venerdì, Marzo 29, 2024
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La nudge regulation e il covid

La nudge regulation e il covid

a cura di Chiara Limiti

1. Sapiens o Econi?

L’antipaternalismo giuridico ritiene che lo Stato, o comunque qualsiasi altro soggetto da questi autorizzato, non ha il diritto di usare la forza e la coercizione per indurre un individuo adulto a compiere azioni contro la sua espressa volontà, anche se tali azioni sono generalmente considerate come un bene per l’individuo. L’antipaternalista puro si spinge anche oltre, prevedendo che l’ente regolatore non possa non solo imporre delle azioni al soggetto (almeno che non sia per prevenire danni alla libertà degli altri consociati) ma non può neanche esercitare delle pressioni a tale scopo. Presupposto di tale impostazione è che vi sia la certezza che la volontà dell’individuo si sia formata in modo razionale, e sia espressa da persona capace di intendere e volere, sia basata sulla conoscenza dei fatti rilevanti, sia stabile nel tempo e sufficientemente libera da pressioni coercitive. La presunzione che le scelte degli individui debbano rappresentare un limite all’ingerenza dello Stato è, quindi, basata sull’affermazione (difficile da dimostrare empiricamente) secondo cui le persone scelgono in maniera ottimale o comunque meglio di quanto non potrebbero fare terze parti. Gli studi empirici, tuttavia, su questo fronte non sembrano costruire quella certezza scientifica, anzi la psicologia e le scienze comportamentali hanno dimostrato nel tempo, in maniera piuttosto inequivocabile, la fallacia delle strategie decisionali degli individui nonché delle percezioni della realtà. Le ricerche in ambito psicologico ed economico hanno scoperto che gli individui falliscono nel fare previsioni coerentemente con quanto teorizzato dai bias, usano regole pratiche (le cosiddette euristiche) che li conducono a commettere errori sistematici, e, addirittura, compiono scelte diverse in relazione a come il problema viene presentato[1]. Queste ricerche demoliscono la concezione della razionalità umana dell’homo oeconomicus[2], ovvero, come un’entità capace di compiere scelte perfette[3], ma ci restituiscono una percezione di homo sapiens.

Abbiamo, quindi, dei soggetti umani, reali e fallaci, oppure degli econi, assolutamente ipotetici e perfettamente razionali. Data l’impossibilità di dimostrare l’esistenza degli econi, si è affermato un nuovo modello che invece tiene conto della fallacia del giudizio umano. Tale modello, chiamato paternalismo libertario, attribuisce allo Stato e ad altre istituzioni il compito di spingere gli individui a prendere decisioni utili al loro interesse nel lungo termine. Si parla, quindi, di paternalismo libertario, unendo due termini antitetici, perché si intende sottolineare l’aspetto libertario di questa nuova corrente che consiste nel lasciar libere le persone di non seguire l’alternativa suggerita. Rimane, tuttavia, ben presente l’aspetto paternalistico dal momento che le istituzioni sono legittimate a cercar di influenzare il comportamento degli individui. Il paternalismo libertario, in quanto forma debole del più ampio insieme rappresentato dal paternalismo, si occupa di una serie di giustificazioni con riguardo agli interventi che riducono l’autonomia in situazioni in cui gli individui non sono nella posizione migliore per compiere una scelta. I paternalisti libertari si occupano di analizzare le situazioni in cui il processo decisionale è difettoso e gli individui sono inclini a prendere cattive decisioni. Questo modello, quindi, si basa sull’influenza sulle scelte degli individui al fine di aiutarli a prendere la decisione migliore per il loro benessere che a causa di scarsa informazione, limitate capacità cognitive e mancanza di forza di volontà, non sono in grado di individuare. L’intero programma del paternalismo libertario può essere visto come un tentativo di fornire rimedi agli inesatti risultati causati dall’azione dei bias cognitivi.

Anche attraverso l’importante contributo della psicologia cognitiva, si è quindi consolidata l’idea per cui è non è possibile per l’uomo adottare un pensiero esclusivamente razionale. La mente umana, infatti, nel momento in cui si trova ad affrontare il compito di prendere una qualsiasi decisione, fa riferimento a delle euristiche. La parola “euristica”[4] deriva dal greco heurískein[5] (trovare) e rappresenta le abilità acquisite dal cervello umano nel corso dell’evoluzione e risultate fondamentali per la sopravvivenza dell’uomo. L’ambiente che l’homo sapiens si è trovato ad affrontare, infatti, era particolarmente ostile alla sua sopravvivenza, un mondo di prede e predatori dove le decisioni da prendere dovevano essere rapide ed efficaci. L’evoluzione ha, quindi, portato il cervello dell’homo sapiens a sviluppare una serie di comportamenti intuitivi che gli hanno consentito di sopravvivere. Tali comportamenti intuitivi si sono stabilizzati nel cervello umano e continuano ad avere una forte influenza sul comportamento anche adesso. Si pensi al ruolo che ha la paura[6] in determinate situazioni, a come questa sia utile per metterci al riparo da imminenti pericoli (prima ancora che il cervello abbia il tempo di razionalizzare), ma di come sia anche causa di comportamenti completamente fuori contesto. La paura, infatti, in stati non particolarmente intensi[7], attiva il sistema nervoso simpatico[8], per cui i peli si rizzano, ai muscoli affluisce maggior sangue e la tensione muscolare ed il battito cardiaco aumentano; il corpo è così pronto all’azione finalizzata all’attacco oppure alla fuga. Tuttavia, la paura è anche causa di reazioni sproporzionate; per cui la paura dei ladri può farci scambiare il congiunto per un violento invasore e farci scattare una reazione di attacco nei confronti di un nostro incolpevole congiunto. Le euristiche, infatti, in molti casi consentono ottime performance, ma in altri rischiano di produrre dei giudizi distorti e di portare a conclusioni errate (i cosiddetti bias cognitivi).

