giovedì, Aprile 18, 2024
Fashion Law Influencer Marketing

La Digital Chart: una prima regolamentazione dell’influencer marketing

La Digital Chart: una prima regolamentazione dell’influencer marketing

A cura della Dott.ssa Marlene Raco

 1. L’influencer marketing

Nell’ultimo decennio, con l’utilizzo sempre più frequente di internet, anche la pubblicità è cambiata.

Si afferma, sempre più, il fenomeno del digital marketing e dell’online-advertising, ossia dell’interazione strategica di vendita di prodotti e servizi che si svolge prevalentemente online attraverso canali web, socials e piattaforme e-commerce, con una conseguente rinnovazione anche del linguaggio e dei modi espressivi.

In particolare, i “fashion brands”, oltre alla creazione del proprio shop online e del commercio telematico (c.d. e-commerce), si sono affidati con sempre maggior frequenza all’Endorsement,  una forma di accreditamento utile in termini di visibilità, credibilità e reputazione[1]. Tra i soggetti coinvolti, oltre ai personaggi celebri, anche usati come testimonial (c.d. “celebrities“), negli ultimi tempi le aziende si sono avvalse sempre più dell’attività di soggetti che abbiano acquisito visibilità e credibilità presso il pubblico per le sue competenze in un certo campo (i c.d. “influencers“, come, ad esempio, i blogger o i vlogger), nonché gli utenti comuni (gli “users”) che esprimono nella rete la propria opinione o giudizio (i c.d. “user generated content“).

I social networks si sono rivelati uno strumento molto efficace per raggiungere, in breve tempo, un pubblico vastissimo di potenziali acquirenti grazie all’immediatezza del messaggio che trasmettono e al fatto che calano l’attività promozionale nella vita di tutti i giorni.

Si pensi ad esempio alla promozione di un capo di abbigliamento indossato nella quotidianità della celebrity. Tra tutti, le piattaforme più utilizzate per tali forme di accreditamento sono rappresentate dalla applicazione di Instagram, Youtube e, recentemente, TikTok.

Attraverso l’ applicazione di Instagram gli utenti possono condividere, attraverso il loro profilo, sia i “feeds”(ossia la pubblicazione di una foto o di un video (c.d. “post”) oppure le “stories”, ossia una breve sequenza di immagini e video dal carattere quotidiano: infatti contenuti delle storie possono essere soltanto quelli registrati in diretta, o comunque realizzati nelle ventiquattro ore precedenti la pubblicazione.

Trascorso tale lasso di tempo il contenuto scompare dal newsfeed del social network e quindi non è più visibile al pubblico.

Lo scopo pubblicitario può essere reso evidente attraverso l’indicazione della “partnership” in collaborazione con il brand, indicata direttamente nel post, oppure nelle stories, dove l’influencer con un seguito di almeno 10.000 followers può allegare il link diretto al sito tramite la funzione “swipe up[2].

Youtube rappresenta, invece, una piattaforma di condivisione video con meccanismi di descrizione e indicizzazione diversi da quelli dei social networks, essendo dedicato maggior spazio al video rispetto alle didascalie che possono accompagnarlo.

Nonostante le caratteristiche molto peculiari sotto il profilo relazionale, di immagine e di reputazione del settore della moda che lo distinguono rispetto ad altri settori, questa fetta del digital marketing, in un primo momento, era stato regolamentato soltanto attraverso il codice del consumo e il d. lgs n. 145 del 2007.

2. La Digital Chart

Lo strumento della pubblicità è regolato dal d. lgs. N. 206 del 2005 (Codice del Consumo) con riferimento alle pratiche commerciali scorrette nei confronti di consumatori, dal d.lgs. n. 145 del 2007, quanto alla pubblicità ingannevole e comparativa e dall’art. 2598 del codice civile per quanto concerne la concorrenza sleale.

