venerdì, Aprile 19, 2024
Di Robusta Costituzione

La libertà di espressione nella Costituzione: introduzione all’articolo 21

  1. Introduzione

Sono numerose le ragioni che inducono a ritenere utile ed attuale uno studio sulla disciplina, nazionale e internazionale, dell’evoluzione della libertà di espressione, dalla nascita della Costituzione fino all’era digitale. La libertà di espressione, che trova la sua tutela costituzionale nell’articolo 21, ha attraversato diverse fasi prima di affermarsi come principio cardine di ogni ordinamento democratico. Nella prima fase, fin da subito l’Assemblea costituente ha cercato di regolamentare tale diritto nella maniera più consona per giungere ad una cesura totale con il precedente regime fascista, per reagire agli abusi del Ventennio. A tal proposito, sono state numerose le pronunce della Corte costituzionale negli anni Sessanta e Settanta che hanno reso l’art. 21 e le garanzie in esso contenute di primaria importanza per il nostro ordinamento. Non a caso, la Corte arrivò a dichiarare nel 1968 che la manifestazione di pensiero fosse “un diritto […] coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione” e nel 1969 la Consulta ha qualificato la libertà di espressione come “pietra angolare dell’ordine democratico”.

Nel corso delle prossime settimane, si cercherà di affrontare ciò che è stata l’evoluzione, normativa e tecnologica, dei mezzi di comunicazione, dalla stampa fino ad arrivare al web. Per il primo aspetto, si approfondirà la dialettica che vede contrapposto il pluralismo interno (che prevede l’accesso e la parità tra le varie forze politiche nei programmi di comunicazione politica) e il pluralismo esterno (che prevede una molteplicità di fonti informative concorrenti). È da questo confronto che sorge la necessità di affermare il criterio dell’equo bilanciamento tra i diversi interessi, per evitare che la tutela dell’uno comporti un eccessivo sacrifico per l’altro. Da tale dialogo, si afferma il diritto all’informazione correlato agli obblighi del servizio pubblico radiotelevisivo. Nell’affrontare tali tematiche, sarà necessario soffermarsi sul diritto internazionale e comunitario, in quanto il diritto alla libertà di espressione è fra i principali diritti riconosciuti dalle moderne carte costituzionali degli ordinamenti democratici e degli ordinamenti sovrastatali, comportando degli adeguamenti da parte del nostro Legislatore. Per quanto riguarda il secondo aspetto, si vedrà come la disciplina che regolamenta le telecomunicazioni si sia evoluta, non sempre in modo sincrono, con l’evoluzione dei mezzi di telecomunicazioni e con l’evoluzione dal monopolio di Stato al sistema misto, fino a giungere all’era digitale, configurando internet come “altro mezzo di diffusione” e delle difficoltà connesse alla regolamentazione di tale strumento.

La libertà di espressione nell’epoca contemporanea è infatti caratterizzata da una persistente instabilità che rende difficoltosa una definitiva sistemazione della materia. Di notevole centralità è la questione legata al fenomeno delle fake news, dell’hate speech e del post-truth. Si andrà, quindi, ad analizzare l’importanza che tali fenomeni hanno e stanno assumendo nella comunicazione, soprattutto online, e di come determinate notizie, volutamente ingannevoli, siano in grado di influenzare eventi sociali, politici e sanitari, alla luce delle preoccupanti lacune legislative nell’ordinamento interno. Ci si soffermerà, in particolare, sull’hate-speech, data la gravità dell’incitamento all’odio. Si proverà a delineare tale tematica, di crescente preoccupazione in Italia, canalizzata dall’aumento di migranti e rifugiati e dai toni incendiari usati dai movimenti politici e da parte dei media, trovando grande risonanza nei forum online e sui social media, consentendo una replicabilità illimitata dei contenuti e della loro permanenza nel web e ampliando in modo esponenziale il bacino di pubblico raggiunto. Infine, si analizzeranno, dal punto di vista sociale e psicologico, gli aspetti che fanno tendere naturalmente l’essere umano a credere alle fake news, rifuggendo dalle fonti ufficiali e verificabili.

