giovedì, Aprile 25, 2024
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La “gelosia”, tra stato passionale e psicopatia invalidante: il caso Gozzini

A cura dell’Avv. Elisa Tramaglino

Gelosia – Stati emotivi o passionali – Psicopatie invalidanti – Infermità mentale – Imputabilità

  1. La vicenda processuale e le ragioni dell’assoluzione.

Un indiscutibile clamore mediatico ha suscitato la sentenza con cui la Corte d’assise di Brescia ha assolto l’imputato dal reato contestatogli – consistente nell’aver cagionato la morte della moglie – “in quanto il medesimo al momento del fatto non era imputabile per vizio totale di mente[1], in ragione di un diagnosticato delirio di gelosia.

Sullo sfondo della vicenda processuale, una coppia di coniugi, uniti in matrimonio da circa un ventennio, entrambi insegnanti in pensione, lui ultrasettantenne e lei sessantaduenne. L’uomo, che già in passato aveva sofferto di depressione, aveva nuovamente iniziato a mostrare segni di insofferenza, poi improvvisamente sfociati nel gesto omicida. Lo stesso aveva anche tentato il suicidio, provando prima a gettarsi dal balcone – ma la paura dell’altezza lo aveva fatto desistere – e poi provando a tagliarsi le vene – riuscendovi, tuttavia, solo in modo superficiale. Dopo due giorni dall’efferato crimine, aveva poi denunciato i fatti e confessato tutto agli inquirenti. All’uomo veniva sin da subito contestata l’accusa di omicidio pluriaggravato, anche in ragione della premeditazione “in quanto maturava il proposito delittuoso nei giorni precedenti (4-5 giorni prima), a causa della forte gelosia nutrita verso la moglie e della convinzione di essere tradito dalla persona offesa[2]. Pertanto, veniva immediatamente sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere e lì, sin dal suo ingresso, veniva sottoposto ad accertamenti peritali di natura psichiatrica, le cui risultanze avevano confermato lo stato di incapacità di intendere e di volere. Di qui, la sentenza di assoluzione per vizio totale di mente al momento del fatto, con applicazione, a fronte della ritenuta pericolosità sociale del Gozzini, della misura di sicurezza del ricovero in REMS.

La suddetta vicenda processuale, sin da subito, veniva portata all’attenzione dell’opinione pubblica, sia dalla cronaca nazionale che da quella locale[3], come “assoluzione per gelosia”, provocando, conseguentemente, lo sdegno dell’opinione pubblica ed innescando una serie di polemiche, in risposta alle quali sembrano essere state sviluppate le articolate motivazioni della sentenza bresciana, ricca di così tante precisazioni, da consegnare, al lettore, l’immagine di un giudice che, con estrema cautela, si appresta a polarizzare l’attenzione sulla tematica della gelosia, sì da evitare di “banalizzare un tema delicato e complesso mediante equivoci concettuali e linguistici[4].