Secondo quanto previsto dal codice del consumo, che prevede una tutela particolarmente ampia per i consumatori affidata all’ Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), si definisce pratica commerciale scorretta “qualunque azione, omissione, condotta e dichiarazione commerciale, ivi compresa la pubblicità, indipendentemente dal fatto che essa sia posta in essere prima, durante o dopo un’operazione commerciale relativa al prodotto[3].

In tale definizione rientrano, dunque, tanto azioni non corrispondenti al vero quanto azioni veritiere ma suscettibili di trarre in inganno il consumatore; ancora, rientrano le omissioni di comunicazioni utili per le scelte di acquisto (ad esempio l’assenza di un prezzo disponibile in maniera immediata) o messaggi che non rivelano la loro natura commerciale (c.d. pubblicità occulta).

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è, altresì, investita del potere di reprimere le violazioni del d.lgs. 145 del 2007 il cui obiettivo principale è tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali. All’interno del suddetto provvedimento normativo sono infatti contenuti i principi generali a cui devono attenersi le comunicazioni pubblicitarie: le stesse devono essere palesi, veritiere, corrette e non ingannevoli.

Tanto il Codice del Consumo, quanto il d.lgs. 145/2007, prevedono, tuttavia, la possibilità di rivolgersi anche ad organismi volontari e autonomi di disciplina.

Nell’ambito del settore pubblicitario, la maggior parte delle società interessate hanno infatti aderito all’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), accettando, dunque, di rispettare il relativo Codice di Autodisciplina Pubblicitaria (C.A.). Le competenze e i poteri dello IAP che agisce soprattutto attraverso il Giurì e il Comitato di Controllo, si distinguono nettamente da quelli attribuiti all’ AGCM.

In primo luogo, lo IAP è vincolante per aziende che investono in comunicazione e mezzi di diffusione, nonchè per coloro che lo abbiano sottoscritto attraverso la propria associazione, o mediante la conclusione di un contratto di inserzione pubblicitaria, accettando di sottoporsi al Codice di Condotta.

Inoltre, diversamente dall’AGCM che ha il potere di irrogare sanzioni pecuniarie, lo IAP è competente soltanto  a bloccare la campagna pubblicitaria ed a ordinare la pubblicazione della pronuncia attraverso gli organi di informazione indicati dal Giurì.

L’Istituto di Autodisciplina interviene inoltre nella pubblicità online attraverso testi autodisciplinari[4] e, dal 2015, l’Istituto anche in materia di OBA (Online Behavioural Advertising), strumento che permette di mostrare al singolo utente messaggi diversi a seconda delle sue abitudini di navigazione.

Venendo ora ad esaminare, più da vicino, il fenomeno dell’Influencer Marketing, deve rilevarsi che i primi smussamenti verso una sua regolamentazione risalgono al 2016 quando l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, garante di una corretta comunicazione commerciale digitale e di una pubblicità “onesta, veritiera e corretta[5], è stato integrato con la Digital Chart fornendo un primo imput a tutela della trasparenza anche nella comunicazione  commerciale digitale.

La Digital Chart è un documento che racchiude le linee guida indirizzate e criteri di trasparenza della comunicazione commerciale indirizzati agli operatori commerciali nonché agli utenti del e-commerce al fine di distinguere i contenuti a scopo pubblicitario, primi fra tutti quelli realizzati dai c.d. influencers, da quelli a uso comune.

Obiettivo della Digital Chart è quello di svolgere una ricognizione sulle più diffuse forme di comunicazione commerciale nella Rete e nel mondo digitale in genere, e di fissare criteri per la riconoscibilità della  comunicazione commerciale[6].

Il rinvio alla Digital Chart è contenuto altresì nello stesso Codice IAP all’ art. 7 da sempre dedicato al tema della riconoscibilità del messaggio pubblicitario, per l’occasione opportunamente modificato con l’integrazione che così recita: “Per quanto riguarda talune forme di comunicazione commerciale diffuse attraverso internet, i principali idonei accorgimenti sono indicati nel Regolamento Digital Chart[7].