In questi ultimi decenni la ricerca ha quindi dimostrato, attraverso analisi ed esperimenti, che l’essere umano è soggetto ad errori (bias[9]) che hanno natura prevedibile e ricorsiva. Pertanto conoscere la natura di questi errori consente di aprire un nuovo potenziale “campo di applicazione”, per intervenire e migliorare i risultati di alcune politiche pubbliche, con particolare riferimento al diritto. In tale ambito sono intervenuti, come vedremo, Thaler e Sustein con la loro intuizione sulla funzione dei nudge. Gli errori commessi nel processo decisionale hanno carattere sistematico e possono, quindi, essere previsti. Questi errori possono in alcuni casi derivare dall’utilizzo di dati con validità limitata. Si pensi, a titolo d’esempio, alla valutazione della distanza da parte del cervello umano in relazione alla nitidezza dell’immagine: più sarà chiara la modalità di visualizzazione dell’immagine e minore sarà la stima della distanza (un oggetto si vede bene se è vicino). Questo convincimento/euristica, tuttavia, può ingannare quando in caso di scarsa visibilità un oggetto può apparire sfocato e perciò lontano anche se in realtà è vicino all’osservatore: il metodo di valutazione della distanza è semplicistico e induce in errore.

2. La nudge theory

La fallacia nella capacità di giudizio dell’individuo, ha portato alla formulazione e al diffondersi della strategia dei nudge, concetto che racchiude in sé tecniche e metodi utilizzati per influenzare decisioni, manipolando il contesto in cui vengono presentate le opzioni e il modo in cui i soggetti esprimono le loro scelte. Questo tema viene affrontato per la prima volta in un lavoro congiunto dall’economista comportamentale Richard Thaler e dal giurista Cass Sunstein. Nell’opera “Nudge, la spinta gentile” i due studiosi iniziano a trattare l’argomento mediante un esempio, il caso di Carolyn[10], dirigente del servizio mensa di un sistema scolastico di una grande città, che riuscì a indirizzare la scelte alimentari della sua clientela sulla base dell’organizzazione degli alimenti nella mensa, senza prevedere alcun tipo di coercizione. Carolyn, infatti, scoprì che la migliore visibilità e la più facile accessibilità di alcuni alimenti era fondamentale per incidere sulla dieta degli avventori della mensa, con l’obiettivo dichiarato di renderla più salutare e leggera[11]. Il posizionamento dei prodotti non è certo un’intuizione recente e gli esperti di marketing conoscono bene queste strategie. Carolyn, viene definita dai due studiosi un “architetto delle scelte”, cioè un soggetto che ha la responsabilità di organizzare il contesto sociale in cui gli individui prendono decisioni. L’obiettivo della Nudge theory, in italiano “pungolo” o “spinta gentile”, è quello di fornire informazioni su come gli ambienti fisici e sociali incidano sulla capacità di scelta degli individui[12], consentendo di strutturare un’architettura delle scelte, vale a dire l’organizzazione dell’ambiente sociale in cui i soggetti prendono decisioni[13], avente il fine di migliorare il benessere del cittadino o in generale della collettività. Si pensi ad un medico che descrive al paziente le terapie che possono essere intraprese o il legislatore che con un provvedimento normativo orienta la condotta dei destinatari dei suoi interventi.

La nudge regulation è un approccio regolativo costruito sulle fondamenta dell’economia e della psicologia comportamentali. Sulla base di questo bagaglio di conoscenze, lo strumento è ideato per sfruttare gli errori degli individui – euristiche, bias, errori di ragionamento, di valutazione, difetti della volontà, e così via – spingendoli a prendere le decisioni migliori. La nudge regulation si fonda sulla logica del cosiddetto paternalismo libertario e che ha come obiettivo quello di indurre la cittadinanza a comportamenti più virtuosi senza tuttavia intervenire a ridurre in alcun modo la loro libertà di scelta. Il paternalismo libertario, infatti, prevede la salvaguardia delle libertà degli individui, di “essere liberi di scegliere” parafrasando Milton Friedman, ma con l’aiuto dei cosiddetti architetti, ovvero di coloro che sono in grado di influenzare le scelte degli individui. Thaler e Sunstein si considerano paternalisti in quanto ritengono lecito “influenzare i comportamenti degli individui al fine di rendere le loro vite più lunghe, sane e migliori”.

L’obiettivo della strategia dei nudge è attuare una politica definita “paternalismo libertario”. I due termini ad un primo impatto possono sembrare una contraddizione. Questo perché la parola “paternalismo” sembra ricondurre ad un intervento attuato nell’interesse di una persona, ma limitante la libertà della stessa. Secondo Thaler e Sunstein, il fervore antipaternalistico si basa su un falso presupposto e almeno due idee sbagliate. Il falso presupposto è che le persone fanno sempre le scelte che sono nel loro migliore interesse. Ma come la scienza evidenzia, gli individui usano euristiche che li portano a fare errori sistematici. Inoltre, le persone mostrano un’incoerenza dinamica, valorizzando il consumo presente a scapito di quello futuro, rivelando quindi dei problemi di controllo[14]. Nell’interpretazione di Sustein e Thaler la razionalità è fallace non in singoli casi patologici in merito ai quali degli esperti sono chiamati ad esprimersi; ma la razionalità è sempre limitata, viziata, pur continuando a credersi razionale. Sustein e Thaler sostengono quindi che i convinti antipaternalisti siano ingenui, ed incorrano nel primo dei due malintesi da loro individuati, nel momento in cui ritengono che sia possibile individuare vie alternative al paternalismo. Il paternalismo, infatti, è inevitabile e determina effetti sulle scelte individuali. L’intervento degli architetti delle scelte[15] può essere conscio o meno, ma è difficile trovare una situazione in cui questo non si eserciti. Anche quando il paternalismo sembra assente, è facile che il punto di partenza appaia così naturale e ovvio che i suoi effetti di modellamento delle preferenze siano invisibili alla maggior parte degli osservatori; ma quegli effetti ci sono comunque. Il secondo malinteso, secondo Sunstein e Thaler, è che il paternalismo implichi sempre la coercizione, ma secondo la logica del paternalismo libertario nessuna coercizione è prevista e questo dovrebbe renderlo accettabile anche al più ardente libertario. Infatti, se gli effetti sulle scelte individuali sono spesso inevitabili, il compito di quanti si dicono assertori della libertà di scelta è di fare in modo che tale libertà venga preservata nella maggior misura possibile.

