giovedì, Marzo 28, 2024
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La nozione di “ente pubblico” nel diritto vivente

  1. Chi sono gli enti pubblici

Se ogni ordinamento non può prescindere dalla definizione e dall’individuazione dei soggetti che ne fanno parte (attraverso il riconoscimento della soggettività e della capacità giuridica), lo Stato, quale immedesimazione dell’ordinamento stesso, non può prescindere dall’individuazione dei soggetti giuridici a sé stesso appartenenti (rectius, riconducibili)[1]. Emerge, per tal via, la categoria dei soggetti di diritto pubblico, quale declinazione concreta della cd. “amministrazione soggettiva”[2]. Tale categoria si traduce a sua volta nell’insieme di più soggetti dotati di capacità giuridica[3], denominati enti pubblici.

  1. Il problema dell’individuazione degli enti pubblici

Storicamente, lo stato post-unitario era già caratterizzato dalla presenza di enti pubblici, inoltre, il successivo costante aumento delle istanze sociali ed individuali, riconosciute e fatte proprie dallo Stato medesimo, ha inesorabilmente determinato l’aumento di tali soggetti giuridici pubblici[4]. Nello specifico, tale ampliamento ha avuto origine da vari e diversi fenomeni[5] ed ha risposto alle esigenze più disparate[6], determinando in tal modo una macroscopica “atipicità” degli enti pubblici[7].

A porre un freno rispetto alla problematica relativa all’atipicità degli enti pubblici è intervenuto dapprima il legislatore costituente attraverso l’art. 97 c. 2 Cost., il quale sancisce che «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge» e successivamente il legislatore ordinario disponendo che «nessun nuovo ente pubblico può esser istituito o riconosciuto se non per legge» (art. 4 l.70/1975, cd. “legge sul parastato”).

  1. L’apparente principio della qualificazione normativa degli enti pubblici ed il suo superamento

Dal combinato disposto delle due norme appena richiamate emerge il principio in ossequio al quale spetta all’ordinamento ed alle sue fonti individuare le soggettività giuridiche che operano al suo interno. Tanto premesso, l’interpretazione giurisprudenziale del combinato disposto in precedenza richiamato è andata nella direzione di consentire sia l’istituzione di enti pubblici per legge (parlandosi, in questo caso, di “istituzione in concreto”) sia l’istituzione in base alla legge (avendosi in questo caso, invece, “configurazione astratta”)[8].

  1. L’elaborazione giurisprudenziale di alcuni indici esteriori di pubblicità dell’ente

Vanificato (per via interpretativa) l’intento risolutivo del legislatore relativamente alla problematica, storicamente risalente, della detipicizzazione degli enti pubblici, la questione, decisiva rispetto all’applicazione del regime pubblicistico agli stessi, è stata affrontata con esiti fausti dalla giurisprudenza[9]. Quest’ultima è giunta, infatti, all’individuazione di taluni “indici esteriori” in grado di manifestare la “pubblicità” dell’ente di volta in volta preso in considerazione, laddove gli stessi indici esteriori sussistano contestualmente e congiuntamente. Vale a dire: la costituzione dell’ente da parte di un soggetto pubblico; la presenza di controlli e/o finanziamenti pubblici; l’attribuzione di poteri autoritativi; la nomina (anche parziale) degli organismi direttivi da parte dello Stato o di altro ente pubblico[10].

