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La disciplina del lodo straniero nell’ordinamento italiano

Inquadramento generale

La materia del riconoscimento e dell’esecuzione dei lodi arbitrali è stata oggetto di particolare attenzione in sede di codificazione internazionale: ciò è testimoniato da due Convenzioni siglate sul tema[1], tra le quali spicca l’ultima – tuttora in vigore e recepita nell’ordinamento italiano tramite la l. n. 62/68 – che è stata foriera di ricadute, anche profonde, nel sistema di diritto interno[2].

La necessità di modificare la disciplina de qua, secondo parte della dottrina[3], deriva dal carattere di definitività che il lodo arbitrale doveva avere al fine di ricevere l’enforcement nell’ordinamento interno: un vero e proprio doppio exequatur, che portava ad un deciso ed ingiustificato allungamento dei tempi, laddove la compromettibilità davanti ad un arbitro viene preferita rispetto ad un defatigante processo civile, anche per la rapidità della procedura.

Ciò ha portato alla “nuova” ma non esauriente disciplina vigente a livello internazionale, il cui recepimento, in Italia, ha indotto il legislatore a modificare gli artt. 839 ed 840 c.p.c., attinenti alla procedura per il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi stranieri. La Convenzione di New York, infatti, pur essendo un miglioramento del testo precedente del 1927, non è completa ed esauriente.

In Italia, peraltro, la Convenzione ha la caratteristica di essere erga omnes, una peculiarità grazie alla quale possono essere riconosciuti ed eseguiti nel territorio italiano persino lodi provenienti da Paesi non firmatari della Convenzione. L’Italia, infatti, pur potendosi avvalere dell’opposto regime di non riconoscimento per i lodi provenienti da nazioni non firmatarie, non ha esercitato simile opzione.

Riconoscimento, esecuzione, opposizione ai lodi stranieri nell’ordinamento processuale italiano

In generale il lodo è “l’atto decisorio conclusivo di un procedimento arbitrale”[4], reso da un soggetto terzo rispetto alle parti in luogo del giudice. In particolare, nella disciplina internazionalprivatistica, esso, per essere qualificato “straniero”, deve avere caratteristiche ulteriori: deve essere pronunciato al termine di un procedimento che abbia avuto sede fuori dal territorio italiano e le parti devono dimostrare di voler effettivamente collegare la risoluzione della loro controversia ad un ordinamento straniero[5].

Una volta ottenuto il lodo estero, le parti che desiderano veder riconosciuta l’efficacia dell’atto devono seguire la procedura scandita agli artt. 839 e 840 c.p.c. che, come accennato, sono stati novellati a seguito della Convenzione di New York del 1958. Per i provvedimenti giurisdizionali e, in generale, gli atti delle pubbliche autorità straniere è previsto un riconoscimento automatico (nel rispetto delle norme di applicazione necessaria e del cd. ordine pubblico) e ciò vale, in via di principio, anche per i lodi stranieri[6]. Occorre, tuttavia, precisare che il lodo deve essere portato a conoscenza della Corte d’Appello del distretto presso cui ha domicilio la parte richiedente e che il requisito dell’ordine pubblico deve essere tenuto presente anche in questo caso da parte del giudice.

L’art. 839 c.p.c. specifica che sia il lodo che il compromesso o clausola compromissoria devono essere prodotti in originale o in copia conforme. Sono, infatti, questi ultimi gli atti sostanziali con cui le parti possono sottrarre la cognizione della loro controversia alla giurisdizione ordinaria devolvendola ad un arbitro. Il lodo verrà riconosciuto salvo che “la controversia non potesse formare oggetto di compromesso secondo la legge italiana” e che “il lodo contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico”.

La Convenzione di New York, negli artt. 4 e 5, si limita a fissare le condizioni in base alle quali ottenere il riconoscimento e l’esecutività dei lodi esteri, ma lascia ampio margine agli Stati in termini procedurali. Significativo è anche il contenuto dell’art. 3, in base al quale gli Stati contraenti non possono imporre condizioni sensibilmente più rigorose nè spese di giustizia più elevate di quelle imposte per il riconoscimento o l’esecuzione dei lodi interni: una forte espressione del divieto di disparità di trattamento.