 

  1. Analisi dell’articolo 21 e previsione normativa

 

La Costituzione non utilizza la formula “libertà di espressione”, bensì la formula “libertà di manifestazione del pensiero”. La libertà di manifestazione del pensiero è espressamente prevista e tutelata nell’art. 21 della Costituzione, composto di sei commi: il primo concerne la libertà di manifestazione del pensiero in generale; i quattro commi centrali disciplinano solo la libertà di stampa; il sesto sempre la libertà di stampa, ma assieme alle altre forme di “manifestazione”[1].

Il diritto alla propria opinione è tutelato nella Carta costituzionale:

  • Nel momento statico: ciascuno può liberamente crearsi un proprio patrimonio di idee e non può essere discriminato in base ad esse;
  • Nel momento dinamico: ogni individuo può manifestare liberamente (salvo i limiti di cui si dirà) le proprie idee in qualsiasi luogo, con qualsiasi mezzo (parola, scritto etc.) ed in qualsiasi campo (politico, religioso etc.);
  • Nel momento negativo: ogni individuo è libero di tenere segrete le proprie opinioni e non può essere costretto a divulgarle[2].

L’art. 21 si apre con la decisa affermazione che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione[3]. La particolare ampiezza della formula costituzionale garantisce la titolarità del diritto a tutti i cittadini, senza distinzione. Per quanto riguarda le persone giuridiche private, la dottrina prevalente ha riconosciuto anche ad esse la titolarità del diritto[4].  Altro dubbio ha riguardato gli stranieri come titolari della libertà di espressione alla pari con i cittadini. La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 45 della l. 3 febbraio 1963, n. 69, relativa all’ordinamento della professione giornalistica, che consentiva l’iscrizione degli stranieri all’Albo dei giornalisti solo a condizione di reciprocità, lo dichiarò illegittimo, ma “limitatamente alla sua applicabilità allo straniero al quale sia impedito nel paese di appartenenza l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana” (sent. n. 11 del 1968)[5].

Il diritto di manifestare il proprio pensiero include anche il proprio risvolto negativo, cioè il diritto di non manifestarlo. il diritto di cui all’art. 21 Cost. contiene la “libertà negativa di manifestazione del pensiero”[6]. Nessuno, pertanto, può essere costretto a manifestare il proprio pensiero, né può subire sanzioni per non averlo fatto. Questa garanzia, ovviamente, si riferisce alla manifestazione del pensiero, non dei fatti, sicché non riguarda, ad esempio, il trattamento che l’ordinamento pratica ai testimoni e a varie altre figure soggettive[7].

Il secondo e terzo comma prevedono una serie di garanzie per il mezzo della stampa, sottraendolo a qualsiasi forma di controllo come le autorizzazioni o censure e può essere soggetta a sequestro soltanto per effetto di un atto motivato dell’autorità giudiziaria[8]. Il quarto comma prevede delle deroghe a tale principio, permettendo alla polizia giudiziaria, in caso di assoluta urgenza, di poter procedere al sequestro della stampa periodica, ma tale sequestro è valido in un lasso di tempo limitato richiedendo la convalida dell’autorità giudiziaria[9]. Dalla lettura del quarto comma si evince come fosse di primaria importanza per l’Assemblea Costituente, condizionata dalla reazione agli abusi del fascismo, una ridefinizione dei poteri dello Stato nei confronti del libero esercizio della libertà in esame[10]. Nello specifico, la disciplina si sostanzia nella cancellazione di qualsiasi forma di autorizzazione preventiva, nell’esclusione di ogni tipo di censura ed altresì nell’individuazione del sequestro dello stampato (autorizzato con atto motivato nei soli casi previsti dalla legge) come unico possibile strumento di intervento sull’esercizio della libertà di stampa.

