giovedì, Aprile 18, 2024
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La partita internazionale tra investimenti e mediazione: arbitro, fuorigioco?

Introduzione

Il 12 settembre 2020 è entrata in vigore, ai sensi dell’art. 14, la Convenzione di Singapore [1](United Nations Convention on International Settlement Agreement Resulting from Mediation) in materia di mediazione internazionale. Fino ad ora la Convenzione risulta sottoscritta da 53 Stati (tra cui attori economici importanti quali Cina, India e Stati Uniti) e ratificata da 6 di quest’ultimi (Bielorussia, Ecuador, Fiji, Qatar, Arabia Saudita, Singapore)[2].

L’Unione Europea[3] ha lasciato intendere che la Convenzione non dovrà interferire con altri strumenti che riguardano materie analoghe come la European Mediation Directive del 2008[4], la Hague Convention on Choice of Court Agreements del 2005[5], la Hague Convention on the Enforcement of Foreign Judgments[6], e la New York Convention[7]. Inoltre, è dubbio se l’Unione abbia la competenza a firmare la Convenzione per conto dei propri Stati membri e se essi possano intraprendere tali iniziative allorquando quest’ultima non si attivi[8].

Come noto, le dispute investitore-Stato possono essere affrontate attraverso numerose procedure, tra cui la negoziazione, il ricorso ad un foro selezionato a livello contrattuale, il ricorso alle corti domestiche, la protezione diplomatica, la mediazione, la conciliazione, l’arbitrato o una composizione giudiziale internazionale. I meccanismi di c.d. alternative dispute resolution (ADR) sono spesso considerati come possibili soluzioni per migliorare il sistema di c.d. investor-State dispute resolution (ISDS). Congiuntamente alle ICSID mediation rules[9] e alle UNICITRAL Conciliation Rules[10], la Convenzione deve essere vista come una cornice cui le parti di una relazione commerciale internazionale possono fare riferimento per agevolare l’attuazione degli accordi transattivi tra loro intercorsi, grazie a un ridotto numero di requisiti richiesti.

Pare giusto sottolineare fin da subito che l’arbitrato e la mediazione non devono essere concepiti come istituti tra loro in competizione ma, a contrario, coesistenti dialetticamente al fine di valorizzare il processo di risoluzione delle controversie. La mediazione potrebbe essere esperita prima dell’arbitrato nelle vesti di una clausola di adeguamento (c.d. escalation clause), durante l’arbitrato attraverso la richiesta di un lodo che si basi sulle istanze delle parti oppure dopo l’arbitrato come accordo sull’ammontare del pagamento e strumento al fine di evitare problemi riguardanti l’esecuzione[11].

La mediazione internazionale costituisce una di quelle “chiavi del mazzo” del diritto che può e deve essere girata con larghezza e altrettanta attenzione. Il pensiero corre a diversi ambiti: alla Nuova via della seta (c.d. Belt and Road Initiative), all’Europa post-Brexit, all’Estremo Oriente e in fine alle controversie che nasceranno dalle restrizioni imposte a causa della pandemia in atto.

La Convenzione di Singapore

Andando ad integrare la Convenzione di New York sull’esecuzione degli arbitrati internazionali e la Hauge Convention on Choice of Court, la Convenzione di Singapore mira ad agevolare l’uniforme riconoscimento ed esecuzione della mediazione internazionale per la risoluzione delle dispute di natura commerciale. Come la Convenzione di New York del 1958 è stata strumentale al successo degli arbitrati internazionali, la Convenzione di Singapore mira a rendere la mediazione maggiormente attraente per mezzo di regole armonizzate finalizzate ad ottenere una più agevole e rapida esecuzione dell’accordo.

La Convenzione “accords new status to mediated settlements in their own right[12], tramutando cosa altrimenti sarebbe considerato un puro atto privato contrattuale in uno strumento che può circolare all’interno di un quadro internazionale giuridicamente vincolante.

L’art. 2 offre una definizione di mediazione che fa da eco alle definizioni presenti nell’UNICITRAL Model Law  on international commercial mediation [13](c.d. Model Law) e nella Direttiva europea 2008/52/EC: la presenza di una parte terza disinteressata la cui assistenza dovrebbe favorire le parti in conflitto ad addivenire a una pacifica risoluzione della controversia.

Non risultando alcun riferimento alla fonte da cui debba scaturire la mediazione, quest’ultima potrà indifferentemente derivare volontariamente da un accordo oppure, in maniera vincolata, da una norma, da una corte o da un tribunale arbitrale. Un aspetto, tuttavia, risulta cruciale: l’assenza di poteri aggiudicativi nelle mani del mediatore.

Un mediated settlement agreement avrà carattere internazionale allorquando almeno due parti dell’accordo abbiano il centro delle proprie attività stabilito in differenti Stati oppure quando lo Stato, nel quale le parti dell’accordo hanno stabilito il centro delle rispettive attività, è diverso dallo Stato nel quale una parte sostanziale delle obbligazioni assunte viene eseguita o dallo Stato in cui l’oggetto dell’accordo transattivo è più strettamente connesso.

