venerdì, Marzo 29, 2024
Di Robusta Costituzione

La legislazione in tema di libertà di espressione e l’evoluzione dei mezzi di comunicazione

Prosegue il focus sull’evoluzione della libertà di espressione. Come si è avuto modo di vedere nel precedente articolo, un’analisi della libertà di espressione non può prescindere da un’analisi, normativa e dottrinale, dell’articolo 21 della Costituzione.

  1. Introduzione

La libertà di esprimere le proprie convinzioni e le proprie idee è una delle libertà più antiche: sorta come corollario della libertà di religione, è stata rivendicata fin dai primi scrittori cristiani nel corso del II-III secolo[1]. Nonostante ciò, è solo con la nascita e l’evoluzione degli Stati liberali che la libertà d’espressione trova il suo riconoscimento giuridico: alla fine del XVII sec. in Inghilterra si afferma il principio del freedom of Speach all’interno del Parlamento e successivamente come situazione giuridica riconosciuta anche nei confronti dei cittadini, seppure con significative limitazioni[2], fino ad essere riconosciuta a livello costituzionale[3] dalla seconda metà del XVIII sec.

Nell’esperienza italiana, la disciplina di tale libertà si riscontra per la prima volta nell’art. 28 dello Statuto Albertino[4], promulgato dal re Carlo Alberto per il Regno di Sardegna il 4 marzo 1848 e divenuto carta costituzionale nel 1861[5] a seguito dell’unificazione del Regno di Italia, che non contemplava espressamente tale libertà ma solo quella di stampa[6]. Lo statuto costituzionale, a differenza della nostra Carta, faceva perno essenzialmente sul ruolo della legge che ne definiva i contorni, rendendo precario lo status della libertà in esame, affidandola alla volontà delle mutevoli maggioranze politiche presenti in Parlamento[7] ed esponendola all’assenza di un sistema di controllo di legittimità costituzionale delle leggi.

Quello della stampa fu dunque l’unico settore che poté beneficiare, almeno per un certo periodo, dello spirito liberale della disposizione statutaria e del modello di tutela che essa aveva voluto esprimere[8]. Il primo atto normativo che si occupò di questa materia fu il Regio Editto sulla stampa (r.d. n. 695/1848) con l’introduzione del divieto di ogni forma di censura preventiva e con la definizione dei reati a mezzo stampa[9] e della disciplina del sequestro. Già nel Preambolo, l’Editto esordiva “La libertà di stampa […] è necessaria guarentigia delle istituzioni di un ben ordinato Governo rappresentativo “e ne postula la repressione “allorché degenera in licenza, quando invece di servire ad un generoso svolgimenti di idee, si assoggetta all’impero di malaugurate passioni”, confermando una significativa diffidenza nei confronti delle manifestazioni del pensiero capaci di eccitare pericolose passioni politiche[10]. Era previsto, pertanto, l’intervento solo in presenza di abusi e i giudici avrebbero potuto intervenire con sanzioni differenti a seconda dell’abuso commesso.

I controlli divennero sempre più aspri e la situazione migliorò solo durante l’età giolittiana, tra il 1903 al 1913, quando i controlli sulla stampa si attenuarono in ragione delle condizioni generali di maggiore stabilità politica[11].

Nel 1915, con le ostilità belliche e le tensioni politiche-sociali, venne emanata la legge n.83 e il successivo decreto-legge n. 675 che attribuirono al potere esecutivo la possibilità di vietare la diffusione di notizie di carattere militare e posero le basi per una legislazione ancor meno garantista nei confronti della libertà di stampa[12]. L’informazione si caratterizzò quasi da subito per il suo carattere restrittivo, sia in materia di controlli sul contenuto sia sulle condizioni di esercizio della libertà di informazione tramite mezzo stampa da parte degli addetti ai lavori, soprattutto durante il periodo fascista.

La legislazione del periodo segue tre direttrici principali:

  • La creazione di istituti che consentano una selezione preventiva degli operatori professionali dell’informazione[13];
  • L’aggravamento della disciplina dei reati a mezzo di stampa;
  • L’espansione dei poteri di intervento preventivo dell’autorità di pubblica sicurezza[14].