In considerazione della delicatezza della materia, difatti, il giudice bresciano, con una precisione quasi chirurgica, ha provveduto a tracciare il discrimen tra la passionalità tracimante ed i profili del delirio e, conseguentemente, a sottolineare come, a fondamento della pronuncia assolutoria per vizio totale di mente, non vi fosse la gelosia tout court – che, a mente del disposto di cui all’art. 90 c.p., quale stato emotivo e passionale, non è idoneo né ad escludere né a diminuire l’imputabilità[5] – ma, beninteso, un’ossessione psicotica, ossia la c.d. gelosia delirante[6]. Difatti, secondo la Corte bresciana, “vanno tenuti ben distinti il delirio da altre forme di travolgimento delle facoltà di discernimento che, non avendo base psicotica, possono e debbono essere controllate attraverso la inibizione della impulsività e instintualità[7]. Di qui, la necessità di “non confondere i disturbi cognitivi con le episodiche perdite di autocontrollo sotto la spinta di impellenti stimoli emotivi; la liberazione dell’aggressività in situazioni di contingenti crepuscoli della coscienza con la violenza indotta dalla farneticazione nosologica […]”[8], in considerazione della “profonda differenza tra la gelosia delirante, quale sintomo di una patologia psichiatrica, e la gelosia come stato d’animo passionale, tale da determinare impulsi violenti improvvisi e incontrollati all’esito di alcuni stati di tensione. “Paragonare le due condizioni … è un errore enorme perché – si crea un parallelismo tra una persona che ha un disturbo di natura psicotica con una persona che fa una scelta di agire … che può essere più o meno impulsiva, più o meno motivata, più o meno razionale; però può scegliere … Gozzini non poteva scegliere[9]. Nel caso di specie, difatti, l’impulso omicida era maturato nell’uomo non sulla base di dati storici sintomatici del tradimento, ma attraverso la rievocazione e la rimuginazione di episodi passati. Si trattava, difatti, di “(“cose vecchissime”) che in un primo momento (il Gozzini n.d.r.) aveva vissuto come normali – l’invito a casa del collega, il caffè, la cena, la pizza –“ e che, poi, “gli erano apparse improvvisamente sotto una diversa lente e gli era “tornato tutto” […], rivisitando a distanza di tempo i medesimi eventi con il conato emotivo “travolgente … di uno … che ha trovato sua moglie in camera con un altro, come se l’avesse – scoperta – in quel momento[10]. In altri termini, ciò che aveva caratterizzato il delirio di gelosia del Gozzini non era stato il tradimento della moglie in sé, quale dato empirico storico-fattuale, quanto, piuttosto, le modalità attraverso cui la convinzione circa l’infedeltà coniugale, “saltata (solo n.d.r.) nel – precedente – mese di settembre”,  era maturata e si era radicata, improvvisamente, in maniera intrusiva  ed ossessiva nella mente dell’uomo come verità dogmatica, fino a “deflagrare il mattino del fatto in una “spinta irrefrenabile”, ricalcando lo schema tipico della sindrome delirante, ove il disturbo di norma non interferisce con la quotidianità[11]. Non era ravvisabile, difatti, alcun passaggio logico-razionale che permettesse di spiegare le ragioni del repentino cambio di prospettiva che avesse indotto il Gozzini, a distanza di molti anni, a rievocare e a riconsiderare ordinari e normali episodi di convivialità della moglie come accadimenti comprovanti l’infedeltà coniugale della stessa. Anzi, essendo mancati del tutto una dialettica interiore ed un approccio critico alla realtà, non vi erano stati “né all’epoca del fatto, né dopo, da parte sua, sensi di colpa e rielaborazione del lutto, ma solo un sentimento di fatalità […]”. Né, peraltro, il Gozzini aveva mai cercato di giustificare il proprio comportamento “a fronte della ineluttabilità  della scelta (omicida n.d.r.)”[12]. Inoltre, nonostante l’uomo avesse iniziato a rimanifestare una sintomatologia riconducibile allo stato depressivo subito dopo il rientro dalla vacanza con la moglie in Trentino, non vi erano stati segni premonitori o comunque eventi di gravità tale da indurre i medici e la stessa vittima a presagire che, di lì a poco, si sarebbe consumato il tragico delitto. Anzi, dalle copiose testimonianze raccolte in dibattimento, era emerso che la vittima stessa non aveva mai manifestato alcuna preoccupazione o timore per sé stessa e per la propria incolumità, quanto piuttosto per la cagionevole salute del marito, che, in un profondo stato di prostrazione, aveva manifestato, in più occasioni, propositi suicidi ed autolesionistici – ma mai omicidi – tanto che la donna aveva richiesto consulti medici ad esclusivo favore del marito. Inoltre, tutti i testi escussi avevano descritto i coniugi Gozzini come una coppia normale ed affiatata ed avevano categoricamente escluso che l’uomo fosse mai trasceso, in passato, ad atti di violenza, fisica o psichica, o a fenomeni di possessività nei confronti della moglie. Di qui, la considerazione della Corte bresciana per cui, nel caso di specie, doveva parlarsi, a rigore, di uxoricidio, e non di femminicidio, dal momento che “il primo contrassegna la mera uccisione di una donna, mentre il secondo, avente contenuto criminologico, si riferisce all’uccisione di una donna in quanto tale per motivi legati al genere, e ciò a causa di situazioni di patologie relazionali dovute a matrici ideologiche misogine e sessiste e/o ad arretratezze culturali di stampo patriarcale[13].

