venerdì, Aprile 19, 2024
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La legittimità dell’apposizione di elementi accidentali al provvedimento amministrativo

di Pierluigi Mascaro

Sommario: 1. Premessa. 2. Ricostruzione del fatto. 3. L’ammissibilità del provvedimento amministrativo condizionato al vaglio della IV sezione del Consiglio di Stato. 4. Conclusioni.

  1.  Premessa

Questo scritto ha la finalità di esaminare, in maniera sintetica e quanto più possibilmente esaustiva, il tema della legittimità del provvedimento amministrativo c.d. condizionato, vale a dire al quale siano apposte una o più clausole accidentali.

Come si vedrà nel corso della presente trattazione, la tematica in esame ha subito un vistoso cambiamento di rotta nel corso del tempo, circostanza, quest’ultima, riscontrabile dall’esame comparato delle posizioni prese dalla dottrina più risalente, e di quelle accolte da Autori più recenti, i quali sempre più spesso sono divenuti concordi nel ritenere legittima la figura del provvedimento condizionato, che presenti i requisiti che saranno esaminati nel presente scritto.

Su questa impostazione si è mossa la giurisprudenza del Consiglio di Stato, a far data dai primi anni 2000, confermando, da ultimo, la propria posizione nella recente pronuncia, n. 3869 del 16/06/2020, resa dalla IV sezione, che in questa sede si vuole commentare, nei limiti della tematica sopraindicata.

  1. Ricostruzione del fatto.

Il caput controversum che ha dato origine alla pronuncia in esame concerne la legittimità del provvedimento di destituzione dal servizio[1], adottato dal Capo della Polizia di Stato nei confronti di un pubblico dipendente, il quale aveva più volte presentato certificati medici mendaci, al fine di sottrarsi indebitamente all’attività lavorativa.

Il provvedimento di destituzione era stato formulato nei seguenti termini: “il presente provvedimento dispiegherà gli effetti inflittivi, a decorrere dalla data di adozione, subordinatamente all’eventuale reviviscenza, per qualunque causa, del primitivo rapporto di pubblico impiego”.

L’interessato ha impugnato siffatto provvedimento, in primo grado, dinanzi alla I sezione del TAR per l’Emilia Romagna, censurando, in particolare, l’illegittimità del medesimo, in quanto esso non tollererebbe l’apposizione di una condizione sospensiva di efficacia, la quale, se presente, lo renderebbe irrimediabilmente viziato nella sua interezza.

Il giudice di prime cure ha respinto la domanda di annullamento, stabilendo la compatibilità dell’elemento accidentale apposto al provvedimento sanzionatorio di che trattasi. La proposizione di appello avverso la pronuncia, ha dato origine alla sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 3869/2020.

  1. L’ammissibilità del provvedimento amministrativo condizionato al vaglio della IV sezione del Consiglio di Stato.

Secondo l’appellante, come in precedenza anticipato, l’apposizione della condizione sospensiva renderebbe illegittimo l’intero provvedimento, richiamando a proposito quella dottrina che, soprattutto in tempi più risalenti, asseriva il principio vitiatur et vitiat da parte di quegli elementi accidentali di contenuto restrittivo, incidenti su tutti gli effetti o, comunque, sull’effetto tipico dell’atto[2]. Nel caso di specie, la condizione apposta minerebbe la certezza sui tempi e sugli effetti del provvedimento disciplinare.

Giova osservare brevemente quanto osservato dal Ministero dell’Interno, costituitosi in giudizio, e cioè che la condizione sospensiva in parola è stata apposta perché, al momento della chiusura del procedimento disciplinare nei confronti dell’appellante, il medesimo risultava già destituito dal servizio in virtù di un altro provvedimento, impugnato in un autonomo giudizio non ancora conclusosi; dunque, a rigor di logica, soltanto qualora quest’ultimo fosse stato annullato dal giudice amministrativo, comportando la reviviscenza del rapporto di pubblico impiego, il provvedimento controverso nel presente giudizio avrebbe dispiegato i propri effetti inflittivi.

Ciò premesso, nel procedere all’esame del motivo di appello che qui interessa, la IV sezione del Consiglio di Stato, richiamando giurisprudenza pregressa[3], osserva come da tempo sia ormai ammessa l’emanazione del provvedimento amministrativo condizionato, superando in tal modo la concezione della dottrina più risalente che, rifacendosi alla teoria generale del negozio giuridico di diritto tedesco[4], negava la possibilità dell’apposizione di elementi accidentali nell’atto amministrativo.

Tuttavia, precisa la sezione (punto 11.1), la legittimità del provvedimento condizionato tramite apposizione di elementi accidentali è subordinata alla circostanza che non si determini una violazione del principio di legalità[5] e non si distorca la finalità per la quale il potere è stato attribuito all’amministrazione[6].

  1. Conclusioni

Sulla base dell’argomentazione appena esposta, la IV sezione del Consiglio di Stato respinge definitivamente l’appello, concludendo che la condizione apposta al provvedimento de quo non rende né incerti gli effetti tipici dell’atto, e nemmeno li distorce in maniera incompatibile alla finalità per la quale il potere è stato attribuito dalla legge all’amministrazione (punto 11.5).

L’organo giudiziale precisa infine che, pur volendo argomentare in maniera completamente opposta a quanto finora esposto, si potrebbe arrivare ad asserire, al più, l’illegittimità della sola clausola accessoria condizionante, dal momento che, qualora fosse annullato il provvedimento, l’amministrazione, avendo rispettato i termini di legge per intraprendere il procedimento disciplinare, potrebbe reiterarlo, adottando un atto dal medesimo contenuto, emendato esclusivamente dall’elemento accidentale eventualmente ritenuto viziante, il quale, appunto, vitiatur sed non vitiat (punto 11.6).

 

[1] Adottato ai sensi dell’art. 7, comma 2, n. 1 e 2, del d.P.R. n. 737/1981.

[2] Cfr., sul punto, ex multis, G. Greco, L’atto amministrativo condizionato, edizione 1993.

[3] Ex plurimis, Cons. St., V, 29 novembre 2004, n. 7762; id., IV, 25 novembre 2011, n. 6260; id., 25 giugno 2013, n. 3447; id., VI, 10 dicembre 2015, n. 5615.

[4] Si veda, sul punto, J. M. Rainer, Lo sviluppo dell’autonomia privata in Germania, in Jus Civile, 2018, pp. 386 ss.

[5] Si precisa che qui questo principio è inteso nell’accezione secondo cui il potere amministrativo debba trovare un esplicito riferimento in una norma di legge, che costituisce il fondamento esclusivo – o limite positivo – dei poteri dell’amministrazione; è la legge a dover attribuire in maniera espressa alla PA la titolarità del potere, disciplinandone modalità e contenuti, come osserva M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, edizione 2019.

[6] Si vuole intendere che gli elementi accidentali apposti all’atto non possono snaturare il contenuto tipico del provvedimento stesso e devono essere coerenti con il fine pubblico previsto dalla norma attributiva del potere, in M. Clarich, op. cit.

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