Per quanto riguarda la prima direttrice, fu introdotto l’Ordine e l’Albo dei giornalisti con la l. 2307 del 1925 al fine di selezionarli e assicurare al regime il loro allineamento, proibendo l’iscrizione proibita a coloro che avessero svolto attività contrarie agli interessi della nazione.

Rispetto ai reati di stampa, vennero inasprite le pene e venne riformata la figura del direttore responsabile, configurando una responsabilità oggettiva in virtù del ruolo ricoperto.

Infine, per quanto riguarda la terza direttrice, è necessario riferirsi ai due testi unici delle leggi di pubblica sicurezza del 1926 e il successivo del 1931. Con la prima normazione, lo strumento del sequestro preventivo della stampa venne ampliato, permettendone il ricorso laddove si ravvisasse nel contenuto dello stampato un atteggiamento contrario agli interessi nazionali dello Stato o lesivo della dignità e del prestigio nazionale[15].

Con il secondo dopoguerra il tema della libertà di informazione ritornò in primo piano: nel 1946 infatti venne firmato il r.d.lgt 31 maggio 1946, n.561 che soppresse il primo strumento di controllo del fascismo: il sequestro preventivo. É con queste premesse storico-culturali che si arriverà alla costituzione del 1948 in cui la costituente riserverà grande importanza al tema della libertà di stampa, considerata l’elemento più importante della libertà di manifestazione del pensiero.

 

  1. Il conflitto tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della personalità nella giurisprudenza della Corte Costituzionale

 

Come già accennato, sin dall’inizio la Corte costituzionale ha qualificato il diritto di manifestazione del pensiero come “fondamentale”. Si riportano, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, alcune importanti pronunce, come la sent. n. 9 del 1965, per la quale “la libertà di manifestazione del pensiero è, tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle […] che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com’è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale”. La sent. n. 11 del 1968 ha affermato che la manifestazione del pensiero è “un diritto […] coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione” e che “la libertà della stampa periodica […] è condizione essenziale di quel libero confronto di idee nel quale la democrazia affonda le sue radici vitali”. La sent. n. 84 del 1969 ha qualificato la libertà di espressione “pietra angolare dell’ordine democratico”. La sent. n. 105 del 1972 ha riconosciuto che l’art. 21 Cost. è “uno dei principi caratterizzanti del vigente ordinamento democratico” e che la stampa è un “mezzo di diffusione tradizionale e tuttora insostituibile ai fini dell’informazione dei cittadini e quindi della formazione di una pubblica opinione avvertita e consapevole”. Per la sent. n. 172 del 1972, la libera manifestazione del pensiero è “fondamento della democrazia”, mentre “la stampa, considerata come essenziale strumento di quella libertà, deve essere salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, diretta o indiretta”. Per la sent. n. 106 del 1975, la manifestazione del pensiero è un “cardine del regime di democrazia garantito dalla Costituzione” e la stampa uno strumento essenziale di quella libertà. Per la sent. n. 126 del 1985, la manifestazione del pensiero è un “cardine di democrazia nell’ordinamento”. Per la sent. n. 138 del 1985, la manifestazione del pensiero è “il più alto, forse” dei diritti fondamentali. La sent. n. 155 del 2002 ricorda “«l’imperativo costituzionale» che «il diritto all’informazione», garantito dall’art. 21 della Costituzione, venga qualificato e caratterizzato, tra l’altro, sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie – così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti – sia dall’obiettività e dall’imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell’attività di informazione erogata”.

La Corte ha più volte confermato i princìpi appena enunciati. Così, ad esempio, ha detto che “la libertà di manifestazione del pensiero, di cui è espressione la libertà di stampa, costituisce un valore centrale del nostro sistema costituzionale”; ha messo in luce “il rapporto tra libertà di manifestazione del pensiero e regime democratico”; ha ribadito la centralità della libertà di informazione, confermando che “in mancanza di una specifica disciplina costituzionale dell’informazione, la giurisprudenza costituzionale ha poi sempre ricondotto il relativo diritto nell’àmbito di tutela della libertà costituzionale di manifestazione del pensiero”; ha precisato che il diritto all’informazione “va determinato e qualificato in riferimento ai princìpi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale”, con la conseguenza dell’“imperativo costituzionale che il «diritto all’informazione» garantito dall’art. 21 Cost. sia qualificato e caratterizzato dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie”; ha riconosciuto la “necessità dell’effettiva garanzia del pluralismo”, anche “quale condizione preliminare per l’attuazione dei princìpi propri dello Stato democratico[16].

