giovedì, Marzo 28, 2024
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La fotografia e il diritto d’autore

La fotografia è quel “procedimento che, mediante processi chimico – fisico o digitali, permette di ottenere, servendosi di una macchina fotografica, l’immagine di persone, oggetti, strutture, situazioni su lastre, carte chimicamente preparate o su supporti magnetici[1].

L’interazione tra il fotografo ed il mezzo tecnico adoperato in questa realizzazione, la macchina fotografica, solleva alcuni importanti quesiti sotto il profilo della protezione giuridica da accordare alle immagini che ne sono il risultato. In particolare, le incertezze riguardano il gradiente minimo di creatività richiesto dalla legge sul diritto d’autore per accedere alla protezione. Tale requisito si configura in maniera tipica in relazione alla fotografia, poiché si rivela e manifesta nell’interazione tra intelletto umano e mezzo tecnico; inoltre, di conseguenza, non sempre è possibile ravvisare siffatta creatività su opere che hanno ad oggetto la riproduzione di un’entità (individui, oggetti o della natura) già esistente.

L’evoluzione storica della disciplina autoriale in questa materia

Nell’impianto originario della legge sul diritto d’autore [2] le fotografie non erano incluse nell’elenco dell’art. 2 tra le opere protette [3]. Ad esse era infatti riservata una protezione speciale ma di grado minore, tramite i diritti connessi, in virtù dell’art. 87 l. aut., il quale si riferisce tuttora alle fotografie come a “le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche”. Da tale novero erano espressamente escluse “le fotografie di scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili”.

La scelta legislativa era dunque di proteggere tutte le fotografie tramite i diritti connessi, per vent’anni dalla pubblicazione, indipendentemente dalla sussistenza o meno di un quid pluris di tipo creativo. Tale protezione era peraltro subordinata ad alcuni adempimenti formali [4], oltre ad essere (ancora oggi) limitata “al diritto di riproduzione, diffusione e spaccio della fotografia”, senza contemplare il diritto di elaborazione né il diritto morale del fotografo.

Alla base di una simile impostazione normativa vi erano varie ragioni: innanzitutto le preoccupazioni legate al sempre maggior peso che esse andavano acquisendo nell’industria dell’informazione [5]; in secondo luogo, si riteneva che nel procedimento fotografico l’apporto personale e creativo da parte del fotografo fosse ridotto rispetto alla preponderanza dello strumento meccanico [6], con la conseguente difficoltà, anche, di stabilire obiettivamente l’apporto personale dell’operatore rispetto alle condizioni fisiche in cui un certo oggetto si trova e che influenzano a loro volta il risultato fotografico.

L’impostazione normativa nazionale confliggeva tuttavia con quella internazionale, dettata dalla Convenzione di Berna, ed in particolare con il testo di questa a seguito della revisione subìta con con l’atto di Bruxelles del 1948, ove le fotografie erano state espressamente elevate a rango di opera dell’ingegno suscettibile di diritto d’autore, seppur con un termine ridotto di vent’anni dalla realizzazione della fotografia.

Di fronte a ciò furono necessari più di trent’anni perché, con il d.p.r. dell’8 gennaio 1979, n. 19, di adeguamento alla revisione di Parigi della Convenzione di Berna, venissero inserite le opere fotografiche nell’elenco delle opere protette ex art. 2 l. aut., n. 7 [7]. Al contempo, il quadro normativo mantenne la protezione tramite diritti connessi per le fotografie “semplici”, ex art. 87 l. aut., e l’esclusione da ogni protezione per quelle invece documentali, di cui al secondo comma della stessa norma.

Per quanto concerne la durata del diritto d’autore sulle opere fotografiche, l’allineamento di essa all’usuale periodo di settant’anni dalla morte dell’autore è stato raggiunto con il d. lgs. 26 maggio 1997, n. 154, mentre in precedenza il termine era di vent’anni dalla pubblicazione dell’opera.

L’importanza della nozione di “creatività” nella disciplina delle fotografie

Il quadro normativo che è il risultato dell’evoluzione storica presenta una certa complessità, alla luce della tripartizione tra opere fotografiche, fotografie “semplici” e fotografie documentali, che si riflette in una diversa estensione dei diritti concessi e in una diversa durata della relativa protezione. Sembra importante rimarcare la diversa intensità di protezione, dal momento che quanto questa è più forte tanto più difficile risulta essere la circolazione delle immagini, che sono sottoposte ai diritti del titolare nei casi delle opere fotografiche (diritto d’autore) e delle fotografie semplici (diritto connesso).

E’ inoltre innegabile la crescente importanza delle fotografie, cui si era già dato conto in ragione delle motivazioni che ne hanno frenato inizialmente la protezione, e delle immagini che raffigurano avvenimenti della realtà nella società dell’informazione, in cui il valore (anche economico) di queste fotografie spesso è dato proprio dalla rilevanza che esse rivestono a fini informativi e divulgativi per la collettività e, conseguentemente, per le industrie dei media e della cultura [8].

