La deportazione del popolo Rohingya e la competenza della Corte Penale Internazionale
Il 6 settembre 2018, su richiesta dell’Ufficio del Procuratore, la Camera Preliminare I (CP) della Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso una decisione in cui riconosce la giurisdizione sulla deportazione del popolo Rohingya dal Myanmar al Bangladesh, sebbene il primo non sia uno Stato membro dello Statuto di Roma[1].
Nella pronuncia la CP chiarisce di non toccare il merito delle circostanze fattuali prese in esame dal Procuratore. Si tratta invece di risolvere una questione di diritto[2], che presenta elementi di una certa problematicità.
Il ricorso all’art. 19(3) Statuto
Innanzitutto, è necessario analizzare la procedura seguita per l’ottenimento della pronuncia, che si configura come una decisione sulla giurisdizione ex art. 19(3) Statuto. La rubrica e il testo dell’art. 19 fanno espresso riferimento a contestazioni della giurisdizione o dell’ammissibilità di un caso[3], da intendersi come un procedimento nei confronti di un soggetto determinato cui vengono ascritti fatti specifici a seguito delle indagini svolte dall’Ufficio del Procuratore[4]. Tuttavia, il Procuratore subordinò espressamente nella sua richiesta un’eventuale apertura delle indagini preliminari (preliminary examination) alla pronuncia positiva sulla giurisdizione[5].
E’ rilevante ricordare che per avviare le indagini proprio motu, il Procuratore necessita di un’autorizzazione in tal senso da parte della Camera Preliminare che potrà fare una prima analisi (non vincolante) sulla giurisdizione della CPI sul caso (art. 15(4) Statuto[6]). Spetterà poi all’accusa verificare la sussistenza di un ragionevole fondamento per ritenere che un crimine di competenza della Corte sia stato commesso e aprire un’inchiesta (investigation) (art. 53(1)(a) Statuto[7]). Dunque, il Procuratore avrebbe potuto seguire questo iter statutario senza stimolare l’emissione di una controversa preliminare delibera sulla giurisdizione.
Infatti, mentre la richiesta del Procuratore sembrerebbe inserirsi in una fase precedente le preliminary examinations, la Camera Preliminare specifica che le indagini preliminari iniziano dal momento in cui il Procuratore comincia ad analizzare le informazioni ricevute, come nel caso di specie[8]. Inoltre, nella sua opinione parzialmente dissenziente, il giudice Perrin de Brichambaut critica tale prematuro ricorso all’art. 19 che si configura come un avviso consultativo che la Corte non può emettere[9]. Essa è certamente competente per determinare i limiti della sua competenza ex art. 119 Statuto (principio della Kompetenz-Kompetenz), ma ciò deve comunque essere fatto nel rispetto delle disposizioni statutarie e, in particolare, dell’art. 19 Statuto. E’ criticabile quindi che la CP non ritenga di doversi attenere alle condizioni espresse nell’art. 19, giustificandosi alla luce dell’art. 119[10].
La deportazione nel diritto penale internazionale
Un secondo aspetto rilevante è il ragionamento che portò la Corte a riconoscere la giurisdizione sui fatti allegati. I giudici considerano la fattispecie dell’infrazione di deportazione costitutiva di un crimine contro l’umanità (art. 7(1)(d) Statuto).
Tale infrazione presuppone un elemento di coercizione che causi lo spostamento delle vittime da un luogo dove si trovano lecitamente. Questa imposizione deve essere illecita e deve mancare il consenso delle vittime[11]. La CPI distingue la deportazione dal trasferimento forzato di persone: la prima implica uno spostamento imposto dallo Stato in cui i soggetti si trovano legalmente ad un altro. Il trasferimento forzato avviene invece in un luogo all’interno dello stesso Stato[12].
In generale, la competenza rationae loci della Corte è innescata se la condotta criminosa si produce nel territorio di uno Stato parte[13]. Per la CP è però sufficiente che un elemento del crimine o parte del crimine venga commesso nel territorio di uno Stato membro[14]. Nel caso in esame, nonostante i mezzi coercitivi siano stati messi in opera in Myanmar, secondo la CP I è il passaggio del confine con il Bangladesh a rilevare per la parziale realizzazione del crimine sul territorio di uno Stato parte, il Bangladesh appunto. La natura necessariamente transnazionale di questa infrazione ben si presta a tale ragionamento, che la Corte estende anche agli altri crimini di sua competenza, qualora un loro elemento si produca sul territorio di uno Stato membro. La CPI fa l’esempio della persecuzione (art. 7(1)(h) Statuto), in quanto intrinsecamente collegata ad almeno un’altra infrazione costitutiva di crimine contro l’umanità (nel nostro caso, la deportazione), commesso contro uno specifico gruppo identificabile su base politica, etnica, raziale, religiosa, nazionale, culturale o di genere.
Ci si può chiedere se il semplice attraversamento di un confine sia sufficiente per attivare la giurisdizione della Corte, a prescindere dal luogo in cui si commise la parte più consistente del reato.