La Corte costituzionale ha inoltre dichiarato illegittime varie norme che, in un modo o nell’altro, comprimevano il pluralismo, come nel caso della sent. n. 87 del 1966, che ha dichiarato illegittimo l’art. 272, comma 2, del codice penale, che vietava la propaganda antinazionale. Come ricorda la più recente sent. n. 243 del 2011, che ne ha condiviso il ragionamento, l’ha fatto “sulla base della considerazione che «il sentimento nazionale» costituisce soltanto un dato spirituale che, sorgendo e sviluppandosi nell’intimo della coscienza di ciascuno, fa parte esclusivamente del mondo del pensiero e delle idealità, sicché la relativa propaganda – non indirizzata a suscitare violente reazioni, né rivolta a vilipendere la nazione o a compromettere i doveri che il cittadino ha verso la Patria, od a menomare altri beni costituzionalmente garantiti – non poteva essere vietata senza che si profilasse il contrasto con la libertà di cui all’articolo 21 della Costituzione”.

Altro esempio è fornito dalla sent. n. 189 del 1987, che ha dichiarato illegittimi gli artt. 1 e 3 della l. 24 giugno 1929, n. 1085, in riferimento al divieto di esporre le bandiere di altri Stati, salva l’autorizzazione delle “autorità politiche locali”. Si trattava di una norma fascista, che aveva fatto seguito al r.d.l. 24 settembre 1923, n. 2072, il quale già aveva stabilito che nelle cerimonie pubbliche la bandiera nazionale avesse sempre la precedenza (art. 6), e che l’esposizione di bandiere estere fosse vietata “se non accompagnate alla bandiera italiana, che occuperà sempre il posto d’onore” (art. 7). La Corte ha motivato la declaratoria di incostituzionalità osservando che “dal 1929 ad oggi è notevolmente modificato il significato dei simboli, emblemi e bandiere”. Mentre prima si intendeva simboleggiare la sovranità nazionale come portatrice di un’unica ideologia, ora le bandiere “designano simbolicamente un certo Paese, l’identità d’un determinato Stato e, se mai, anche l’ideologia che la maggioranza del popolo di quest’ultimo accetta e propone al confronto internazionale[17].

 

Il collegamento fra libertà di espressione e democrazia è stato riconosciuto anche nella giurisprudenza ordinaria. Così, ad esempio, è stato affermato che la libertà di espressione è “tutelata come fondamento di ogni ordinamento democratico” (Cass. civ., Sez. III, 20 ottobre 2006, n. 22527); che “il diritto alla completa e obiettiva informazione del cittadino è presupposto di correttezza del confronto politico su cui si fonda l’ordinamento democratico”, precisando che “in coerenza con i principi fondamentali di solidarietà sociale, di effettiva partecipazione democratica all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, e di contributo di ogni cittadino al progresso materiale e spirituale della società, è riconosciuta la libertà di manifestazione del pensiero, anche critico, posto che uno Stato democratico non solo consente la critica, ma da essa trae alimento per assicurare, nella libera dialettica delle idee, l’adeguamento istituzionale ai valori portanti della coscienza sociale” (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 26 giugno 2012, n. 1300); che “la libertà di espressione e di critica, garantita dall’art. 21 Cost., costituisce uno dei cardini della democrazia ed è uno dei più potenti fattori dello sviluppo culturale dei cittadini italiani; quando essa poi si rivolge a strutture che operano in un delicato settore pubblico, la critica costituisce uno strumento di controllo democratico indispensabile” (Cass. pen., Sez. V, 15 maggio 2008, n. 19405).