3. La Nudge regulation e la salute

Attorno agli anni 2000 quasi 39 milioni di americani sono stati classificati come obesi. Tutti, soprattutto in Occidente, sono coscienti di quanto l’obesità sia collegata alla morte prematura e a varie malattie quali il diabete, il cancro e l’infarto. Tuttavia, negli Stati Uniti c’erano, e ci sono, 39 milioni di obesi: a fronte di questo esempio, si può ancora affermare che gli individui compiono sempre le scelte migliori per sé stessi? L’obesità non è l’unico problema sociale collegato alla salute che dimostra l’incapacità degli individui di compiere la scelta migliore, anche l’alcolismo e il tabagismo ne sono degli esempi significativi.

Come ci insegna l’esperienza, ci sono molte persone che pur riconoscendo l’importanza e il valore della salute continuano a metterla a repentaglio attraverso comportamenti poco salutari. Questo gap tra valori e comportamento può essere compreso attraverso il modello del doppio processo, nel quale i comportamenti umani assumono la forma di due sistemi. Il primo è un sistema contemplativo orientato ad uno scopo e guidato dai nostri valori e dalle nostre intenzioni. Richiede capacità cognitiva o spazio pensante, che però è limitato. Gli approcci tradizionali alla promozione della salute hanno generalmente tentato di fare leva su questo sistema attraverso la diffusione delle informazioni volte a motivare le persone con la prospettiva di benefici futuri, o ad aiutarle a sviluppare abilità autoregolanti. In genere, tuttavia, questi approcci non hanno consentito il raggiungimento degli obiettivi programmati. Il secondo è un sistema affettivo spontaneo che richiede poco o nessun impegno cognitivo, essendo guidato da sentimenti immediati e innescato dall’ambiente circostante.

Il nudging si è dimostrato molto utile nel favorire l’adozione di determinati comportamenti salutari. Questo modello comprende una vasta gamma di approcci, come ad esempio: fornire informazioni su come si comportano gli altri (“feedback sulle norme sociali”), migliorare l’offerta riguardante la fornitura di cibi e bevande, o modificare la struttura degli edifici per favorire l’attività fisica. Nella tabella allegata vi è un ampio esempio del ricorso alle tecniche del nudging nell’ambito della prevenzione di determinati comportamenti lesivi della salute, in relazione con gli interventi di natura normativa.

Tabella 1 – Esempi di interventi di nudging e di interventi normativi

  Intervento nudging Intervento normativo
FUMO Promuovere il concetto del “non fumare”, attraverso campagne di comunicazione, informando che la maggior parte delle persone non fuma e che la maggior parte dei fumatori vuole smettere Divieto di fumo nei luoghi pubblici
Ridurre qualsiasi riferimento (visivo) a sigarette, accendini e posaceneri Aumento del prezzo delle sigarette
ALCOOL Servire i drink in bicchieri più piccoli Regolarizzare i prezzi attraverso una tassa o
stabilendo un prezzo minimo
Promuovere il concetto di “consumo consapevole” mettendo in evidenza, nelle campagne di comunicazione, il fatto che la maggior parte delle persone non beve per ubriacarsi Aumentare il limite di età per l’acquisto di alcolici
ALIMENTAZIONE Progettare alcuni spazi dei carrelli del supermercato appositamente per frutta e verdura Ridurre il numero di pubblicità di alimenti non salutari nei programmi per bambini
Far diventare l’insalata, invece delle patatine, il contorno abituale Progettare una segnaletica per indicare i prodotti industriali ad alto contenuto di grassi
ATTIVITÀ FISICA Negli edifici pubblici rendere più facilmente raggiungibili e più attraenti le scale rispetto agli ascensori Aumentare anno dopo anno l’indice dei costi del carburante
Promuovere un maggior utilizzo della bicicletta come mezzo di trasporto, per esempio attraverso istemi di noleggio delle biciclette in città Imporre zone a traffico limitato intorno alle scuole.

Fonte: Barbera E. e Tosco E., Il nudging può migliorare la salute delle persone?, 2011, in www.dors.it/cosenostre/testo/201107/Nudging_lug.pdf

Una parte della letteratura mette anche in risalto come il nudge possa avere la capacità di generare anche dei danni. Può, infatti, verificarsi una reazione irrazionale all’intervento di nudging: una sorta di effetto “aureola” che porta, ad esempio, ad un consumo eccessivo di cibi considerati sani. In uno studio è stato comunicato ai partecipanti che un hamburger conteneva 697 calorie, mentre un hamburger mangiato con gambi di sedano riduceva a 642 le calorie. Tuttavia, questa informazione aveva prodotto un aumento generale del consumo di hamburger, magari accompagnati con gambi di sedano, che aveva determinato un aumento medio delle calorie introdotte. Inoltre, un danno indiretto può essere determinato dal fatto che un’attenzione eccessiva alle strategie di nudging finisca per far trascurare altri interventi di maggiore efficacia. Un esempio in tal senso è dato dalla lotta al fumo. Infatti, è stato dimostrato che un aumento del prezzo del tabacco produce migliori risultati, almeno in relazione ad una fascia di popolazione con un reddito basso, rispetto all’inserimento di “health warnings” sui pacchetti di sigarette.

Tuttavia, gli studiosi concordano sul fatto che il nudging possa aiutare a promuovere una cultura di accettazione di leggi per promuovere la salute, tema particolarmente “caldo” in questa fase storica.

4. La nudge regulation e il covid

Il mondo intero si trova ad affrontare una fase storica che alcuni studiosi identificano come il “cigno nero”. La teoria del cigno nero è una metafora antica rielaborata dal filosofo e matematico libanese, Nassim Nicholas Taleb, che esprime il concetto secondo cui un evento raro, imprevedibile e inaspettato (che può essere positivo o negativo) con un forte impatto sull’andamento della storia, è una sorpresa per l’osservatore. La storia è piena di cigni neri, si pensi ad esempio all’11 settembre e a come ha influito sulle nostre abitudini, e tutti seguono le stesse dinamiche. Taleb ha sviluppato la teoria filosofica del cigno nero[16] spiegando il ruolo sproporzionato degli eventi a forte impatto, rari e difficili da prevedere rispetto a normali aspettative nell’ambito della storia, della finanza e della tecnologia. Il covid-19 ha rappresentato per il mondo intero uno shock di proporzioni quasi sconosciute. Se questo è vero a livello economico e finanziario, tanto più ha inciso sulla percezione della realtà da parte dei singoli individui. L’impatto dell’emergenza sanitaria da Covid-19 ha prodotto effetti psicologici, sociali ed economici profondi che hanno alterato tutta la nostra vita. Il periodo storico è caratterizzato da un trauma diffuso, uno stress acuto, che ci ha portato verso quello che Giorgio Agamben definisce stato d’eccezione. L’evento si è abbattuto sulla routine quotidiana ed ha prodotto panico e modifiche nel modo di ragionare e di sentire. L’esordio imprevisto ed inaspettato di Covid-19, una minaccia reale per la vita e la salute delle persone, ha creato un’onda reattiva ad altissima emotività incontrollata (paura, ansia, vulnerabilità, impotenza) che ha portato a comportamenti impulsivi molto dannosi.