5 La necessità di una definizione di ente pubblico

D’altra parte, la nozione prima e la concreta individuazione poi degli enti pubblici appare irrinunciabile, atteso che la locuzione “ente pubblico” risulta positivizzata tanto a livello costituzionale (artt. 23 e 28) quanto a livello ordinario (artt. 830 e 2449 c.c.).
In effetti, il riconoscimento di un determinato soggetto giuridico quale “ente pubblico” risulta fondamentale laddove si considerino gli effetti giuridici che l’ordinamento fa discendere dall’applicazione del regime pubblicistico[11], ovvero: la capacità di emanare provvedimenti autoritativi in ragione dell’autonomia degli enti pubblici medesimi; il potere di esercitare l’autotutela; il particolare regime di responsabilità (ex art. 28 Cost.) cui sono assoggettati dipendenti e funzionari degli enti pubblici (è il caso, ad esempio, di un intero filone di reati propri) nonché gli enti stessi; il dovere di rispettare tutti quei principi applicabili alla pubblica amministrazione (P.A.); la soggezione a peculiari rapporti e/o relazioni; l’applicazione della specifica disciplina di cui all’art. 2449 c.c. in tema di partecipazione societaria; l’applicazione delle disposizioni per l’esecuzione coattiva dei crediti dello Stato di cui all’art. 21-ter l. 241/1990; infine, la circostanza che le attività inerenti l’esercizio di un potere normativo siano (di regola) regolamentate attraverso norme speciali, mentre l’esercizio di attività riconducibili agli strumenti privatistici risulta caratterizzato da norme specifiche[12].

  1. La soluzione proposta dal Consiglio di Stato

D’altronde, proprio il particolare regime giuridico scaturente dalla natura pubblica dell’ente può fungere quale utile ausilio nell’opera di corretta individuazione degli enti pubblici; ciò può esser considerato vero, purché si badi al fatto che, come evidenziato dal Consiglio di Stato nella nota pronuncia 2660/2015[13], la nozione di ente pubblico risulta dinamica, funzionale e cangiante[14]. Infatti essa è “dinamica”, nel senso che uno stesso soggetto giuridico può vedersi nel corso del tempo dapprima riconosciuto come ente pubblico e successivamente vedersi sottratto tale qualifica (o viceversa), è “cangiante”, nel senso che, in un dato momento storico, uno stesso soggetto può esser considerato ente pubblico con rifermento solo a talune attività ed a determinati istituti ed è “funzionale”, nel senso che l’ente pubblico potrà realmente esser considerato tale solo ove venga in evidenza la sua specifica attitudine pubblicistica.

Proprio tale ultima qualificazione dell’ente pubblico (funzionale), ha consentito alla giurisprudenza di “superare” talune espresse qualificazioni quali soggetti giuridici pubblici adoperate dalla legge[15], come nel caso dell’Agecontrol o, più in generale, nel caso della categoria (di origine dottrinale) dei cdd. “enti pubblici in forma privatistica”[16]. Infatti, nelle ipotesi da ultimo considerate, la giurisprudenza è giunta ad affermare il generale principio di prevalenza della “sostanza”, intesa quale funzione imputabile al soggetto giuridico nell’espletamento di determinate attività, rispetto alla “forma”, ovverosia la (eventuale) espressa qualificazione che di quel soggetto abbia fornito il legislatore. Pertanto «la natura pubblica di un ente esige di esser verificata in concreto»[17].

Dunque, in ossequio a tale ultimo principio, è possibile affermare che “ente pubblico” sarà definibile quel soggetto giuridico riconosciuto come tale in concreto dalla giurisprudenza.
In particolare, la giurisprudenza è giunta a tale ultima affermazione muovendo dalla premessa che la nozione di ente pubblico si fondi sulla particolare funzione pubblicistica dallo stesso assolta, ovverosia il perseguimento di un interesse individuato e riconosciuto quale pubblico. Infatti, l’interesse sarà “pubblico” qualora la legge abbia attribuito ad un soggetto il dovere giuridico di perseguire quel particolare interesse[18]. Quale effetto di tale fusione tra ente pubblico ed interesse pubblico risulta l’indisponibilità dell’ente pubblico (dell’esistenza) di sé stesso[19].

  1. La dimensione europea dell’ente pubblico

La tematica relativa al corretto inquadramento e riconoscimento degli enti pubblici ed il relativo principio giurisprudenziale di prevalenza della sostanza sulla forma è emerso con evidenza in tema dei cdd. “organismi di diritto pubblico”.

L’odierna UE affonda le radici sul terreno di una collaborazione tra paesi legata al mero ambito economico-finanziario ed il riflesso di ciò è tuttora rinvenibile nella centralità che assume, nell’ambito delle discipline europee, il valore della libera concorrenza. Infatti, nella prospettiva europea il valore della libera concorrenza, quale assenza di condizionamenti sul mercato e nel mercato, assurge al rango di principio fondamentale. In quest’ottica, la P.A. di uno Stato Membro è in grado d’incidere, condizionando la concorrenza, sotto un duplice profilo: da un lato, quale soggetto detentore di una fetta decisiva della domanda di beni e servizi; dall’altro, quale soggetto  in grado di offrire beni e servizi avvalendosi (quantomeno potenzialmente) di un regime particolare e diversificato rispetto al quale sono vincolati gli altri operatori.

