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La nuova protezione speciale e il rischio di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare

Introduzione

Dopo mesi di dibattito politico il d.l. 21 ottobre 2020, n.130, convertito con modifiche in l. n. 173 del 18 dicembre 2020, ha introdotto rilevanti novità in materia di diritto dell’immigrazione e protezione internazionale, rispondendo all’esigenza di modificare il quadro normativo delineato dai c.d. decreti sicurezza del 2018 e 2019 [1].

A pochi mesi dall’entrata in vigore del d.l.130/2020, questa analisi intende offrire una panoramica delle prime applicazioni giurisprudenziali della nuova protezione speciale con esclusivo riferimento all’ipotesi configurabile in presenza del rischio di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui al nuovo comma 1.1 dell’articolo 19 del d.lgs 286/1998 (T.U. immigrazione).

Nonostante la riforma sollevi diverse interessanti questioni, attualmente al centro di un vivo dibattito – in primis il regime di efficacia nel tempo [2] e il rapporto tra la nuova protezione speciale e la protezione umanitaria – questo articolo si limiterà ad approfondire i principi elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in riferimento alla nozione di vita privata e familiare e la loro applicazione da parte dei giudici nazionali.

1. La nuova formulazione dell’articolo 19 del d.lgs 286/1998 (Testo Unico Immigrazione)

L’articolo 1, lettera e) del d.l 130/2020, modificato in sede di conversione, ha esteso l’ambito di applicazione del divieto di espulsione di cui all’articolo 19 del d.lgs 286/1998 [3].

Al primo comma (concernente il divieto di espulsione verso Paesi nei quali lo straniero corra un rischio di persecuzione per motivi di discriminazione) è stato aggiunto, in sede di conversione, il rischio persecutorio a causa dell’orientamento sessuale e di identità di genere.

Il comma successivo, invece, è stato interamente riformulato e dispone quanto segue: “Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all’articolo 5, comma 6 [4].

Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica, nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”.

In caso di rigetto della domanda di protezione internazionale, qualora sussistano i presupposti di cui all’articolo 5, comma 6 e dei primi due commi dell’articolo 19 del d.lgs 286/1998, in base al nuovo comma 1.2 dell’articolo 19 la Commissione Territoriale trasmette gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale, di durata biennale, rinnovabile e, alla scadenza, convertibile in permesso di soggiorno per lavoro.

Il nuovo comma 1.1. dell’articolo 19 T.U.I disciplina due diverse ipotesi: la prima, che non pone particolari questioni interpretative, si riferisce esclusivamente al caso in cui, pur sussistendo i motivi per il riconoscimento della protezione internazionale, questa non possa essere concessa per la presenza delle cause ostative previste dalla legge. In questo caso, il soggetto non potrà comunque essere espulso se sussistono fondati motivi per ritenere che rischi di essere sottoposto a tortura, a trattamenti inumani o degradanti o qualora lo impongano gli obblighi costituzionali o internazionali sottoscritti dallo Stato italiano. L’aver introdotto al comma 1.1., accanto alla tortura, il riferimento ai trattamenti inumani o degradanti ha rimediato ad uno dei problemi creati dal d.l 113/2018, garantendo, oggi, una tutela dello straniero maggiormente conforme agli obblighi derivanti dall’art. 3 CEDU.

La seconda ipotesi, invece, concerne il caso in cui non sussistano i presupposti richiesti dalla legge per il riconoscimento della protezione internazionale, ma il soggetto non può comunque essere rimpatriato qualora vi siano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale possa comportare una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare.

Una delle principali questioni problematiche poste dal nuovo decreto sorge proprio in riferimento a quest’ultima ipotesi a causa della difficoltà nella definizione dei concetti di “vita privata” e “vita familiare”. Dal contenuto di tali nozioni dipende, infatti, la possibilità di riconoscere il diritto al rilascio del permesso per protezione speciale. Pertanto, prima di procedere con l’analisi della casistica giurisprudenziale nazionale, occorre riflettere attentamente sulla definizione del diritto al rispetto alla vita privata e familiare, espressamente tutelato dall’art. 8 CEDU.

2. Il diritto al rispetto della vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 Cedu, nell’interpretazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Ai sensi dell’articolo 8 CEDU “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza[5].

Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”[6].

La ratio della norma è quella di tutelare l’individuo – e più esattamente, la sua realtà privata e familiare – dalle ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri: sugli Stati, infatti, incombe sia un dovere negativo di non ingerenza, sia un obbligo positivo di adottare tutte le misure necessarie a garantire il rispetto effettivo della vita familiare e della sfera privata [7].

Occorre, quindi, capire quando l’intromissione possa considerarsi legittima e giustificata da interessi particolarmente rilevanti e quando, invece, risulti arbitraria. Al riguardo, il secondo comma dell’articolo 8 CEDU richiede che l’ingerenza sia prevista dalla legge e necessaria per il perseguimento di finalità generali, tassativamente indicate nella disposizione: sicurezza nazionale, pubblica sicurezza, benessere economico del paese, difesa dell’ordine, prevenzione dei reati, protezione della salute o della morale e protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Per determinare l’ammissibilità o meno di tali interferenze nel diritto di cui all’articolo 8 CEDU, i giudici di Strasburgo utilizzano principalmente due strumenti a loro disposizione: la dottrina del margine di apprezzamento[8]e il principio di proporzionalità.