In questo contesto si pone la necessità di un intervento forte a livello di definizione di un quadro di norme da parte del Governo. L’obiettivo dichiarato è, infatti, quello di modificare radicalmente l’atteggiamento delle persone per far fronte alla crisi pandemica, con strumenti che fino ad allora erano sconosciuti, almeno ad un’ampia fetta della popolazione, come il lockdown. Inoltre, devono essere introdotte nella vita quotidiana dei cittadini numerose restrizioni, dalla mascherina all’impossibilità di riunirsi, anche all’aperto. Una parte della popolazione, in questo contesto, reagisce con comportamenti irrazionali. Ad esempio, il report diffuso dal Viminale il 16 marzo, certifica che sono state 8.000 le persone controllate e denunciate per “inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità” durante i controlli sul rispetto delle misure di contenimento del contagio da coronavirus (+15% rispetto al giorno precedente) raggiungendo 35mila denunciati in sei giorni. Questi comportamenti scaturiscono dall’innescamento di bias cognitivi[17], ovvero costrutti fondati, al di fuori del giudizio critico, su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie; utilizzati spesso per prendere decisioni in fretta e senza fatica. Si tratta, il più delle volte di errori cognitivi[18] che impattano nella vita di tutti i giorni, non solo su decisioni e comportamenti, ma anche sui processi di pensiero.

Le scienze comportamentali possono correre in supporto per individuare le ragioni che sottendono questi comportamenti irrazionali e, di conseguenza, le strategie attraverso le quali modificare questi comportamenti. Le scienze comportamentali, infatti, diventano un importante strumento per capire meglio la situazione attuale e identificare soluzioni efficaci per affrontarla: ci consentono di comprendere la funzione di scelte apparentemente indecifrabili e irrazionali dei singoli individui, e quando è necessario, di prevedere e modificare i loro comportamenti. La nudge regulation, invece, è lo strumento che basandosi sugli assunti delle scienze comportamentali consente di costruire un insieme di norme che spingono alla modifica del comportamento del singolo. Uno degli aspetti interessanti di questo nuovo scenario è, infatti, l’estrema importanza che assumono i comportamenti e le decisioni dei singoli individui: è il singolo a fare la differenza fra il diffondersi del virus o il suo contenimento.

5. I comportamenti irrazionali e i bias

L’analisi dei comportamenti, prevalentemente irrazionali, che si sono tenuti nelle prime fasi di diffusione della pandemia, ci aiutano ad inquadrare il tipo di bias che è intervenuto e di conseguenza le strategie di comunicazione, nonché di regulation, che potevano e che possono essere attuate. La difficoltà nella comprensione della necessità di rimanere in casa che ha portato alla denuncia di 35mila persone in sei giorni è dovuta, secondo le scienze comportamentali, all’overconfidence bias[19], ovvero alla tendenza a sottovalutare le conseguenze lontane da noi nel tempo e nello spazio. Questo finisce per conferire un’impressione di eccessiva sicurezza. La comunicazione ha presentato il lockdown come la modalità più sicura e razionale; ma le conseguenze positive di questa scelta erano lontane e quindi più deboli. Gli effetti potevano essere valutati al minimo dopo un paio di settimane, se non un mese, e avrebbero riguardato prevalentemente altre persone, come anziani e persone dalla salute più fragile. Le conseguenze immediate, come noia e impossibilità di vita sociale, sono state più forti e hanno spinto diverse persone nella direzione irrazionale di trovare scuse per uscire. Il bias dell’illusione di validità[20], ovvero la tendenza a sopravvalutare le nostre competenze[21], così come quelle di una persona solo perché è famosa e carismatica, spiega, l’eccessiva attenzione che è stata data alle opinioni di soggetti assolutamente non esperti in materia di diffusione dei virus. Collegato a questo aspetto c’è anche la forte necessità, anche da parte di soggetti che in generale non sono consumatori di informazioni, di ricercare le notizia[22]. Si tratta dell’information bias, ovvero dell’illusione di mantenere un certo controllo sulla situazione accumulando le informazioni e cavalcando le breaking news. Tuttavia, questa ricerca affannosa non finisce per produrre una maggiore conoscenza; ma anzi determina un’information overload[23] a causa della quale le notizie convivono con le fake news.

Un altro comportamento, che rivela il ruolo della pressione sociale, è collegato all’uso della mascherina. In una prima fase dell’epidemia, infatti, il Ministero della Salute aveva consigliato l’uso della mascherina solo a determinate categorie di persone, come soggetti positivi al coronavirus e loro assistenti, e soggetti affetti da forme di immunodepressione. Tuttavia, nello stesso periodo, secondo i dati IQVIA, gli acquisti di mascherine sono aumentati del 325%. Questo fenomeno è figlio del bandwagon effect[24], ovvero la tendenza a “salire sul carro del vincitore” che è insita nella natura umana: l’opinione della maggioranza occupa un posto di assoluto rilievo. L’effetto carrozzone può essere considerato, quindi, come una scorciatoia che il nostro cervello intraprende per risparmiare energia: siamo naturalmente portati all’omologazione. La nudge regulation avrebbe potuto sfruttare tale bias costruendo una narrazione volta a sottolineare l’enorme aderenza al comportamento richiesto da parte della maggioranza della popolazione[25]. Questo è ancora più vero nel momento in cui, invece, ci si è scontrati con il rifiuto all’utilizzo delle mascherine da parte di una frangia di individui.

