venerdì, Marzo 29, 2024
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La nullità del matrimonio concordatario: quali effetti sull’assegno di mantenimento?

 

“La dichiarazione ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario comporta il venir meno delle statuizioni di carattere economico contenute nella sentenza di separazione personale dei coniugi”. Questo, in estrema sintesi, il nuovo principio espresso dalla Corte di Cassazione in una recente pronuncia.[1]

Vediamo quali sono le motivazioni a fondamento del predetto enunciato ed in quali casi potrà essere ritenuto operante.

Con la scelta di contrarre il matrimonio concordatario i coniugi ne accettano la relativa regolamentazione; è stato più volte ribadito però che per l’ordinamento statale il matrimonio canonico, una volta riconosciuto efficace a livello civilistico, sottostà pienamente alla regolamentazione del diritto statale. Pertanto restano operanti tutti i diritti e doveri scaturenti dalle norme dello Stato, compreso, ad esempio, il diritto di richiedere la cessazione degli effetti civili del matrimonio, considerato che la caratteristica della indissolubilità del vincolo attiene solo ed esclusivamente al diritto canonico, e non può mai costituire un impedimento a proporre le azioni di separazione e di divorzio.

D’altro canto però è facoltà degli stessi coniugi di avvalersi proprio delle norme di diritto canonico al fine di proporre domanda per la pronuncia di nullità del vincolo matrimoniale ai competenti Tribunali ecclesiastici.

Ma quali sono le conseguenze di una predetta statuizione sul piano civilistico?

È bene ricordare che le sentenze dei Tribunali ecclesiastici non sono immediatamente esecutive nel nostro ordinamento e, pertanto, possono produrre effetti solo con l’apposito procedimento di delibazione[2] e la successiva trascrizione del relativo provvedimento nel registro dello stato civile.

Ottenuto il predetto riconoscimento il matrimonio, dichiarato nullo in sede ecclesiastica, viene travolto anche a livello civilistico e ritenuto come mai contratto, cancellando ogni effetto personale e patrimoniale da esso scaturito, con salvezza dei soli eventuali rapporti di filiazione che restano pienamente validi e tutelati.

Pertanto, ottenuta la delibazione non potranno essere esperite le azioni di separazione personale e di divorzio, in quanto sarà venuto meno il presupposto necessario delle predette azioni, ossia l’esistenza di un vincolo matrimoniale.

Conseguenze diverse invece si potranno verificare nel caso in cui i giudizi di separazione o divorzio siano pendenti o siano già conclusi all’epoca del riconoscimento della pronuncia di nullità ecclesiastica.

  • Pendenza di giudizi di separazione personale o di divorzio

La preventiva e/o contemporanea instaurazione di procedimenti di separazione personale o di divorzio innanzi al giudice civile non incidono sulla possibilità di veder riconoscere gli effetti civili della sentenza di nullità ecclesiastica, avendo i predetti giudizi petitum e causa petendi completamente diversi.

In particolare relativamente al giudizio di divorzio è stato affermato che non esiste alcun rapporto di pregiudizialità con il giudizio di nullità del matrimonio concordatario; pertanto non deve ritenersi operante l’istituto della sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c., “trattandosi di procedimenti autonomi sfocianti in decisioni di natura diversa ed aventi finalità e presupposti differenti, di specifico rilievo in ordinamenti distinti[3].

Se invece la pronuncia di delibazione della sentenza di nullità del vincolo matrimoniale diventa definitiva durante la pendenza della separazione, quest’ultimo giudizio terminerà con sentenza dichiarativa della intervenuta cessazione della materia del contendere.[4]

  • Sentenza definitiva di divorzio

Scenario completamente diverso quello che si verifica allorquando vi sia una sentenza di divorzio già passata in giudicato, diventata pertanto definitiva, e venga solo successivamente riconosciuta la nullità del matrimonio in sede ecclesiastica.

Fino al 1993 si riteneva che tale ultima pronuncia andava ad intaccare anche la pregressa pronuncia di divorzio, in virtù della considerazione che il giudicato, pur coprendo il dedotto ed il deducibile, non poteva essersi formato, salvo non vi fosse stata espressa domanda nel giudizio civile, sulla questione “validità originaria del vincolo”; pertanto, non esprimendosi il giudice del divorzio normalmente sulla validità del matrimonio, la predetta questione si riteneva impregiudicata in sede civile e pertanto il successivo giudizio ecclesiastico poteva travolgere anche la decisione di divorzio passata in giudicato.

Dal 2001 con espressa pronuncia[5] gli Ermellini hanno modificato radicalmente tale orientamento: partendo dal presupposto che i predetti giudizi hanno fondamenti e richieste radicalmente diversi, pur riconoscendo che la sentenza di divorzio anche divenuta definitiva non può impedire la delibazione della successiva sentenza del tribunale ecclesiastico, fissa il fondamentale principio in base al quale “ai capi della sentenza di divorzio che contengano statuizioni di ordine economico, si applica la regola generale secondo la quale, una volta accertata in un giudizio fra le parti la spettanza di un determinato diritto, con sentenza passata in giudicato, tale spettanza non può essere rimessa in discussione – al di fuori degli eccezionali e tassativi casi di revocazione previsti dall’art. 395 c.p.c. – fra le stesse parti, in altro processo, in forza degli effetti sostanziali del giudicato stabiliti dall’art. 2909 c.c.[6]”.