Quest’ultimo permette alla Corte EDU di valutare se, nell’adempimento degli obblighi previsti dalla Convezione, lo Stato abbia correttamente bilanciato l’interesse generale sotteso alla misura adottata con quello dei singoli; mentre, attraverso la dottrina del margine di apprezzamento, la Corte EDU tenta di non interferire con la sovranità nazionale[9], concedendo agli Stati uno spazio di manovra nell’adempimento degli obblighi previsti dalla Convenzione, la cui ampiezza dipende anche dal diritto di cui si lamenta la lesione [10].

Quando un ricorrente lamenta un’intromissione ingiustificata nella sua vita privata o familiare ad opera dello Stato, la Corte EDU verifica in primo luogo se la misura adottata dalle autorità sia prevista o meno dalla legge. In secondo luogo, verifica se la misura sia necessaria per il perseguimento degli interessi tassativamente indicati o se, invece, persegua un fine illegittimo o risulti contraria al principio di proporzionalità. Ad esempio, nel caso Dudgeon c. Regno Unito del 1981, la Corte ha riconosciuto la violazione del diritto alla vita privata del ricorrente che non poteva vivere liberamente la sua omosessualità, perché, in Irlanda del Nord, costituiva reato avere rapporti sessuali tra adulti consenzienti dello stesso sesso [11].In questo caso, la Corte concludeva che l’interferenza risultava non solo ingiustificata ma anche particolarmente sproporzionata, ritenendo che un aspetto così intimo della vita privata non potesse essere limitato dallo Stato.

3. Il concetto di vita privata e familiare nella giurisprudenza della Corte Edu

La Corte di Strasburgo ha elaborato, caso per caso, le nozioni di vita privata e vita familiare, riconoscendole come diritti distinti a partire dal 1996 con la sentenza C. contro Belgio [12].

Al riconoscimento dell’autonomia del concetto di vita privata rispetto a quello di vita familiare hanno contribuito due interpretazioni: la prima, fornita in un’opinione conforme del giudice Martens in Beldjoudi c. Francia del 1992; la seconda, in un’opinione dissenziente del giudice Morenilla nel caso Nasri c. Francia del 1995.

In entrambe le opinioni i due giudici evidenziavano la mancanza di ragionevolezza nell’escludere dalla tutela dell’articolo 8 gli immigrati di seconda generazione qualora non avessero una famiglia, ponendo l’accento sulla sfera privata.

Il principio per cui, anche in assenza di vita familiare, l’articolo 8 può comunque trovare applicazione sotto il profilo della vita privata è stato successivamente ribadito in più occasioni [13].

D’altronde, come riconosciuto in diverse tradizioni costituzionali europee, la famiglia costituisce una delle formazioni sociali in cui l’individuo esprime la propria personalità, ma tale espressione, di certo, non si esaurisce nel solo ambito familiare.

3.1 Nozione di vita privata

La vita privata, nell’interpretazione dei giudici di Strasburgo, comprende valori quali l’integrità fisica e morale della persona fino ad includere altri numerosi aspetti concernenti l’identità personale, caratterizzandosi, quindi, per un ambito molto esteso di applicazione.

La Corte stessa, in diverse occasioni, ha affermato che la nozione di vita privata è un concetto ampio che, per sua natura, non può essere definito in modo esaustivo [14].

Nella sentenza Niemiets c. Germania del 16 dicembre del 1992 al paragrafo 29 la Corte EDU ha affermato che “non è possibile e neppure appropriato tentare di fornire una definizione esaustiva della nozione di vita privata. Tuttavia, sarebbe troppo limitante circoscrivere la nozione ad una “cerchia ristretta” in cui l’individuo può vivere la propria vita personale come preferisce ed escludere, di conseguenza, completamente il mondo esterno non compreso in quella cerchia. Il rispetto per la vita privata deve necessariamente ricomprendere, in una certa misura, anche il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani” [15].

A partire da questa sentenza, che per la prima volta ha posto sullo stesso piano la protezione della sfera intima dell’individuo e la tutela della sua proiezione nella sfera sociale, si è verificato un progressivo ampliamento della nozione di vita privata [16] che non si limita ad indicare l’intimità dell’individuo, ma si riferisce anche al modo in cui questi decide di vivere la propria vita all’esterno. In quest’ottica, viene incluso il diritto allo sviluppo della propria personalità ed autonomia, ma anche il diritto di decidere liberamente se e come relazionarsi con gli altri, cosa che la Corte Edu definisce come diritto alla vita sociale [17].

In relazione alla dimensione sociale della vita privata, nella sentenza Pfeifer c. Austria del 15 novembre 2007, i giudici di Strasburgo hanno dichiarato che ” la tutela offerta dall’art. 8 della Convenzione è principalmente tesa ad assicurare lo sviluppo, senza interferenze esterne, della personalità di ciascun individuo nelle sue relazioni con gli altri esseri umani. Esiste quindi una sfera di interazione della persona con gli altri, anche in un contesto pubblico, che può ricadere nell’ambito di applicazione della vita privata” [18].

