mercoledì, Aprile 24, 2024
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La nuova “Via della Seta”

La firma del “Memorandum Of Understanding” (MOU) tra il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e il Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping, rappresenta il coinvolgimento dell’Italia nella “Belt and Road Initiative, BRI”, ovvero la nuova “Via della Seta”, un maestoso ed epocale progetto di espansione commerciale cinese.

Forti sono state le preoccupazioni espresse dalle principali potenze mondiali, Washington e Bruxelles in primis, alla luce dell’accordo che coinvolge l’Italia, membro dell’UE e della NATO.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, che oggi si trovano nel bel mezzo di una guerra commerciale con la Cina, con cui duella a colpi di dazi su praticamente qualsiasi bene di importazione, le preoccupazioni principali derivano dalla convinzione che i cinesi stiano sfruttando l’Italia per aumentare la sua influenza politica e strategica al di fuori dei confini asiatici. A questo tema, si è aggiunta anche la questione delle nuove tecnologie, rappresentato in particolare dalle telecomunicazioni, con le nuove reti 5G. È importante ricordare come i cinesi siano in possesso di molteplici vantaggi competitivi rispetto all’occidente per quanto riguarda la tecnologia che investirà le future reti di nuova generazione, sono quindi in grado di collocarsi in una posizione dominante sul mercato.

La preoccupazione su questo fronte è condivisa con l’UE, in quanto appare evidente come l’utilizzo esclusivo della tecnologia cinese in Europa e in America metterebbe potenzialmente la Cina nella condizione di avere accesso a tutte le informazioni cibernetiche di miliardi di occidentali, dal momento in cui transiteranno su questa fondamentale infrastruttura. Sulla tematica bisogna però precisare che, sia nell’ambito degli incontri istituzionali tenuti, sia nel memorandum d’intesa, non c’è alcun riferimento al 5G, quindi questa questione dovrebbe rimanere fuori dai successivi accordi che verranno stipulati.

Dal punto di vista dell’UE, invece, sono state espresse molteplici critiche riguardo questo accordo con un “rivale sistemico”, così è stata definita la Cina, che si sta espandendo sempre di più in occidente (in maniera non sempre leale e trasparente), senza lasciar a sua volta, e con la stessa facilità, penetrare le imprese europee all’interno del suo territorio.

Per rispondere a queste critiche internazionali, è importante sottolineare, inoltre, come l’accordo sia stato siglato nell’ambito di quattro caveat principali, voluti esplicitamente dal governo italiano. Sono i principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite, negli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici, i principi stilati in sede europea proprio sulla collaborazione con la Cina e quelli, sempre dell’UE, della Strategia di Bruxelles per collegare l’Europa alla Cina.

Tali principi, contenuti in queste quattro carte fondamentali, aprono l’accordo e ne costituiscono la cornice giuridica portante, a garanzia di qualsiasi ambiguità potesse sorgere in futuro.

Ma cosa prevede concretamente l’accordo?

Il programma più ampio di cui fa parte è stato stilato dal presidente cinese e risale al 2013, anno in cui Xi Jinping decise di coinvolgere più di 60 paesi nell’iniziativa “One Belt, One Road”.

Il progetto riprende il concetto cardine dell’economia cinese del passato: la Via della Seta, puntando sull’integrazione economica degli stati attraversati, piuttosto che la creazione di infrastrutture per i trasporti, per rendere la Cina una potenza mondiale nella nuova economia globale.”[1]

Il memorandum firmato il 23 marzo 2019 a Roma ha ufficializzato il raggiungimento di 29 accordi che attraversano e coinvolgono tutto il sistema industriale italiano, in particolare 19 accordi istituzionali e 10 accordi commerciali tra aziende private.

Il valore di tali accordi, secondo l’Adnkronos[2], ammonta a 2,5 miliardi, con un potenziale di 20 miliardi, considerando l’effetto “volano” delle intese raggiunte.