Nella scala che ordina le fotografie a secondo del gradiente creativo tipico di esse si va perciò da un massimo ad un minimo in cui detto carattere è assente. Questa considerazione permette di comprendere come avviene il bilanciamento tra due distinte (ed apparentemente in conflitto) esigenze, ovvero la tutela di chi realizza le fotografie e conversamente l’interesse della collettività ad essere informata tramite una snella la circolazione di quelle immagini. Decisivo per compiere tale bilanciamento è appunto il carattere creativo della fotografia, che, laddove sia sussistente, implica l’esistenza di un’opera fotografica che giustifica la concessione di una protezione più robusta.

Con specifico riguardo alle opere fotografiche, inoltre, può pure dirsi che la loro protezione sia slegata dall’accertamento di un merito artistico del fotografico o della sua opera [9].

Su un piano più generale deve invece ricordarsi che nel diritto d’autore il giudizio in merito alla creatività non può tenere in considerazione parametri legati al gusto estetico [10], così come non sono ammesse valutazioni circa la liceità dell’opera, per cui la creatività di questa non va mai valutata in senso soggettivo ma unicamente avendo come parametri di riferimento elementi riscontrabili empiricamente. 

La creatività delle opere fotografiche

E’ dunque il nesso tra fotografo e opera realizzata, che si riflette nel concetto di originalità, che giustifica la concessione del monopolio del diritto d’autore, con l’impossibilità per terzi non autorizzati di utilizzare autonomamente le opere fotografiche.

D’altra parte, la centralità del quid pluris di tipo creativo nella demarcazione tra diritto d’autore e diritti connessi non è accompagnata da una sua altrettanto agevole definizione in relazione alle fotografie. Ciò è dovuto a due peculiarità della fotografia rispetto alle altre arti visive o figurative: i) la fotografia ha ad oggetto qualcosa che già esisteva e che quindi non viene creato dall’intelletto umano, e ii) la fotografia prevede l’interazione dell’intelletto umano con uno strumento tecnico da cui infine dipende la realizzazione.

Considerando il primo aspetto, la riproduzione attuata tramite fotografia dipende in buona sostanza dall’oggetto colto, in relazione al quale le scelte artistiche e realizzative del fotografo possono tuttavia apportare una caratterizzazione personale e permettere quindi anche a più fotografie scattate a partire da uno stesso oggetto di differenziarsi.

E’ proprio grazie a quest’ultimo elemento, dato dalla rappresentazione personalizzata della realtà oggettiva, che può cogliersi la dimensione di creatività delle opere fotografiche, nella misura in cui la rappresentazione della realtà sia influenzata da scelte riconducibili alla persona del fotografo.

Prendendo invece ad esame il secondo rilievo svolto, quello dell’interazione tra intelletto e strumento fotografico, può dirsi che seppure il grado di creatività normalmente richiesto dalla giurisprudenza italiana non sia particolarmente elevato, non sempre è agevole stabilire quale dei due elementi predomini sull’altro [11].

Ciò detto, l’analisi circa la creatività di un’opera fotografica è compiuta dai giudici. La giurisprudenza ha sostanzialmente fatto coincidere il requisito indispensabile di originalità e creatività [12] con un apporto personale del fotografo, il quale abbia svolto un’attività ricreativa e individualizzante di un avvenimento, di un luogo o di un oggetto [13].

Tale originale attività del fotografo, che deve dare vita ad un’autonoma interpretazione della realtà da parte dello stesso, è ravvisabile in presenza di alcune scelte realizzative riconducibili allo stesso. A questo proposito la giurisprudenza ha affermato il carattere di fotografia d’autore quando il fotografo è riuscito a conferire “una particolare suggestione” al luogo rappresentato grazie ad “un uso sapiente delle luci”, tale da rivelare “un rilevante contributo artistico nell’uso, originale e di effetto, del rapporto tra luci ed ombre[14].

Al contrario, i giudici hanno concluso di non essere in presenza di opera fotografica qualora manchino scelte relative ad inquadrature, alla peculiare disposizione delle luci e all’alternanza di toni scuri e chiari [15], essendo in questi casi assenti i tratti individualizzanti della creazione che possono essere indici dell’impronta personale dell’autore. Nello stesso senso, la giurisprudenza ha anche valorizzato la buona qualità realizzativa e la riuscita estetica della fotografia, che, tuttavia, senza una personale interpretazione e ricreazione da parte del fotografo risulta insufficiente perché possa aversi una fotografia d’autore [16].

[1] V. Enciclopedia Treccani, sub voce Fotografia; http://www.treccani.it/enciclopedia/fotografia/.

[2] Legge 22 aprile 1941, n. 633, di seguito l. aut.

[3] Nella vigenza del r.d.l. 7 novembre 1925, al contrario, le fotografie erano fatte rientrare tra le opere protette ex art. 1, comma 2, ma la relativa protezione era temporalmente più limitata in quanto era coincideva con un periodo di vent’anni a partire dalla prima pubblicazione dell’opera. Sul punto v. Crugnola, Evoluzione della tutela giuridica delle fotografie nel diritto italiano e nel diritto internazionale. Cenni di legislazione comparata, in Dir. aut., 1979, p. 928 ss., ivi alla p. 930.; C. Angelini, Fotografia ed opera fotografica, in Contratto e impresa, 1988, p. 276 ss., ivi alla p. 278.