Successivamente in M.P.E.V e altri contro Svizzera del 2014 i giudici hanno applicato questo principio anche ai cittadini stranieri, ribadendo che “poiché l’art. 8 protegge il diritto a stabilire e sviluppare rapporti con altri esseri umani e il mondo circostante, e può a volte comprendere aspetti dell’identità sociale di un individuo, si dovrà ammettere che la totalità dei legami sociali tra i migranti residenti e la comunità in cui essi abitano, costituisce una parte del concetto di vita privata all’interno del contenuto dell’art.8” [19].

Di fronte ad una definizione così ampia, per sua natura predisposta ad essere continuamente arricchita di significati di pari passo con l’evoluzione culturale e sociale, l’interprete è chiamato necessariamente ad una valutazione in concreto, caso per caso; tuttavia, un valido aiuto viene dalla ricognizione della casistica della Corte Edu da cui emerge che gli interessi e i valori inclusi nella nozione di vita privata possono essere suddivisi in tre grandi categorie [20].

La prima riguarda l’integrità fisica, psicologica o morale della persona cui la Corte Edu ha ricondotto casi molto eterogenei tra loro, riguardanti argomenti quali: l’orientamento sessuale; la vita sessuale; la violenza fisica e psicologica; i diritti riproduttivi[21]; i trattamenti sanitari obbligatori; la salute, compresa quella mentale; le difficoltà delle persone che convivono con una disabilità; le scelte di fine vita, tra cui il diritto a rifiutare le cure e la donazione degli organi; casi concernenti la sepoltura e il rispetto per i defunti, ma anche l’impatto sulla qualità della vita derivante da questioni ambientali.

Nella seconda categoria, invece, hanno rilevanza tutti quegli interessi riconducibili ad una nozione trasversale di riservatezza, tra cui il diritto all’immagine, il diritto d’autore, la reputazione e la tutela dalla diffamazione, la protezione e la raccolta dei dati personali, in particolare di quelli sensibili, il diritto di accesso, la tutela della corrispondenza e delle comunicazioni in caso, ad esempio, di intercettazioni telefoniche e nel rapporto tra avvocato e assistito.

Il terzo gruppo viene generalmente individuato nei concetti di identità ed autonomia, in cui possono rientrare: il diritto alla realizzazione personale e all’autodeterminazione [22]; l’identità fisica e sociale della persona [23], il diritto di scoprire le proprie origini in caso di adozione, l’identità di genere; il diritto al rispetto delle decisioni di diventare o meno genitore [24] e il rapporto genitori-figli; la residenza e il domicilio, inteso sia come domicilio delle persone fisiche che giuridiche, la religione e le convinzioni filosofiche, il diritto all’identità e al nome, il diritto a rivendicare la propria identità etnica, l’espulsione del cittadino straniero, l’apolidia e la cittadinanza.

3.2 Nozione di vita familiare

La definizione di vita familiare appare di più facile interpretazione e risulta più ampia rispetto a quella tradizionalmente condivisa da molti ordinamenti europei in quanto incentrata sulla protezione dei suoi componenti, più che della famiglia in quanto tale [25].

Nella formulazione dell’articolo 8 manca, infatti, il richiamo alla rilevanza sociale della famiglia; la tutela, inoltre, prescinde dal requisito della coabitazione [26] ed include anche la c.d. famiglia di fatto[27].

In generale, secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, a fondare il bisogno di tutela sotteso all’art. 8 non è la presenza di un vincolo giuridico [28] né la sussistenza del legame genetico perché quello che conta è l’effettività del vincolo affettivo.

Pertanto, la nozione di vita familiare si riferisce anche a tutte quelle situazioni in cui sussiste un legame familiare di fatto: solo in questo senso vengono in rilievo circostanze oggettive quali la presenza di figli, la convivenza [29], la durata e la stabilità del legame [30].

L’elemento essenziale da tutelare secondo la Corte Edu è costituito dal “diritto a vivere insieme in modo che le relazioni familiari possano svilupparsi normalmente” [31].

Il concetto di vita familiare include, inoltre, anche i rapporti tra partner dello stesso sesso [32], la filiazione naturale e quella adottiva, ma anche la parentela tra nonni e nipoti, zii e nipoti, purché venga provata l’esistenza di legami personali affettivi stabili.

Nella sentenza Paradiso e Campanelli c. Italia, viene evidenziato che l’articolo 8 non garantisce né il diritto a costruire una famiglia né il diritto di adottare [33] in quanto il diritto al rispetto della vita familiare presuppone l’esistenza di una famiglia o almeno di una relazione che potrebbe in futuro svilupparsi o dar luogo ad una famiglia come, ad esempio, quella tra padre e figli nati fuori dal matrimonio o tra adottato e adottante [34].

Nel caso di rapporti tra adulti, diversi dalla relazione di coppia, la giurisprudenza di Strasburgo ritiene la sussistenza di “normali legami affettivi” non sufficiente a configurare un’ipotesi di vita familiare rilevante ai sensi dell’art. 8, richiedendo la prova ulteriore dell’esistenza di un vero e proprio rapporto di “dipendenza” in assenza del quale il legame potrà rilevare, al più, sotto il profilo della vita privata [35].