Conseguentemente, alla luce delle riflessioni svolte e del poderoso quadro probatorio raccolto, il giudice bresciano aveva coerentemente ritenuto di dover dichiarare il Gozzini non imputabile ai sensi dell’art. 530 c.p.p., nonché di precisare ulteriormente che con il verdetto assolutorio non intendesse affatto riservare all’uomo “un salvacondotto o un trattamento indulgente a fronte della perpetrazione di un’azione orribile, ma semplicemente tener conto di un elementare principio di civiltà giuridica, quello della funzione rieducativa della pena, secondo cui non può esservi punizione laddove l’infermità mentale abbia obnubilato nell’autore del delitto la capacità di comprendere il significato del proprio comportamento[14].

  1. “Il delirio di gelosia” quale infermità mentale alla luce del principio di colpevolezza e della funzione rieducativa della pena.

Orbene, da una prospettiva squisitamente tecnico-giuridica, l’iter argomentativo della sentenza bresciana, appare esente da critiche, fermo restando l’ovvio rilievo che, anche se dovessero esserci ulteriori elementi di fatto non opportunamente valutati o valutati erroneamente dal giudice di primo grado, questi, non sono né conoscibili né opinabili in questa sede.

Ciò premesso, la pronuncia assolutoria e le ragioni poste a fondamento di tale scelta s’inseriscono in quel solco giurisprudenziale, inaugurato dalle Sezioni Unite con la celebre sentenza n. 9163 del 2005, in cui si è evidenziata la necessità di una rinnovata riflessione sul vigente assetto codicistico dell’imputabilità, in quanto ancora fortemente ispirato ad un’ormai anacronistica matrice tardopositivista e ad un paradigma di “infermità mentale” legato alle sole “malattie psichiatriche”, ossia alle sole malattie del cervello o del sistema nervoso, aventi un substrato organico o biologico. Con tale pronuncia, quindi, le Sezioni Unite hanno colto l’occasione per sottolineare l’esigenza di allargare le maglie del concetto di “infermità mentale”, al fine di ricomprendervi non solo le psicosi organiche, ma anche altri disturbi morbosi dell’attività psichica, ossia i gravi disturbi della personalità, purché siano accertati di tale intensità e gravità “da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere o di volere, e il nesso eziologico con la specifica azione criminosa[15]. Alla luce di ciò, è chiaro, dunque, che il giudice bresciano, nonostante le fuorvianti ed equivoche testate giornalistiche che hanno presentato la vicenda agli occhi dell’opinione pubblica, non ha affatto pronunciato un’“assoluzione per gelosia” dell’imputato, ma la sua assoluzione per riconosciuta sua inimputabilità a seguito dell’accertato “disturbo da gelosia delirante” alla luce dei granitici principi di civiltà giuridica, propri dei moderni sistemi penali di matrice illuministico-razionalista.

