venerdì, Aprile 19, 2024
Fashion Law Influencer Marketing

La democratizzazione della moda

1. La lente storica: le Bambole Pandora e manichini, una prima forma di “democratizzazione” della moda

Per poter analizzare la questione democratica, correlata al mondo della moda, è necessario porre in essere un breve approfondimento dal punto di vista “storico”. Per circa 4 secoli, la classe nobile, assumeva nei propri palazzi sarti che, al fine di riprodurre gli ultimi capi di tendenza, si servivano delle cd. bambole di moda, ossia manichini in miniatura che avevano le fattezze di nobili famiglie da cui il sarto aveva ricevuto l’importante incarico riprodurre gli elaborati copricapi del XV secolo, utilizzando, a tal fine, le sete più in voga del momento, e le silhouette in stile impero della fine del Settecento. Il “figurino di moda”, illustrava nei dettagli, lo stile di abbigliamento più appropriato rispetto a specifiche circostanze del nobile, spesso dovute alla propria conformazione fisica. Collocando la questione storicamente, secondo John L. Nevinson[1], un famoso studioso del costume, l’illustrazione della moda inizierebbe proprio tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo e, in origine, sarebbe servita – soprattutto – a far conoscere l’identità di una persona, proprio in base a ciò che indossa. L’abito era dunque appariscente e attirava l’attenzione del popolo, richiamando la posizione sociale di chi lo indossava  e identificandone la professione. 

Solo durante il regno di Luigi XIV di Francia, nasce la moderna industria della moda, con la quale vengono cuciti degli abiti ad hoc per una determinata persona, in una determinata ora del giorno, in un’occasione speciale o per uno scopo specifico. Con la Rivoluzione Francese poi,  e l’ascesa della borghesia capitalista, si è posto parzialmente fine a questi eccessi, dando vita a quel processo di democratizzazione che avrebbe portato a una certa uniformità nell’abbigliamento.

2. La lente sociologica
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È bene, inoltre, comprendere la tematica della democratizzazione della moda, facendo ricorso ad una finestra sociologica, ove si prende in considerazione il famoso saggio del sociologo tedesco Georg Simmel che in “ La moda”, edito nel 1910, affermava attraverso la cd.  teoria del “trickle down”, un concetto che si rivelerà, secondo alcuni critici letterari, “una profezia”.
L’idea del sociologo Simmel infatti si basava sui modelli comportamentali, sostenendo che questi ultimi hanno una evoluzione a partire dalle classi più facoltose , a quelle piu’ umili. Così, sosteneva lo stesso Simmel, che “La moda è un fenomeno complesso che coinvolge tutte le società contemporanee”,e che per tali ragioni fosse necessario ricollegarla a quei bisogni di natura sociale e psicologica propri dell’essere umano. Essa si caratterizza proprio per la sua vulnerabilità, è sempre in continuo divenire, ed è proprio per questo che è come se fosse scaglionata da due movimenti simultanei: l’imitazione e la distinzione. Gli individui cercano emulare un determinato modello ma nello stesso tempo sentono la necessità di coglierne le diversità e di creare un distacco rispetto a ciò che risulta essere scontato e comune. Il modo di vestire e di mostrarsi  dunque, soddisfa una necessità primaria di  prendersi cura proprio corpo, il bisogno sociale di appartenenza a un gruppo sociale emerge proprio da ciò che si indossa. Nella la finestra super cool di Instagram oggi, riusciamo a far rientrare a pieno,  l’individuo descritto da Simmel, che sente l’esigenza di differenziarsi dalla società ma allo stesso tempo avverte  il bisogno di esaltare la partecipazione a quella stessa società. Per “profezia” si intende proprio questo, anticipare un concetto contemporaneo.

3. L’illusione della democratizzazione

Alla teoria di Simmel, però, si contrappone il pensiero di chi sostiene che la moda non è affatto democratizzazione e, di seguito, ne capiremo le ragioni. Per farlo, risulta necessario partire da un concetto specifico, scomodando il concetto gramsciano di egemonia. Secondo Gramsci, l’egemonia è l’esasperazione del consenso (che si ottiene tramite la persuasione) al fine di aderire a un certo progetto politico e culturale. Ne consegue che l’eccesso di consenso, la forza avranno come risultato il potere e il potere, in questo senso, è moda. Nello specifico si evince un potere duplice :  sull’ordine simbolico – stabilendo cosa va “di moda” è in grado di imporre gerarchie di valori – ma è soprattutto economico. “La moda è l’iceberg del sistema consumistico,  ne consegue che senza il privilegio, non esisterebbe nemmeno. Quando ci chiediamo se la moda è diventata democratica, non possiamo ignorare il fatto che milioni di lavoratori vengono sfruttati per produrre gli abiti che indossiamo, senza distinzione della provenienza, che sia da mercato o da  brand più prestigiosi. 

4. Il connubio naturale tra moda e democrazia


C’è chi invece sostiene che la moda è democratica per natura. Ad affermarlo è la giornalista Giusi Ferré sottolineando, inoltre, che nel libro “L’impero dell’effimero” di Gilles Lipovetsky, volume che tratta il rapporto fra moda e democrazia[3], nei regimi dittatoriali non esiste la moda; la moda è espressione di libera scelta quindi è espressione di democrazia. Andando a riprendere questa pubblicazione si può leggere una nota interessante.