Anche nella giurisprudenza comune si è ribadito che la libertà di espressione non è senza limiti, nemmeno in uno Stato democratico. La Cassazione ha ribadito che deve essere tenuto “fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali” (Cass. pen., Sez. V, 22 luglio 2019, n. 32862) e che “La libertà di manifestazione del pensiero non può esercitarsi in modo tale da mettere a repentaglio i valori su cui si fonda lo Stato democratico, né in contrasto con principi espressamente sanciti o impliciti nella Costituzione” (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 26 giugno 2012, n. 1300). Di particolare rilevanza è la sentenza del TAR Friuli-Venezia Giulia, Trieste, Sez. I, n. 580/2013, in cui il giudice amministrativo ha ribadito che

  1. a) “come ogni libertà, anche quella di parola e di opinione deve sempre coniugarsi con la responsabilità, per cui la libertà di espressione va esercitata nei limiti di legge e non può mai travalicare i confini del rispetto per le opinioni diverse dalla propria, per i cittadini e per le istituzioni”;
  2. b) “in nessun Paese democratico è consentito utilizzare la libertà di parola per incitare alla commissione di reati […]”;
  3. c) “ferme restando le libertà fondamentali, uno Stato democratico e sovrano non è certo un ente imbelle, per cui ha il diritto e il dovere di reagire, nelle forme di legge, ma anche con tutta la forza della legge, ogni qual volta vengano messi in discussione i princìpi basilari su cui si fonda ovvero ove sia in pericolo la stessa salus rei publicae”.

La Suprema Corte, nel tentativo di identificare i limiti opponibili alla libertà di espressione, ha elaborato una sorta di “decalogo” della libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di cronaca[18].

In una storica sentenza, si è affermato che “Vi è legittimo esercizio del diritto di cronaca soltanto quando vengano rispettate le seguenti condizioni;

  1. a) la verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) delle notizie; verità che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (od ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false (in tutto od in parte rilevante);
  2. b) la continenza e cioè il rispetto dei requisiti minimi di forma che debbono caratterizzare la cronaca ed anche la critica (e quindi tra l’altro l’assenza di termini esclusivamente insultanti);
  3. c) la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione[19].

 

  1. L’evoluzione della disciplina delle telecomunicazioni

 

L’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale è pressoché unanime nell’escludere ogni distinzione fra l’attività del “manifestare” e quella del “diffondere”, sulla base del “nesso di indispensabile strumentalità” che lega la seconda attività alla prima[20]. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha costantemente affermato come la libertà di manifestazione del pensiero sia centrale nell’ordinamento interno. Pronunce risalenti hanno asserito che tale libertà «è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle […] che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com’è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale»[21] sottolineando che il diritto previsto dall’art. 21 Cost., in ragione dell’ordine pubblico, è «il più alto, forse,» dei «diritti primari e fondamentali» sanciti dalla Costituzione[22].

Si evince, quindi, come la libertà di manifestazione del pensiero rientri tra i «diritti inviolabili dell’uomo» di cui all’art. 2 Cost.[23] con la conseguenza, da un lato, che la Repubblica ha il dovere di garantirla anche nei confronti dei privati[24] e, dall’altro, della non sopprimibilità della stessa (anche se non sembra doversi ritenere dell’immodificabilità della formulazione attuale dell’art. 21 Cost.)[25].

Come più volte ribadito dalla Corte, è presente un forte rapporto tra la libertà di manifestazione del pensiero e il regime democratico, affermando inoltre che la prima è «pietra angolare dell’ordine democratico»[26]. Tali affermazioni della Corte non sembrano, tuttavia, doversi intendere come un indice di una lettura “funzionalista” della libertà di manifestazione del pensiero, in base alla quale l’esercizio del diritto di espressione sia finalizzato e, quindi, strumentale al perseguimento dei valori democratici e trovi pertanto in ciò il proprio limite strutturale implicito. A tale proposito, sembra potersi dire che la libertà di manifestazione del pensiero è, secondo la Corte, non una conseguenza della democrazia ma, viceversa, il fondamento del regime democratico[27].

La Corte ha prevalentemente seguito un’interpretazione individualistica dell’art. 21 Cost., accogliendo l’approccio metodologico fondato sui limiti alla libertà di manifestazione del pensiero nell’esigenza di tutelare altri beni protetti dalla Costituzione. Nella già citata sentenza n. 9 del 1965, relativa alle questioni di legittimità dell’art. 553 cod. pen., che puniva «chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda a favore di esse»[28], la Corte afferma che, essendo la libertà di manifestazione del pensiero tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla Costituzione, le limitazioni sostanziali di questa libertà possono essere poste esclusivamente tramite riserva assoluta di legge, basandosi sui principi costituzionali esplicitamente enunciati nella Carta costituzionale[29].

