giovedì, Marzo 28, 2024
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La crisi del Covid-19 e la risposta dell’Unione Europea

Il Covid-19 sta generando una crisi economico-finanziaria diversa dalla recente crisi del 2008. Anzitutto, la crisi riguarda tutte le economie mondiali e tutti i settori. Inoltre, complice la globalizzazione dei sistemi produttivi, un’altra caratteristica impressionante è la rapidità con cui il virus sta impattando sulle economie.

In effetti, la maggior parte dei lavoratori a rischio di perdere l’occupazione appartiene al settore terziario, poiché le misure di distanziamento sociale rendono impossibile la produzione di servizi che richiedono la contemporanea presenza dell’erogatore e del consumatore. Di conseguenza, crollano sia la domanda interna che quella estera, dato che le imprese manifatturiere diminuiscono produzione e occupazione.

Infatti, in tutti i paesi si assiste al crollo delle componenti della domanda aggregata, dei consumi, degli investimenti e delle esportazioni. Invece, la spesa pubblica resta l’unica componente della domanda che è destinata a crescere.

 

La risposta al Covid-19

La prima reazione di fronte alla crisi dei sistemi economici è stata quella di fornire liquidità per impedire una crisi di insolvenza con conseguenti fallimenti e chiusura di imprese. Tuttavia, l’immissione di liquidità nel sistema non basta. Occorre stimolare la domanda aggregata. Quindi, è necessaria una politica fiscale che favorisca investimenti, sussidi e redditi a coloro che non possono lavorare a causa delle misure per combattere la pandemia.

Gli Stati Uniti hanno adottato una manovra fiscale pari a due trilioni di dollari con aumento del deficit e del debito statale. Una misura che divide l’Unione Europea in un conflitto politico tra paesi del Nord e del Sud. In un recente contributo sul Financial Times, l’ex presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha fornito un contributo sulle politiche di contrasto alla pandemia del Covid-19[1].

In primo luogo, è bene precisare che non siamo di fronte ad una classica crisi keynesiana. Infatti, il Corona virus crea problemi sia dal lato della domanda aggregata a causa del crollo dei redditi che dal lato dell’offerta aggregata.

La sfida per governi e banche centrali è evitare che le difficoltà temporanee di imprese, fondamentalmente sane, ne causino il fallimento. Quando l’economia ripartirà, occorrerà che il sistema produttivo sia il meno danneggiato possibile, e quindi in grado di accompagnare la ripresa dei consumi e della domanda aggregata.

A tal proposito, Draghi sostiene che il sostegno alle imprese è prioritario. Mantenere il tessuto produttivo in vita vuol dire mantenere l’occupazione, e quindi indirettamente il reddito.

Sostanzialmente, si tratta di garantire la disponibilità di liquidità per far fronte ai pagamenti. Le banche devono essere messe in condizione di prestare a tassi nulli o quasi. È questo il senso della targeted longer-term refinancing operation[2]  dell 12 marzo scorso: la BCE fornisce liquidità a tassi negativi, quindi di fatto sussidiando le banche, ma a condizione che questi fondi siano veicolati alle piccole e medie imprese.

Inoltre, come già sta avvenendo, l’amministrazione fiscale dovrebbe sospendere gli adempimenti fiscali, sempre per non sottrarre risorse ad imprese e aiutarle a non soffocare. Tuttavia, il principale tema di dibattito ad oggi è il ricorso allo strumento del debito pubblico.

Eppure, la discussione principale non deve essere come lo Stato debba ripagare il debito, bensì come rifinanziarlo a scadenza. Ciò vuol dire che il livello del debito è sostenibile fintantoché gli Stati sono in grado di coprire le spese per gli interessi sul debito. Questo è tanto più vero quando l’aumento del debito è di proporzioni tali da rendere impensabile il ricorso ad austerità e avanzi primari per ridurlo.

Nella zona euro, poi, occorrerà correggere alcune storture che rendono i Paesi membri vulnerabili alla speculazione. Occorrerà in primo luogo rivedere le norme europee che proibiscono alla BCE di ergersi a prestatore di ultima istanza dei governi. La Fed americana, la Bank of Japan o la Bank of England ci mostrano come lo scudo della Banca centrale sia fondamentale per rendere il debito pubblico sicuro, quindi appetibile, quindi a buon mercato.

Dal canto suo, l’Italia ha riaperto il dibattito per l’emissione di titoli sovrani europei[3], oggi definiti anche come Coronabonds, condivisi per finanziare le spese straordinarie che gli Stati Membri stanno e dovranno sostenere. Una proposta che ha incontrato il favore anche della Spagna e soprattutto della Francia.

Storicamente, gli Eurobonds risalgono alla presidenza della Commissione Europea di Jacques Delors, in quanto strumento per finanziare grandi progetti comuni europei.