Un comportamento che, a guardarlo da una certa distanza nel tempo, provoca un sorriso di scherno è stato la corsa all’accaparramento di carta igienica (fenomeno che in Italia si è visto meno che in altri Paesi, ma che è comunque stato ben presente). In Italia, infatti, si è registrato un aumento delle vendite del prodotto pari al +23% (rispetto alla stessa settimana del 2019), nel resto del mondo le percentuali sono molto più alte[26] e in alcuni casi, vedi l’Australia, si è assistito anche ad episodi di risse al supermercato. In questo caso le scienze comportamentali parlano di zero-risk bias[27]: posti di fronte a pericoli che non siamo in grado di controllare, e tormentati dalla necessità di avere il controllo sulla situazione, scegliamo a volte di investire le energie su piccoli problemi alla nostra portata. Sempre parlando di consumi, un altro comportamento bizzarro registrato è stato l’acquisto di igienizzanti per le mani a prezzi esorbitanti. Secondo il Codacons, che ha svolto un’indagine sui principali portali di e-commerce, i prezzi del gel igienizzante da 80ml, che normalmente si trova in commercio a circa 3€, è stato venduto anche a 22,50€ a confezione, con un ricarico sul prezzo al pubblico del +650%. In questo caso si parla di scarcity bias[28]: il valore di un prodotto dipende non solo dal mercato ma da quanto siamo pronti a pagare per averlo. Se il gel igienizzante ha registrato una tale impennata nei prezzi è perché tutti l’hanno comprato, se mi comportassi diversamente dagli altri rischierei di apparire incoerente anche a me stesso.

6. La nudge regulation e i bias relativi al covid

In base alla teoria dei nudge è possibile alterare il comportamento delle persone in modo prevedibile e indirizzarle verso la scelta desiderata sfruttando queste distorsioni sistematiche (o routine, o abitudini) che sono rappresentate da bias. I bias, infatti, influiscono sulle nostre decisioni e impediscono una valutazione imparziale delle opzioni disponibili. In questo modo si spinge gentilmente un individuo verso l’opzione considerata “migliore” (per quella persona o per la società) senza che le altre strade vengano esplicitamente escluse, e senza che quella persona si senta limitata nella sua libertà. Le tecniche che si possono applicare efficacemente sono molte, almeno una per ciascun bias che siamo in grado di individuare[29]. In generale, tuttavia, possono essere individuate tre diverse matrici di azione. Le tecniche che lavorano sul perspective taking[30]aiutano le persone a riguadagnare la giusta prospettiva da cui guardare le cose e con cui prendere le decisioni. Decisioni intelligenti richiedono di assumere una prospettiva diversa da quella, in genere troppo ridotta, che adottiamo automaticamente: riuscire a vedere la situazione attuale con gli occhi di domani, di contestualizzare le informazioni su una scala più ampia o di sapersi mettere nei panni di altre persone[31].

Lo scenario in cui si è verificata questa pandemia ha avuto un forte influsso sulla modalità in cui la stessa è stata percepita. Si è parlato, infatti, del sovraccarico informativo, reso possibile dalle innumerevoli fonti di informazione a disposizione. Si è detto, inoltre, di come questa enorme disponibilità, in molti casi, lungi dall’aver rappresentato un vantaggio è stata motivo di diffusione di dati incerti nonché del dilagare di fake news. Si è reso, quindi, opportuno l’utilizzo (anche in ambito di redazione normativa) di tecniche che lavorino sulla consapevolezza puntando a indirizzare l’attenzione sulle informazioni davvero rilevanti, “a favorire la mindfulness[32] piuttosto che la mindlessness[33].

Infine, si devono utilizzare delle tecniche, e quindi anche delle scelte comunicative, che aiutino i cittadini a compiere delle scelte di valore e non di evitamento. Fare emergere il “perché” dietro alle scelte compiute dalla norma e ciò che si intende fare significa dare forza alle decisioni, alimentare convinzione e coerenza nel tempo.

La nudge regulation, come visto, è rappresentata da un insieme di tecniche non coercitive e di basso costo che prendono, appunto, il nome di nudge, o pungoli, e che ruotano inevitabilmente attorno alla comunicazione quale strumento versatile e creativo capace di catturare l’attenzione dei cittadini rendendo un’opzione interessante oppure, viceversa, ponendo in evidenza il lato negativo di un comportamento. L’elemento innovativo di questo approccio è quello di dotare i decisori pubblici di una strategia mentale e una metodologia di base che li guidi nel loro ruolo di architetti delle scelte e nelle quali la comunicazione si configura come elemento chiave per orientare il comportamento della cittadinanza. Questa funzione è, particolarmente, significativa in un contesto di crisi pandemica come quello attuale (e ancor più nella fase precedente al momento presente).

[1] Nel 2002 Daniel Kahneman ottiene il premio Nobel per la conclusione clamorosa riguardo alla mente umana: gli individui prendono le loro decisioni utilizzando un numero limitato di euristiche, ossia scorciatoie mentali. L’utilizzo della razionalità nel processo decisionale viene ostacolato dai bias cognitivi, ossia distorsioni del giudizio che portano a errori sistematici nel momento in cui occorre scegliere in situazioni di incertezza.

[2] Astratta semplificazione della complessa realtà umana, enunciata per la prima volta da J.S. Mill, che pone come soggetto dell’attività economica un individuo astratto, del cui agire nella complessa realtà sociale si colgono solo le motivazioni economiche, legate alla massimizzazione della ricchezza. Questa categoria della teoria economica, usata in particolar modo in microeconomia come premessa dell’analisi deduttiva, si pone come universale, in quanto le scelte rilevanti dell’homo oeconomicus non sono condizionate dall’ambiente in cui si trova, e razionale, nel senso che il suo comportamento, volto a raggiungere dati obiettivi con i minimi mezzi, rispetta criteri di coerenza interna a partire da certi assiomi. Per maggiori approfondimenti si vedano: S. Caruso, Homo oeconomicus. Paradigma, critiche, revisioni, Firenze University Press,2012; S. Mocellin, L’ homo oeconomicus in evoluzione. Modelli antropologici e teoria della responsabilità sociale d’impresa, Mondadori, 2011.