Dunque, secondo la Corte, le limitazioni alla libertà di manifestazione del pensiero devono: a) essere poste dal (solo) legislatore ordinario, riserva di legge che la sentenza n. 9 del 1965 qualifica come assoluta[30]; b) tutelare beni costituzionalmente rilevanti.

Da questa interpretazione prevalentemente individualistica della libertà di manifestazione del pensiero, presente in particolare nella configurazione dei rapporti tra art. 21 Cost. e tutela della personalità, la Corte si è peraltro allontanata, per avvicinarsi a una lettura di tipo funzionalista, in diverse pronunce concernenti soprattutto il settore dell’informazione specialmente attraverso il mezzo televisivo. Va infatti rammentato che, in mancanza di una specifica disciplina costituzionale dell’informazione, la Corte ha sempre ricondotto il diritto di informare nell’àmbito di tutela della libertà costituzionale di manifestazione del pensiero, sulla base della considerazione che le notizie, al pari delle opinioni, sono espressioni del pensiero. Già in una prima sentenza del 1960 (n. 59)[31] la Corte affermò che il regime della radiotelevisione doveva in ogni caso evitare il rischio del formarsi di situazioni di monopolio o oligopolio privato[32], contrarie al principio del pluralismo informativo, aggiungendo che la necessità di assicurare il massimo pluralismo possibile delle fonti di informazione doveva considerarsi costituzionalmente imposto per consentire alla libertà di manifestazione del pensiero di svolgere a pieno quella che è la sua funzione in ogni sistema democratico, ossia quella di formazione della pubblica opinione in vista dell’esercizio dei diritti di partecipazione che ad essa spettano[33].

La nozione di libertà di espressione fa riferimento sia alla libertà di colui che intende avvalersene in senso attivo sia al diritto dei destinatari del messaggio comunicativo. L’equilibrio tra queste due posizioni, entrambe costituzionalmente protette è affidato in primo luogo al legislatore ordinario e in seconda battuta al giudice delle leggi che ha affermato il criterio dell’equo bilanciamento tra i diversi interessi, per evitare che la tutela dell’uno comporti il totale o eccessivo sacrificio dell’altro[34].

In particolare, sul tema del diritto ad essere informati, meritano di essere qui ricordate le sentenze n. 153 del 1987 e n. 112 del 1993. Nella sentenza n. 157 del 1987, la prima in cui la Corte perviene all’affermazione di un diritto all’informazione, lo stesso viene correlato ai contrapposti obblighi del concessionario del servizio pubblico radiotelevisivo: “[…] potenziale destinataria di quest’ultimo tipo di trasmissioni è la generalità dei cittadini-utenti nei cui confronti lo Stato deve assicurare il diritto alla informazione, promuovendo appunto, con il riconoscimento dell’emittenza quale servizio pubblico essenziale di preminente interesse generale, lo sviluppo sociale e culturale della collettività. Quando invece potenziale destinataria della diffusione circolare non è la generalità di coloro che stabilmente risiedono nel nostro paese, non può certo parlarsi di una collettività di cittadini verso i quali lo Stato debba assicurare il diritto alla informazione, venendo così meno la ragione fondamentale che la Corte ha preso in considerazione per giustificare il monopolio pubblico.”[35]

La sentenza sviluppa i contenuti della precedente sentenza n. 153 del 1987. Si riporta, di seguito, un passaggio della stessa che si ritiene particolarmente importante: «Questa Corte ha costantemente affermato che la Costituzione, all’art. 21, riconosce e garantisce a tutti la libertà di manifestare il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione e che tale libertà ricomprende tanto il diritto di informare, quanto il diritto di essere informati (v., ad esempio, sentt. nn. 202 del 1976, 148 del 1981, 826 del 1988). L’art. 21, come la Corte ha avuto modo di precisare, colloca la predetta libertà tra i valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità (art. 2 della Costituzione), i quali, in ragione del loro contenuto, in linea generale si traducono direttamente e immediatamente in diritti soggettivi dell’individuo, di carattere assoluto.

