La disciplina delle clausole vessatorie.
L’Articolo 1341 del Codice Civile, al comma 2, sancisce che: “Non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.” Queste clausole sono definite “vessatorie” in quanto eccessivamente gravose per l’aderente.
Ciò induce ad una deroga del principio della mera conoscibilità del contenuto della proposta con l’accettazione presente nel nostro Ordinamento. Qualora siano presenti le suddette clausole, ai fini della loro validità, è necessario che vi sia l’effettiva conoscenza delle stesse e la loro approvazione per iscritto da parte di contraenti. L’Ordinamento offre, quindi, una tutela maggiore riservata all’aderente, onde evitare che quest’ultimo si ritrovi nel contratto, unilateralmente predisposto dall’altro contraente, condizioni sfavorevoli non ponderate. In mancanza di specifica approvazione per iscritto, queste clausole non hanno effetto alla luce dell’operatività del sopracitato articolo.
Ad ulteriore tutela del contraente debole sono stati inseriti nel nostro codice civile, a seguito del recepimento della direttiva comunitaria n.385 del 1993, gli articoli dal 1469bis al 1469sexies. Essi sono portatori di una normativa maggiormente dettagliata per quanto concerne le clausole vessatorie, comprensiva altresì della disciplina della nullità di tali fattispecie contrattuali. Tale normativa è stata poi abrogata, in quanto riprodotta con le necessarie modifiche nel neonato Codice dei Consumatori.
Nel suddetto codice, la disciplina delle clausole vessatorie è indirizzata al consumatore, inteso, ai sensi dell’art. 3, non come contraente debole ma come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Consumatore che, all’interno del contratto, si contrappone al professionista, il quale viene invece definito come “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario”.
La tutela del consumatore contro le clausole vessatorie è altresì efficacemente prestata dalla lettera dell’articolo 33 cod. cons., ove è disposto che “nel contratto concluso tra consumatore e professionista, si considerano vessatorie quelle clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.
A seguito di un opportuno confronto tra la disciplina approntata dal codice civile e quella risultante dal codice del consumo, emerge chiaramente come l’ambito di applicazione della tutela sia differente. La disciplina del codice del consumo è più ampia di quella fornita in tal senso dal codice civile sia per quanto riguarda le clausole prese in considerazione (l’elencazione tassativa presente al comma 2 dell’art. 33 è maggiormente esaustiva di quella presente al comma 2 dell’articolo 1341 del codice civile) sia per quanto riguarda i tipi di contratti presi in considerazione, perché la nuova normativa ha riguardo “tutti i contratti conclusi tra professionisti e consumatori” mentre la normativa preesistente fa riferimento ai contratti di serie nei quali le clausole siano predisposte da uno dei contraenti mediante la redazione di condizioni generali o l’adozione di moduli e formulari. Allo stesso tempo, la disciplina prevista dal codice del consumo ha un’applicazione più ristretta se la si considera da un punto di vista soggettivo, in quanto non assicura tutela alle persone giuridiche ma solo alle persone fisiche che operino al di fuori della loro attività professionale. Se ne trae, dunque, uno spazio escluso alla normativa sulle condizioni generali vessatorie, nel quale vanno collocati i contratti in cui il consumatore sia una persona giuridica ed i contratti per adesione nei quali anche l’aderente sia un professionista.
Notevoli divergenze interpretative ha suscitato la lettura dell’articolo 33 del codice del consumo, soprattutto per quanto concerne il richiamo alla buona fede adoperato dal legislatore. Non è condivisibile la visione di parte della dottrina, a cui è riconducibile l’affermazione secondo la quale per la qualificazione delle clausole come vessatorie, non basta lo squilibrio dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto ma occorre anche accertare che le stesse si pongano in contrasto con la buona fede in senso oggettivo. L’articolo 34 del codice del consumo, infatti, sancisce che “La vessatorietà della clausola deve essere valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione.”