La configurazione personalistica della responsabilità penale di cui all’art. 27, c. 1, Cost., esige, difatti, che essa si radichi non solo nella commissione materiale del fatto, ma anche nella concreta rimproverabilità dello stesso, senza la quale, invero, si avrebbe solo un’ascrizione causalistica, meccanicistica ed oggettiva dell’evento al suo autore. Di qui, la nozione di imputabilità – quale capacità di intendere e di volere ex art. 85 c.p. – come condicio sine qua non della rimproverabilità, ossia come propedeuticità soggettiva rispetto al reato, come presupposto della colpevolezza, non potendovi essere, difatti,  colpevolezza senza imputabilità. A ciò si aggiunga, altresì, che se, a mente dell’art. 27, c. 3, Cost., la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, l’imputabilità – quale capacità di intendere e di volere – non può che esigere l’accertamento di un collegamento psichico tra fatto e autore, essendo impensabile, difatti, la risocializzazione di chi, al momento del fatto, non aveva la possibilità di agire altrimenti e, conseguentemente, la rieducazione di chi non sarebbe in grado di cogliere il significato della pena e di modificare i propri comportamenti conformandoli al precetto penale[16].

  1. Brevi considerazioni.

Rebus sic stantibus, alla luce di quanto esposto, pare sia auspicabile una maggiore responsabilizzazione della classe politica e dei canali di comunicazione di massa, a garanzia sia dell’indipendenza del giudice – il cui ruolo è spesso falsamente concepito come “cassa di risonanza dell’emotività popolare[17] –  che dei diritti degli imputati. Una tale esigenza, diretta a ri-condurre lo jus puniendi entro gli argini dei principi propri dello Stato di diritto, si avverte tanto più se si considera che, negli ultimi anni si è assistito al proliferare di politiche securitarie, collettrici di un massiccio consenso e promotrici, dietro la promessa di garantire una maggiore fantomatica sicurezza, di strumentalizzazioni demagogiche del diritto penale, attraverso una surrettizia regressione ad ancestrali modelli illiberali, fortemente lesivi dei diritti fondamentali. Il quadro delle garanzie costituzionali in ambito penalistico, quale “sistema di regole razionali che garantiscono, nella massima misura, l’accertamento plausibile della “verità processuale” e perciò la punizione dei veri colpevoli[18], è intriso, invero, di una “razionalità che non viene accettata né capita da gran parte dell’opinione pubblica, che aspira al contrario alla giustizia sommaria, tendenzialmente al linciaggio dei sospetti[19]. Di qui, il comune sentire, che percepisce “la giustizia penale come una guerra contro il male […] l’irrogazione di pene come nuova e principale domanda sociale e perfino come risposta a gran parte dei problemi politici[20].

D’altro canto, maggiore cautela è, altresì, auspicabile anche a fronte dei frequenti “processi mediatici”. Sebbene sia indiscussa l’imprescindibile funzione della stampa quale “watchdog[21] delle moderne democrazie, tuttavia, “la logica della cronaca e quella del sapere esperto sono diverse: il giornalismo, o almeno la cronaca abbisogna frequentemente di commenti “a caldo”, la sua logica è la logica dell’emergenza, dell’illico et immediate, il sapere scientifico (al contrario n.d.r.) si fonda sulla riflessione e su affermazioni ipotetiche e mai apodittiche[22].

[1] Corte d’assise di Brescia, sentenza n. 1, 21 dicembre 2020, disponibile qui: https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2021/04/sentenza-gozzini-brescia.pdf .

[2] Ibidem.

[3] V., ex multis, C. Di Cristofaro, “Femminicidio, perché il “delirio di gelosia” non spiega un bel niente”, in “Il Sole 24ore”, 10 dicembre 2020, disponibile qui: https://alleyoop.ilsole24ore.com/2020/12/10/femminicidio-perche-delirio-gelosia-non-spiega-un-bel-niente/?refresh_ce=1 ; I. Carra, “Marito assolto per il femminicidio di sua moglie,l’avvocato: “Ha un disturbo psicotico di gelosia, non c’entrano i normali sentimenti”, in “La Repubblica”, 9 dicembre 2020, disponibile qui: https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/12/09/news/femminicidio_uccide_moglie_antonio_gozzini_assolto_delirio_di_gelosia_vrescia_cristina_maioli-277648986/ ; T. Paolocci, “Anziano uccise la moglie a coltellate: assolto perchè in”delirio di gelosia”, in “Il Giornale”, 10 dicembre 2020, disponibile qui: https://www.ilgiornale.it/news/politica/anziano-uccise-moglie-coltellate-assolto-perch-delirio-1908665.html ; M. Rodella, “Uccise la moglie in preda a un «delirio di gelosia»: assolto”, in “Corriere della Sera Brescia”, 9 dicembre 2020, disponibile qui: https://brescia.corriere.it/notizie/cronaca/20_dicembre_09/uccise-moglie-preda-un-delirio-gelosia-assolto-7aed92c8-3a2e-11eb-bd0f-1c432ae6dd98.shtml .