Tuttavia, l’attuazione di tali valori fondamentali nei rapporti della vita comporta una serie di relativizzazioni, alcune delle quali derivano da precisi vincoli di ordine costituzionale, altre da particolari fisionomie della realtà nella quale quei valori sono chiamati ad attuarsi.

Sotto il primo profilo, questa Corte ha da tempo affermato che il “diritto all’informazione” va determinato e qualificato in riferimento ai principi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale. Di qui deriva l’imperativo costituzionale che il “diritto all’informazione” garantito dall’art. 21 sia qualificato e caratterizzato: a) dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie – che comporta, fra l’altro, il vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire l’accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse – in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti; b) dall’obiettività e dall’imparzialità dei dati forniti; c) dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell’attività di informazione erogata; d) dal rispetto della dignità umana, dell’ ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori[36]

[1] «Manifestazione del pensiero», in Treccani.it, http://www.treccani.it/enciclopedia/liberta-di-manifestazione-del-pensiero/

[2] A. Valastro, Art. 21, op. cit.

[3] Il I Emendamento della Costituzione Americana del 1791 riporta: “Il Congresso non potrà fare alcuna legge […] per limitare la libertà di parola o di stampa […]”

[4] Una primissima normazione costituzionale della libertà di stampa è presente già nel 1797 all’art. 2 della Costituzione della Repubblica Cispadana, l’esperienza, però, effimera della piccola repubblica non rende apprezzabile l’applicazione dei principi enunciati.

[5] Lo statuto conteneva un elenco assai limitato di diritti dei cittadini in quanto lo statuto era stato concesso dal re a fronte della spinta di democratizzazione e la liberalizzazione dell’ordinamento, ma on era stato concepito come un documento rivoluzionario.

[6] L’art. 28 recita “La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia le Bibbie, i Catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo”

[7] P. Caretti, Manifestazione del pensiero, op. cit., pag. 3585

[8] Ibidem

[9] Il regio decreto distingueva i reati in due categorie: quelli a tutela di interessi pubblici e quelli a tutela di interessi privati. Tra i primi rientravano le aperte contestazioni dell’autorità costituzionale del Re e delle Camere, le offese alla Religione di Stato e le violazioni del buon costume. Tra i secondi, figuravano essenzialmente l’ingiuria e la diffamazione. dizionario

[10] M. Luciani, La libertà di espressione, op. cit., pag. 7

[11] È di questo periodo la stipula del primo contratto nazionale di lavoro per i giornalisti, pubblicato nel 1911, denominato “Convenzione d’opera giornalistica tra editori e giornalisti”, che viene considerato come il primo patto sindacale

[12] R. Razzante, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, Cedam, 2011, pag. 16

[13] Ibidem, “La censura nelle comunicazioni pubbliche veniva condotta dal Ministero della Cultura Popolare; questo dicastero aveva competenza su tutti i contenuti che potessero apparire in giornali, radio, teatro” pag. 19

[14] P. Caretti, Manifestazione del pensiero, op. cit., pag. 3594

[15] P. Caretti, Manifestazione del pensiero, op. cit., pag. 3595

[16] M. Luciani, La libertà di espressione, op. cit., p. 34

[17] M. Luciani, La libertà di espressione, op. cit., p. 35

[18] La stessa Corte, con la sentenza n. 28084 del 5 novembre 2018, Cass. civ., Sez. III, ha ribadito come il diritto “non può essere considerato senza limiti”

[19] Cfr. Cass., 18 ottobre 1984, n. 5259; Cass. civ., Sez. III, 19 dicembre 2001, n. 15999; Cass. civ., Sez. III, 15 dicembre 2004, n. 23366; Cass. civ., Sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1205

[20] A. Valastro, Art. 21, in Commentario alla Costituzione, in Banca Dati Wolters Kluwer, § Il limite del buon costume. In giur., cfr. C. Cost. sent. Nn. 1/1956 e 48/1964