Come riporta Lettera43[3] e diverse altre autorevoli testate giornalistiche, gli accordi commerciali riguardano nello specifico:

  • L’emissione, da parte di Cassa Depositi e Prestiti, in accordo con Bank of China, dei cosiddetti “Panda bond”, titoli di debito obbligazionari in valuta locale cinese, che avranno lo scopo di raccogliere capitali da investitori istituzionali cinesi per finanziare le aziende italiane presenti in Cina. In particolare, il polo assicurativo Sace-Simest della Cassa stringerà un doppio asse con Sinosure (la Sace cinese) e Sumec, import agent del governo di Pechino, per facilitare le opportunità di business delle piccole e medie imprese italiane in Cina.Le risorse complessive dovrebbero ammontare a circa un miliardo di euro;
  • Un partenariato strategico tra ENI e Bank of China, con l’obiettivo di rinnovare e rafforzare la collaborazione già in atto su vari fronti;
  • Un’intesa di collaborazione tecnologica sul programma di turbine a gas tra Ansaldo Energia (che già collabora con i cinesi) e China United Turbine Technology;
  • Il contratto tra Ansaldo Energia e dei clienti cinesi per la fornitura di una turbina a gas (AE94.2K) con associato un compressore “syngas” per la centrale elettrica a ciclo combinato del progetto Bengang, situata a Benxi, nel nord-est del Paese asiatico;
  • Un memorandum tra Cassa Depositi e Prestiti, Snam e Silk Road Fund, per possibili iniziative di collaborazione in Cina nelle infrastrutture a gas;
  • L’intesa di cooperazione tra l’Agenzia ICE e Suning Group per la realizzazione di una piattaforma con l’obiettivo di promuovere lo stile di vita italiano in Cina;
  • Un accordo di cooperazione tra l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale e China Communications Construction Company, per l’utilizzo del porto di Trieste e Monfalcone;
  • Un accordo di cooperazione tra il Commissario Straordinario per la Ricostruzione di Genova, l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale e China Communications Construction Company, per l’utilizzo del porto di Genova;
  • Un memorandum tra Intesa Sanpaoloe il governo popolare della città di Qingdao, atto a confermare l’impegno degli investimenti di Intesa Sanpaolo nell’ambito dei piani di sviluppo delle attività di Wealth Management;
  • Un contratto tra Danielie China CAMC Engineering Co per l’installazione di un complesso siderurgico integrato in Azerbaijan.

Per quanto riguarda i restanti 19 accordi istituzionali, risultano essere particolarmente rilevanti l’istituzione della “Via della Seta Economica”, lo sviluppo e promozione di startup innovative e tecnologiche, il commercio nel settore elettrico, un importantissimo accordo tra i due governi italiano e cinese per l’eliminazione delle doppie imposizioni fiscali. Oltre a queste, ulteriori considerevoli intese sono state raggiunte per quanto riguarda i futuri rapporti istituzionali, le collaborazioni nell’ambito della ricerca e tutto ciò che riguarda l’import e l’export bilaterale dei prodotti manifatturieri dei due paesi.

Perché la Cina ha spinto fortemente per concludere questo accordo (richiedendo persino la presenza del Presidente della Repubblica Popolare Cinese a Roma) e, soprattutto, perché l’Italia, primo e unico Paese del G7, ha aperto ancora di più alla presenza cinese nei rapporti istituzionali e commerciali, nonostante le forti critiche ricevute oltralpe e aldilà dell’Atlantico?

L’economia cinese, dagli ultimi 30 anni, è cresciuta mediamente del 10% annuo, nessun paese si è avvinato a tali livelli di crescita del PIL. Tuttavia, negli ultimi anni tale incremento si è lentamente ridotto e, complice l’opacità dell’amministrazione, la grandezza del paese in questione (quindi la difficoltà a mettere insieme una mole molto elevata di dati) e il sospetto di manipolazione dei dati ufficiali, qualcuno addirittura è arrivato a pensare che la corsa del PIL cinese si sia stabilizzata.

Quel che è certo, è che oggi l’economia della Cina vale circa il 15% del PIL mondiale e rappresenta stabilmente da anni il 30% della crescita globale[4]. Oggigiorno il PIL cinese è arrivato a valere circa due terzi (66%) di quello statunitense, rispetto al 10% di quarant’anni fa e tutti si aspettano che entro dieci anni avverrà l’inevitabile sorpasso. Tuttavia, permangono sostanziali differenze tra le due economie. Il problema della Repubblica Popolare Cinese è rappresentato dalla qualità della crescita, in quanto il PIL pro capite e tenore di vita dei cinesi sono lontanissimi da quelli statunitensi.

