La legalizzazione della Cannabis tra protezionismo e proibizionismo
Sulla scia delle ultime novità arrivate in Europa dall’America e dei cambiamenti avvenuti nella società Italiana del XXI secolo, è fondamentale chiarire la differenza tra due termini spesso confusi, ma con significati molto diversi: liberalizzare la droga significa riconoscere la piena libertà del suo commercio, alleggerendo le sanzioni ed i controlli su di esso.
Legalizzare le droghe vuol dire concedere la possibilità di utilizzare e commerciare alcune droghe appositamente individuate, a determinate condizioni stabilite dalla legge; la legalizzazione delle c.d. droghe leggere è il processo di eliminazione o riduzione delle leggi che ne proibiscono l’uso e costituisce in Italia il fulcro di una annosa opposizione tra forze politiche, tradizioni culturali, ideologie laiche e precetti cristiani.
In Italia, infatti, è sempre più acceso il dibattito sulla possibilità di classificare e concedere l’uso di alcune droghe c.d. leggere ed attualmente lo scontro riguarda alcune delle forze politiche da un lato, impegnate nella discussione del disegno di legge sulla legalizzazione delle droghe leggere depositato nel 2015 e coloro che invece, si battono per arginare i danni provocati dalle droghe, dall’altro. Politici antiproibizionisti da una parte, esperti in materia dall’altra.
La cannabis ed i sui derivati furono demonizzati fino agli anni ‘50, quando fu introdotto il concetto di “droghe leggere” che, distaccandosi dal clima di “tolleranza zero” esistente, innescò nei popoli un atteggiamento completamente opposto, concependo le droghe leggere solo come “droghe di passaggio” verso quelle realmente pericolose e letali, come eroina e cocaina ed alimentandone l’uso e la vendita “clandestina”.
Nella società moderna, continua a crescere il numero dei sostenitori della corrente politica antiproibizionista, che contrasta la restrizione delle libertà personali per via legislativa e quindi si oppone fortemente ai difensori della necessità di mettere al bando il consumo delle droghe. Gli antiproibizionisti sono infatti a favore della legalizzazione e della liberalizzazione delle droghe, dato che, come essi sostengono, vietarne l’uso significherebbe stimolare e favorire l’illegalità e la criminalità organizzata. In Italia, il movimento antiproibizionista è in gran parte rappresentato dal Partito Radicale, secondo il quale marijuana e hashish hanno un effetto molto più blando rispetto ad altre sostanze, come alcool o nicotina contenuta nelle sigarette che invece, pur essendo legali e pacificamente accettate dalle società, sono relativamente più pericolose, potendo provocare nei consumatori una dipendenza fisica di non trascurabile importanza.
Il quadro normativo italiano
La legalità della cannabis varia di Paese in Paese. In Italia, l’uso della cannabis è illegale, ma se esclusivamente personale è depenalizzato e punito con sanzioni amministrative che comportano la restrizione del godimento di alcuni diritti da parte degli interessati: sospensione o revoca della patente, del porto d’armi, del permesso di soggiorno e così via.
Nell’ordinamento legislativo italiano, il testo unico vigente in materia di stupefacenti è il D.P.R. 309/90 che suddivide le sostanze psicotrope in diverse tabelle e classifica le droghe leggere come sostanze stupefacenti incapaci di creare dipendenza (in senso fisico), le cui proprietà psicotrope sono piuttosto trascurabili. In particolare, esse sono le piante del genere cannabis (la canapa) e le sostanze psicotrope che si ricavano da esse, cioè marijuana e hashish, ma a volte si identificano come droghe leggere anche gli psichedelici come funghi psylocibe, DMT, LSD.
Dopo l’emanazione del T.U. in materia di stupefacenti del 1990, è seguito un acceso dibattito avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio riservato al consumatore della cannabis ed il quadro normativo è mutato numerose volte. Dopo il Referendum popolare del 18-19 aprile 1993, che sancì la non punibilità dei consumatori, la legge del 21 febbraio 2006 n. 49, cioè la legge Fini-Giovanardi, inasprì le sanzioni e contestualmente abolì le distinzioni tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”. Poi, la Corte Costituzionale, con sentenza 12 febbraio 2014, n. 32, dichairò incostituzionale la legge Fini-Giovanardi che fu quindi quasi completamente abrogata e si passò alla legge Iervolino-Vassalli, la quale stabilisce pene più lievi per le droghe leggere e la non punibilità per l’uso personale.
Il quadro normativo attuale prevede quindi, ai sensi degli artt. 72-83 del T.U. in materia di sostanze stupefacenti una serie di fattispecie delittuose legate alla produzione e al traffico degli stupefacenti, le quali si riferiscono a varie figure di reato, ognuna sdoppiata, a seconda che l’oggetto siano droghe pesanti o leggere. Dunque, la disciplina giuridica della materia è improntata al doppio binario sanzionatorio, prevedendo una risposta punitiva diversificata, talvolta penale, talvolta amministrativa, in relazione all’oggetto materiale del reato.
L’uso medico-terapeutico delle droghe leggere, invece, in Italia è soltanto teoricamente legale per alcuni medicinali a base di marijuana debitamente prescritti. Infatti, solo alcune regioni italiane lo hanno regolamentato, cioè la Puglia, la Toscana e la Liguria e, nonostante ciò, resta effettivamente molto difficile ottenere una prescrizione del farmaco a base di marijuana, spesso anche eccessivamente costoso.
