giovedì, Marzo 28, 2024
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La domanda di risarcimento del danno si propone da quando si verifica il fatto lesivo o da quando si conclude il procedimento?

A cura di Pasquale La Selva

La Corte Costituzionale si pronuncia sulla questione di legittimità costituzionale riguardante l’art. 30 comma 3 c.p.a.

L’art. 30 del Codice del Processo Amministrativo, rubricato “Azione di condanna”, al comma 3 dispone: “La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento, il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

Il 4 maggio 2017, con la sentenza n. 94, la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del comma 3 dell’art 30 c.p.a. disciplinante i termini di decadenza per l’esercizio dell’azione risarcitoria concernente la lesione di interessi legittimi, sollevata dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte con ordinanza del 17 aprile 2015, nella parte in cui “la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo”.

Il TAR Piemonte era stato chiamato a pronunciarsi su una richiesta di risarcimento di danni, proposto da una società nei confronti del Comune di Gaiola, in relazione al rilascio di quattro permessi di costruire, successivamente rivelatisi illegittimi.

La società dunque, dopo aver acquistato circa 5000 metri quadrati di terreni, sui quali i vecchi proprietari avevano formulato istanza di approvazione del piano esecutivo convenzionato per la costruzione di un complesso residenziale e commerciale, otteneva i quattro titoli abilitativi, uno gratuito per le opere di urbanizzazione primaria, e tre a titolo oneroso, per la costruzione di ville residenziali ed una strada privata di collegamento con la viabilità pubblica.

Nel 2012 partivano i lavori, che venivano immediatamente interrotti da un ordine verbale del Capo cantoniere, confermato successivamente dall’ANAS, in quanto i permessi erano stati rilasciati senza il preventivo nullaosta dell’Ente Nazionale per le strade.

Nel 2013 la situazione si inasprisce, difatti il rimettente precisava che, constatata la illegittimità dei permessi perché in violazione dell’art. 20 d.P.R. 380/2001, il Comune, dopo aver trasmesso istanza di nullaosta all’ANAS, aveva stipulato la convenzione con la società.

Al contempo il TAR precisava che i lavori venivano interrotti per il venir meno della convenienza dell’intervento edilizio, e che la società, nel frattempo posta in liquidazione, agiva contro il Comune per il risarcimento del danno per una serie di motivi: anzitutto la società lamentava di non poter costruire gli immobili poiché era intervenuta l’illegittimità dei permessi; la società si trovava in uno stato di liquidazione a causa dell’ingente esposizione debitoria, inoltre la convenzione tra ANAS ed il Comune interveniva quando l’opera urbanistica risultava già poco conveniente.

Rilevata dunque la tardività della domanda risarcitoria, il giudice a quo riteneva di sollevare questione di legittimità costituzionale in merito al termine di 120 giorni per la proposizione della domanda risarcitoria, disciplinato dal comma 3 dell’art. 30 c.p.a.

Ciò accadeva in ordine alla confutazione del TAR della tesi sostenuta dalla società, secondo la quale il perfezionamento del procedimento di rilascio dei permessi a costruire si sarebbe verificato con la convenzione tra ANAS ed il Comune, il TAR sosteneva invece che la domanda risarcitoria si fonda sul rilascio dei permessi a costruire, e non si estende sino alla convenzione (la società non aveva impugnato i permessi). Qualificando la domanda risarcitoria secondo la tesi del TAR, allora la domanda risarcitoria dovrebbe essere qualificata come irricevibile ai sensi dell’art. 30 comma 3 c.p.a. ed è a questo punto che la società eccepiva l’illegittimità del comma appena citato, perché contrastante con i principi di uguaglianza formale e sostanziale, il diritto di tutela giurisdizionale, il principio del giusto processo, il diritto di tutela contro gli atti della pubblica amministrazione. La società inoltre allegava la giurisprudenza della Corte di giustizia 26 novembre 2015, C-166/14, Med Eval, emessa in riferimento alla normativa austriaca che prevedeva il termine di decadenza di sei mesi per la proposizione dell’azione risarcitoria in tema di contratti di appalto, evincendo così il contrasto della normativa italiana con la linea giurisprudenziale europea.

La Corte Costituzionale interveniva nella questione specificando anzitutto che il termine per la proposizione della domanda risarcitoria decorre dal momento in cui si è verificato il danno (nel 2012, quando i lavori venivano interrotti a causa dell’intervento dell’ANAS) e non dal 2013, anno in cui viene riconosciuta l’illegittimità dei provvedimenti. Per questo motivo la Corte Costituzionale ritiene non fondata la questione di legittimità costituzionale.

Ma, in alternativa, cosa avrebbe potuto fare la società ricorrente una volta scaduto il termine di decadenza, piuttosto che sollevare questione di legittimità costituzionale?