[4] L’art. 90 l. aut. richiede tuttora l’indicazione del nome del fotografo (o della ditta committente di questo), la data di produzione della fotografia e, qualora sia raffigurata un’opera d’arte, anche il nome dell’autore di questo. In assenza la riproduzione non è da considerarsi abusiva.

[5] V. Auteri, Commentario al d.p.r. 8 gennaio 1979, n. 19, op. cit., p. 160; Id. Problemi di protezione della fotografia e dell’opera fotografica, in Dir. Aut., 1981, p. 121 ss., ivi alla p. 125; C. Angelini, op. cit., p. 278; Crugnola, Il requisito della creatività in materia di fotografia, in Dir. aut., 1994, p. 353 ss., ivi alla p. 355.

[6] Si riteneva, in particolare, che la natura tecnica del procedimento fotografico occupasse un ruolo preminente nella realizzazione della fotografia, rispetto all’apporto personale del fotografo. Sul punto v.; Auteri, Commentario al d.p.r. 8 gennaio 1979, n. 19, in Le nuove leggi civili commentate, 1980, p. 158; Id., in AA.VV., Diritto industriale. Proprietà Intellettuale e concorrenza, Torino, Giappichelli, 2016, p. 595; V. De Sanctis, La protezione delle opere dell’ingegno, Milano, Giuffrè, 1999, p. 14, ivi alla p. 15; Serpieri, Il carattere creativo delle opere fotografiche, in Riv. Dir. Ind., 2002, II, p. 145.

[7] Già prima di questa novità legislativa, tuttavia, si erano alzate voci che reclamavano la possibile protezione autoriale delle fotografie. In questo senso in dottrina v. Are, L’oggetto del diritto d’autore, Milano, Giuffrè, 1963, p. 492; V. De Sanctis, Il carattere creativo delle opere dell’ingegno, Milano, Giuffrè, 1971, p. 86. Nello stesso senso in giurisprudenza v. Cass., 26 marzo 1984, n. 1988, in Foro it., 1984, I, c. 939, con nota di Pardolesi, e in Il diritto d’autore, 1984, 430; Cass., 16 aprile 1975, n. 1440, ivi, 1975, p. 346; Trib. Milano, 8 gennaio 1979, ivi, 1979, p. 79.

[8] Sul punto v. Auteri, AA.VV., op. cit., p. 595.

[9] Infatti il valore artistico è richiesto dall’art. 2 n. 10 l. aut. solo in relazione alle opere dell’industrial design, secondo cui queste devono presentare  “di per sé carattere creativo e valore artistico”. Inoltre, l’art. 6 della direttiva 2006/116/CE ribadisce detto principio affermando che per la protezione delle opere fotografiche con il diritto d’autore è richiesto unicamente l’originalità della fotografia, senza tenere in considerazione altri criteri.

[10] Tale principio è assolutamente consolidato nel diritto d’autore e risponde all’esigenza di oggettivizzare il giudizio circa la proteggibilità di un’opera.

[11] Sul punto v. Auteri, AA.VV., op. cit., p. 595.

[12] Cfr. Cass., 7 maggio 1998, n. 4606, disponibile su banca dati Pluris http://pluris-cedam.utetgiuridica.it/main.html#mask=main,id=59SE0001674756,pos=3,ds_name=SENT,opera=59,hl=true,_menu=giuri,_npid=968689889,__m=bd.

[13] Sul punto v. Musso, Diritto di autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, Bologna, Zanichelli, 2008, p. 99, ove lo stesso si riferisce alla necessità per l’opera dell’arte visiva (tra cui la fotografia) di presentare una creatività “originale” ma allo stesso “originaria”, in cui cioè venga data una personale rappresentazione o interpretazione dei soggetti o oggetti ivi raffigurati.

[14] Cfr. Trib. Bari, 7 gennaio 2014, disponibile su Pluris.

[15] Cfr. Trib. Milano, 24 settembre 2015, disponibile su Pluris.

[16] Cfr. Trib. Milano, 24 settembre 2015, secondo cui “anche le fotografie semplici possono manifestare una elevata professionalità nella cura dell‘inquadratura e nella capacità di cogliere in modo efficace il soggetto fotografato [… ] in esse tuttavia manca l’esplicazione dell’originale interpretazione personale dell’autore”.

Edoardo Badiali

Edoardo, dopo la maturità classica, si è laureato con 110/110 cum laude presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Bologna nel 2016, con tesi in Comparative Copyright Law. Nell'anno 2015/2016 ha conseguito inoltre un LLM in Intellectual Property & Information Law presso il Dickson Poon School of Law del King's College di Londra. Dopo aver collaborato con il dipartimento IP di uno studio legale internazionale, svolge attualmente la pratica forense in uno studio boutique specializzato in Proprietà Industriale e Intellettuale, materie nelle quali ha deciso di focalizzare i propri interessi professionali e di studio. Oltre ad essere appassionato di Intellectual Property, tra i suoi interessi vi sono la musica, leggere e il jogging.

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