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La domanda di condono di un bene abusivo alla luce della legge n. 724 del 1994: il ruolo del notaio

In dottrina si è sempre esclusa l’applicabilità della disciplina urbanistica di cui agli artt. 46 del D.P.R. n. 380 del 2001 e 40 della legge n. 47 del 1985 al contratto preliminare immobiliare. Questa è la posizione dominante anche in giurisprudenza[1]: nella stessa si afferma che “La sanzione della nullità prevista dall’art. 40 della l. n. 47 del 1985 per i negozi relativi a immobili privi della necessaria concessione edificatoria trova applicazione ai soli contratti con effetti traslativi e non anche a quelli con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, non soltanto in ragione del tenore letterale della norma, ma anche perché la dichiarazione di cui all’art. 40, comma 2, della medesima legge, in caso di immobili edificati anteriormente all’1 settembre 1967, o il rilascio della concessione in sanatoria possono intervenire successivamente al contratto preliminare”.

Si è, però, negli anni, diffuso un orientamento contrario ad opera della Seconda Sezione della Cassazione con due sentenze gemelle del 2013, secondo cui “il preliminare relativo a immobile abusivo sarebbe comunque nullo perché avente un oggetto illecito o giuridicamente impossibile” (la stipulazione di un definitivo nullo) dunque contrario all’articolo 1349 del codice civile. Resta minoritario anche alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite[2]in cui si afferma che “la consentita disposizione testamentaria in ordine ad immobili non regolari urbanisticamente, e comunque la possibilità del loro trasferimento per successione mortis causa, la loro attitudine a costituire garanzie reali, la loro idoneità, inoltre, ad esser contemplati in seno agli atti inter vivos (valga per tutti la locazione) ed in seno ad atti costituenti diritti reali di servitù escludono che il loro modo di atteggiarsi possa di per sé solo valere ad integrare le vietate ipotesi d’illiceità o d’impossibilità dell’oggetto, o, ancora d’illiceità della prestazione (che, in tesi, dovrebbero colpire tutti gli atti e, dunque, anche quelli esentati) o della causa per contrarietà a norme imperative o al buon costume.”[3].

In virtù di quanto ricordato può, dunque, ben affermarsi la possibilità per il notaio di ricevere un contratto preliminare di compravendita di un immobile abusivo purché la stipula del definitivo sia subordinata all’avvenuta regolarizzazione. Allo stesso modo si può ritenere possibile che il notaio riceva un contratto preliminare, pur sulla base di una domanda di condono priva di alcuni elementi necessari per la commerciabilità, ma disciplinante l’assolvimento di tutti gli oneri economici ancora non adempiuti alternativamente o attraverso una condizione risolutiva del preliminare o attraverso la previsione di un obbligo a carico del promittente venditore a pena di risoluzione, ovvero attraverso la delegazione del promittente acquirente a pagare le somme ancora dovute (in luogo, in tutto o in parte, del pagamento al promittente venditore delle somme pattuite a titolo di anticipo prezzo o di caparra). Va ricordato che ai fini della commerciabilità occorre che la domanda di condono ex legge n. 724 del 1994 (cd. “Secondo condono”) sia stata presentata nei termini: è altresì necessario che siano stati integralmente pagati l’oblazione e i contributi concessori, che sia stata presentata la domanda di parere all’autorità tutoria del vincolo, se esistente. È da precisare, inoltre, che il mancato versamento dei detti contributi concessori, che avrebbe impedito la stipula del contratto definitivo, non è, invece, di ostacolo al ricevimento del preliminare ricorrendo alle tecniche redazionali di cui sopra.