In ragione di tali statuizioni, avviene che, al fine di salvaguardare il corretto “gioco” della concorrenza, la disciplina europea giunge a dettare vincoli in grado di correggere e soprattutto prevenire possibili lesioni al bene giuridico del libero mercato da parte delle varie P.A. e ciò avviene mediante due vie maestre: in primis, interpretando restrittivamente quei caratteri propri dell’amministrazione (oggettivamente e soggettivamente intesa) dai quali possa derivare la legittimazione a delle deroghe rispetto a quelle libertà avvertite come fondamentali dall’UE; in secundis, estendendo[20] la peculiare disciplina pubblicistica (in maniera quanto più possibile estensiva) a tutti quei soggetti i quali siano, a vario titolo, in grado di condizionare la libera esplicazione della concorrenza[21].

  1. La piena coerenza del legislatore nazionale nell’ambito della disciplina dettata dal d. lgs. 50/2016

In piena coerenza con quanto appena affermato, è intervenuta a livello nazionale l’emanazione del Codice dei Contratti Pubblici (d. lgs. 50/2016), il quale, recependo le relative disposizioni europee, ha previsto all’art. 3 c. 1 lett. d) la definizione diorganismo di diritto pubblico” in riferimento alla disciplina dei contratti pubblici. Nello specifico, tale disposizione qualifica come organismi di diritto pubblico quei soggetti giuridici i quali presentino, contemporaneamente, le tre caratteristiche di cui ai nrr.° 1, 2 e 3, cioè l’istituzione al fine di soddisfare esigenze di interesse generale e la dotazione di personalità giuridica, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato. Ciò, prescindendo totalmente da ogni valutazione circa la “forma” riconosciuta al soggetto giuridico in questione dalla legge. Nello stesso senso, del resto, si è mossa altresì la stessa CGUE[22].

  1. Riflessione finale

In conclusione, si è arrivati al punto in cui bisogna interrogarsi se ed in che misura debba considerarsi sconfessato il disposto normativo di cui agli artt. 97 Cost. e 4 l. 70/1975 laddove venga in rilievo il diritto vivente di matrice giurisprudenziale (sia nazionale, sia sovranazionale) e di matrice UE e se, pertanto, l’art. 4 della l. 70/1975 debba ritenersi (implicitamente) abrogato in ragione dell’accoglimento della disciplina europea in materia di concorrenza o se, invece, esso debba esser semplicemente disapplicato in ossequio al principio di supremazia del diritto UE (ed al conseguente corollario dell’interpretazione conforme a quest’ultimo).

[1] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 2017, pag. 91, Giuffrè, Milano.

[2] Ovverosia quell’insieme di soggetti protesi al perseguimento di interessi di carattere pubblico. R. Garofoli, G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, 2018, pag. 91, Nel diritto editore, Molfetta.

[3] Perciò stesso definibili quali «centri di riferimento». F. G. Scoca, Diritto Amministrativo, 2014, pag. 127, Giappichelli, Torino. Altri autori, invece, parlano più apertamente di «centri di potere», come ad esempio: E. Casetta, op. cit., pag. 92.

[4] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit., pag. 103.

[5] Dalla formazione di nuovi enti pubblici alla pubblicizzazione di taluni organismi privati e di certe organizzazioni esponenziali d’interessi collettivi.

[6] Come nel caso degli enti pubblici economici e delle cdd. “amministrazioni autonome”.

[7] E. Casetta, op. cit., pagg. 91 ss..

[8] E. Casetta, op. cit., pag. 93.

[9] Nel solco anche di una certa dottrina. R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit., pag. 105.

[10] E. Casetta, op. cit., pag. 94.

[11] F. G. Scoca, op. cit., pag. 130.

[12] E. Casetta, op. cit., pagg. 98 ss..