[3] Lo studio delle decisioni ha visto, per diverso tempo, il dominio, quasi mai posto in discussione, di teorie e modelli dal carattere normativo, quali la teoria dell’utilità attesa di Von Neumann e Morgenstern (Morgenstern O. e Von Neumann J., 1944, Theory of Games and Economic Behaviour, Princeton University Press). Questa teoria pone al centro della sua analisi l’assunto di un homo economicus (come per primo usò definirlo John Stuart Mills, 1836), caratterizzato da una razionalità perfetta, dal fatto di essere pienamente informato e anche profondamente egoista. L’homo economicus agisce indipendentemente dagli altri, non è soggetto ad influenze, ma copia il comportamento altrui solo quando ciò gli permette di raggiungere un effettivo vantaggio. L’interpretazione iper-semplificata delle teorie di Adam Smith, secondo cui l’autoregolazione dei mercati (la mano invisibile) garantisce, attraverso il perseguimento dell’interesse individuale dei membri di una collettività, il raggiungimento del massimo livello di ricchezza per la stessa, poggiava su un’idea di razionalità individuale assoluta, senza spazio alcuno per l’interazione. I modelli di Leon Walras, e non è un caso, utilizzavano come esempio classico quello di Robinson Crusoe. I modelli razionali hanno il vantaggio di descrivere in una maniera semplice ed intuitiva come si dovrebbe comportare un attore razionale davanti ad una scelta. Tuttavia sono caduti in errore quando si sono proposti come modelli prescrittivi, capaci, dunque, di prevedere il comportamento del singolo al fine di generalizzarlo a quello più ampio del mercato. Nonostante il successo che questo modello ha riscosso in economia la fallacia dei suoi assunti logici è stata dimostrata quasi subito dall’ingegno di alcuni studiosi (Allais, M. (1953), Le comportement de l’homme rationnel devant le risque: critique des postulats et axiomes de l’école Américaine, «Econometrica» 21, 503-546; Ellsberg, 1961). Ciò nonostante molti hanno continuato a sostenere le teorie normative portando in loro difesa argomentazioni che facevano leva sul fatto che la razionalità fosse positivamente correlata con il livello di competitività e col livello di apprendimento che risulta dall’esperienza sul campo. Allais, durante un convegno a Parigi cui erano presenti i più brillanti ricercatori del tempo, tra cui lo stesso Morgenstern e Savage, sottopose ai partecipanti alcuni quesiti riguardanti lotterie dall’esito incerto. Il risultato importante fu che dimostra, seppur a livello embrionale, che gli individui, contro le predizioni della teoria dell’utilità attesa, tendono a pesare diversamente eventi quasi certi ed eventi solo possibili, sottostimando probabilità vicine a uno e sovrastimando, invece, probabilità prossime a zero. Allais non riscosse immediatamente l’attenzione che avrebbe, invece, ottenuto nei decenni a venire. La prima reazione della comunità scientifica, come ricordato, fu anzi quella di creare una sequenza d’ipotesi ad hoc per “aggiustare” il tiro dell’utilità attesa, salvaguardandone la validità di fondo. Negli anni vi furono tentativi di costruire teorie alternative, quali la regret theory di Sugden (1993) o la weighted utility theory di Chew (1979), sempre, però, rimanendo nell’alveo dell’ortodossia. Ma il paradigma della razionalità neoclassica cominciava a scricchiolare.

[4] Aspetto del metodo scientifico che comprende un insieme di strategie, tecniche e procedimenti inventivi per ricercare un argomento, un concetto o una teoria adeguati a risolvere un problema dato. Benché l’uso del termine risalga a Kant, la nozione cui rimanda è presente fin dall’antichità (enciclopedia Treccani).

[5] Heurískein significa trovare o scoprire. Si tratta di procedimenti mentali intuitivi e sbrigativi, che permettono di avere un’idea generica dalla quale è possibile giungere a conclusioni veloci.

[6] La paura per la psicologia rappresenta un meccanismo di difesa attivo sin dall’inizio nei confronti dei pericoli alla sopravvivenza dell’individuo. La paura in psicologia rientra nel gruppo delle emozioni primarie, cioè quelle emozioni che sono presenti nel bambino sin dalla nascita, come gioia, sorpresa, tristezza e rabbia. Questa sua presenza tempestiva è un indicatore della sua importanza. La paura è infatti un sistema adattivo che modula il rapporto tra l’ambiente e l’organismo favorendo la sopravvivenza di quest’ultimo. Le emozioni sono la risposta dell’individuo alla percezione di uno stimolo esterno. La paura nello specifico si attiva quando i sensi percepiscono uno stimolo dannoso o potenzialmente dannoso per l’organismo, insomma quando incombe una minaccia. Alla paura segue uno stato di attivazione neurofisiologica che consente all’individuo di rispondere allo stimolo iniziale attraverso attacco, evitamento-fuga o nella peggiore delle ipotesi con un blocco.

[7] Uno stato di paura acuta ed improvvisa caratteristica del panico e della fobia, invece, si accompagna ad una attivazione del sistema nervoso autonomo parasimpatico, si ha quindi un abbassamento della pressione del sangue e della temperatura corporea, diminuzione del battito cardiaco e della tensione muscolare, abbondante sudorazione e dilatazione della pupilla. Il risultato di tale attivazione è una sorta di paralisi, ossia l’incapacità di reagire in modo attivo con la fuga o l’attacco. La funzione di questa staticità indotta dallo stimolo fobico sembra quella di difendere l’individuo dai comportamenti aggressivi d’attacco scatenati dalla fuga e dal movimento. Paradossalmente, in casi estremi, tale reazione parasimpatica può condurre alla morte per collasso cardiocircolatorio.

[8] Il sistema nervoso simpatico è attivato principalmente quando l’organismo si trova in situazioni di emergenza o stress (reazioni di lotta-fuga): determina l’attività di molti organi contemporaneamente e utilizza anche un meccanismo ormonale attraverso il rilascio di adrenalina (midollare del surrene). Il sistema nervoso parasimpatico è, invece, un sistema che prevale nelle condizioni di stabilità e riposo favorendo i processi anabolici (digestione ed assorbimento). I nervi parasimpatici sono attivati singolarmente ed indipendentemente l’uno dall’altro.