Per completezza, si rammenta che, così come non occorre per il preliminare che siano stati assolti tutti gli oneri economici e documentali previsti per la commerciabilità degli immobili abusivi oggetto di domanda di sanatoria, parimenti vi è solo l’opportunità, ma non la necessità, di rendere in atto le menzioni prescritte dall’art. 2 comma 58 della L. 662/96[4], il quale concerne essenzialmente gli estremi della domanda di condono; gli estremi del versamento, in una o più rate, dell’intera somma dovuta a titolo di oblazione e di contributo concessorio; gli estremi della domanda di parere all’autorità tutoria per il vincolo, se esistente; in caso di intervenuto silenzio assenso ma preferibilmente, in via tuzioristica stante la difficoltà per il notaio del suo accertamento, sempre, la dichiarazione di parte che il Comune non ha provveduto ad emettere provvedimento di sanatoria nei termini di cui all’art. 39 della Legge sul Secondo Condono.[5]

Una buona tecnica redazionale, largamente diffusa nella prassi, pretende che si effettuino le dette menzioni, non tanto per potere ottenere una sentenza di trasferimento ex art. 2932 c.c., (visto che la Cassazione a Sezioni Unite ha riconosciuto la possibilità di indicarli successivamente, ovvero in corso di causa), quanto per consentire un’adeguata informazione al promissario acquirente sulla situazione urbanistica del bene.

In conclusione, è possibile affermare che nonostante il legislatore abbia nel corso degli anni complicato ulteriormente la materia urbanistica, emanando una legge sul condono contenente non poche incertezze, la giurisprudenza ha cercato di porvi un tampone, principalmente riconoscendo al professionista grossi margini di manovra. Pertanto quest’ultimo può trovarsi nella condizione di applicare gli istituti alla luce della sua discrezionalità professionale. È altresì ovvio che il legislatore spinga verso una maggiore cautela pratica, pur essendo lo stesso ispirato da una forte necessità economico finanziaria.

[1]Ribadita di recente dall’ordinanza di Cassazione, Seconda Sezione Civile, n. 6685 del 7 marzo 2019.

[2]Sentenza, della II sez. Civile della Cassazione, n. 8230 del 22 marzo 2019.

[3]Si veda anche, G. MAZZELLA, “La Cassazione sui principi in materia di nullità urbanistica”.

[4]Articolo 2, comma 58, della Legge n. 662 del 1996:

Gli atti di cui al secondo comma dell’articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, aventi per oggetto fabbricati o porzioni di fabbricati costruiti senza concessione edilizia sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultino gli estremi della domanda di condono con gli estremi del versamento, in una o più rate, dell’intera somma dovuta a titolo di oblazione e di contributo concessorio nonché, per i fabbricati assoggettati ai vincoli di cui all’articolo 32, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, introdotto dal comma 44 del presente articolo, l’attestazione dell’avvenuta richiesta alle autorità competenti dell’espressione del parere di cui alla citata disposizione. Verificatosi il silenzio assenso disciplinato dall’articolo 39, comma 4, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nei predetti atti devono essere indicati, a pena di nullità, i seguenti elementi costitutivi dello stesso: data della domanda, estremi del versamento di tutte le somme dovute, dichiarazione dell’autorità preposta alla tutela dei vincoli nei casi di cui al periodo precedente, dichiarazione di parte che il comune non ha provveduto ad emettere provvedimento di sanatoria nei termini stabiliti nell’articolo 39, comma 4, della citata legge n. 724 del 1994. Nei successivi atti negoziali è consentito fare riferimento agli estremi di un precedente atto pubblico che riporti i dati sopracitati. Le norme del presente comma concernenti il contributo concessorio non trovano applicazione per le domande di sanatoria presentate entro il 30 giugno 1987.”

[5]Art. 39 della Legge n. 724 del 1994. Definizione agevolata delle violazioni edilizie

Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria. I termini contenuti nelle disposizioni richiamate al presente comma e decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47, o delle leggi di successiva modificazione o integrazione, sono da intendersi come riferiti alla data di entrata in vigore del presente articolo. I predetti limiti di cubatura non trovano applicazione nel caso di annullamento della concessione edilizia. La sanatoria degli abusi edilizi posti in essere da soggetti indagati per il reato di cui all’articolo 416-bis del codice penale o per i reati di riciclaggio di denaro, o da terzi per loro conto, è sospesa fino all’esito del procedimento penale ed è esclusa in caso di condanna definitiva.
Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime, a meno che questo ultime non siano conformi e compatibili sia con lo strumento urbanistico approvato che con quello adottato, e che siano state realizzate su parti comuni. […]”

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