Questo orientamento è stato recentemente ribadito nella sentenza del 14 febbraio 2019 Narjis contro Italia riguardante il caso di uomo adulto di 39 anni non sposato e senza figli, che non era riuscito a dimostrare l’esistenza di elementi di dipendenza rispetto alla madre, alle sorelle e al fratello. Quest’ultima pronuncia, tuttavia, ha evidenziato che i rapporti sociali tra gli stranieri stabilmente insediati e la comunità nella quale vivono sono parte integrante della nozione di vita privata e vanno quindi tutelati indipendentemente dall’esistenza o meno di una famiglia [36].

4. L’applicazione di tali nozioni nella giurisprudenza della Corte EDU in tema di immigrazione

In tema di immigrazione, la Grande Camera della Corte EDU, in un caso di diniego del permesso di soggiorno per motivi familiari ad una cittadina straniera coniugata con un cittadino olandese da cui aveva avuto tre figli, ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 8 perché il diritto della ricorrente alla vita familiare e la prerogativa del Governo di controllare l’immigrazione non erano stati correttamente bilancianti [37].

Nello stesso senso della riscontrata violazione dell’art. 8, con la sentenza del 4 dicembre del 2012, Hamidovic c. Italia, la Corte EDU ha affermato che l’espulsione, nel caso concreto, non poteva definirsi proporzionata rispetto al diritto alla vita familiare dello straniero.

Il potere degli Stati nel settore dell’immigrazione, infatti, non è illimitato, essendosi gli stessi vincolati al rispetto dei diritti previsti dalla Cedu (ex multis, Corte Edu 23.2.2012, ric. 27765/09, Hirsi Jamaa e altri c. Italia). Tuttavia, va rilevato che, in virtù del principio generale per cui gli Stati hanno il diritto di controllare l’ingresso nei loro territori, lo spazio di manovra di cui godono, secondo la dottrina del margine di apprezzamento, risulta spesso così ampio da limitare gli ambiti di applicazione del diritto alla vita privata e familiare.

Le sentenze riguardano principalmente casi di ricongiungimento ed espulsione, in cui i giudici di Strasburgo adottano un atteggiamento prudente, volto al rispetto delle scelte dei legislatori nazionali e fondato sulla mancanza di una norma nella Convenzione che riconosca allo straniero “il diritto di stabilimento”.

Gran parte dei casi in materia di espulsione giunti all’esame dinanzi alla Corte EDU riguarda immigrati di seconda generazione destinatari di un provvedimento di espulsione verso il Paese d’origine a seguito della commissione di reati. In questi casi, la Corte EDU è chiamata a verificare se, nel disporre l’espulsione, lo Stato abbia correttamente bilanciato la tutela della sicurezza con il diritto di cui all’articolo 8 CEDU. A tal fine, vengono presi in considerazione anche il grado di integrazione raggiunto dallo straniero nel Paese ospitante e l’eventuale esistenza di legami con il Paese di origine.

Secondo l’orientamento costante della Corte EDU la legittimità delle misure di espulsione deve essere vagliata in base ai criteri previsti dal comma 2 dell’articolo 8: legalità, necessità e proporzionalità.

In particolare, nella storica sentenza Boultif c. Svizzera del 2001 [38] vengono elencati gli elementi da utilizzare nell’accertamento della proporzionalità della misura dell’espulsione, quali la natura e la gravità del reato commesso; la durata della permanenza sul territorio e la condotta generale del soggetto in questo lasso di tempo; la situazione familiare, la presenza di figli e la loro età ed, infine, le difficoltà che dovrebbe affrontare il coniuge se fosse costretto a seguire l’espulso nel Paese di origine.

I c.d. criteri di Boultif sono stati interamente richiamati nella sentenza della Grande Camera Üner contro Paesi Bassi del 18 ottobre 2006, a proposito della misura di allontanamento della durata di dieci anni adottata nei confronti di un cittadino turco, condannato per omicidio colposo; con tale sentenza “la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il paese ospite e con il paese di origine” è stata elevata a criterio autonomo nel sindacato di proporzionalità [39].

Un successivo ampliamento dei criteri di Boultif si è verificato a seguito della sentenza Nunez c. Norvegia del 2011 in cui la Corte ha affermato l’esigenza di considerare anche: “l’interesse superiore e il benessere dei minori, in particolare la natura delle difficoltà che i figli possono incontrare nel Paese verso il quale il richiedente deve essere espulso; e la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il paese ospitante e con il paese di destinazione” ( c.d. identità sociale).

Nel panorama convenzionale, l’ampliamento dei criteri di Boultif rappresenta un progressivo riconoscimento dell’importanza della c.d. identità sociale quale fattore essenziale dell’integrità psicofisica dello straniero salvaguardata dall’art. 8 CEDU [40].

Gli stessi criteri sono stati recentemente richiamati nella sentenza Unuane c. Regno Unito del 24 novembre 2020 in cui la Corte ha censurato l’operato dei giudici inglesi che non hanno correttamente bilanciato la gravità dei reati commessi dal ricorrente con l’interesse superiore del figlio minore, ritenendo l’espulsione sproporzionata in violazione dell’articolo 8 CEDU [41].