[9] I neuroscienziati Johan E. Korteling, Anne-Marie Brouwer e Alexander Toet (nel loro articolo del 2018 intitolato: A Neural Network Framework for Cognitive Bias) studiano i meccanismi cerebrali coinvolti nei bias cognitivi e sostengono che molti bias derivino da meccanismi cerebrali intrinseci, fondamentali per il funzionamento delle reti neurali biologiche. Tali meccanismi neurali orientano il pensiero umano, per default, a prendere decisioni euristiche che coinvolgono il sistema 1. “Sosteniamo che molti pregiudizi cognitivi derivano da meccanismi cerebrali intrinseci che sono fondamentali per il funzionamento delle reti neurali biologiche. A sostegno del nostro punto di vista, discerniamo e spieghiamo quattro principi di base della rete neurale: (1) Associazione, (2) Compatibilità, (3) Mantenimento e (4) Focus. Questi principi sono inerenti a (tutte) le reti neurali originariamente ottimizzate per svolgere concrete funzioni biologiche, percettive e motorie. Costituiscono la base per le nostre inclinazioni ad associare e combinare informazioni (non correlate), a dare priorità alle informazioni compatibili con il nostro stato attuale (come conoscenza, opinioni e aspettative), a conservare informazioni fornite che a volte potrebbero essere meglio ignorate e concentrarsi sulle informazioni dominanti ignorando le informazioni pertinenti che non sono direttamente attivate. I presunti meccanismi sono complementari e non si escludono a vicenda. Per diversi bias cognitivi possono tutti contribuire in vari gradi alla distorsione delle informazioni. Il presente punto di vista non solo completa i tre punti di vista precedenti, ma fornisce anche un quadro unificante e vincolante per molti fenomeni di distorsione cognitiva”.

[10]Macchi L., Bagassi M. e Bailo L., Conoscenza tacita e comunicazione in compiti decisionali: il caso nudge, in Riv. sistemi intelligenti, n. 1, 2015, pag. 167 a 180; Thaler R. H. e Sunstein C. R., Nudge, la spinta gentile, Milano, Feltrinelli, 2009, pag. 7 ss.

[11] Un esempio di nudge è rappresentato dall’introdurre una tassa sui cibi aventi elevate quantità di grassi in modo da scoraggiarne il consumo e quindi contrastare l’obesità. Anche se a livello europeo costituisce sempre un tema di dibattito, alcuni stati membri hanno già adottato soluzioni di questo tipo ad esempio la Danimarca, cfr. A. MENGHETTI, Il piatto piange. Etica, dubbi e comportamenti nella catena agro-alimentare, Tarcento, Robertson edizioni, 2012, pag. 141 ss.

[12]Barbera E. e Tosco E., Il nudging può migliorare la salute delle persone?, 2011, in https://www.dors.it/documentazione/testo/201107/Nudging_lug.pdf#:~:text=In%20generale%20l’auto%2Dregolamentazione,della%20popolazione%20%C3%A8%20molto%20debole, pag. 2.

[13] Sunstein C. R., Semplice: L’arte del governo nel terzo millennio, Milano, Feltrinelli, 2014, pag. 22 ss.

[14] D. Kahneman, J. Knetsch, e R. Thaler, The Endowment Effect, Loss Aversion, and Status Quo Bias. Journal of Economic Perspectives, 1991, 5(1), pp. 193–206. D. Kahneman e A. Tversky,. Choices, values, and frames. Cambridge, U.K.: Cambridge University Press, 2000.

[15] Altro discorso sarebbe quello di capire in che misura l’intervento dell’architetto delle scelte sia indirizzato al bene dell’individuo, paternalismo, o quanto non sia invece rivolto ad un interesse specifico. Si pensi, ad esempio, alle strategie di marketing ma anche al semplice posizionamento dei prodotti sugli scaffali dei supermercati.

[16] Un cigno nero non può essere mai previsto, immaginato o classificato utilizzando i metodi scientifici, a causa della sua natura di evento a bassissima probabilità. Quando arriva, spesso non viene neppure riconosciuto per quello che realmente è. Si tratta, in primo luogo, di un evento isolato che non rientra nel campo delle normali aspettative, dato che niente nel passato può indicare in modo plausibile la sua possibilità. In secondo luogo ha un impatto enorme. Infine, nonostante il suo carattere di evento isolato, la natura umana, con i suoi pregiudizi, porta ad elaborare a posteriori giustificazioni della sua comparsa, per renderlo spiegabile e prevedibile.

[17] Bias è un termine inglese, che trae origine dal francese provenzale biais, e significa obliquo, inclinato. Questo termine, a sua volta trae origine dal latino e, prima ancora, dal greco epikársios, obliquo. Inizialmente, tale termine era usato nel gioco delle bocce, soprattutto per indicare i tiri storti, che portavano a conseguenze negative. Nella seconda metà del 1500, il termine bias, assume un significato più vasto, infatti sarà tradotto come inclinazione, predisposizione, pregiudizio.

[18] I bias cognitivi sono frutto dell’evoluzione del pensiero umano: ci consentono di interpretare e valutare molto rapidamente situazioni che richiederebbero, altrimenti, grandi risorse. Se talvolta possono accelerare i nostri processi decisionali, risparmiandoci tutte le valutazioni necessarie, in altri casi i bias cognitivi possono indurci a valutazioni e comportamenti controproducenti rispetto alle circostanze.

[19] L’overconfidence bias consiste in una sopravvalutazione delle proprie conoscenze e abilità in un determinato ambito. Barberis e Thaler ritengono che l’overconfidence generi negli individui intervalli di confidenza troppo stretti e irrealistici per quanto riguarda le loro stime probabilistiche, poiché le persone sottostimano la probabilità di errore delle proprie valutazioni e sovrastimano gli eventi con elevata probabilità di accadimento. Inoltre, si è portati a distorcere le probabilità di realizzazione di un evento, non prendendo in considerazione il fatto che gli eventi esterni accadono più frequentemente rispetto a quanto ci si aspetta. Ad esempio, viene stimato come certo un evento che ha il 90% di probabilità di realizzazione e viene valutato come impossibile un evento cha si realizza nel 1% dei casi. A partire dal 1984, lo psicologo e scienziato politico Philip Tetlock raccolse 82.261 previsioni a breve e lungo termine di esperti con più di dodici anni di esperienza nei propri settori in merito a questioni di politica internazionale ed economia per valutare quanto queste potessero effettivamente essere attendibili. Venti anni più tardi ne analizzò gli effettivi risultati, notando in che modo quando un evento veniva considerato impossibile dagli esperti, questo avveniva comunque nel 15% dei casi. Mentre, quando gli esperti sostenevano che un evento sarebbe sicuramente accaduto, questo non si verificava nel 25% delle situazioni. Tetlock e Gardner nel loro saggio “Superforecasting” individuano proprio nell’arroganza e nella presunzione di alcuni degli esperti la causa principale delle predizioni distorte.