Con l’occasione, pur non esistendo una definizione di “influencer” a livello giuridico, l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria ne ha circoscritto l’individuazione riferendosi a quei sono “soggetti che hanno la capacità di influenzare i consumatori nella scelta di un prodotto o nel giudizio su un brand. Si tratta di soggetti che hanno acquisito particolare prestigio e autorevolezza per l’esperienza e la conoscenza maturata in un certo ambito o settore, come ad esempio noti blogger che hanno online un largo seguito di pubblico (followers).”  

Recentemente, dal 29 aprile 2019, le suddette linee guida, un punto di riferimento per gli operatori del digitale e, in primis nell’ambito dell’influencer marketing, sono state inserite in un apposito provvedimento denominato, in breve, “Regolamento Digital Chart”. Esso costituisce oggi parte integrante del Codice IAP al cui rispetto sono tenuti tutti coloro che direttamente o indirettamente aderiscono al sistema autodisciplinare. Il “Regolamento Digital Chart” indica dunque per ognuna delle più diffuse forme di comunicazione commerciale digitale, quali l’endorsement da parte di influencer e celebrity, la pubblicità native, i social network, i siti di content sharing, l’in-app advertising e l’advergame[8], gli accorgimenti attraverso i quali il requisito della riconoscibilità richiesto dall’art. 7 del Codice si considera soddisfatto. Per ciascuna di queste forme sono indicate le diciture e gli hashtag da adottare.

In tutti i casi in cui sia realizzata una forma di comunicazione commerciale, lo stessa è soggetta all’applicazione di tutte le disposizioni del C.A. applicabili alla comunicazione commerciale offline e in particolare l’art. 4, relativo alle “Testimonianze”[9] e, per l’influencer marketing, l’art. 7 relativo al principio di trasparenza e riconoscibilità.

In particolare, l’ultima norma richiamata prevede alcuni accorgimenti finalizzati a rendere riconoscibile agli utenti la natura promozionale del contenuto espresso, attraverso l’inserimento in modo ben distinguibile, nella parte iniziale del contenuto, alcune diciture quali:

  • Per collaborazioni con brands: l’inserimento di appositi disclaimer posti nelle inquadrature di inizio o finali del vlog (ad esempio: “brand presenta…” o “in collaborazione con …brand”), o la presenza di dichiarazioni verbali nella forma e nel contenuto risulti coerente al proprio stile comunicazionale (titolo, argomento, tono, ecc.) ma che sia incentrato sul brand o sul prodotto dell’inserzionista; in particolare devono comparire diciture come Pubblicità /Advertising”, o “Promosso da … brand/Promoted by…brand” o “Sponsorizzato da…brand/Sponsored by…brand” o “in collaborazione con  …brand” o “in partnership with …brand”; e/o entro i primi tre hashtag (#) una delle seguenti diciture: “#Pubblicità/#Advertising”, o “#Sponsorizzato da … brand/#Sponsored by… brand ” o “#ad”unitamente a “#brand”
  • Product placement: l’inserimento di appositi disclaimer posti nelle inquadrature di inizio e di fine del post, ovvero in sovraimpressione in concomitanza con le inquadrature promozionali, o attraverso le dichiarazioni dell’influencer stesso all’interno qualora citi, utilizzi o inquadri il brand o un prodotto dell’inserzionista, o vi sia una parte esclusivamente dedicata alla promozione degli stessi,
  • Forniture gratuite o di modico valore: l’inserimento di un disclaimer verbale in premessa ad esempio: “Questo prodotto mi è stato inviato da.. brand”,) e/o un disclaimer ben leggibile ad esempio: “prodotto inviato da…brand” qualora l’influencer riceva occasionalmente dall’inserzionista gratuitamente o per un modico valore i prodotti dello stesso e questi li citi, li utilizzi o li inquadri nei propri video.[10]

La Digital Chart, inoltre, si occupa anche dei cosiddetti vloggercioè di quei soggetti che, condividono prodotti multimediali autoprodotti secondo un modello di comunicazione assimilabile all’uso dei blog da parte dei blogger.) Anche per questi soggetti, la Digital Chart individua degli accorgimenti volti ad assicurare che il fine promozionale sia reso noto all’utente con mezzi idonei (es. disclaimer posti all’inizio del video o in sovraimpressione).