In altre parole, la giurisprudenza della Corte, in tema di compatibilità dell’espulsione con l’art. 8 CEDU, impone un controllo “bifasico” scandito in una prima fase volta ad accertare se l’espulsione costituisca un’intromissione nella vita privata o familiare e una seconda fase – subordinata alla prima – volta a vagliare la legittimità di tale ingerenza attraverso un giudizio fondato sulla verifica del rispetto da parte delle autorità dei tre principi fondamentali già richiamati (legalità, proporzionalità e necessità in riferimento ai valori di una società democratica).

5. Prime applicazioni giurisprudenziali della nuova protezione speciale

Ritornando all’esame della nozione di “vita privata e familiare” all’interno dell’art. 19 del d.lgs. 286/1998, come novellato dal d.l. 130/2020, occorre anzitutto sottolineare che, fino ad ora, gran parte dei primi provvedimenti giurisdizionali hanno individuato in questa nuova forma di protezione speciale una sorta di reviviscenza della vecchia protezione umanitaria [42], ma potenziata o rafforzata.

Tuttavia, una tale interpretazione non sembra cogliere a pieno la portata dell’ampliamento nella tutela dello straniero derivante dal riferimento al rispetto della vita privata e familiare introdotto dalla riforma.

Non potendo approfondire in questa sede il rapporto tra la protezione umanitaria ante d.l.113/2018 e la nuova fattispecie, questa analisi intende soffermarsi sul fatto che il legislatore, al fine di facilitare i giudici e l’autorità amministrativa nelle loro valutazioni, abbia introdotto gli stessi criteri interpretativi che la Corte EDU utilizza nell’accertamento delle violazioni dell’articolo 8 CEDU.

Nella nuova formulazione dell’articolo 19 del T.U.I, infatti, si legge che “ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”.

Di questi criteri interpretativi la giurisprudenza di merito sta già facendo uso: ad esempio, il Tribunale di Lecce ha riconosciuto la protezione speciale ad un richiedente proveniente dal Bangladesh in virtù della vita trascorsa in Italia e del suo inserimento lavorativo. Ma non solo, i giudici si sono spinti oltre, affermando che l’integrazione del richiedente nel tessuto sociale produttivo – indice di un effettivo radicamento in Italia – merita protezione non soltanto alla luce dell’articolo 8 CEDU, ma anche ai sensi dell’articolo 35 della Costituzione che tutela il diritto al lavoro come posizione soggettiva assoluta del singolo [43].

Dello stesso orientamento anche il Tribunale di Catania che ha riconosciuto la protezione speciale ad un richiedente che, in caso di rimpatrio, non avrebbe avuto alcuna possibilità di trovare un impiego nel suo Paese e, inoltre, avrebbe dovuto rispondere dei debiti contratti per il suo espatrio, rischiando così di cadere vittima di lavoro forzato [44].

Dopo aver ritenuto sussistente il rischio di un grave danno alla vita privata del ricorrente a causa dell’attuale instabilità della Guinea Conakry, il Tribunale di Napoli ha riconosciuto la protezione speciale tenendo conto del “cammino di integrazione intrapreso in Italia” e, in particolare, del fatto che il ricorrente avesse un lavoro a tempo indeterminato [45].

Il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero viene utilizzato anche dai giudici del Tribunale Bologna che lo definiscono come “come circostanza che può concorrere a determinare quella identità sociale strettamente legata alla permanenza sul territorio italiano e a provare l’effettivo inserimento sociale in Italia”[46].

Secondo i giudici, oltre ai legami familiari, l’inserimento sociale e lavorativo insieme alla durata del soggiorno nel territorio nazionale costituiscono i presupposti del rilascio di un permesso per protezione speciale che “protegga il soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva violazione al rispetto della propria vita privata o familiare”[47].

Sul punto, il Tribunale di Roma ha affermato che “si tratta della valorizzazione dei percorsi di inserimento compiuti dal cittadino straniero sul territorio nazionale e le significative relazioni a livello personale e sociale intrattenute nel paese di accoglienza nonché i legami familiari sociali e culturali con il Paese di origine” [48].

Queste prime applicazioni della protezione speciale da parte della giurisprudenza di merito sono tutte accomunate dalla valorizzazione di elementi oggettivi quali i vincoli familiari, l’inserimento sociale o lavorativo e la durata della permanenza.

D’altronde, nell’accertamento del rischio che l’allontanamento forzato dal territorio italiano possa violare la vita privata e familiare del richiedente asilo, l’utilizzo di tali parametri oggettivi – quali la natura e l’effettività dei vincoli familiari, l’inserimento sociale, la durata del soggiorno, l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese d’origine – appare indispensabile per evitare di snaturare o svuotare del suo contenuto un diritto di così ampia applicazione.

Tuttavia, questi criteri oggettivi, elaborati dalla giurisprudenza e contenuti nella nuova formulazione dell’articolo 19 T.U.I, non possono trasformarsi in confini inamovibili entro i quali circoscrivere il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Il loro utilizzo deve agevolare il giudice o l’autorità amministrativa nell’individuazione degli elementi da considerare nella valutazione della domanda, aiutandoli a restare saldamente ancorati alle circostanze del caso concreto, ma non deve condurre ad una chiusura che riconosca il diritto al rilascio del permesso per protezione speciale soltanto in presenza di allegazioni documentali quali certificati di nascita dei figli, contratti di lavoro, certificazioni di residenza o informazioni richieste alle Questure.

