venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

La linea sottile tra concorso nel reato e connivenza

Il concorso eventuale nel reato è disciplinato a norma degli artt. 110 e ss. del codice penale. Come ben noto gli elementi costitutivi di tale fattispecie si dividono in oggettivi e soggettivi. Elemento soggettivo è il dolo di concorso, inteso come la rappresentazione e volizione del fatto criminoso e la consapevolezza di concorrere con gli altri. L’elemento oggettivo si scinde nella pluralità degli agenti, nella realizzazione di un fatto materiale di reato e nel contributo di ciascun soggetto alla realizzazione di esso. Ciò che rileva ai fini concorsuali non è la sola condotta commissiva, ma anche quella omissiva. Particolarmente problematica nonché dibattuta è la punibilità o meno della connivenza.

Per connivenza deve intendersi il comportamento di chi assiste alla perpetrazione di un reato ma senza intervenire, non essendo però gravato da alcun obbligo giuridico di farlo. Questo accade perché il sistema penale italiano è privo di una norma che preveda un obbligo incombente sui comuni cittadini di impedire il verificarsi di reati.

Non può dirsi lo stesso però quando si tratti di soggetti che, per la qualifica assunta, rivestono posizioni di garanzia come i pubblici ufficiali.

Prima di analizzare i risvolti applicativi della fattispecie in esame, è essenziale distinguere la concezione di concorrente da quella di connivente. Tale distinguo, se sotto il profilo generale-astratto pare essere di semplice rilievo, lo stesso non può dirsi sul piano concreto essendo le due figure separate da un labile confine definitorio e conseguentemente sanzionatorio.

Tutto si muove tra la punibilità e la non punibilità, non ci sono zone grigie.

La problematica diventa maggiormente difficoltosa quando si ha da valutare la mera presenza di un soggetto sul luogo di perpetrazione del reato. Ciò potrebbe inquadrarsi sotto una duplice ottica: rafforzamento del proposito criminoso, o mera inerzia.

Qualora si fosse in presenza di una mera assistenza inerte, si comprende facilmente che questa per il sistema penale non è punibile in quanto il soggetto non apporta alcun contributo causale alla realizzazione della fattispecie criminosa. Qualora invece l’atteggiamento del soggetto, fosse rafforzativo dell’intento criminoso altrui, magari accompagnato dall’adesione psicologica al fatto di reato, si configura concorso di persone nel reato punibile ex art. 110 c.p. Secondo il consolidato orientamento degli Ermellini, in tema di concorso di persone, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto, va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantiene un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, che si realizza anche solo assicurando all’altro concorrente lo stimolo all’azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa[1].

Secondo la giurisprudenza dominante il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera dagli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità̀ della produzione del reato, poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti[2].

La fattispecie extracodicistica in cui la connivenza ha trovato maggior spazio è certamente quella attinente le sostanze stupefacenti. La Suprema Corte ha sostenuto che in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, nell’ipotesi di convivenza all’interno dello stesso immobile, colui che coabiti con il soggetto autore di attività di “spaccio” di sostanze stupefacenti ne risponde a titolo di concorso ove abbia quanto meno agevolato la detenzione della sostanza, mentre non ne risponde se si sia limitato a conoscere di tale attività, essendo necessario, quindi, un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, non integrato dalla semplice conoscenza o anche dall’adesione morale, che si traduca nell’assistenza inerte e priva di iniziative all’altrui condotta delittuosa.

E’ al contrario escluso il concorso del convivente ex art. 110 c.p. in ipotesi di semplice comportamento negativo ed inerte di quest’ultimo che si limiti ad assistere passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisca od ostacoli in vario modo l’esecuzione, giacché il solo comportamento omissivo di mancata opposizione alla detenzione in caso di droga da parte di altri non costituisce segno univoco di partecipazione morale[3]. Si sostiene pertanto che, per la configurazione del concorso, occorre un quid pluris rispetto alla mera consapevolezza della detenzione delle sostanze stupefacenti da parte del convivente e, dunque, una volontà di adesione all’altrui attività criminosa, ad integrare la quale è sufficiente una qualsiasi forma agevolativa della detenzione, che può manifestarsi nelle modalità più varie, comprendenti anche soltanto l’occultamento ed il controllo della droga custodita nell’immobile comune, così da assicurare all’agente una certa sicurezza, garantendogli, anche implicitamente, una collaborazione su cui questi, in caso di bisogno, può contare, e comunque rivelatrice di un previo accordo sulla detenzione.