[21] C. Cost. sent. 04-02-1965 n. 9

[22] “Anche diritti primari e fondamentali (come il più alto, forse, quello sancito nell’art. 21 della Costituzione) debbono venir contemperati con le esigenze di una tollerabile convivenza” C. Cost. Sent. 05-07-1971 n. 168

[23]La garanzia di cui all’art. 21 Cost. – in quanto estesa in linea di principio ad ogni modalita’ di esercizio della liberta’ di manifestazione del pensiero, in relazione al particolare valore che questa riveste per lo sviluppo dell’ordinamento democratico – comprende anche le forme collettive di tale manifestazione, come essenziali alla liberta’ di cui si tratta, essendo necessarie (cosi’ come quelle individuali in rappresentanza collettiva che in essa sono incluse) al fine di dare corpo e voce ai movimenti di opinione concernenti interessi superindividuali.” Sent. C. Cost. 06-05-1985 n. 161

[24]Le libertà fondamentali affermate, garantite e tutelate nella Parte prima, Titolo primo, della Costituzione della Repubblica, sono riconosciute come diritti del singolo, che il singolo deve poter far valere erga omnes. Essendo compresa tra tali diritti, anche la libertà di manifestazione del pensiero proclamata dall’art. 21, primo comma, della Costituzione, deve senza dubbio imporsi al rispetto di tutti, delle autorità’ come dei consociati. Nessuno può quindi recarvi attentato, senza violare un bene assistito da rigorosa tutela costituzionale” Sent. C. Cost. 24/06/1970 n. 122

[25] G. Nicastro, Libertà di manifestazione del pensiero e tutela della personalità nella giurisprudenza della corte Costituzionale, cortecostituzionale.it, 05/2015, https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/stu_284.pdf

[26] “Non è necessario ricordare come la libertà di propaganda è espressione di quella di manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21 della Costituzione e pietra angolare dell’ordine democratico. Già nella sentenza 22 giugno 1966, n. 87, la Corte, oltre ad inserire la propaganda nella protezione così apprestata, affermò che /essa è assicurata fino al limite oltre il quale risulti leso il metodo democratico.” Sent. C. Cost. 02/04/1969 n. 84

[27] G. Nicastro, Libertà di manifestazione del pensiero, op. cit., p.2

[28] “Non è fondata la questione di legittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 553 c.p. e 112 t.u.l.p.s. 18 giugno 1931, n. 773, in riferimento all’art. 21 della Costituzione in quanto tali norme debbono essere interpretate nel senso che il divieto in esse previsto è rivolto a manifestazioni di pensiero, scritti o disegni che, per il modo in cui sono effettuati, offendono il buon costume.” Sent. C. Cost. 04/02/1965 n. 9

[29] A. Valastro, Art. 21, op. cit, § Il limite del buon costume

[30] Principio ribadito altre volte nelle sentenze n. 11 del 1968, n. 112 del 1973, n. 20 del 1974, n. 18 e n. 100 del 1981.

[31]Non contrasta con la liberta’ di diffusione del pensiero, garantita dall’art. 21, primo comma, della Costituzione, la riserva allo Stato di quei mezzi di diffusione del pensiero che, in regime di libera iniziativa, abbiano dato luogo, o siano naturalmente destinati a dar luogo, a situazioni di monopolio o di oligopolio” Sent. C. Cost. n. 59/1960

[32] P. Tesauro.Note sulla disciplina costituzionale della televisione., in Rassegna di diritto pubblico, 1960, pag. 305

[33] P. Caretti, Manifestazione del pensiero, in Dizionario di Diritto Pubblico S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2006, pag. 3576

[34] P. Caretti, Manifestazione del pensiero, op cit.. pag. 3578 e ss

[35] C. Cost. sent. del 13/05/1987 n. 153

[36] C. Cost. Sent. 06/03/1993 n. 112

Gianluca Barbetti

Gianluca Barbetti nasce a Roma nel 1991. Appassionato di diritto amministrativo,ha conseguito la laurea in Legal Services con una tesi sui servizi pubblici locali, con particolare attenzione alle società partecipate. Durante il percorso di studi, ha svolto diverse attività parallele per completare la propria formazione con approcci pratici al diritto, come Moot Court in International Arbitration e Legal Research Group. E' curatore e coautore di due opere pubblicate e attualmente in commercio.

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