La cooperazione degli Stati terzi con la CPI
Si noti anche che, a fronte di queste estensioni della competenza della Corte, vi saranno inevitabili difficoltà di cooperazione tra la CPI e gli Stati terzi (il Myanmar), soprattutto qualora la parte più rilevante del crimine fu commessa sul territorio di uno Stato non membro. I casi di mancata assistenza giudiziaria da parte di Sudan e Libia ne sono un chiaro esempio e le prime resistenze da parte del Myanmar sono già state fatte valere[15]. Più nello specifico, un aspetto di particolare rilievo è il rifiuto di consegnare individui cittadini di Stati non membri dello Statuto di Roma. Rievocando la fortunata immagine di Antonio Cassese, la Corte, come un gigante senza braccia, dipende dal supporto della forza pubblica statale per poter esercitare la sua giurisdizione sugli individui oggetto di un mandato d’arresto. In caso di mancato arresto o trasferimento di fronte ai giudici dell’Aia, un procedimento in absentia sarà impossibile. L’esercizio della giurisdizione della CPI rispetto a Stati terzi ha dunque un esito spesso incerto.
Per concludere, a seguito della pronuncia sulla giurisdizione della Camera Preliminare, il Procuratore Fatou Bensouda decise il 18 settembre di aprire un’indagine preliminare[16]: ci si può interrogare sulla sorte di eventuali future contestazioni della giurisdizione ex art. 19(4) Statuto per esempio da parte di individui accusati o di Stati.
[1]ICC-RoC46(3)-01/18, Decision on the “Prosecution’s Request for a Ruling on Jurisdiction under Article 19(3) of the Statute”, CP I, 6 settembre 2018.
[2]ICC-RoC46(3)-01/18, cit., §50.
[3] Articolo 19: Challenges to the jurisdiction of the Court or the admissibility of a case 1. The Court shall satisfy itself that it has jurisdiction in any case brought before it.
[4]ICC-01/04-101-tEN-Corr, Situation in the Democratic Republic of the Congo, Decision on the application for participation in the proceedings of VPRS1, VPRS2, VPRS3, VPRS4, VPRS5 E VPRS6, CP I, 17 gennaio 2006: “Cases, which comprise specific incidents during which one or more crimes within the jurisdiction of the Court seem to have been committed by one or more identified suspects, entail proceedings that take place after the issuance of a warrant of arrest or a summons to appear”.
[5] Art. 15(3) Statuto.
[6] If the Pre-Trial Chamber, upon examination of the request and the supporting material, considers that there is a reasonable basis to proceed with an investigation, and that the case appears to fall within the jurisdiction of the Court, it shall authorize the commencement of the investigation, without prejudice to subsequent determinations by the Court with regard to the jurisdiction and admissibility of a case.
[7] The Prosecutor shall, having evaluated the information made available to him or her, initiate an investigation unless he or she determines that there is no reasonable basis to proceed under this Statute. In deciding whether to initiate an investigation, the Prosecutor shall consider whether: (a) The information available to the Prosecutor provides a reasonable basis to believe that a crime within the jurisdiction of the Court has been or is being committed.
[8] ICC-RoC46(3)-01/18, cit., §82: The Chamber wishes to highlight that the statutory documents of the Court do not envisage a pre-preliminary examination stage.
[9] Si vedano l’opinione parzialmente dissenziente del giudice Brichambaut, https://www.icc-cpi.int/RelatedRecords/CR2018_04205.PDF , §§ 33-4; in dottrina si veda, Dov Jacobs, ICC PTC issues advisory opinion (yes, yes) on ICC jurisdiction over Rohingya deportation, in Spreading the Jam, 6 settembre 2018, https://dovjacobs.com/2018/09/06/icc-ptc-issues-advisory-opinion-yes-yes-on-icc-jurisdiction-over-rohingya-deportation/.
[10] ICC-RoC46(3)-01/18, cit., § 28.
[11] Non per esempio nei casi in cui la forza pubblica può lecitamente imporre uno spostamento per motivi di sicurezza pubblica.
[12]ICC-RoC46(3)-01/18, cit., § 55.
[13] Art. 12(2)(a) Statuto.
[14] ICC-RoC46(3)-01/18, cit., § 64.
[15] Olivier Tallès, La Birmanie rejette l’ouverture d’une enquête par la CPI, 7 settembre 2018, https://www.la-croix.com/Monde/Asie-et-Oceanie/Cour-penale-internationale-pourra-enqueter-drame-Rohingyas-2018-09-07-1200967059.
[16] Si noti poi la confusione che sorge a fronte della precisazione fatta dalla Camera Preliminare I sull’estensione dell’inizio delle indagini preliminari già al momento della richiesta da parte del Procuratore di una pronuncia sulla giurisdizione, https://www.icc-cpi.int/Pages/item.aspx?name=180918-otp-stat-Rohingya.
Fonte immagine: www.farodiroma.it