[4] Corte d’assise di Brescia, cit.

[5]Dal disposto dell’art. 90 c.p., secondo cui gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità, deriva che l’indebolimento dei freni inibitori e/o l’attenuazione della loro funzionalità in determinate aree sensibili (quali la “possessività sospettosa” nella gelosia), se non dipendenti da un vero e proprio stato patologico, non sono in grado di incidere sulla capacità di intendere e di volere e, quindi, sull’imputabilità. Infatti, la gelosia, quale stato passionale, in soggetti normali, si manifesta come idea generica portatrice di inquietudine che non  è usualmente in grado di diminuire, né tantomeno di escludere, la capacità di intendere e di volere del soggetto, salvo che essa nasca e si sviluppi da un vero e proprio squilibrio psichico, il quale deve presupporre uno stato delirante o maniacale, o comunque provenga da un’alterazione psicofisica consistente e tale da incidere sui processi di determinazione e di auto inibizione”. Così, Cass. Pen. Sez. I, sentenza n. 12621, 25 marzo 2010.

[6] In particolare, v. Corte d’assise di Brescia, cit., laddove è detto che la consulenza del PM aveva evidenziato come “fosse emerso un disturbo intrusivo tale da compromettere l’esame della realtà attraverso giudizi e associazioni del pensiero del tutto irrazionali. L’ideazione delirante di gelosia era insorta, o si era riattivata, in prossimità del fatto “in maniera prorompente ed incoercibile … per raggiungere un apice irrefrenabile con il violento comportamento delittuoso”.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem.

[12] Ibidem.

[13] Ibidem.

[14] Ibidem.

[15] Cass. Sez. Un., sentenza n. 9163, 8 marzo 2005

[16] Peraltro, anche nel quadro di un’ottica retributiva, se la pena deve servire a compensare la colpa per il male commesso, la sua applicazione avrebbe senso solo con riguardo ai soggetti che abbiano scelto di delinquere in piena libertà. Mutatis mutandis, anche la funzione preventiva avrebbe senso solo rispetto ai soggetti effettivamente in grado di cogliere l’appello contenuto nel precetto penale e tali, pertanto, non potrebbero essere i soggetti non imputabili.

[17] A. Melchionda, “Omicidio ed assoluzione “per gelosia”. Dai motivi agravanti, alle psicopatie invalidanti, nel focus delle “impugnazioni mediatiche”, in “Archivio Penale”, 2021, disponibile qui: https://archiviopenale.it/File/DownloadArticolo?codice=aa3bd6c4-73db-4aed-b96e-c580ad58ba3f&idarticolo=27086 .

[18] L. Ferrajoli, “Il populismo penale nell’età dei populismi politici”, in “Questione Giustizia”, 2019, disponibile qui: https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/il-populismo-penale-nell-eta-dei-populismi-politici_627.php .

[19] Ibidem.

[20] Ibidem.

[21]Secretary General: European governments should show stroger political will to protect press freedom”, 28 aprile 2021,disponibile qui: https://www.coe.int/en/web/freedom-expression/-/secretary-general-european-governments-should-show-stronger-political-will-to-protect-press-freedom .

[22] I. Merzagora, “Il femminicidio e l’idealismo pervertito”, in “Sistema Penale”, 24 febbraio 2021, disponibile qui: https://www.sistemapenale.it/it/opinioni/merzagora-femminicidio-idealismo-pervertito . V. anche A. Melchionda, cit.

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