L’articolo si conclude, infine, con il quinto e il sesto comma, che prevedono rispettivamente la possibilità per la legge ordinaria di imporre la pubblicità dei mezzi di finanziamento della stampa periodica e l’unico limite previsto dalla norma alla libertà di manifestazione del pensiero rappresentato dal concetto di buon costume[11]. La nozione stessa di buon costume è molto discussa. La dottrina costituzionale ha cercato di restringere la portata del limite alla sfera del pudore sessuale, intendendo per buon costume l’insieme delle pratiche e delle convinzioni legate alla sfera della vita sessuale, per cui sono punibili quelle manifestazioni del pensiero che vanno contro ciò che nella comunità si crede giusto[12], con particolare riferimento alla speciale tutela della personalità dei minori. Il concetto costituzionale di buon costume finisce per coincidere con la nozione penalistica del medesimo, quale espressa dall’art. 529 c.p.[13], che punisce in quanto osceni gli atti e gli oggetti che offendono, secondo il comune sentimento, il pudore e nell’art. 528 c.p.[14] che vieta le pubblicazioni e gli spettacoli osceni[15]. È evidente che si tratti di un parametro generico, variabile da periodo a periodo. Rispetto a tale limite, diviene rilevante l’atteggiamento e la valutazione dei giudici, tenendo conto dell’importanza delle reazioni della opinione pubblica.

 

  1. L’evoluzione giurisprudenziale

 

La sent. n. 9 del 1965 affermò chiaramente che “il buon costume non può essere fatto coincidere […] con la morale o con la coscienza etica”, perché “la legge morale vive nella coscienza individuale e così intesa non può formare oggetto di un regolamento legislativo”. Così facendo la Corte rifiutava qualunque concezione eccessivamente ampia e indeterminata del limite, abbracciando – invece – un indirizzo più garantista. Tuttavia, la stessa sentenza non arrivava alle medesime conclusioni rigorose della dottrina, finendo per affermare che: “il buon costume risulta da un insieme di precetti che impongono un determinato comportamento nella vita sociale di relazione, la inosservanza dei quali comporta in particolare la violazione del pudore sessuale, sia fuori sia soprattutto nell’ambito della famiglia, della dignità personale che con esso si congiunge, e del sentimento morale dei giovani, ed apre la via al contrario del buon costume, al mal costume e, come è stato anche detto, può comportare la perversione dei costumi, il prevalere, cioè, di regole e di comportamenti contrari ed opposti”.

Successivamente, la sent. n. 368 del 1992, invece, sembrò seguire un indirizzo più preciso, affermando che il concetto di buon costume è “sufficientemente determinato” e che esso: “non è diretto ad esprimere semplicemente un valore di libertà individuale o, più precisamente, non è soltanto rivolto a connotare un’esigenza di mera convivenza fra le libertà di più individui, ma è, piuttosto, diretto a significare un valore riferibile alla collettività in generale, nel senso che denota le condizioni essenziali che, in relazione ai contenuti morali e alle modalità di espressione del costume sessuale in un determinato momento storico, siano indispensabili per assicurare, sotto il profilo considerato, una convivenza sociale conforme ai principi costituzionali inviolabili della tutela della dignità umana e del rispetto reciproco tra le persone (art. 2 della Costituzione)”. In realtà, la giurisprudenza costituzionale sembra operare una forte saldatura fra buon costume e dignità umana, sicché il primo limite sembra risolversi in quello dell’intangibilità della seconda (spunti in questo senso si ricavano anche dalla recentissima sent. n. 141 del 2019, che ha confermato la legittimità costituzionale della repressione penale dello sfruttamento della prostituzione). In questo senso, sembra illuminante la sent. n. 293 del 2000, nella quale si afferma che: “l’art. 15 della legge sulla stampa del 1948, esteso anche al sistema radiotelevisivo pubblico e privato dall’art. 30, comma 2, della legge 6 agosto 1990, n. 223, non intende andare al di là del tenore letterale della formula [buon costume] quando vieta gli stampati idonei a «turbare il comune sentimento della morale”. Tale contenuto minimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore alla base dell’art. 2 della Costituzione. Infine, va evidenziato come il buon costume, pur essendo limite generale d’ogni modalità di manifestazione del pensiero, non potrebbe comunque legittimare alcuna forma di censura preventiva nei confronti della stampa, per la quale vale la garanzia dell’art. 21, comma 2, Cost., della quale si è già parlato. Invece, “un regime di controlli preventivi potrà essere disposto […] per le forme di manifestazione del pensiero diverse dalla stampa e in particolar modo per gli spettacoli teatrali e cinematografici”[16].

