martedì, Dicembre 10, 2024
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La “Mano invisibile” di Adam Smith in rapporto all’economia odierna

Adam Smith, nacque a Kirkcaldy in Scozia il 5 giugno 1723 e morì il 17 luglio 1790 ad Edimburgo, studiò filosofia sociale e morale all’Università di Glasgow e al Balliol College di Oxford per poi dedicarsi completamente ad una nuova disciplina da lui stesso fondata ossia l’ Economia Politica classica[1], superando quella che allora era la teoria del Mercantilismo incentrata sul concetto che la potenza di uno Stato era dettata dalla sua capacità di esportate prodotti propri anziché importarli da altre nazioni creando, quindi, i presupposti di trattenere denaro che, secondo tale pensiero, rappresentava l’unica fonte di ricchezza. Smith, nel 1746 fece ritorno nella sua città natale finché alcuni anni dopo non iniziò a tenere lezioni di retorica e storia della scienza ad Edimburgo, dal 1751 ricoprì la cattedra di logica all’Università di Glasgow e successivamente quella di filosofia morale fino al 1764. Uno dei momenti che più influì sul pensiero di Smith fu la rivoluzione industriale, in quanto proprio in quegli anni di continuo cambiamento tecnologico e di nuove scoperte, il noto economista scozzese maturò ancor di più le sue idee e concezioni inerenti ad un mercato fondato sul libero scambio e sulla sua capacità di autoregolarsi per far fronte ad eventuali crisi o carestie. La rivoluzione industriale segnò un notevole sviluppo per diversi settori, soprattutto in Inghilterra, dove venne incrementata la produzione di ferro e le moltissime innovazioni apportate ai macchinari permisero di ridurre i tempi di produzione anche nel settore metallurgico ed infine venne incentivata l’agricoltura.

Tutto ciò, ovviamente permise di portare più ricchezza e benessere all’interno degli Stati. Una delle opere più celebri di Smith fu per l’appunto “La Ricchezza delle Nazioni”, strutturato in cinque libri, scomposti in vari capitoli e successivamente in più parti, è un trattato che espone una vastità di concezioni ed idee fondate su come dovrebbe e potrebbe funzionare l’economia passando da temi come le dogane, le tasse, il commercio e la moneta, analizzando il tutto con digressioni storiche e fatti realmente accaduti. Uno dei tanti argomenti presenti in quest’opera di Smith è proprio la divisione del lavoro con la conseguente specializzazione dei lavoratori. Questo concetto nasce dal fatto che l’economista scozzese aveva intenzione di suddividere più lavori all’interno di una singola attività per far si che tutti potessero dare un diverso apporto per raggiungere un unico fine e far in modo che i tempi di produzione fossero più brevi e di conseguenza incrementare il numero di beni che si volevano mettere sul mercato. Aumentando l’abilità e la destrezza nell’eseguire singole mansioni, si evitava di perdere tempo e quindi di poter passare in modo più veloce da un’attività all’altra. Infatti, nel celebre esempio inerente alla fabbrica di spilli Smith affermò e soprattutto dimostrò che:

“Un operaio non addestrato in questa attività, né abituato all’uso delle sue macchine, potrebbe forse a malapena impegnandosi al massimo, fare uno spillo al giorno, e certamente non potrebbe farne venti. Ma nel modo in cui ora viene svolta, […] un uomo svolge il filo metallico, un altro lo drizza, un terzo lo taglia, un quarto lo appuntisce, un quinto lo arrota nella parte destinata alla capocchia; per fare la capocchia occorrono due o tre distinte operazioni; il montarla è un lavoro particolare e il lucidare gli spilli è un altro, mentre mestiere a sé è persino quello di incrinarli.”[2]

 

La concezione su come dovesse condursi l’attività lavorativa per far si che i prodotti venissero presentati sul mercato con una velocità costante era una scomposizione e differente specializzazione del lavoro, questo incentivava ovviamente anche l’occupazione e permetteva alle aziende di allargare i loro orizzonti ed aumentare i loro ricavi attraverso l’assunzione di personale che pur rappresentando un costo, si dimostrava una misura indispensabile per seguire questa scia. Attraverso l’analisi delle due opere di Smith ossia “La Teoria dei sentimenti morali”, e “La Ricchezza delle Nazioni” si evince come egli stesso abbia gettato le basi del liberismo economico e del principio del laissez-faire, ma non come li intendiamo oggi cioè mercati con assenza completa da parte degli Stati, ma con una regolamentazione che deve necessariamente tutelare chi è più debole all’interno della società, ossia i dipendenti lavoratori. Dare uno stipendio troppo basso non fa altro che alterare in maniera negativa l’andamento dei mercati e quindi ritarda lo sviluppo dell’economia e della società in generale, in quanto rallenta quel processo meccanico che ha come principio funzionante proprio la completa armonia tra chi decide e chi fa. Il ruolo dello Stato visto da Smith ha dato origine a numerosi dibattiti tra diversi studiosi, in quanto proprio attraverso la sua teoria della mano invisibile si evince come per Smith fosse davvero importante trovare un equilibrio all’interno dei mercati. Egli, veniva certamente da un’epoca dove lo Stato era fin troppo presente nell’economia e quindi i suoi pensieri nel corso del tempo hanno purtroppo portato ad una visione che non rispecchia fedelmente quelle che erano le sue concezioni. Anche il cosiddetto self- interest che ognuno di noi ha per arricchire la sua persona in toto, non è qualcosa di negativo se chi opera per arricchire sé stesso lo fa investendo nel bene comune e quindi apportando migliorie concrete alla collettività, per questo è possibile affermare come l’intero pensiero di Smith, in particolare la parte inerente al ruolo che lo Stato deve avere nell’andamento dell’economia del proprio territorio, faccia evincere che lo stesso studioso sia dalla parte dei lavoratori, ma soprattutto in continua ricerca del raggiungimento di un’armonia comune, passando per lo sviluppo economico.

Alcune considerazioni possono essere fatte anche in chiave contemporanea, dove una sregolata globalizzazione mette, da anni,  a dura prova quanto costruito in passato provocando la necessità di imporre quella sottile regolamentazione della quale Smith si è fatto promotore, in modo che pur lasciando decidere all’imprenditore i mezzi con i quali è possibile sviluppare il proprio business si devono rispettare dei parametri di legge, e quindi lo Stato che funge da colui che regola, che tutelino i dipendenti in quanto, seguendo proprio le teorie dell’economista scozzese, un salario che non permette di condurre una vita più che dignitosa va a ledere quelle che sono le libertà, ma anche i diritti di ogni singolo lavoratore nonché il ritardo  dello sviluppo come precedentemente esaminato.

 

[1] https://it.wikiversity.org/wiki/Adam_Smith

 

[2] (Smith, La Ricchezza delle Nazioni ,1776, Capitolo I, pp. 80- 81)

 

 

Mario Nocera

Mario Nocera, nato a Napoli il 04/01/1992 Direttore Area: Politica Economica Responsabile sviluppo business Laurea Magistrale in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni presso: l'Università degli Studi di Napoli Federico II. Tesi di Laurea in: Teoria dell Sviluppo umano. Titolo Tesi: ''Le diseguaglianze in Italia : il divario tra Nord e Sud'' Interessi: economia, finanza, politica, attualità e sociologia. Contatti: mario.nocera@iusinitinere.it

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