[20] Dall’analisi “The COVID-19 Social Media Infodemic” condotta su Twitter, Instagram, YouTube, Reddit and Gab su oltre 8 milioni di commenti e post relativi al coronavirus e pubblicati in 45 giorni, i topic più discussi sui diversi canali social sono collegati ad aspetti come la prevenzione, l’impatto economico e le decisioni del Governo.

[21] L’illusione di validità è un pregiudizio cognitivo in cui una persona sopravvaluta la sua capacità di interpretare e prevedere accuratamente il risultato quando analizza un insieme di dati, in particolare quando i dati analizzati mostrano uno schema molto coerente, cioè quando i dati “raccontano” una storia coerente. Questo effetto persiste anche quando la persona è consapevole di tutti i fattori che limitano l’accuratezza delle sue previsioni, cioè quando i dati e / oi metodi utilizzati per giudicarli portano a previsioni altamente fallibili. Daniel Kahneman, Paul Slovic, e Amos Tversky spiegano l’illusione come segue: “le persone spesso prevedono selezionando l’output … che è più rappresentativo dell’input … La fiducia che hanno nella loro previsione dipende principalmente dal grado di rappresentatività … con poca o nessuna considerazione per i fattori che limitano l’accuratezza predittiva. Pertanto, le persone esprimono grande fiducia nella previsione che una persona è un bibliotecario quando viene fornita una descrizione della sua personalità che corrisponde allo stereotipo dei bibliotecari, anche se la descrizione è scarsa, inaffidabile o obsoleta. la fiducia ingiustificata che è prodotta da una buona corrispondenza tra il risultato previsto e le informazioni di input può essere chiamata l’illusione della validità“.

[22] Dalle rilevazioni di Audiweb Week, quando l’allarme ha raggiunto i massimi livelli, la crescita di traffico dei siti di informazione è stata del 61%. In particolare, dal 2 all’8 marzo, il Corriere della Sera ha raggiunto 22 milioni di utenti unici, con un incremento del 55,2% rispetto lo stesso periodo precedente, mentre La Repubblica con 20 milioni di utenti unici ha avuto una variazione positiva del 63%.

[23] L’information overload o sovraccarico informativo è il risultato dell’esposizione degli individui a una quantità di informazioni superiore alla loro capacità di elaborazione, con conseguenze sull’attenzione, sulla comprensione e sulla capacità di prendere delle decisioni.

[24] Bandwagon effect (“effetto carrozzone”) indica la propensione ad adottare un determinato comportamento, stile o atteggiamento semplicemente perché lo fanno tutti gli altri. La paternità del termine viene convenzionalmente attribuita all’attore e comico statunitense Dan Rice, uno dei primi, grandi showman americani. Durante le elezioni presidenziali del 1848, in cui sosteneva la candidatura di Zachary Taylor, Rice organizzò una campagna elettorale atipica per l’epoca, nella forma di un lungo spettacolo itinerante: girovagando per gli Stati Uniti a bordo di un carro circense, con tanto di musicisti a seguito (band-wagon, per l’appunto), il comico ottenne un successo di piazza clamoroso, catapultando l’espressione “to jump on the bandwagon” nel lessico popolare. Negli anni successivi, i candidati presero spunto dal precedente di Rice, e iniziarono a tenere i propri comizi su carri sgargianti corredati di musicanti.

[25] In Inghilterra, le utilities di luce e gas hanno inviato ai clienti lettere con frasi del tipo: 9 persone su 10 nel tuo quartiere pagano la bolletta con regolarità; il consumo della tua abitazione è superiore alla media del tuo vicinato. La ricerca dimostra che chi ha ricevuto simili pungoli ha pagato più velocemente il debito e ridotto il consumo elettrico.

[26] Negli Stati Uniti si è registrato un aumento delle vendite del 60% rispetto alla medesima settimana dell’anno precedente; mentre in Germania il fatturato è aumentato del 118%.

[27] È la tendenza ad evitare ogni forma di rischio e a preferire un opzione che potrebbe eliminare ogni minaccia a scapito dell’utilità attesa delle altre opzioni.

[28] Lo scarcity bias non è semplicemente la tendenza ad affrettarsi a compiere un’azione, c’è un elemento molto interessante in questo errore sistematico. Infatti, quando siamo esposti a comunicazioni contenti questo bias cognitivo tendiamo a credere che i prodotti abbiano un valore più alto. Questo fatto è legato anche alla riprova sociale, poiché esiste in noi la tendenza a sostenere che un prodotto popolare sia di buona qualità: se molte altre persone l’hanno acquistato, non può che essere pregiato.

[29] Ogilvy consulting, COVID-19: i brand e le persone. Come le Scienze Comportamentali ci aiutano a comunicare al meglio quando il mondo sembra impazzire.

[30] Il perspective taking si intende l’abilità di comprendere pensieri, credenze, sentimenti e prospettive proprie e altrui (Waldinger, Toth e Gerber, 2001). Tale capacità implica l’essere in grado di distinguere cosa gli individui sanno circa loro stessi in una data situazione (come pensano, sentono e si comportano) e cosa sanno degli altri in quella stessa situazione (Ziv & Frye, 2003).

[31] Vedi nota 29.

[32] Termine di origine inglese che significa consapevolezza. Tra le possibili definizioni è diventata “classica” quella di Jon Kabat-Zinn, uno dei pionieri di questo approccio. “Mindfulness significa prestare attenzione, ma in un modo particolare: a) con intenzione, b) al momento presente, c) in modo non giudicante”. Si può descriverla anche come di un modo per coltivare una più piena presenza all’esperienza del momento, al qui e ora

[33] Vedi nota 29.

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