La dottrina più accorta[7] ha evidenziato che esisterebbe una diversità di significato tra i termini “riconoscimento” ed “esecuzione”, poiché nel primo caso sarebbe assente la coattività, presente, invece, nel concetto di esecuzione. Tale lettura si coordinerebbe, peraltro, con l’idea che, da una parte, il riconoscimento può essere chiesto per qualsiasi pronuncia arbitrale (avente carattere accertativo, costitutivo o di condanna), mentre l’esecuzione deve riguardare lodi suscettibili di essere realizzati in una delle forme tipiche di esecuzione forzata conosciute nel nostro ordinamento.

Il procedimento risulta, in definitiva, monitorio e molto simile a quanto previsto per le sentenze in materia civile e commerciale della Convenzione di Bruxelles del 1968[8], con contraddittorio eventuale e differito. Si avrà una prima fase scandita dal ricorso alla Corte d’Appello, inaudita altera parte, ed una seconda che si atteggia come un giudizio a cognizione piena, promosso con citazione in opposizione avverso il decreto dinanzi alla stessa Corte d’Appello entro 30 gg. (trattasi di termine perentorio) dalla comunicazione o notifica del provvedimento, destinato a concludersi con una sentenza impugnabile con ricorso per cassazione.

La fase di opposizione è meramente eventuale, in quanto subordinata all’iniziativa della parte interessata, la quale, a seconda dell’esito della prima procedura, può essere o il ricorrente (in caso di decreto di rigetto) o la controparte (in caso di decreto di accoglimento).

La domanda deve essere presentata presso lo stesso ufficio che ha deciso sul riconoscimento o meno del lodo straniero, ossia la Corte d’Appello presso la quale risiede la parte interessata, tramite la forma dell’opposizione a decreto ingiuntivo ex 645 c.p.c.. Si seguiranno, perciò, le norme del procedimento ordinario con la necessità di fondare l’opposizione su “prova scritta o di pronta esecuzione”[9].

Il giudice può accogliere o rigettare per motivi di rito o di merito; avverso la sentenza l’art. 840 co. 2 c.p.c. prevede l’esperibilità del ricorso per Cassazione. Le circostanze ostative al riconoscimento del lodo estero possono essere suddivise a seconda che siano rilevabili d’ufficio o su istanza di parte ed attengono all’incapacità soggettiva delle parti al momento della stipulazione del patto compromissorio e l’invalidità oggettiva della convenzione arbitrale; alla lesione del contraddittorio e, in generale, del diritto di difesa; alla violazione dei limiti insiti nel patto compromissorio; a vizi procedurali o di costituzione del collegio arbitrale; a vicende riguardanti il lodo nel suo paese d’origine[10].

Tali circostanze, eccepibili in sede di opposizione si presentano, dunque, eterogenee, riferendosi ora ad aspetti procedurali esteri, ora a vizi, più o meno ampi e conclamati, del compromesso o della clausola compromissoria, ora alla capacità dei soggetti contraenti.

[1] Rispettivamente la Convenzione di Ginevra del 1927 con annesso Protocollo e la Convenzione di New York del 1958.

[2] L’adeguamento della disciplina processuale italiana alle disposizioni contenute nella Convenzione di New York è stata salutata con generale favore dalla dottrina. Così, ad es., si è espresso G. Recchia, La nuova legge sull’arbitrato e le esperienze straniere, in Riv. arb., 1994, p. 23 ss.

[3]  A. ATTERRITANO, Arbitrato estero, voce del Dig. disc. priv., Sez. civ., p. 82 ss.

[4] G. VERDE, Diritto processuale civile, Vol. 3, Zanichelli, Modena, 2017, p. 305

[5] V. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Vol. I, Cedam, Padova, 2000, p. 157-158

[6] La disciplina si ricava dall’art. 64 L. 218/95 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato).

[7] Cfr., ex multis, F. AULETTA – G. P. CALIFANO – G. DELLA PIETRA – N. RASCIO – G. VERDE, Diritto dell’arbitrato rituale, Giappichelli, Torino, 2005

[8] G. GAJA, Sul procedimento per riconoscere e rendere e esecutive le sentenze arbitrali straniere secondo la Convenzione di New York, in Arch. giur., 1975, p. 163 ss. La Convenzione di Bruxelles del 1968, oggi Reg. 44/01, ha ad oggetto il riconoscimento e l’esecuzione in Italia delle decisioni in materia civile e commerciale rese da giudici di paesi UE.

[9] Ex art. 648 co. 1 c.p.c.

[10] Nello specifico: non vincolatività, l’annullamento o la sospensione nello Stato di provenienza.

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