venerdì, Aprile 19, 2024
Criminal & Compliance

La nuova inammissibilità del concorso colposo nel reato doloso alla luce della sentenza n. 7032/19 della Suprema Corte

A cura di: Francesco Ruocco

  1. Introduzione

Con la pronuncia n. 7032 del 19 luglio 2018 la Quarta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione ritorna sulla questione della ammissibilità del concorso colposo nel reato doloso che è stata oggetto di ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza. I giudici di legittimità confermano l’inammissibilità dell’istituto sconfessando l’indirizzo che fino a quel momento ne aveva costantemente confermato la compatibilità con i principi dell’ordinamento.

  1. Il caso

L’episodio posto all’attenzione del collegio presenta un omicidio di due donne posto in essere da un soggetto psichicamente instabile che volontariamente esplode contro le vittime diversi colpi di pistola. Si accerta che l’arma era stata acquistata dall’imputato con un regolare porto d’armi che veniva rilasciato dalla Questura in seguito alla positiva conclusione del procedimento autorizzatorio previsto dalla legge. La condotta colposa oggetto dell’analisi del Supremo Consesso è quella posta in essere dal medico di medicina generale che rilascia al reo un certificato anamnestico. In questo attesta colposamente l’assenza di disturbi psichici senza effettuare alcun controllo sull’archivio dei pazienti per verificare che lo stesso effettivamente non soffrisse di alcun malessere psichico. Tale comportamento gli impediva di rilevare che all’omicida era stato prescritto un farmaco utilizzato anche per la cura del disturbo bipolare. Il certificato, propedeutico e preliminare per il rilascio dell’autorizzazione al porto d’armi, ingenerava nei funzionari della Questura l’erronea convinzione circa l’assenza di alcun disturbo psichico che determinava l’occasione per l’omicida di armarsi legalmente.

  1. La caduta del dogma dell’unitarietà del contributo psicologico tra i concorrenti

Nella valutazione della questione, prima di procedere alla compiuta analisi dell’istituto del concorso colposo nel reato doloso, la Corte si sofferma sul dogma della unitarietà della responsabilità penale dei concorrenti. Vale ricordare che tale fondamentale è strettamente collegato al principio dell’unità del reato di concorso con il quale il Legislatore prescrive che le condotte dei concorrenti devono necessariamente essere sorrette dal medesimo contributo psicologico. Sul punto i giudici confermano il superamento dell’impostazione tradizionale precisando che il principio di unitarietà della responsabilità dei concorrenti è limitato all’esigenza che i partecipi contribuiscano alla stessa offesa sotto un profilo essenzialmente causale. [1] Il fondamento normativo del superamento del principio deve essere rinvenuto negli artt. 111 e 112 u.c. c.p. nei quali si individuano espressamente ipotesi di concorso doloso in un fatto incolpevole. [2] Ed è proprio nella totale carenza di contributo psicologico che accompagna le condotte poste in essere da soggetti non imputabili che trova causa la astratta ammissibilità di un concorso caratterizzato da coefficienti psicologici eterogenei. Allo stesso modo l’art. 116 c.p. prevede che il concorrente che vuole un reato diverso da quello voluto dagli altri risponderà a titolo di dolo per il reato diverso mentre gli altri saranno chiamati a rispondere a titolo di colpa ovvero responsabilità oggettiva a seconda delle differenti tesi seguite in dottrina e giurisprudenza. La medesima impostazione è confermata dall’art 117 c.p. nel quale con la previsione dell’unificazione del titolo, nei casi di mutamento dello stesso dovuto a condizioni o qualità di uno dei concorrenti, implicitamente conferma che in presenza di mutamento del titolo per motivi diversi lo stesso risulterà differenziato per i diversi concorrenti. [3] Anche nei casi di concorso in cui rileva la disciplina prevista dall’art. 48 c.p. trova conferma lo schema in esame. La norma prescrive che per il reato posto in essere sulla base di un errore sul fatto che costituisce reato da un soggetto ingannato sarà chiamato a rispondere il soggetto ingannatore che lo ha determinato dolosamente. Anche in tal caso, dunque, è consentita una disparità di coefficienti psicologici in quanto l’ingannatore risponderà a titolo di dolo mentre l’ingannato a titolo di colpa nel caso in cui il reato sia espressamente previsto anche come colposo.

Dal complesso di tali coordinate la Corte rileva che il profilo determinante in cui trova manifestazione il principio di unitarietà del reato concorsuale deve essere limitato alla necessaria rilevanza causale delle condotte dei concorrenti che partecipano alla medesima offesa. Tale conclusione, dunque, apre alla possibilità che le condotte dei diversi concorrenti siano accompagnate da contributi psicologici eterogenei.