Spesso, infatti, persone presenti in Italia da anni potrebbero non avere prove tangibili del loro inserimento e, nonostante questo, avere dei legami relazionali e sociali ormai stabili e forse anche più solidi di quelli lasciati nel Paese di origine.

Come già illustrato, la Corte Edu individua nella locuzione “vita privata e familiare” due diritti autonomi dal contenuto eterogeneo, che possono subire una compromissione qualora l’autorità adotti misure che non rispettino i fondamentali principi di legalità, necessità e proporzionalità.

Di conseguenza, tenendo lo sguardo rivolto alla giurisprudenza dei giudici di Strasburgo, occorre forse chiedersi se allontanare un soggetto che vive in Italia da anni – anche a causa del malfunzionamento burocratico che accompagna l’intero procedimento di richiesta di asilo – non configuri di per sé un’ingerenza arbitraria nella sua vita privata.

In questa direzione sembrano rivolte le motivazioni dell’ordinanza della Corte di Cassazione con cui è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione riguardante il contenuto dell’indagine comparativa che, in tema di protezione umanitaria, i giudici di merito devono svolgere nell’ipotesi in cui lo straniero sia ormai ben integrato in Italia.

Per riconoscere la protezione umanitaria ante d.l.113/2018 è infatti necessario comparare la condizione attuale del richiedente asilo in Italia e la situazione in cui si troverebbe se venisse rimpatriato in un contesto sociale, politico e ambientale idoneo a costituire una significativa compromissione dei suoi diritti fondamentali[49].

Dato che tale valutazione comparativa tende ad assumere connotazioni particolari quando si tratta di decidere sulla posizione di uno straniero completamente inserito nel paese in cui ha chiesto asilo, la Sesta Sezione ha sollevato il dubbio se non sia necessario valutare l’allontanamento e, quindi, lo sradicamento dal paese di accoglienza come eventi idonei “ad integrare la fattispecie di vulnerabilità perché produttivi della privazione di diritti umani fondamentali”[50].

Secondo il Collegio, infatti, “mediante un percorso evolutivo ulteriore rispetto a quello tracciato dalle Sezioni Unite del 2019, ma sempre col sostegno dell’art.8 CEDU e nel solco di principi già affermati, peraltro valorizzato dal legislatore nel d.l. n. 130 del 2020, può ritenersi che, nelle ipotesi considerate e a date condizioni, il vulnus possa conseguire direttamente, anche, proprio dall’allontanamento del cittadino straniero dal paese di accoglienza.”

Prima di riconoscere la protezione speciale introdotta da d.l. 130/2020 alcune Sezioni Specializzate in materia di immigrazione dei Tribunali sembrano voler aspettare la pronuncia delle Sezioni Unite, mentre altre hanno iniziato ad applicarla, ritenendo tuttavia necessario effettuare il giudizio di comparazione che era alla base del riconoscimento del permesso per motivi umanitari[51].

Ma la nuova formulazione dell’articolo 19 T.U.I non inserisce tale bilanciamento tra i criteri interpretativi e sembra dare piuttosto maggiore importanza alla vita in Italia[52], con la conseguenza che è il rimpatrio stesso a violare il diritto alla vita privata, sradicando la persona straniera dal contesto sociale in cui si è integrata[53].

A differenza della protezione umanitaria ante d.l. 113/2018 il cui riconoscimento era subordinato al giudizio comparativo [54], la nuova protezione speciale non sembra richiedere il rischio di compromissione dei diritti fondamentali nel Paese di origine, ma semplicemente impone di valutare l’eventuale violazione del diritto alla vita privata e familiare tenendo conto “della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine” (art.19, comma 1.1 T.U.I).

L’utilizzo del giudizio di comparazione proprio della protezione umanitaria anche per il riconoscimento della nuova e differente fattispecie di protezione speciale e le interpretazioni per cui l’integrazione sociale si identifica di fatto con il solo inserimento lavorativo, senza valorizzare tutti gli altri elementi connessi al concetto di identità sociale, rischiano di circoscrivere eccessivamente l’ambito di applicazione della nuova protezione in contrasto con i principi elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e con la volontà del legislatore che tramite il riferimento alla vita privata e familiare ha inteso ampliare il sistema di tutela dello straniero.

1 Dossier di presentazione del D.L. 130/2020 degli Uffici della Camera dei Deputati e del Senato, disponibile qui: https://documenti.camera.it/Leg18/Dossier/Pdf/D20130.Pdf

2 Per approfondimento si veda L. Minniti “Prime note sull’immediata applicabilità ai procedimenti in corso di alcune norme del d.l.n. 130/202”, febbraio 2021, disponibile qui: https://www.questionegiustizia.it/articolo/prime-note-sull-immediata-applicabilita-ai-procedimenti-in-corso-di-alcune-norme-del-d-l-n-130-2020

3 Dossier di presentazione del D.L. 130/20 degli Uffici della Camera dei Deputati e del Senato disponibile qui: https://documenti.camera.it/Leg18/Dossier/Pdf/D20130.Pdf

4 Il riferimento agli obblighi di cui all’articolo 5, comma 6 è stato aggiunto in sede di conversione. Il testo del decreto coordinato con la legge di conversione è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, del 19 dicembre 2020, disponibile qui: https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2020-12-19&atto.codiceRedazionale=20A07086&elenco30giorni=true

5 La vita privata e familiare è tutelata anche dall’articolo 7 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europa che ai sensi dell’articolo 52 della Carta stessa corrisponde all’ambito di applicazione dell’articolo 8 CEDU.