La Convenzione si applica agli accordi internazionali che risolvono dispute commerciali ma, come il Model Law, non offre nessuna definizione a riguardo. Qualche indizio può essere assunto in negativo dall’art. 1. Infatti, restano esclusi dall’ambito della Convenzione gli accordi oggetto di mediazione relativi alle dispute riguardanti la famiglia, l’abitazione, l’eredità e le controversie sul lavoro. In fine, le dispute investor-State saranno ricomprese nel campo d’azione della Convenzione salvo, ai sensi dell’art. 8, riserve degli Stati parte (attualmente compiute da Bielorussia, Iran e Arabia Saudita)[14]. Attraverso la “reservation” ogni Stato firmatario potrà ritenere non applicabile la Convenzione per la risoluzione delle dispute nelle quali lo Stato stesso, qualsiasi entità pubblica o le persone che agiscono per conto di esse siano parte diretta della controversia[15].

Alla luce dell’art. 3, uno Stato parte della Convenzione, a seguito di una richiesta, dovrà assicurare l’esecuzione dell’accordo mediato in armonia con le proprie regole processuali, senza la necessità di un riesame o di alcuna controversia a riguardo. La Convenzione, perciò, lascia agli Stati contraenti la determinazione delle modalità con cui si dovrà invocare ed attuare l’accordo risultante dalla mediazione – una soluzione coerente data la rilevante diversità sui metodi d’esecuzione presenti tra i differenti Stati e ricalcata anche dalla Convenzione di New York (salvo gli artt. 4 e 5)[16]. Alcuni autori[17] ritengono che l’accordo raggiunto possa essere usato come una “spada”, allorquando l’esecuzione possa essere fatta valere da una parte senza la necessità di superare specifici ostacoli, oppure come uno “scudo”, allorché la stessa parte possa invocare l’accordo raggiunto per dimostrare che la disputa sia stata risolta impendendo alla controparte di intraprendere nuove iniziative. Ai sensi dell’art. 4, la parte richiedente dovrà esibire alle autorità competenti dello Stato richiesto l’accordo scritto firmato dalle parti e la prova che quest’ultimo sia il risultato della mediazione.

Tanto premesso si rileva che, pur con qualche dubbio, mentre si richiede la prova della natura dell’accordo sotto forma di mediazione, nessuna evidenza è richiesta al fine di dimostrare la natura commerciale e internazionale dell’accordo.

L’art. 5 espone i motivi per cui un accordo possa essere rifiutato: se una parte risulta affetta da qualche incapacità; se l’accordo è nullo, inefficace, non in grado di essere eseguito, non vincolante, non finale o modificato successivamente; se le obbligazioni derivanti dall’accordo sono state eseguite, non siano chiare o comprensibili. Inoltre, alla luce delle sezioni (e) ed (f) dell’art. 5, l’esecuzione potrà essere negata allorché la parte opponente dimostri che il mediatore si sia reso responsabile di una seria violazione degli standard applicabili al mediatore o alla mediazione. Seppur sia difficoltosa una chiara distinzione tra le ipotesi contemplate nelle due lettere citate, si è posta l’enfasi sulla relazione causa-effetto che deve esistere tra la condotta illecita del mediatore e la decisione di una parte di risolvere la disputa in tal guisa.

Altre due ipotesi nell’art. 5 indicano che l’accordo potrà essere rifiutato, anche d’ufficio dall’autorità competente, quando: la concessione è contraria all’ordine pubblico o la materia della disputa non è risolvibile attraverso la mediazione secondo la legislazione di una delle parti – due ipotesi che richiamano l’art. V (2) della Convenzione di New York.

Si noti come, nella pratica, difficilmente la contrarietà all’ordine pubblico sarà fatta valere per rifiutare un accordo di mediazione mentre per la seconda ipotesi, sebbene più realistica, verrà evidenziata qualche criticità nel prosieguo della trattazione[18].

Aspetti problematici

In assenza di un quadro normativo internazionale per l’esecuzione degli accordi mediati transfrontalieri, la parte interessata non potrà generalmente pretendere l’osservanza dell’accordo di risoluzione della disputa se non appuntandosi sul versante meramente contrattuale. Ciò implicando che per far valere la violazione dell’accordo dovrà esistere ex ante una decisione giudiziaria o arbitrale. Così, se gli asset della parte inadempiente sono locati in una giurisdizione diversa rispetto a quella  in cui il giudizio o l’arbitrato hanno avuto luogo dovrà essere richiesto un c.d. foreign enforcement.

Orbene, per far fronte a questo aspetto, la Direttiva 2008/52/EC (EU Mediation Directive) offre un modello per la mediazione transnazionale tuttavia non prevedendo alcuna diretta esecutività di quest’ultimo[19].