Nel 2020 il Regolamento Digital Chart è stato ulteriormente modificato circa i contenuti cosiddetti “a scadenza”, quali per eccellenza le “Storie” di Instagram. Invero è stato imposto che “le diciture  (a titolo esemplificativo sempre: “brand presenta …”, oppure “in collaborazione con … brand”) debbano essere sovrapposte in modo ben visibile agli elementi visivi di ogni contenuto promozionale” al fine di contrastare la tendenza ad inserire #ad in caratteri piccoli e non percettibili e rivelare dunque la natura commerciale solo dopo aver costretto l’utente a cliccare su “altro” e a scorrere verso il basso lo schermo (introducendo spazi, puntini di sospensione solo per “rimandare” l’informazione). In tal modo, ove l’influencer realizzi contenuti temporanei accompagnato da un prodotto del brand dovrà indicare la natura commerciale per ogni contenuto promozionale. Da ultimo è stata altresì introdotta anche una precisazione circa i video in streaming: le avvertenze, anche verbali, devono infatti essere ripetute nel corso della trasmissione, per consentirne la percezione anche a chi non dovesse seguire il live dall’inizio.

3. Casi di violazione influencer marketing

Prima di passare alla disamina di alcune violazioni del Regolamento Digital Chart da parte di influencers e celebrities, è opportuno ripercorrere brevemente i rimedi giuridici previsti nel nostro ordinamento finalizzati alla denuncia della pubblicità ingannevole. In primo luogo, secondo la normativa a tutela dei consumatori e della concorrenza sleale, il soggetto può rivolgersi al Tribunale attivando un procedimento, anche cautelare, che tuttavia non sempre predispone una tutela immediata; in secondo luogo, ove il soggetto leso sia un consumatore, questi può rivolgersi al Garante della Concorrenza del Mercato; infine, l’ultimo rimedio è la denuncia allo IAP che, come sopra visto, può ordinare in un breve arco di tempo la rimozione del messaggio pubblicitario, con eventuale opposizione della impresa. Lo IAP non può irrogare sanzioni monetarie come il garante della concorrenza del mercato, potendo solo ordinare la rimozione messaggio pubblicitario.

Nella maggior parte dei casi il soggetto propende per il ricorso allo IAP, più proficuo in termini di celerità ed economicità. E’ possibile altresì inoltrare una richiesta di parere preventivo allo IAP sulla conformità o meno della pubblicità del codice di Autodisciplina. In questo modo il brand da un lato è in grado di comprendere se sia necessario modificare preventivamente il contenuto pubblicitario e, dall’altro, ove il messaggio sia conforme in prima istanza, il parere rappresenta una garanzia ulteriore di conformità

Affinchè il brand aderisca al codice dell’autodisciplina è necessario che lo stesso sottoscriva la clausola d’adesione IAP: invero, quando il brand stipula un contratto con terzi, nella specie un influencer, può inserire la clausola affinchè anche il terzo aderisca allo IAP. [11]

Venendo ora, nel dettaglio, alle ingiunzioni nei confronti di influencers [12], deve rilevarsi come la maggior parte di esse riguardava casi di post pubblicati su Instagram da un influencer o una celebrity, palesemente a contenuto pubblicitario sebbene mascherati dalle sembianze di un contenuto a carattere personale. La violazione delle disposizioni della Digital Chart è stata individuata nell’assenza dell’indicazione #ad (o altre analoghe, prevista dal regolamento) non essendo sufficiente la menzione del marchio o del tag volti ad evidenziare la natura pubblicitaria del contenuto.