Ai tempi della crisi finanziaria del 2008, una parte della dottrina economica nonché dei paesi del Sud Europea riprendono l’idea di titoli comuni europei per avviare un processo di mutualizzazione  dei debiti sovrani nazionali. Una proposta che non ha incontrato il favore degli Stati del Nord Europa a basso debito e soprattutto con una tradizione culturale che tende a considerare l’elevato debito pubblico una colpa che grava non sui governi che l’hanno contratto, ma sull’intero Paese debitore[4].

Oltre agli Eurobonds, un’altra proposta in campo prevede l’impegno della Banca Europea per gli Investimenti[5] ad emettere bond a lungo termine. Una raccolta da utilizzare in due tranche con obiettivi e regole distinti.

La prima tranche dovrebbe finanziare gli interventi nazionali per fronteggiare l’emergenza sanitaria e i suoi effetti su imprese e famiglie, e vedrebbe ogni Stato membro impegnato nel servizio del debito per la quota da esso utilizzata. Quindi, la BEI non si assumerebbe alcun rischio circa il rifinanziamento del debito sebbene faccia da garante, abbassando gli oneri di interesse e ponendo una lunga scadenza sui bonds.

La seconda tranche dovrebbe finanziare un grande piano comune, gestito dalla Commissione, che sostenga la ripresa economica. Un piano di investimenti che darebbe sostanza gambe concrete al Green Deal della Commissione, guidando la ricostruzione post Covid-19 e fornendo un contributo decisivo alla crescita per tutti i Paesi dell’area.

Il prossimo 7 aprile si terrà una riunione dell’Eurogruppo, consiglio informale dei ministri dell’Economia e delle Finanze dei 14 Stati che adottano l’Euro, per decidere quale risposta adottare a livello europeo.

Berlino e Parigi pare si presenteranno con una posizione comune circa un Meccanismo Europeo di Stabilità versione leggera. Strumento subito accessibile ma che aumenta il debito pubblico dei Paesi che lo richiedono, e che si accompagna agli strumenti già preannunciati e decisi dalla BEI e dalla Commissione Ue con il fondo SURE (Support Unemployment Risks Emergency) per la disoccupazione[6].

A tal proposito, vale la pena ricordare che il Meccanismo Europeo di Stabilità è un’organizzazione intergovernativa[7] con sede a Lussemburgo che emette prestiti per fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell’Eurozona in difficoltà, in cambio di condizionalità nelle politiche economiche. Attivo dal luglio 2012, ha una dotazione di 650 miliardi.

Invece, gli Eurobonds potrebbero essere una base per un salto di qualità dell’Unione Europea. Tuttavia, non è credibile ipotizzare un rapido cambio di passo dei paesi del Nord Europa. Per cui, vi sono in campo proposte su Coronabonds quale titolo di debito comune europeo istantaneo e limitato nel tempo: emesso da un nuovo fondo o tramite MES, ma senza condizionalità, senza scadenza.

 

Le risposte al Covid-19 dell’Unione Europea

Oltre alle discussioni sui futuri provvedimenti da adottare, si devono ricordare gli impegni già assunti da alcune istituzioni dell’Unione Europea.

Dopo un’iniziale indecisione che ha causato il panico nei mercati, la BCE ha rinnovato fino alla fine dell’anno gli acquisti di titoli sui mercati per un totale di 870 miliardi di euro (120 miliardi decisi il 12 marzo e 750 miliardi decisi il 19 marzo). Le scelte di politica monetaria hanno due effetti: tengono bassi i rendimenti obbligazionari, ossia il costo del servizio del debito, e assicurano ai governi più deboli che le loro obbligazioni vengano acquistate sui mercati[8].

Tuttavia, la BCE non può finanziare direttamente gli Stati, essendo vietato dai Trattati, ma può acquistarne i titoli di Stato sul mercato secondario. Questo significa che per ottenere il sostegno della BCE, gli Stati devono avere accesso al mercato per emettere i titoli pubblici. Gli acquisti della BCE consentono ai Paesi più indebitati di andare in deficit senza conseguenze sugli spreads.

Dal canto suo, la Commissione Europea ha autorizzato la spesa pubblica in deficit, applicando una clausola d’emergenza del Patto di Stabilità. Inoltre, ha lanciato un piano di aiuti da 37 miliardi di euro. Al contempo, ha liberalizzato nel biennio 2020-2021 l’uso dei fondi strutturali permettendo trasferimenti di risorse tra settori e tra regioni e dando la possibilità di ridurre a zero il tasso di co-finanziamento nazionale.

Inoltre, la Commissione Europea ha deciso di liberalizzare le regole sugli aiuti di Stato, permettendo ai governi oltre alla spesa in deficit anche di aiutare settori e aziende in difficoltà. Misure per oltre 2200 miliardi di euro.

Infine, la Commissione Europea ha annunciato che intende raccogliere denaro sui mercati finanziari per un totale di 100 miliardi di euro da prestare ai governi a condizioni favorevoli per finanziare gli schemi nazionali di cassa integrazione per evitare licenziamenti di massa. Nel frattempo, il Meccanismo europeo di Stabilità è pronto a concedere linee di credito nazionali pari al 2% del prodotto interno lordo di un paese, riducendo al minimo le condizionalità economiche.