Viene dunque fissata la permanenza dei provvedimenti economici accessori al divorzio anche in presenza della pronuncia di annullamento ab origine del vicolo matrimoniale da parte del giudice ecclesiastico.

Tali provvedimenti potranno essere modificati solo per circostanze sopravvenute ai sensi dell’art. 9 l. 898/1970, e non per circostanze pregresse che avrebbero impedito l’emanazione della sentenza di divorzio e la conseguente attribuzione dell’assegno divorzile.

  • Pronuncia definitiva di separazione personale dei coniugi

Si potrebbe dedurre dalle precedenti affermazioni che la stessa sorte dovrebbero seguire le statuizioni economiche emesse con la pronuncia di separazione divenuta definitiva.

Ed invece proprio su questo punto la Suprema Corte, con la decisione richiamata in apertura, si è espressa in senso negativo. Ciò perché la fase di separazione presuppone la permanenza del vincolo matrimoniale; con il predetto procedimento infatti non viene interrotto il rapporto coniugale, ma solo sospeso, vengono meno alcuni doveri – quello di coabitazione ad esempio –  ma altri restano operanti come quello di assistenza materiale. Proprio tale ultimo dovere costituisce il fondamento per il riconoscimento e l’attribuzione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge debole.

Mentre con il divorzio si determina la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed il rapporto coniugale si estingue definitivamente, con la separazione si entra in una fase di sospensione del coniugio.

Anche l’assegno di divorzio si basa su un principio diverso, di solidarietà post coniugale, a differenza dell’assegno di mantenimento riconosciuto in fase di separazione, che come abbiamo visto origina dal dovere di assistenza materiale derivante proprio dal vincolo matrimoniale.

Quindi, venuto meno il vincolo a seguito della pronuncia in sede ecclesiastica, secondo la Corte di legittimità viene meno il diritto a percepire il predetto assegno. “A fronte del travolgimento del presupposto (permanenza del vincolo coniugale) dell’assegno di mantenimento conseguente alla sopravvenienza della dichiarazione ecclesiastica di nullità originaria di quel vincolo, non possono resistere le statuizioni economiche, relative al rapporto tra i coniugi, contenute nella sentenza di separazione, benché divenuta cosa giudicata, apparendo irragionevole che possano sopravvivere pronunce accessorie al venir meno della pronuncia principale dalla quale dipendono”.

Qualcuno potrebbe rilevare la disparità di trattamento tra coniugi e ritenere ingiusto che un matrimonio protrattosi per anni possa svanire nel nulla. Per completezza si deve osservare che la delibazione delle sentenze ecclesiastiche non è automatica, occorre verificare che la decisione sia conforme all’ordine pubblico interno e proprio in relazione alla durata del rapporto coniugale è stato statuito che non è possibile riconoscere gli effetti della decisione ecclesiastica se i coniugi abbiano convissuto per più di tre anni.

È stato affermato dalle Sezioni Unite che “la convivenza coniugale che si sia protratta per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario, crea una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali e ordinarie di ordine pubblico italiano, che sono fonti di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità, anche genitoriali, e di aspettative legittime tra i componenti della famiglia. Pertanto, non può essere dichiarata efficace nella Repubblica Italiana la sentenza definitiva di nullità di matrimonio pronunciata dal Tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico per contrarietà all’ordine pubblico interno italiano. La relativa eccezione deve però essere sollevata dalla parte nel giudizio di delibazione a pena di decadenza[7].

Pertanto, in caso di unione stabile e prolungata restano pienamente tutelati i diritti riconosciuti e disciplinati dalla normativa civile.

[1] Cassazione Civile, I sez., ordinanza n. 11553 del 11.05.18.

[2]Art. 8, n. 2 accordo di revisione del Concordato – L. 121/1985

[3] Cassazione Civile, sez. I, sentenza 11553/2018; Cassazione Civile, sez. VI, ordinanza 5670/2018; Cassazione Civile, sentenza n. 17969/2015.

[4] Cassazione Civile, sez. I, sentenza 30496/2017

[5] Cassazione Civile, sez. I, sentenza 4202/2001

[6] Art. 2909 c.c. – Cosa giudicata – L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa

[7] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 17 luglio 2014, n. 16379

Avv. Paola Minopoli

Avvocato civilista specializzato in contrattualistica commerciale, real estate, diritto di famiglia e delle successioni, diritto fallimentare, contenzioso civile e procedure espropriative. Conseguita la laurea in Giurisprudenza, ha collaborato con la II cattedra di Storia del Diritto Italiano dell'ateneo federiciano, dedicandosi poi alla professione forense. Ha esercitato prima a Napoli e poi nel foro di Milano, fornendo assistenza e consulenza a società e primari gruppi assicurativi/bancari italiani. Attualmente è il responsabile dell’ufficio legale di un’azienda elvetica leader nella vendita di metalli preziosi, occupandosi della compliance, fornendo assistenza per la governance e garantendo supporto legale alle diverse aree aziendali. Email: paola.minopoli@iusinitinere.it

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