La ratio della normativa non appare ispirata all’intento di garantire che il contratto realizzi un assetto di interessi giusto. Ne fornisce conferma la circostanza secondo la quale, ad escludere la vessatorietà della clausola o di componenti della stessa, pur in presenza di tutti gli elementi idonei a qualificarla come tale, è sufficiente che la clausola abbia costituito oggetto di trattativa individuale (art. 34 , comma 4, cod.consumo). Si riconosce, quindi, la legittimità di un assetto di interessi squilibrato che il consumatore abbia, però, concordato con il professionista.
La preoccupazione di garantire che il consumatore sia posto in grado di intendere compiutamente il senso delle regole contrattuali trova espressione nel dettato dell’articolo 34, comma 2 allorché il legislatore subordina l’esclusione ai fini della valutazione di vessatorietà della clausola, della determinazione dell’oggetto del contratto nonché dell’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi all’individuazione di tali elementi in modo chiaro e comprensibile. L’articolo 35, all’uopo, sancisce che “In caso di clausola dubbia, l’interpretazione della stessa è nel senso più favorevole per il consumatore perché è onere del professionista redigerle nel modo più chiaro e comprensibile.”
La differenza tra la tutela approntata dal codice civile e da quella offerta dal codice del consumo è ravvisabile altresì nell’ambito della disciplina dell’inefficacia di tali clausole. L’articolo 1469quinquies del codice civile faceva conseguire alla vessatorietà l’inefficacia della stessa. Non era chiaro se si parlasse di nullità o di annullabilità. Ciò in quanto il terzo comma del suddetto articolo parlava di una “inefficacia che opera soltanto a vantaggio del consumatore” e che “può essere rilevata d’ufficio”. Una connotazione che contrastava sia con il concetto di annullabilità (non rilevabile d’ufficio) che con quello di nullità (che può essere eccepita da chiunque vi abbia interesse e non soltanto dal consumatore). La dottrina era quindi divisa sul ritenere l’inefficacia coma forma di nullità o come una di annullabilità. A tale dibattito il legislatore ha posto termine con la redazione del Codice del Consumo nel quale, pur mantenendo le connotazioni dell’inefficacia prevista dal 1468quinquies (operatività solo a vantaggio del consumatore e rilevabilità d’ufficio), ha preferito qualificarle “nulle” ex articolo 36 del codice del consumo. Tale nullità rappresenta, però, una categoria sui generis di nullità, definita in dottrina come “nullità di protezione”.
Ulteriore istituto posto a tutela del consumatore è rappresentato dal diritto di recesso dal contratto, esperibile senza necessità di motivazione entro quattordici giorni, decorrenti dalla data nella quale il contratto è stipulato. Allo scopo di assicurare che il consumatore sia posto a conoscenza di questo suo diritto, l’articolo 49, comma 1, lettera h, del codice del consumo, impone all’operatore commerciale un dovere di informazione a riguardo. In mancanza, il periodo per l’esercizio del diritto di recesso del consumatore è esteso fino a dodici mesi. All’inadempimento di tale obbligo di informazione non consegue, dunque, alcun obbligo di risarcimento del danno (diversamente da quanto è proprio della responsabilità precontrattuale), essendo contemplato, quale unico effetto dello stesso, il prolungamento del termine per l’esercizio del recesso.
Alessandro Palumbo è uno studente ventiduenne iscritto al quarto anno di studi presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli. Nel settembre 2015 ha preso parte all’evento “ROME FAO MUN”, come membro permanente della Commissione affari costituzionali e legali (CCLM), presso la Food and Agricolture organization of the United Nations (FAO). Nell’estate del 2016 è stato selezionato come “Intern” dal Presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Remo Danovi. Durante l’internship presso lo studio legale Danovi&Giorgianni ha avuto modo di studiare materie quali: contenzioso civile, diritto commerciale, diritto del lavoro, diritto successorio, diritto notarile, diritto di famiglia, diritto arbitrale. Egli ha altresì redatto molteplici pareri legali e preso parte alle udienze sia presso il Tribunale che presso la Camera Arbitrale.
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