La prima pronuncia emblematica da parte del Giurì in materia di influencer marketing attiene al mancato rispetto delle disposizioni della Digital chart avvenuta nel 2018 attraverso una Instagram Story[13].  Nel caso di specie le parti del rapporto contrattuale erano da un lato, la celebrity Federico Lucia (in arte Fedez) e, dall’altro lato, la casa produttrice Peugeot. Secondo l’oggetto del contratto il primo si sarebbe dovuto recare allo stand Peugeot per sponsorizzare le caratteristiche di un nuovo modello di auto nel corso degli Internazionali di Tennis in svolgimento in quel momento a Roma, di cui la casa automobilistica era sponsor ufficiale e creare dei contenuti digitali a tale scopo fare dei post.

La IG story in esame pubblicata dal cantante riproduceva alcune fotografie dello stesso allo stand della casa automobilistica con chiare ed evidenti riprese dei veicoli, del marchio nonché sè stesso nell’atto di provare uno dei suddetti veicoli e soddisfatto delle prestazioni. Tali riproduzioni, oltre ad essere state ricondivise nel formato del post da parte della Peugeot sono avvenute in assenza delle diciture contenute richieste dal Regolamento della Digital Chart finalizzate a rendere noto lo scopo pubblicitario delle IG Stories. A seguito di tale pubblicazione il Presidente del Comitato di Controllo ingiungeva, ai sensi dell’ art. 39 C.A[14] sia alla casa automobilistica che alla società Newtopia S.r.l. del cantante, di interrompere la diffusione del contenuto della IG story in quanto manifestamente contraria alle indicazioni contenute nell’ articolo all’art. 7 C.a.

La società Newtopia S.r.l. proponeva opposizione alla suddetta ingiunzione eccependo in primo luogo come la società non fosse vincolata dal codice di autodisciplina, non avendo aderito all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria[15]; in secondo luogo chiedeva la revoca dell’ingiunzione essendo ormai trascorse 24 ore e non essendo il contenuto più visibile; da ultimo  rilevava come la Story in questione non fosse oggetto del rapporto contrattuale trattandosi di un contenuto a carattere privato della celebrity pubblicato in occasione della sua visita agli Internazionali di Tennis e allo stand Peugeot. Stante anche la novità della questione, il Presidente del Giurì disponeva la convocazione di entrambe le parti avanti al Giurì dove la casa automobilistica sosteneva non solo la propria adesione allo IAP ma anche la conformità delle attività commerciali alla normativa autodisciplinare;  affermava inoltre di aver stipulato un contratto con l’artista (poi consensualmente risolto) avente ad oggetto alcune attività promozionali, inclusa  anche la pubblicazione sull’account Instagram della celebrity di foto, video e IG Stories, con la segnalazione di adeguati hashtag soggetti ad approvazione della stessa prima della pubblicazione, cosa mai avvenuta a detta della stessa. Al termine della stessa il Giurì, pronunciandosi unicamente nei confronti di Peugeot, riteneva il comunicato in contrasto con l’art. 7 C.a. in quanto la natura di comunicazione commerciale non era stata sufficientemente evidenziata[16].

A sottolineare l’importanza delle diciture contenute negli articoli della Digital Chart, si segnala altresì un’altra recente pronuncia del Giurì nei confronti dell’azienda Calzedonia S.p.a.[17] con riferimento ad alcuni post dal contenuto esplicitamente promozionale ma in assenza degli accorgimenti relativi all’endorsement e, pertanto, adottati in violazione, ancora una volta dell’art. 7 C.A.

