdf;
[27] M. Stipo, “Una lettera “anomala” (la lettera Trichet-Draghi indirizzata al Primo Ministro italiano– Frankfurt/Rome,5 August 2011), in Aa. Vv., Studi in onore di Claudio Rossano, IV, cit., 2395 s;
[28] G. Azzariti “La responsabilità politica nell’era del maggioritario e nella crisi della statualità”, Giappichelli, 2005;
[29] P. Dardot, C. Laval, “La nouvelle raison du monde. Essai sur la Société nèolibèrale”, Paris,2009, trad. it. A cura di R. Antoniucci e M. Lapena, con una prefazione di P. Napoli, Deriveapprodi, Roma,2013;
[30] A. Ciervo “Con la scusa della crisi. Il neoliberismo e le trasformazioni dello Stato Costituzionale. Riflessioni a partire da due recenti volumi di Pierre Dardot e Christian Laval” in Costituzionalismo.it Fascicolo 3/ 2015: Le trasformazioni della forma di stato. Rappresentanza, Governabilità, Partecipazione” disponibile qui: www.costituzionalismo.it/download/Costituzionalismo_201503_540.pdf;
[31] Ibid, A. Ciervo pag. 34- 36;
[32] Ibid., A. Ciervo paragrafo 3;
[33] G. Azzariti “Contro il revisionismo costituzionale”, Anticorpi Laterza, 2016;
[34] G. Scotti “L’art. 81 ed il pareggio di bilancio: quale futuro per il welfare” Rivista Cammino diritto, 2015 disponibile qui: https://www.camminodiritto.it/public/pdfarticoli/747_9-2015.pdf;
[35] In dottrina è stata utilizzata l’espressione “abdicazione della sovranità finanziaria”, per approfondimenti si veda I. M. Pinto “ La sentenza della Corte costituzionale n.10 del 2015 tra irragionevolezza come conflitto logico interno alla legge e irragionevolezza come eccessivo sacrificio di un principio costituzionale: ancora un caso di ipergiurisdizionalismo costituzionale ”in costituzionalismo.it fascicolo 1/2015, disponibile qui: www.costituzionalismo.it/download/Costituzionalismo_201501_502.pdf;
Laureata in Giurisprudenza presso l’Università La Sapienza di Roma nel 2023, con una tesi in diritto costituzionale, dal titolo “La teoria dei controlimiti: la tutela della democrazia sostanziale ad extra“, relatore Prof. Gaetano Azzariti, correlatore Prof. Alessandro Somma.
E’ specializzata in giustizia costituzionale presso l’Università di Pisa, autrice di numerosi articoli divulgativi e scientifici di Diritto Costituzionale.
Attualmente svolge la pratica forense presso il Foro di Roma ed è Responsabile diritto costituzionale presso questa rivista.
Da luglio 2023 cura la rubrica “DI ROBUSTA COSTITUZIONE” presso Ius in Itinere, che di seguito viene illustrata:
flaviana.cerquozzi@iusinitinere.it