Inoltre, la Banca Europea degli Investimenti ha annunciato la creazione di un fondo dotato di garanzie pubbliche pari a 25 miliardi di euro in modo da sostenere le imprese europee con almeno 200 miliardi di euro, tutti dedicati alla ripresa economica post crisi sanitaria. Si tratta di un’operazione aggiuntiva rispetto ai 40 miliardi annunciati qualche settimana fa.

Infine, non occorre dimenticare che in discussione c’è ancora il finanziamento del nuovo bilancio europeo 2021-2027 le cui trattative sono ancora in corso sin dall’insediamento della Commissione Europea da novembre 2019[9].

 

Conclusioni

 In conclusione, è bene ricordare che il debito pubblico costituisce una forma di finanziamento del disavanzo. Tuttavia, nell’Unione Europea vige il principio del bilancio in pareggio. Tale visione significa ritenere il debito pubblico una forma di finanza straordinaria.

Se fosse una ordinarietà, ogni sua emissione dovrebbe risultare sostenibile e, quindi, la condizione economica necessaria per il rimborso sarebbe soddisfatta. Inoltre, si consideri quanto il debito pubblico sia l’unica forma di finanziamento del disavanzo in grado di intervenire in presenza di oggettivi fallimenti del mercato e di crisi rapide e improvvise

In breve, si deve ritornare a considerare il debito come uno strumento di politica economica e non un obiettivo. Chiaramente, un tale cambiamento implica un cambio di paradigma economico da perseguire nonché di strategia da attuare. Nel caso europeo, la politica monetaria dovrebbe avere una qualche legittimazione democratica, coinvolgendo il Parlamento Europeo.

Inoltre, si dovrebbe ragionare, in virtù degli Eurobonds, su un meccanismo per ripagare i debiti direttamente all’interno dell’Eurozona. Tuttavia, ciò presuppone un’unione fiscale per l’assicurazione e la riduzione dei rischi.

In sostanza, si tratta della dinamica degli Stati federali: le obbligazioni di un futuro governo federale potrebbero essere acquistate dalla Banca Centrale, mentre il debito degli Stati, non essendo più sovrano, potrebbe essere rinegoziato[10]

[1] Per maggiori dettagli: https://www.ft.com/content/c6d2de3a-6ec5-11ea-89df-41bea055720b

[2] Per maggiori dettagli, consultare il sito della Banca Centrale Europea ai seguenti link: https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2019/html/ecb.pr190912~19ac2682ff.en.html

https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2019/html/ecb.pr190606~d1b6e3247d.en.html

[3] Emissioni comuni di debito tra i Paesi dell’area euro. L’idea è quella di spalmare il rischio tra i 17 Stati membri dell’area euro in modo da far scendere i rendimenti dei Paesi periferici. La proposta prevede la creazione di un’agenzia europea del debito incaricata di coordinare le emissioni. Prima di arrivare a una vera e propria unificazione dei debiti, una versione più limitata degli eurobond è il cosiddetto redemption fund (Erf), un fondo di riscatto dei debiti che prevede di mettere in comune solo la parte di debito pubblico nazionale che eccede il 60% in rapporto al Pil. In questo modo tutti i Paesi membri dell’Eurozona si ritroverebbero con un debito pari o inferiore al 60% del Pil, con l’adozione di leggi nazionali destinate a impedire che la soglia venga di nuovo superata.

[4]Schuld” in tedesco significa sia debito che colpa.

[5] Per maggiori dettagli, consultare: https://www.eib.org/en/about/initiatives/covid-19-response/index.htm

[6] Per maggiori dettagli, consultare: https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/economy_en

https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/communication-coordinated-economic-response-covid19-march-2020_en.pdf

[7] Per maggiori dettagli, consultare: https://www.esm.europa.eu/assistance/lending-toolkit#lending_toolkit

https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/20180427_esm_mou.pdf

https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/com-esm_cooperation.pdf

[8] Per maggiori dettagli sul Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), consultare: https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2020/html/ecb.pr200318_1~3949d6f266.en.html

https://www.ecb.europa.eu/mopo/implement/pepp/html/index.en.html

[9] Per maggiori dettagli, approfondire su: https://www.affarinternazionali.it/2020/02/bilancio-pluriennale-il-vero-ostacolo-sul-futuro-dellue/

[10]  Longobardi E. e Pedone A., Il debito pubblico dell’euro dopo la crisi: ipotesi di ristrutturazione, procedure di insolvenza, prospettive (deboli) di unione fiscale, Conferenza “Inside Public Debt: Ethical Arguments againist Defaults, Università La Sapienza, Roma, 2016

Marco Di Domenico

Dottore in Studi Internazionali presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale". Appassionato di politica ed economia internazionale.

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