La connivenza ha rilevanza anche in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione. La colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennità, può ravvisarsi anche in relazione ad un atteggiamento di connivenza passiva quando, alternativamente, detto atteggiamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione del reato, ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova che egli fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente[4].

Materia codicistica su cui incide fortemente il labile confine del concorso e della connivenza è quello della violenza sessuale ex art. 609-bis. Bisogna premettere che secondo la giurisprudenza e la dottrina dominanti, la presenza di una norma incriminatrice quale l’art. 609 octies c.p., che espressamente punisce come violenza sessuale di gruppo la realizzazione degli “atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609 bis” “da parte di più persone riunite”, rende del tutto residuale la configurabilità di ipotesi di concorso nel delitto di violenza sessuale. Pertanto è configurabile, allo stato della normativa vigente, il concorso nel delitto di violenza sessuale ex artt. 110 e 609-bis, per le sole condotte di istigazione o consiglio o di aiuto dell’autore materiale della violenza che non si risolvano con la simultanea presenza, percepibile dalla persona offesa, del concorrente sul luogo ed al momento del fatto[5].

La giurisprudenza afferma che non necessariamente, l’assistere rimanendo inerte ad una violenza sessuale determina il concorso in tale delitto.

E’ moralmente biasimevole la condotta di non intervento che il passante può adottare assistendo alla violenza, ma non sufficiente a fondare una sua responsabilità per concorso nel delitto de quo per l’assenza dell’obbligo giuridico di intervenire di cui si è detto.

Il comportamento passivo di chi assista ad una violenza sessuale va secondo gli Ermellini valutato come condotta di mera connivenza-inerzia ovvero come condotta causalmente incidente sulla commissione del fatto reato da parte di terzi, alla luce delle concrete risultanze probatorie, le quali dovranno dimostrare quale sia stato, in concreto, il valore da attribuire alla condotta dello “spettatore”. Anche l’eventuale soddisfazione erotica tratta del coimputato durante la visione dell’abuso su minore non vale a qualificare a priori la condotta dell’agente come causalmente rafforzatrice o agevolatrice dell’azione delittuosa posta in essere dall’autore materiale dell’abuso[6].

In una recente pronuncia della Cassazione il “vouyerismo” in quanto tale si è ritenuto non avere rilevanza a titolo di concorso nel delitto di violenza sessuale, a meno che l’atto del guardare non sia stato oggetto di preventivo accordo tra il concorrente e l’autore dell’abuso o venga palesato all’esecutore materiale della violenza sessuale, contribuendo a sollecitare o rafforzare il proposito criminoso di quest’ultimo, manifestando, in questo modo, inoltre, la piena condivisione, da parte del voyeur,

[1]Cass. Pen., Sez. V, sentenza 2 marzo 2013 n. 2805 2

[2]Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 22 maggio 2012 n. 36818

[3]Cass. Pen., Sez. III, sentenza 2 maggio 2019, n.18015

[4]Cass. Pen., Sez. III, sentenza 23 gennaio 2019 n. 22060

[5] “Presenza inerte” ed abusi sessuali: tra connivenza non punibile, concorso in violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo, A.C. Tombesi in Diritto Penale Contemporaneo.it

[6]Cass. Pen., Sez. III, sentenza 01 luglio 1997, n. 2951

Valeria D'Alessio

Valeria D'Alessio è nata a Sorrento nel 1993. Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt'oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento. Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un'agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta. È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell'arte. Con il tempo ha imparato discretamente l'inglese e si dedica tutt'oggi allo studio del francese e dello spagnolo. Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l'interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell'anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell'escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell'ergastolo ostativo. Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense - come praticante avvocato abilitato - presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all'esercizio della professione Forense nell'Ottobre del 2020. Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell'evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.

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