  1. Il concorso doloso nel reato colposo

Dopo aver superato il dogma dell’unicità del titolo soggettivo nelle condotte concorsuali la Corte si sofferma sulle due ipotesi concorsuali a titolo misto: concorso doloso nel reato colposo e concorso colposo nel reato doloso.

Vale premettere che il concorso doloso nel reato colposo si configura nel momento in cui un soggetto si rappresenta e accetta la verificazione di un evento tipizzato in un delitto quale diretta conseguenza della condotta colposa posta in essere dal concorrente. I giudici chiariscono espressamente, a conferma di autorevole dottrina, la differente funzione che svolge l’art. 110 c.p. a seconda che ci si confronti con fattispecie di reato causalmente orientate ovvero a forma vincolata. [4] Sul punto occorre ricordare che lo schema punitivo specifico dei reati causalmente orientati si fonda esclusivamente sulla tipicità dell’evento non rilevando in alcun modo le modalità della condotta quali elementi costitutivi del reato. In presenza di reati di tal fatta, rileva la Corte, il concorso svolge una funzione di mera disciplina in quanto le fattispecie risulteranno già tipizzate, e di per sé punibili, quali delitti monosoggettivi. Al contrario, in presenza di fattispecie a condotta vincolata, nelle quali le modalità della condotta individuano un elemento costitutivo del reato, l’art. 110 c.p. svolge una funzione incriminatrice dal momento che estende la punibilità a titolo di concorso a condotte che di per sé risulterebbero atipiche.

  1. Il concorso colposo nel reato doloso

Conclusi tali rilievi i giudici si soffermano compiutamente sul concorso colposo nel reato doloso. Come anticipato, la specifica indagine individua soluzioni interpretative innovative e in contrasto rispetto le precedenti prospettate dalla medesima Corte andando a negare, nei fatti, cittadinanza nel nostro ordinamento all’istituto in esame. [5]

Il Collegio primariamente passa in rassegna le pronunce più rilevanti della Corte nelle quali individua i referenti normativi posti alla base dell’ammissibilità dell’istituto. [6] L’impostazione in esame supera la prescrizione prevista all’art. 42 co. 2 c.p., che impone la necessaria previsione espressa dei delitti colposi, sull’assunto che il campo applicativo della norma risulterebbe essere circoscritto alle sole norme c.d. incriminatrici individuate della parte speciale del codice. Tale orientamento rinviene nell’art.113 c.p. la specifica base normativa del concorso colposo nel reato doloso sulla base di un ragionamento che sarà sconfessato dalla pronuncia in esame. Vale precisare che l’art. 113 c.p. tipizza il c.d. concorso improprio che si verifica nel caso in cui, in presenza di un delitto colposo, l’evento venga cagionato dalla cooperazione di più persone. L’impostazione in oggetto nega la tradizionale incompatibilità strutturale tra dolo e colpa per affermare che il dolo è semplicemente qualcosa di più della colpa sulla base di una particolare interpretazione di una autorevolissima posizione dottrinale spesso sintetizzata nell’assunto “non c’è dolo senza colpa”. [7] Tale posizione conferma che non è “necessario prevedere espressamente l’applicabilità del concorso colposo nel delitto doloso perché se è prevista la compartecipazione nell’ipotesi più restrittiva (leggi colpa) non può essere esclusa nell’ipotesi più ampia (leggi dolo) che la prima ricomprende e non è caratterizzata da elementi tipici incompatibile”. [8]

Tali rilievi vengono definitivamente sconfessati nella pronuncia in esame con la quale la Suprema Corte rivede l’ammissibilità dell’istituto in esame e ne conferma l’incompatibilità con i principi fondamentali dell’ordinamento.

Sul punto i giudici rilevano l’assenza di una espressa previsione normativa in grado di estendere l’area del penalmente rilevante fino a ricomprendere fattispecie colpose atipiche. Devesi rilevare che la previsione contenuta nell’art. 42 co. 2 c.p. trova causa nel principio di legalità, formante fondamentale dell’ordinamento penale. Scavalcare in via interpretativa tale prescrizione mediante l’ammissione di un istituto in grado di determinare la tipizzazione di qualunque condotta atipica determina “accessioni in malam partem” incompatibili con il principio di legalità stesso. [9] Il Collegio conferma la tesi dell’inammissibilità dell’istituto anche sulla base di una più precisa analisi dell’assunto non c’è dolo senza colpa posto a sostegno dell’orientamento opposto precedente. Nella pronuncia si rileva che dolo e colpa rimangono ontologicamente e strutturalmente differenti e che l’impostazione che riconduce la sussistenza del dolo alla compresenza della colpa muove dalla specifica analisi che il comportamento doloso è sempre accompagnato da una componente colposa che trova causa nella violazione del dovere oggettivo di diligenza imposto dall’ordinamento a tutti i consociati. Per tale ragione un’interpretazione espansiva dell’art. 113 c.p. in grado di ammettere all’interno dei propri confini applicativi le ipotesi di concorso doloso nel reato colposo, estendendo la punibilità a condotte non espressamente previste dalla legge, determina una analogia in malam partem vietata dall’ordinamento. Con la pronuncia in esame la Suprema Corte per la prima volta esclude l’ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso e conferma, ribaltando l’orientamento precedente, l’inidoneità dell’istituto di cui all’art. 113 c.p. a collegare il fatto colposo a quello doloso.