Ecco, dunque, spiegata la necessità di stringere accordi con tutti quei Paesi che possano in qualche modo introdurre all’interno del territorio cinese quelle tecnologie innovative e capacità tecniche necessarie a svilupparne il mercato, anche e soprattutto dal punto di vista qualitativo, oltre che meramente quantitativo. Anche perché, come afferma Santevecchi, “da mercato di pura espansione la Cina si stabilizza in mercato di sostituzione dell’usato”.

La Cina sta percorrendo oggi il percorso di crescita che ha caratterizzato il periodo del boom economico a partire dal dopoguerra di tutti i principali paesi industrializzati, per questo, ora come ora nell’era della globalizzazione totale ha bisogno di trovare altri partner commerciali per poter ampliare e continuare il processo di sviluppo della sua economia, iniziato anni fa con la graduale apertura verso l’estero, che ha permesso la crescita avuta finora.

Per questi motivi, chi, meglio dell’Italia (il cui settore manifatturiero è secondo in Europa solo alla Germania in base a quote di valore aggiunto), può quindi aiutare la Cina a dare un’ulteriore spinta alla sua economia, sfruttando oltremodo reciprocamente i vantaggi che derivano da un accordo bidirezionale?

A questo punto, è chiaro come diventi strategica per entrambi l’intesa. Analizzando i dati dell’Osservatorio Economico – Ministero dello Sviluppo Economico, emerge come l’import italiano valga tre volte circa l’export verso la Cina, rendendo la bilancia commerciale tra i due paesi fortemente negativa per l’Italia. Di più, aggiungendo le considerazioni fatte sul recente rallentamento dell’economia cinese, è palese come questo concatenarsi di eventi potrebbe riflettersi ancora più negativamente per l’Italia, per quanto riguarda il saldo della bilancia commerciale, poiché una frenata della Cina si tradurrebbe in una minore domanda di importazioni cinesi dall’Italia, e quindi minori esportazioni italiane verso la Cina, che penalizzerebbero le nostre imprese.

L’accordo stretto mira dunque a riequilibrare la bilancia commerciale con la Cina, rilanciando gli investimenti in Italia e il made in Italy all’estero, così da rendere maggiormente attraenti i nostri prodotti e le nostre imprese, che già godono di un’ottima reputazione.

In ultimo, è rilevante ricordare come la Cina rappresenti ad oggi la seconda potenza mondiale dopo gli Stati Uniti (che presto supererà in termini di valori assoluti), diventa quindi lecito pensare che questo accordo, oltre a tutte le ovvie dichiarazioni di facciata, faccia “storcere il naso” ai paesi del G7, essendo l’Italia il primo e unico di essi a strappare una simile intesa. Collaborazione che potrebbe far sì aumentare l’influenza cinese al di fuori dai confini asiatici, ma porterà inevitabilmente anche benefici all’Italia in termini di peso politico e strategico nell’ambito di successivi accordi futuri e ciò contribuirà ad amplificare di conseguenza la sua rilevanza sul piano internazionale.

[1]L. Berto, “Il ruolo della proprietà intellettuale in Cina nei progetti Made in China 2025 e One Belt One Road”, marzo 2018, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/il-ruolo-della-proprieta-intellettuale-in-cina-nei-progetti-made-in-china-2025-e-one-belt-one-road-8548

[2]https://www.adnkronos.com/fatti/politica/2019/03/23/via-della-seta-quanto-valgono-gli-accordi_FKhbbsTvyUuisqhrrpt3cO.html

[3]

[4]G. Santevecchi, “La lunga marcia di pechino, Il Corriere della Sera – Economia, 18 marzo 2019.

Matteo Capasso

Matteo Capasso nasce a Roma nel 1995. Consegue la maturità tecnica industriale in elettronica e telecomunicazioni nel 2014. Si laurea in Scienze Economiche nel 2017 presso la facoltà di economia dell’Università "La Sapienza" di Roma. Nello stesso anno inizia il corso di laurea magistrale in FINASS (Finanza e Assicurazioni), specializzandosi nel comparto assicurativo. Da settembre 2020 lavora presso Mediocredito Centrale, occupandosi dell'istruttoria delle domande di garanzia pervenute presso il Fondo di Garanzia per le PMI.

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