La moda, dunque, oggi è aperta a tutti. Ognuno ha la possibilità di partecipare alle sfilate dell’alta moda in diretta streaming, oppure talvolta si puo’ scegliere un capo e acquistarlo in diretta. Le grandi griffe applicano, infatti, sconti online che sarebbero impensabili nei punti di vendita. È consapevolezza comune che sul web si compera proprio in virtù degli sconti che si trovano applicati a qualsiasi categoria di prodotto, anche per le più prestigiose maison. 
5.Il carattere distintivo del web

Accanto al ping-pong della democratizzazione si e democratizzazione no, c’è un denominatore comune fondamentale su cui spendere qualche riga: il web. Sicuramente, l’avvento della tecnologia e l’importanza della rete hanno rivoluzionato la moda, trasformandola da mondo elitario a mondo accessibile per tutti.
Il web è uno dei fattori responsabili del processo di democratizzazione della moda. Gli attori principali del settore, si sono trovati costretti a mutare il loro modus operandi e a mettersi al passo con i tempi.  Emblema di questa metamorfosi è proprio la fashion blogger, ragazze (quasi) della porta accanto che completano il triangolo perfetto della globalizzazione, democratizzazione e tecnologia. Non più celebrità irraggiungibili bensì persone comuni: è proprio questo il segreto del loro successo. Questo cambiamento ha reso la moda più “democratica”, svestendola delle sue abitudini più elitarie e ricamandole addosso costumi più semplici, tessuti anche sull’opinione del pubblico.

6. La Fast Fashion: brevi cenni

Infine, dedicando qualche attimo alla Fast Fashion, ovvero, come dice l’etimologia della parola stessa, alla  “moda rapida[4] è bene precisare che si tratta di una modalità di gestione della catena di distribuzione, da parte delle aziende di moda, basata sulla possibilità di catapultare i modelli di abiti ed accessori di haute couture dalle passerelle agli stand delle grandi catene di moda low cost, offrendo una democratizzazione dell’alta moda delle Fashion Weeks. I capi dei più importanti stilisti del mondo vengono rivisitati dai designers delle aziende di abbigliamento low cost, per essere offerti ad una vasta gamma di pubblico ed indossati anche da chi, non potrebbe mai permettersi un capo griffato. Da questo punto di vista, la tendenza commerciale del Fast Fashion è una vera rivoluzione democratica della moda dalle ripercussioni senz’altro positive per i consumatori: come chi non può permettersi un quadro d’autore, ma gode della possibilità di ammirarne un poster o una riproduzione in casa propria, allo stesso modo chi non ha la possibilità (o l’intenzione) di investire in un capo firmato dal valore notevolmente elevato può finalmente sentirsi parte di quell’incantato mondo di alta moda e passerelle, indossando con soddisfazione un capo di tendenza, ispirato a quelli dei grandi fashion designers, ad un costo accessibile[5].
Si può realmente parlare di moda “al momento” proprio perché l’intervallo di tempo che intercorre tra la progettazione del modello da parte del designer dell’azienda fino all’acquisto del prodotto negli store,  è estremamente breve, di appena poche settimane. E’ esattamente la rapidità il concept di base del Fast Fashion: nell’arco di pochi giorni, un capo griffato avvistato in passerella dai cacciatori di tendenze assunti dalle aziende di moda, può essere replicato in una forma liberamente ispirata (o, talvolta, solo lievemente modificata) ed inserito in una delle numerose collezioni che circa ogni due settimane si susseguono nei negozi di moda low cost, ad un prezzo accessibile, talvolta promozionale, spesso scontato. I rinnovi delle collezioni sono rapidissimi, tanto da non lasciare troppo spazio a quel lungo processo di riflessione e valutazione che solitamente precede lo shopping.

Note:

[1] Blog doxee, Il fashion marketing: comunicare è storia antica, disponibile su https://www.doxee.com/it/blog/marketing/il-fashion-marketing-comunicare-la-moda-e-storia-antica/

[2] J.Guerra, Perché la moda non può essere democratica, The Vision, disponibile su https://thevision.com/attualita/democratizia-moda/;

[3] S.Buffo, La moda è espressione di democrazia con il web, MarkUp Lab, disponibile su https://www.mark-up.it/la-moda-e-democratica-con-il-web/amp/

[4] M.Lupoli,Fast Fashion, luci ed ombre della moda low cost, disponibile su http://www.psicomoda.it/2017/10/la-verita-vi-prego-sul-fast-fashion-moda-low-cost-shopping-aziende-haute-couture-passerelle-negozi-store-abbigliamento-accessori-segreti-luci-ombre-psicologia-consumatori-cool-hunters-acquistare-comprare-desiderio-ecosostenibilita-vintage.html

[5] In tal senso, Palazzetti Mazzi, Artificial Intelligence and the challenges of the fashion industries, Ius In Itinere, disponibile su https://www.iusinitinere.it/artificial-intelligence-and-the-challenges-of-the-fashion-industries-29023

Silvia Liparuli

Silvia Liparuli nasce ad Anzio il 10 Giugno del 1994.   Mossa da una grande passione per i bambini, nel 2013 consegue il diploma socio-psicopedagogico presso il Liceo "Alessandro Manzoni" di Latina. Crescendo però, accanto alla passione per i bambini, si rende conto che vive in lei una dedizione che la rende ancora più viva: il diritto. Ben presto le  origini dei nonni la riporteranno nel territorio campano, cosi' decide di iscriversi  al corso di laurea magistrale in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi del Sannio, conseguendo il diploma di laurea il 18 marzo 2020 con tesi in diritto del lavoro.  A seguito del conseguimento del titolo del diploma di laurea ha deciso di svolgere il Tirocinio ex art 73 d.l. 69/2013 presso il Tribunale Penale di Benevento e di continuare ad occuparsi anche del ramo civilistico, con il focus giuslavoristico, grazie all'esperienza della pratica forense.  Scrive articoli di approfondimento per l’area “Fashion Law” della rivista giuridica online “Ius in itinere”. Email: silvialiparuli940@libero.it

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