  1. La soluzione proposta dalla Suprema Corte: il concorso di cause indipendenti

Nella definizione del caso sotteso al ricorso esaminato dal Supremo Collegio viene individuata una soluzione specifica circa la fattispecie concorsuale. I giudici sostengono che i diversi contributi causali devono essere analizzati nell’ottica del concorso di cause indipendenti. Tale istituto trova specifica previsione all’art. 41 co. 1 c.p. nel quale il Legislatore attribuisce a tutte le concause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, la medesima rilevanza causale. Il concorso di cause indipendenti risulta differire dalla cooperazione colposa nella misura in cui nella seconda i concorrenti devono necessariamente avere la consapevolezza dell’agire cooperativo. [10] Consapevolezza che nel caso di specie risulta essere assente in capo al medico imputato in quanto è assente qualsivoglia tipo legame psichico con l’azione compiuta dall’omicida. Per tale ragione, dunque, la Suprema Corte rinvia la questione ad una differente sezione della Corte di Appello affinchè si verifichi specificamente la sussistenza dei requisiti prescritti dalla fattispecie monosoggettiva colposa da attribuire al medico la cui condotta, sotto il profilo causale, ha concorso con quella dolosa posta in essere dall’omicida alla verificazione degli eventi lesivi.

  1. Conclusioni

Alla luce di quanto sopra esposto è necessario rilevare che l’innovativa impostazione proposta dalla pronuncia de qua ha trovato puntuale sostegno nella precedente Cass. Pen. Sez. V, sentenza n. 57006 del 2 ottobre 2018 nella quale il Collegio ha ritenuto non configurabile il concorso colposo nel delitto doloso in assenza di una espressa previsione normativa non ravvisabile in alcun modo nell’art. 113 c.p. L’esclusione dell’applicabilità della cooperazione colposa quale fondamento del concorso colposo nel reato doloso conferma definitivamente che nei delitti la condotta colposa che accede al fatto principale doloso, è punibile solo in via autonoma, a condizione che integri una fattispecie colposa espressamente prevista dall’ordinamento. [11]

In conclusione, dunque, occorre registrare che la pronuncia in esame ha costituito l’apripista per quell’orientamento che con forza negava, anche in dottrina, l’ammissibilità del concorso colposo nel reato doloso nel nostro ordinamento. Per tale ragione l’ipotesi di una remissione della questione interpretativa alle Sezioni Unite nel prossimo futuro non sembra più tanto remota nel caso in cui la nuova impostazione dovesse trovare conferma in ulteriori pronunce della Suprema Corte.

[1] Cass. Pen., Sez. VI, sentenza n. 7032 del 19 luglio 2018

[2] Gli artt. 111 e 112 u.c. c.p. prescrivono che nel caso in cui un soggetto determina una persona non imputabile ovvero non punibile a commettere un reato sarà chiamato a rispondere del reato posto in essere da questa.

[3] Cass. Pen., Sez. VI, sentenza n. 7032 del 19 luglio 2018

[4] R. Garofoli, Manuale di Diritto Penale-Parte generale, edizione 2019

[5] Vedi per individuare la posizione dell’orientamento precedente Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 22042 del 27 aprile 2015; Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 34385 del 14 luglio 2011; Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 4107 del 12 novembre 2008; Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 10795 del 14 novembre 2007; Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 39680 del 9 ottobre 2002

[6] Vedi per tutte Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 39680 del 9 ottobre 2002 che per prima ha inaugurato l’ammissibilità del concorso colposo nel reato doloso fungendo da apripista per le successive pronunce di legittimità che, in sostanza, hanno fatto proprie le argomentazioni di questa.

[7] Vedi sul punto, G. Marinucci, “Non c’e dolo senza colpa. Morte dell’“imputazione oggettiva dell’evento” e trasfigurazione nella colpevolezza?”, 1991

[8] Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 4107 del 12 novembre 2008

[9] Cass. Pen., Sez. VI, sentenza n. 7032 del 19 luglio 2018

[10] Per un approfondimento sul punto vedi R. Garofoli, Manuale di Diritto Penale-Parte generale, edizione 2019

[11] Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 57006 del 5 ottobre 2018

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