In particolare, nel caso in esame, l’atleta[18] scelto per la finalità pubblicitaria, pubblicava un post sul suo account Instagram in data 24 gennaio e 6 febbraio 2020 ritraenti lo stesso con indosso l’abbigliamento intimo della linea uomo del brand ‘Intimissimi’. L’influencer, nella didascalia del post, riportava i seguenti hashtag #intimissimiuomo #intimissimiuomochallenge   nonché il tag del brand @intimissimiuomo ritenuto, tuttavia, dal Giurì, non sufficientemente esplicito e immediatamente riconoscibile come contenuto pubblicitario dal pubblico.

Secondo l’ingiunzione del Comitato di controllo, infatti, il solo rimando alla pagina dell’azienda e gli l’hashtag  non potevano essere considerati, ad avviso del Comitato di Controllo, elementi idonei a rendere palese il messaggio pubblicitario come frutto di un accordo di natura commerciale con l’inserzionista.

Invero, il Regolamento “Digital Chart”, espressamente richiamato nel Codice dell’Autodisciplina pubblicitaria nel suo articolo 7, prevede infatti i singoli accorgimenti da adottare nelle forme di endorsement affinché risulti soddisfatto il principio della trasparenza nelle comunicazioni pubblicitarie senza alcuno sforzo interpretativo.

4. Conclusioni in merito al digital marketing

Dopo una attenta disamina del quadro normativo che regola l’influencer marketing e, in generale, la disciplina pubblicitaria, nonché l’applicazione pratica dello stesso è possibile tracciare alcune linee di fondo.

Sicuramente il contenuto della Digital Chart, diretta concretizzazione del precetto di cui all’art. 7 C.A. rappresenta quanto meno il contenuto minimo da rispettare da parte dell’endorser e delle altre celebrities che “influenzano” gli utenti del web e dei social media: infatti se da un lato il Codice IAP costituisce concretizzazione in ambito pubblicitario dell’art. 2598, n. 3 c.c., in modo non dissimile la Digital Chart è espressione, in ambito pubblicitario degli “idonei accorgimenti” per distinguere le comunicazioni pubblicitarie dagli altri contenuti, previsti dall’art. 7 C.a.

Ove il contenuto digitale pubblicato da questi ultimi abbia le caratteristiche di un post eminentemente di natura commerciale ma pubblicato sotto le vesti di un contenuto quotidiano e personale, e quindi, in assenza degli hashtag che connotano la material connection tra l’inserzionista e il testimonial, lo stesso rappresenta una violazione del regolamento e, conseguentemente, del codice dell’autodisciplina pubblicitaria.

Al termine di questa disamina parrebbe opportuno chiedersi quali se esistano degli hashtags obbligatori e se, in particolare, le indicazioni #ad o #adv possano ritenersi sufficienti a rivelare la natura promozionale del post, oppure se la stesse possano, in alcuni casi, sembrare superflue specie con riferimento a soggetti che, solitamente, promuovono prodotti altrui per mestiere. Inoltre, occorre chiedersi se le regole previste dalla Digital Chart, finalizzate a regolare un ambito molto vario ed eterogeneo, possano avere come destinatari anche micro influencers (ossia profili instagram attivi con un numero di followers a partire da 5.000) che tuttavia non sono soliti svolgere attività promozionale. Ancora può essere opportuno rilevare che sebbene alcuni contenuti ad un occhio esperto e tecnico e giuridico (quello del comitato del controllo) possano sembrare violazioni del regolamento, non sempre gli stessi messaggi appaiono promozionali al contenuto degli users comuni.

Sicuramente le ultime modifiche apportate al regolamento rendono evidente la necessità di adottare in maniera obbligatoria e stringente gli accorgimenti necessari a trasmettere una corretta pubblicità. Naturalmente si tratta di una regolamentazione della pubblicità dal carattere nuovo, caratterizzato soprattutto dalla sua presenza online, nonché dei primi casi di applicazione della disciplina. Non può dunque che auspicarsi una disciplina più attenta alle singole fattispecie contrattuali di digital marketing ed attendere che, anche la giurisprudenza, nel frattempo, faccia il suo corso.