Analizzando il fatto e il diritto all’interno della sentenza, tutta la tesi sostenuta dalla Corte Costituzionale, nonché la stessa questione di legittimità costituzionale, sono fondate sull’interesse legittimo, che non è propriamente una situazione autonoma, bensì una situazione dipendente dalla valutazione di altri interessi in gioco, che confluiscono nella attività discrezionale della pubblica amministrazione. Dunque, una volta emanati i permessi a costruire, l’attività della pubblica amministrazione si esaurisce, ragion per cui ci troveremmo in una posizione autonoma nella quale la società è nella posizione di diritto di poter costruire, e tale situazione in diritto è conosciuta come diritto soggettivo.

Spostato il punto di osservazione dall’interesse legittimo al diritto soggettivo, la lesione da parte dell’amministrazione dell’art 20 d.P.R. 380/2001 configurerebbe una ipotesi di responsabilità della pubblica amministrazione, la cui azione di risarcimento del danno, andrebbe proposta di fronte al giudice ordinario, per cui il termine, prima di decadenza, ora di prescrizione, sarebbe di cinque anni dal momento in cui il fatto si è verificato, ex art. 2947 c.c.

Altra tesi da poter sostenere (da accogliere nella sua costruzione alquanto utopistica, in quanto il diritto non è una scienza esatta, dunque soggetto a diverse interpretazioni), parte dalla riflessione del termine procedimento, contenuto all’interno dell’art. 20 d.P.R. 380/2001, rubricato appunto “procedimento per il rilascio del permesso a costruire”.

Secondo questa seconda tesi però, dovremmo qualificare la posizione giuridica tutelabile come interesse legittimo e non come diritto soggettivo.

Se l’amministrazione ha rilasciato permesso a costruire nel 2012 in maniera illegittima (è da precisarsi che l’illegittimità non è stata dichiarata con sentenza, ma si è rilevata solo verbalmente tramite una comunicazione dell’ANAS), perché in assenza del nullaosta dell’ANAS, di fatto il procedimento amministrativo non è concluso, dunque si concluderebbe esclusivamente quando interviene la convenzione tra il Comune di Gaiola e l’ANAS (che nei fatti interviene un anno dopo, nel 2013).

Il testo dell’art. 20 d.P.R. 380/2001 prevede che il termine per l’emanazione di una “proposta di provvedimento” è di sessanta giorni. Il comma 5 dell’art. 20 d.P.R. 380/2001 prevede che tale termine “può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell’amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente. In tal caso il termine ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa”. E questa è esattamente la circostanza che si è verificata nella sentenza presa in analisi: con una leggera forzatura, il procedimento sarebbe stato interrotto dall’intervento del Capo cantoniere, quindi la successiva convenzione tra ANAS e amministrazione, sarebbe dovuta intervenire al massimo entro il termine di novanta giorni (60 di procedimento + 30 di sospensione), ma di fatto tale convenzione è intervenuta solo un anno dopo, quindi si sarebbe verificata una ipotesi di lesione del termine di conclusione del procedimento ex art. 2 l. 241/1990.

A questo punto interverrebbe il comma 4 dell’art 30 c.p.a. il quale recita: “per il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l’inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. Secondo questa lettura dunque, il termine di decadenza di centoventi giorni per proporre azione di risarcimento del danno di interessi legittimi, inizierebbe a decorrere dal momento in cui interveniva la convenzione, e non dal momento in cui si verificava il danno, come la Corte Costituzionale ha giustamente sostenuto, viste le circostanze in cui è stata chiamata a pronunciarsi.

Pasquale La Selva

Pasquale La Selva nasce a Napoli il 22 Febbraio 1994. Ha conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con tesi in Diritto Amministrativo dal titolo "Il socio pubblico e la golden share", a relazione del Prof. Fiorenzo Liguori, ed ha conseguito, presso il Dipartimento di Scienze Politiche dello stesso Ateneo la laurea magistrale in Scienze della Pubblica Amministrazione, con una tesi sulle "competenze e poteri di ordinanza tra Stato, Regioni ed Enti Locali nell'emergenza sanitaria" a relazione del Prof. Alfredo Contieri. Pasquale ha conseguito anche un Master di II livello in "Compliance e Prevenzione della Corruzione nei settori Pubblico e Privato" presso l'Università LUMSA di Roma, con una tesi sulla rotazione del personale quale misura anticorruttiva. Pasquale è direttore del Dipartimento di diritto amministrativo di Ius in itinere ed è praticante avvocato. Durante il periodo degli studi, Pasquale è stato anche un cestista ed un atleta agonista: detiene il titolo regionale campano sui 400 metri piani della categoria “Promesse” dell'anno 2016, è stato vice campione regionale 2017 della categoria "assoluti" sulla stessa distanza, ed ha partecipato ad un Campionato Italiano nel 2016. Contatti: pasquale.laselva@iusinitinere.it

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