Il buon costume è l’unico limite espresso presente nell’articolo, mentre dottrina e giurisprudenza hanno individuato diversi limiti impliciti alla libertà di manifestazione del pensiero fondati su principi impliciti desunti dalla Costituzione[17]. I limiti impliciti alla libertà di espressione possono essere solo quelli che si desumono direttamente dalla Costituzione e sono funzionali alla protezione di altri beni costituzionali, restando invece preclusa al legislatore l’introduzione di limiti ulteriori discrezionalmente individuati. Nell’art. 3 la Costituzione proclama che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale. Ciò comporta che manifestazioni del pensiero dal carattere ingiurioso o diffamatorio verso altre persone, che diminuirebbero la dignità sociale dell’ingiuriato e del diffamato, sono punite dalle leggi ordinarie tramite gli artt. 594[18] (abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. c), D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7) e 595 c.p.[19]

Come accennato in precedenza, l’evoluzione più significativa si è avuta nel 1992, con l’intervento della Corte Costituzionale sulla questione della legittimità dell’art. 528 c.p., affermando che il buon costume non sia diretto ad esprimere solo un valore di libertà individuale ma anche un valore riferibile alla collettività in generale, nel senso che indica le condizioni indispensabili per assicurare una convivenza sociale conforme ai principi costituzionali inviolabili di tutela della dignità umana e del rispetto reciproco tra le persone (art. 2 Cost.)[20]: integrando la norma penale, la Corte ha così inserito nella valutazione lesiva il momento della “pubblicità”, configurandolo come un requisito essenziale della nozione di “buon costume”[21], con particolare riferimento alla situazione in cui si trovano i minori, cui la costituzione dedica particolare attenzione (artt. 30[22] e 31[23]). Il buon costume tende a coincidere col concetto di «comune senso del pudore» e di «pubblica decenza» secondo il sentimento medio della collettività[24] sentimento che non è fisso, ma che tende a mutare nel tempo come chiaramente è avvenuto a partire dall’epoca della approvazione della disposizione[25]. L’esigenza di tutelare il buon costume viene assicurata:

  • Con riferimento alla stampa, mediante il sequestro;
  • Con riferimento ai film, attraverso il nullaosta di un’apposita Commissione che ne condizioni l’ingresso nel circuito distributivo o può apporre il divieto ai minori di 14 o 18 anni per la visione pubblica.

 

Il limite non opera invece per l’opera d’arte o di scienza, come previsto dall’art. 33 Cost. Le proclamate “libertà nell’arte e nella scienza”, in linea con l’art. 21, vietano la nascita e lo sviluppo di un’arte o di una scienza di Stato (o di regime) che, come tale, sarebbe condizionata da scelte politiche delle classi al potere. Tale “soggezione” farebbe, infatti, perdere il carattere libero e creativo a tali importanti manifestazioni del pensiero[26].

Infine, il principio di base che informa la disciplina costituzionale della scuola è la libertà d’insegnamento che si collega alla libertà di manifestare il proprio pensiero con qualunque mezzo di diffusione nonché alla libertà di professare qualunque tesi o teoria si ritenga degna di accettazione e alla libertà di svolgere il proprio insegnamento secondo il metodo didattico che appaia più opportuno all’educatore.[27] 

 

[1] M. Luciani, La libertà di espressione, una prospettiva di diritto comparato, EPRS, ottobre 2019, pag. 6

[2] F. Del Giudice, Costituzione esplicata, Napoli, Gruppo Editoriale Esselibri Simone, 2011, pag. 73

[3] “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”

[4] A. Pace – M. Manetti, Commento all’art. 21 della Costituzione, Bologna, Zanichelli, 2006, 293 ss

[5] M. Luciani, La libertà di espressione, op. cit., pag. 10

[6]  A. Cataudella, La tutela civile della vita privata, Milano, Giuffrè editore, 1972, pag. 33

[7] A. Pace – M. Manetti, Commento all’art. 21 della Costituzione , op. cit., pag. 76 e ss.