[13] «il criterio da utilizzare per tracciare … (l’) ente pubblico non è sempre uguale a se stesso, ma muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato e dalla ratio ad esso sottesa … di volta in volta … (da) verificare, tenendo conto delle caratteristiche sostanziali del soggetto della cui natura si controverte, se quella funzione o quella ratio richiedono l’inclusione di quell’ente nel campo di applicazione della disciplina pubblicistica». Cons. St., Sez VI, sentenza nr.° 2660, 26 maggio 2015.

[14] Un soggetto «diviene pubblica amministrazione … solo nello svolgimento di quel tratto di attività esplicitamente sottoposto ad una disciplina di diritto amministrativo … un ente pubblico dinamico, funzionale e cangiante (che) dismette quella veste quando svolge altre attività …». Cons. St., Sez VI, sentenza  nr.° 3041, 11 settembre 2016.

[15] Emblematica in tal senso la sentenza della Corte Costituzionale nr.° 466 del 1993. In effetti, attraverso tale pronuncia la Consulta ha dichiarato la sopravvivenza del potere di controllo sulla gestione finanziaria appannaggio della Corte dei Conti nonostante la sopravvenuta trasformazione in s.p.a. da parte di Iri, Eni, Ina ed Enel (in precedenza “enti pubblici economici”), fino a quando sarebbe sussistita una partecipazione (maggioritaria) dello Stato all’interno del capitale azionario.

[16] E. Casetta, op. cit., pag. 95.

[17] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit., pag. 105.

[18] E. Casetta, op. cit., pag. 96.

[19] Tanto è vero che solo qualora venisse meno la pubblicità dell’interesse perseguito dall’ente la legge potrebbe intervenire in ordine all’esistenza dell’ente (non più) pubblico.

[20] Infatti, la nozione di «imprese pubbliche» di stampo europeo è più ampia di quella nazionale e, soprattutto, è sostanziale. Infatti, il dato (quindi più che un mero criterio d’individuazione) cui ha riguardo il legislatore comunitario nella direttiva Cee 80/273 della Commissione è quello della «influenza dominante» sull’impresa esercitata da parte di pubblici poteri. Ciò, si badi, a prescindere dallo strumento attraverso il quale tale influenza risulti esercitato (proprietà, partecipazione finanziaria, ecc.).

[21] E. Casetta, op. cit., pagg. 117 ss..

[22] Corte di Giustizia 20 settembre 1998, causa C-31/87 e 10 novembre 1998, causa C-360/96.

Antongiulio Maglione

Antongiulio Maglione nasce a Napoli l'8/1/1993. Consegue la maturità classica presso il liceo "Umberto I" di Napoli nel 2011. Successivamente al conseguimento del diploma, tentato sia dagli studi giuridici sia da quelli ingegneristici, s'iscrive alla facoltà d'ingegneria della "Federico II" di Napoli, per poi risolversi definitivamente nella direzione forense. Pertanto, nell'ottobre 2012 inizia gli studi giuridici presso la facoltà di giurisprudenza della "Federico II" di Napoli, dove si laureerà con il massimo dei voti nel dicembre 2017. Durante il percorso di studi sviluppa un particolare interesse per le questioni giuridiche ed a conferma di ciò, d'intesa con il Professore di diritto penale Bruno Assumma, alla seduta di laurea espone la sua tesi intitolata "Reato impossibile ed oggetto della tutela penale". Dopo aver conseguito la laurea, la forte attrattiva per questa tipologia di studi e la passione per la giustizia lo portano a proseguire i propri studi al fine di poter partecipare al concorso per una carriera nella magistratura ordinaria. A tal fine, ha sostenuto altresì un tirocinio di 18 mesi presso il Tribunale di Sorveglianza di Napoli. In concomitanza con tali studi, animato dalla passione per l''apprendimento e per l'approfondimento, all'alba del 2019 inizia a collaborare con "Ius in itinere" attraverso la produzione di elaborati trasversali alle tre macro-aree giuridiche fondamentali. Sostiene da sempre il rispetto della vita animale e durante il tempo libero ama praticare sport, ascoltare musica ed assistere a spettacoli teatrali e cinematografici.

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