6 La disposizione trae ispirazione dal testo dell’art. 12 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, che prevede: “Nessuno sarà oggetto di immissioni arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, né di violazioni del suo onore e della sua reputazione”.

7 Guida all’articolo 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, agosto 2018, disponibile qui: https://www.echr.coe.int/Documents/Guide_Art_8_ITA.pdf

8 La dottrina del margine di apprezzamento è stata utilizzata dalla Corte Edu per la prima volta nella sentenza Handyside c. Regno Unito del 7 dicembre 1976 e si ispira alla teoria tedesca della discrezionalità amministrativa (Ermessensspielraum) e alla giurisprudenza del Consiglio di Stato francese.

9 H.Fenwick, Civil Liberties and Human Rights, edizione 2005, pag.34-37.

10 S.Greer, The Margin of Appreciation: Interpretation and Discretion under the European Convention on Human Rights, edizione 2000, pag. 5

11 Corte EDU, Dudgeon c. Regno Unito, ricorso n.7525/76, sentenza del 13 marzo 1981, para. 97

12 Corte EDU, C. c. Belgio, ricorso n.21794/93, sentenza del 7 agosto 1996, para. 25

13 Guida all’articolo 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, agosto 2018, pag.66 disponibile qui: https://www.echr.coe.int/Documents/Guide_Art_8_ITA.pdf

14 Corte EDU, Niemiets c. Germania, ricorso n.13710/88, sentenza del 16 dicembre 1992 para. 29; Pretty c. Regno Unito, ricorso n. 2346/02, sentenza del 29 aprile 2002, para. 61; Peck c. Regno Unito, ricorso n. 44647/98 del 28 gennaio 2003, para. 57

15 Corte EDU, Niemiets c. Germania, ricorso n.13710/88 sentenza del 16 dicembre 1992 para. 29

16 Corte EDU, Paradiso e Campanelli c. Italia [GC], ricorso n. 25358/12, sentenza del 24 gennaio 2017, para. 159

17 Corte EDU, Barbulescu c. Romania, ricorso n. 61496/08 del 5 settembre 2017, para. 71; Botta c. Italia, ricorso n. 21439/93 sentenza del 24 febbraio 1998, para. 32

18 Corte EDU, Furst-Pfeifer c. Austria, ricorsi n. 33677/10, n. 52340/10 sentenza del 16 maggio 2016, para. 33

19 Corte EDU, Furst-Pfeifer c. Austria, ricorsi n. n. 33677/10, n. 52340/10, sentenza del 16 maggio 2016 para. 32

20 Guida all’articolo 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, agosto 2018, pag.66 disponibile qui: https://www.echr.coe.int/Documents/Guide_Art_8_ITA.pdf

21 Corte EDU, S.H. e altri c. Austria [GC], ricorso n.57813/00 sentenza del 15 novembre 2007, para. 82; Dickson c. Regno Unito [GC] ricorso n. 44362/04 sentenza del 4 dicembre 2007, para. 66

22 Corte EDU, Pretty c. Regno Unito, ricorso n. 2346/02 sentenza del 29 aprile 2002, para. 61

23 Corte EDU, Mikulic c. Croazia, ricorso n. 53176/99 sentenza del 7 febbraio 2002, para. 53

24 Corte EDU, Evans c. Regno Unito, ricorso n. 6339/05 sentenza del 10 aprile 2007, para. 71; A, B e C c. Irlanda, n.25579/05 sentenza del 16 dicembre 2010, para. 212

25 L. Tomasi, “La famiglia nella Convenzione europea dei diritti umani: gli articoli 8 e 14 Cedu”, 2019, disponibile qui:https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-famiglia-nella-convenzione-europea-dei-diritti-umani-gli-artt-8-e-14-cedu_650.php

26 Corte EDU, Kroon e altri c. Paesi Bassi, ricorso n.18535/91 sentenza del 27 ottobre 1994 para. 30 “Ad ogni modo, la Corte ricorda che la nozione di vita familiare all’Articolo 8 non è limitata soltanto a rapporti basati sul matrimonio e può comprendere altri legami familiari dove le parti coabitino al di fuori del matrimonio … Sebbene, per regola, la coabitazione potrebbe essere un requisito per tale rapporto, altri fattori possono eccezionalmente essere utili a dimostrare che il rapporto ha una costanza sufficiente da creare dei legami familiari”.

27 Corte EDU, Paradiso e Campanelli [GC], ricorso n.25358/12 sentenza del 24 gennaio 2017 para. 140; Johnston e altri c. Irlanda, ricorso n. 9697/82 sentenza del 18 dicembre 1986 para. 55; Keegan c. Irlanda, ricorso n.16969/90 sentenza del 26 maggio 1994, para. 44; X,Y e Z c. Regno Unito, ricorso n. 21830/93 sentenza del 22 aprile 1997, para. 36.