[8] “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art.111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.”

[9] “In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.”

[10] P. Caretti, Manifestazione del pensiero, in Dizionario di Diritto Pubblico S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2006, pag. 3571 e ss.

[11] “La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”

[12] G. U. Rescigno, Corso di diritto pubblico, Bologna-Roma, Zanichelli, 2014, pag. 620

[13] “Agli effetti della legge penale, si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore. Non si considera oscena l’opera d’arte o l’opera di scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto.”

[14] “Chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni di qualsiasi specie, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000.
Alla stessa sanzione soggiace chi fa commercio, anche se clandestino, degli oggetti indicati nella disposizione precedente, ovvero li distribuisce o espone pubblicamente.
Si applicano la reclusione da tre mesi a tre anni e la multa non inferiore a euro 103 a chi:
1. adopera qualsiasi mezzo di pubblicità̀ atto a favorire la circolazione o il commercio degli oggetti indicati nella prima parte di questo articolo;
2. dà pubblici spettacoli teatrali o cinematografici, ovvero audizioni o recitazioni pubbliche, che abbiano carattere di oscenità.
Nel caso preveduto dal n. 2, la pena è aumentata se il fatto è commesso nonostante il divieto dell’autorità.”

[15] P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, Il Mulino, 1984, pag. 257 e ss.

[16] M. Luciani, La libertà di espressione, op. cit., pag. 17

[17] G. U. Rescigno, Corso di diritto pubblico, op. cit., pag. 621 e ss.

[18] [Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1.032 se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone]

[19] “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.”

[20] A. Valastro, Art. 21, in Commentario alla Costituzione, A. Celotto, M. Olivetti, R. Bifulco, Milano, Utet Giuridica, 2006

[21] Cfr. Corte cost., sent. 27-07-1992, n. 368 Gli oggetti con contenuto osceno non hanno capacità offensiva del pudore sessuale se sono detenuti nell’ambito della sfera privata o possono essere conosciuti solo da chi ne faccia richiesta; pertanto, l’art. 528 c.p., che punisce la detenzione di materiale osceno allo scopo di farne commercio, non è in contrasto con l’art. 21 cost., in difetto del presupposto che la detenzione di oggetti osceni costituisca reato anche se non sussista la pubblicità dell’osceno, intesa come potenziale percezione da parte della collettività o dei terzi non consenzienti, di oggetti considerati, secondo il senso del pudore, osceni”

[22] “E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.”

[23] “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”

[24] Corte Cost., sent. 27-12-1965, n. 9

[25] Valastro A., Art. 21, op. cit.

[26] F. Del Giudice, Costituzione esplicata, op cit., pag. 102 e ss,

[27] A sottolineare l’importanza di tale principio, si ricordi di come il comma 1 dell’art. 33 trovi una corrispondenza pressoché identica nell’art. 13 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, con la differenza che il termine ivi utilizzato è “arti” (in luogo del singolare) a riconoscimento delle differenti tipologie di espressione creativa che si sono evolute nel corso degli anni e che trovano tutte pari tutela.

Gianluca Barbetti

Gianluca Barbetti nasce a Roma nel 1991. Appassionato di diritto amministrativo,ha conseguito la laurea in Legal Services con una tesi sui servizi pubblici locali, con particolare attenzione alle società partecipate. Durante il percorso di studi, ha svolto diverse attività parallele per completare la propria formazione con approcci pratici al diritto, come Moot Court in International Arbitration e Legal Research Group. E' curatore e coautore di due opere pubblicate e attualmente in commercio.

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