Ma in un clima di conflitto politico, scientifico, culturale e religioso così aspro come quello dei nostri giorni, questo quadro giuridico potrebbe ben presto cambiare.
Le proposte di legalizzazione
Già nel 2014, la Direzione Nazionale Antimafia aveva chiesto al Parlamento di poter valutare l’eventualità di depenalizzare l’uso della Cannabis in seguito alla presa di coscienza che ogni sforzo repressivo in materia, fosse obbiettivamente inadeguato. Secondo la Direzione, la depenalizzazione avrebbe potuto costituire uno strumento di deflazione del sovraccarico giudiziario, in modo da aiutare la magistratura nella repressione di altri fenomeni criminali. Ma non solo, l’auspicio era anche quello di sventare un mercato di proprietà (in parte) di associazioni mafiose.
Nel marzo 2015, un gruppo di deputati (PD, SEL, M5S, gruppo misto), su proposta di Benedetto Della Vedova, Sottosegretario agli Esteri del Governo Renzi, spalleggiato anche da partiti esterni come i Radicali Italiani e PRC, ha proposto la legalizzazione dei derivati della Cannabis, elaborando un disegno di legge.
La proposta legislativa, sottoscritta da 218 parlamentari di vari schieramenti politici è stata depositata alla Camera il 16 luglio 2015 dall’Intergruppo parlamentare per la legalizzazione della Cannabis e la discussione del testo è attualmente bloccata.
Il testo della proposta contiene regole precise che riguardano il possesso, l’autocoltivazione, la vendita della droga, i social club e la prevenzione di eventuali danni provocati dalle sostanze:
– Si stabilisce il principio della detenzione lecita di una certa quantità di cannabis per uso ricreativo (5 grammi innalzabili a 15 grammi in privato domicilio), senza previa autorizzazione, né comunicazione a enti o autorità pubbliche. Resta illecito e punibile il piccolo spaccio. È consentita la detenzione di cannabis per uso terapeutico entro i limiti contenuti nella prescrizione medica.
– È possibile coltivare piante di cannabis, fino a un massimo di 5 di sesso femminile. È altresì consentita la detenzione del prodotto ottenuto dalle piante coltivate. Per la coltivazione personale è sufficiente inviare una comunicazione all’Ufficio regionale dei Monopoli competente per territorio.
– Per la coltivazione in forma associata, è necessario costituire una associazione senza fini di lucro, sul modello dei cannabis social club spagnoli, cui possono associarsi solo persone maggiorenni e residenti in Italia.
– È istituito il regime di monopolio per la coltivazione delle piante di cannabis, la preparazione dei prodotti da essa derivati e la loro vendita al dettaglio. Per queste attività sono autorizzati dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli anche soggetti privati. La violazione delle norme del monopolio comporta l’applicazione delle norme di contrasto alla produzione e al traffico illecito di droga.
– Sono previste norme per semplificare la modalità di individuazione delle aree per la coltivazione di cannabis destinata a preparazioni di medicinali e delle aziende farmaceutiche autorizzate, in modo da soddisfare il fabbisogno nazionale.
– Si stabilisce un principio generale di divieto di fumo di marijuana e hashish in luoghi pubblici e negli ambienti di lavoro, pubblici e privati. Sarà possibile fumare solo in spazi privati, sia al chiuso, che all’aperto.
– Come per l’alcol, la legalizzazione della cannabis non comporta l’attenuazione delle norme e delle sanzioni previste dal Codice della strada per la guida in stato di alterazione psico-fisica.
– In un’ottica di prevenzione, i proventi derivanti dalla legalizzazione del mercato della cannabis e dalle sanzioni irrogate in caso di illeciti sono destinati al finanziamento dei progetti di intervento per la lotta alla droga e degli interventi educativi, preventivi e riabilitativi da parte di istituzioni scolastiche e sanitarie.
È ancora presto per effettuare pronostici su quale delle due ideologie contrastanti prevarrà: se il “protezionismo” dei valori e quindi il divieto delle droghe e la relativa prevenzione dei danni psico-fisici derivanti, oppure il versante “liberale”, con il suo tentativo di sottrarre il commercio della cannabis dalle tasche delle associazioni criminali, scardinando l’uso delle sostanze stupefacenti come taboo.
In ogni caso, alla luce della proposta di legge sulla legalizzazione, che tutt’ora rimbalza tra Camera e Senato ci si chiede: “che sia in atto un cambiamento epocale della società italiana?”
Sono Alessia Di Prisco, classe 1993 e vivo in provincia di Napoli.
Iscritta all’Albo degli Avvocati di Torre Annunziata, esercito la professione collaborando con uno studio legale napoletano.
Dopo la maturità scientifica, nel 2017 mi sono laureata alla facoltà di giurisprudenza presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli, redigendo una tesi dal titolo “Il dolo eventuale”, con particolare riferimento al caso ThyssenKrupp S.p.A., guidata dal Prof. Vincenzo Maiello.
In seguito, ho conseguito il diploma di specializzazione presso una Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali a Roma, con una dissertazione finale in materia di diritto penale, in relazione ai reati informatici.
Ho svolto il Tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari del Tribunale di Torre Annunziata affiancando il GIP e scrivo da anni per la rubrica di diritto penale di Ius In Itinere.
Dello stesso progetto sono stata co-fondatrice e mi sono occupata dell’organizzazione di eventi giuridici per Ius In Itinere su tutto il territorio nazionale.