[1] https://www.iap.it/digital-chart/endorsement/ e “Influencer marketing e fashion law” a cura di S. Sardella in questa rivista https://www.iusinitinere.it/influencer-marketing-e-fashion-law-26606.

[2] Corrispondente al trascinamento verso l’alto dello schermo.

[3] Art. 18 lett. D)  d.lgs. n. 206 del 2005.

[4] Si veda, ex multis, Digital Marketing Communication Best Practice Recommendation, elaborate dall’European Advertisting Stantards Alliance, l’associazione delle autodiscipline pubblicitarie europee di cui lo IAP è membro fondatore.

[5] Art. 1 C.A.– Lealtà della comunicazione commerciale.

[6] Si veda https://www.iap.it/digital-chart/premessa/obiettivo-della-digital-chart/.

[7] “Art. 7 – Identificazione della comunicazione commerciale. La comunicazione commerciale deve sempre essere riconoscibile come tale. Nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti. Per quanto riguarda talune forme di comunicazione commerciale diffuse attraverso internet, i principali idonei accorgimenti sono indicati nel Regolamento Digital Chart.

Sul punto si veda, Cottafavi, commento sub art. 7 C.a. nonché, dello stesso Autore il commento subart. 5 D.lgs. 145/2007, entrambi in Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, a cura di L.C. Ubertazzi, Cedam, 2016 e ivi per ulteriori riferimenti

[8] Il native advertising si sviluppa con l’obiettivo di immergere il messaggio pubblicitario in un determinato contesto, attraverso contenuti che assumono le sembianze di quelli originari (“nativi” appunto) della piattaforma che li ospita, per catturare l’interesse del pubblico; l’advergame è una forma di comunicazione commerciale che diventa parte di un gioco elettronico interattivo, sviluppato appositamente per la promozione di un prodotto o di un brand. Viene diffuso generalmente attraverso il sito web dell’inserzionista o nelle sue pagine sui social network oppure è scaricabile come app per cellulari e altri dispositivi mobili.

[9] Art. 4 C.A.

[10] https://www.iap.it/digital-chart/endorsement/celebrity-influencer-blogger/

[11] Allo stato attuale solo Chiara Ferragni ha firmato la suddetta clausola.

[12] Si segnalano in particolare e ingiunzioni nn. 47/2018, 48/2018; 50/2018; 51/2018; 57/2018; 60/2018; 61/2018; 63/2018; 77/2018; 79/2018, consultabili su www.iap.it.

[13] Si veda supra [oppure articolo Marlene raco xx] si tratta di un contenuto digitale dal contenuto effimero e della durata di 24 ore.

[14] Sul punto, “Influencer e Autodisciplina pubblicitaria  – prime applicazioni della Digital chart”, a cura di Chiara Pappalardo in DeJure.

[15] Vedi supra circa la clausola di adesione IAP.

[16] Sul punto, “La promozione dei prodotti di moda nell’era del digital marketing”, V. Mazza, intervento tenuto durate il corso di aggiornamento professionale “Fashion Law”, presso l’Università di Firenze, lo scorso 14 febbraio 2020.

[17] https://www.iap.it/2020/02/n-7-20-del-7-02-20-linea-intimo-uomo-intimissimi/.

[18] Per ragioni di anonimato il modello viene indicato come l’ ”atleta”.

 

Fonte immagine: www.pixabay.com

Marlene Raco

Marlene Raco Si laurea alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Firenze con una tesi in Diritto processuale penale. Cultrice della materia e abilitata all’esercizio della professione forense completa la sua formazione con il corso di perfezionamento in "Fashion Law. Diritto e cultura nella filiera della moda"  tenuto presso l'Università degli Studi di Firenze. Ha svolto con esito positivo il tirocinio giudiziario di cui all'art. 73 del D.L. 69/2013 e attualmente lavora come funzionario ad elevata qualificazione (ex cat. D) in materia di contratti e appalti pubblici.

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