28 In particolare, relativamente al rapporto tra ciascun coniuge e i figli, secondo la giurisprudenza della Corte, la vita familiare persiste anche nel caso di scioglimento del matrimonio e di affidamento ad un solo genitore.

29 Corte EDU, Johnston e altri c. Irlanda ricorso n. 9697/82, sentenza del 18 dicembre 1986, para. 56

30 Corte EDU, X, Y e Z c. Regno Unito, ricorso n. 21830/93 sentenza del 22 aprile 1995 para. 36; Kroon e altri c. Paesi Bassi ricorso n. 18535/91, sentenza del 27 ottobre 1994, para. 30; Johnston e altri c. Irlanda ricorso n. 9697/82 sentenza del 18 dicembre 1986 para. 55; Keegan c. Irlanda, ricorso n.16969/90 sentenza del 26 maggio 1994, para. 44

31 Corte EDU, Marckx c. Belgium, ricorso n. 6833/74 sentenza del 13 giugno 1979, para. 31 The essential ingredient of family life is the right to live together so that family relationships may develop normally”

32 Corte EDU, Schalk e Kopf c. Austria, ricorso n. 30141/04 sentenza del 24 giugno 2010, para. 94 “La Corte ritiene che sarebbe artificioso continuare a considerare che, diversamente dalla coppia eterosessuale, una coppia omosessuale non possa godere di una “vita familiare” ai fini dell’articolo 8. Di conseguenza, la relazione dei richiedenti, una coppia omosessuale che coabita di fatto in modo stabile, rientra nella nozione di “vita familiare” allo stesso titolo di quella di una coppia eterosessuale che si trovi nella medesima situazione”.

33 Corte EDU, Campanelli e Paradiso c. Italia [GC], ricorso n.25358/12 sentenza del 24 gennaio 2017, para.141

34 Corte EDU, Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, ricorsi n. 9214/80, 9473/ 81 e 9474/81 sentenza del 28 maggio 1985, para. 62; Pini e altri c. Romania ricorsi n.78028/01, 78030/01 sentenza del 22 settembre 2004 para. 148

35 Corte EDU, Slivenko c. Lettonia, ricorso n. 48321/99 sentenza del 9 ottobre 2003, para. 97

36 Corte EDU, Narjis contro Italia, ricorso n. 57433/15 sentenza del 14 febbraio 2019

37 Corte EDU, Jeunesse c. Paesi Bassi, ricorso n.12738/10, sentenza del 3 ottobre 2014

38 A partire dalla sentenza Boultif c. Svizzera del 2001 la valutazione della proporzionalità è sempre stata effettuata sulla base degli elementi elencati.

39 F. Mazzeo, “La Corte Edu tra tutela della vita privata e ordine pubblico in materi di espulsione”, 2019

40 Ibidem

41 Corte EDU, Unuane c. Regno Unito, ricorso n.80343/17 sentenza del 24 novembre 2020

42 Tribunale di Lecce, decreto del 11 gennaio 2021

43 Tribunale di Lecce, decreto del 11 gennaio 2021

44 Tribunale di Catania, ordinanza del 18 febbraio 2021

45 Tribunale di Napoli, decreto del 7 gennaio 2021

46 Tribunale di Bologna, decreto del 30 novembre 2020

47 Tribunale di Bologna, decreto del 30 novembre 2020

48 Tribunale di Roma, decreto del 15 dicembre 2020; Tribunale di Roma, decreto del 3 febbraio 2021

49 Cass. Sez. Un. sentenza n. 4455 del 2018 del 30 novembre 2017

50 Cass. Civ. Sez. Sesta, ordinanza n. 28136 del 12 novembre 2020

51 Tribunale di Brescia, decreto del 17 novembre 2020; Tribunale di Napoli, decreto del 7 gennaio 2021

52 N.Morandi, “La protezione speciale nell’ambito del procedimento di protezione internazionale. La relazione tra vecchia protezione umanitaria e la nuova protezione speciale nei giudizi pendenti” in Immigrazione, Protezione Internazionale e Misure Penali a cura di M.Giovannetti e N.Zorzella, febbraio 2021 pag. 69

53 M.Flamini, N. Zorzella, “Asilo e protezione internazionale”, febbraio 2021, disponibile qui: https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/rassegne/rassegna-di-giurisprudenza-italiana/asilo-e-protezione-internazionale

54 Cass. Civ., Sez. Prima, sentenza n. 7733 del 6 aprile 2020

Adelaide Palmisano

Nata e cresciuta a Roma, si laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Roma Tre con una tesi in diritto internazionale umanitario. Nel 2013 supera la selezione e frequenta un master in International Crime and Justice organizzato dall'United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute. Successivamente svolge un tirocinio di 18 mesi presso la Procura Generale della Corte di Appello di Torino dove ha l'opportunità di approfondire i settori della cooperazione giudiziaria penale e della criminalità organizzata. Conclude la pratica forense in uno studio legale specializzato in diritto penitenziario e dell'immigrazione, conseguendo l'abilitazione alla professione di avvocato presso la Corte d'Appello di Torino nella sessione 2017-2018. Dopo diverse esperienze lavorative all'estero e uno stage di 6 mesi presso il Segretariato Generale del Consiglio dell'Unione Europea a Bruxelles, nel 2018 inizia a lavorare con l'Ufficio Europeo di sostegno all'Asilo.

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