A differenza della Direttiva europea, la Convenzione di Singapore enfatizza esclusivamente la fase dell’esecuzione, dispensando gli Stati da un controllo iniziale. Attraverso la possibilità di richiedere direttamente l’esecuzione dell’accordo di mediazione nelle corti dello Stato in cui gli asset sono presenti, un puro atto privato contrattuale è, grazie all’acquisizione di uno status sui generis, comparabile ad un giudizio arbitrale.

Data la novità della mediazione come meccanismo di risoluzione delle dispute in certe giurisdizioni, come l’Iran, l’autorità competente, qualora esista e possa essere identificata, dovrà affrontare non poche difficoltà nel dare validità ad un accordo mediato come prescritto dalla Convenzione. Nell’eventualità che manchi una solida base giuridica dell’istituto in alcuni Stati – l’accordo non potrà essere eseguito né come un giudizio contenzioso né come sentenza arbitrale – l’autorità competente potrebbe considerare la mediazione come una semplice inadempienza contrattuale ed applicare i rimedi connessi. Ciò, evidentemente, non essendo conforme alle obbligazioni assunte dagli Stati contraenti attraverso la Convenzione in materia di esecuzione diretta dei cross-border settlement agreements.

Inoltre, a causa della mancanza  di una decorosa legislazione domestica che regoli la mediazione, sarà impossibile per la competente autorità dello Stato in questione determinare la violazione da parte del mediatore degli standard a lui applicabili (art. 5.1 (e)) e dei criteri di imparzialità e di indipendenza a lui prescritti (art. 5.1 (f)). A tale fine non sarà possibile fare riferimento, in modo sussidiario, alle regole domestiche indirizzate agli arbitri, data la rilevante differenza tra questi e i mediatori – la soglia di indipendenza ed imparzialità sarà maggiore nell’arbitrato in ragione della decisione vincolante che ne deriva e da cui nessuna delle parti può deviare.

Infine sarà pregiudicato lo stesso art. 5.2(b) della Convenzione in quanto l’autorità competente, che dovrebbe decidere di respingere il provvedimento richiesto sua sponte, sarà incapace di determinare se la questione della disputa potrà essere risolta attraverso una mediazione.

Orbene, gli Stati contraenti che non riconoscono nessun quadro normativo in cui inscrivere la mediazione internazionale, e la conseguente sua esecuzione, potrebbero adottare come base legale l’ UNCITRAL Model Law on International Commercial Mediation and International Settlement Agreements Resulting from Mediation sviluppata dall’UNICITRAL Working Group II. In alternativa, essi potranno prevedere, a seguito della ratifica, una chiara procedura per il riconoscimento e l’esecuzione della mediazione, facendo attenzione ad evitare un’ingiustificabile frammentazione normativa tra l’ambito internazionale e quello domestico[20].

La mediazione nell’esperienza internazionale sugli investimenti

Una ragione per il successo della Convenzione ICSID, suggerito dalla sua inclusione nei trattati di investimento, fu la non estraneità degli Stati al concetto di arbitrato. Inoltre, nel 1961, quando fu avviata la stesura della Convenzione ICSID molti strumenti internazionali sul medesimo tema risultavano già adottati: la Convenzione di New York, la Convenzione di Ginevra del 1927[21] e la Convenzione Europea sull’Arbitrato Commerciale Internazionale del 1961[22]. Al contrario, la mediazione è priva di tali caratteristiche, risultando l’effettivo inserimento di tale istituto in molti ordinamenti giuridici nazionali ancora ai primi passi – oltre che presentare, laddove sussista, spesso lacune legate ai concetti di neutralità ed indipendenza.

Dagli anni ‘80 fino ad oggi le previsioni ISDS contenute nei più recenti trattati tendono ad espandere la risoluzione amichevole delle dispute prevedendo ipotesi di conciliazione e di mediazione già nelle prime fasi della controversia. Tendenza che ritroviamo nell’Australia-Hong Kong Investment Agreement (2019), nel Central America-Republic of Korea FTA (2018) e nel Chile-Hong Kong BIT (2016). Altri dettagliati meccanismi di mediazione ISDS si ritrovano nell’EU-Singapore Investment Protection Agreement (IPA), nell’EU-Vietnam IPA – accordi che accolgano un linguaggio molto simile a quello contenuto nel Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) tra il Canada e l’Unione, adottando inoltre le Rules of Procedure for Mediation dello stesso trattato –, nel China-Hong Kong CEPA Investment Agreement, nel China-Macau CEPA Investment Agreement e nel South Africa Protection of Investment Act [23].

Altri esempi che dimostrano come gli Stati abbiano promosso la richiesta indirizzata agli investitori di intraprendere una mediazione obbligatoria prima di ricorre all’arbitrato sono l’Hong Kong-United Arab Emirates BIT e l’Indonesia-Australia CEPA, entrambi del 2019[24].

In fine, nel 2016 la Energy Charter Conference ha adottato la Guide on Investment Mediation allo scopo di facilitare ed istruire le parti dell’Energy Charter Treaty sulla scelta della mediazione.

Nell’UNICITRAL Working Group III, attualmente, sono due le proposte per istituzionalizzare la mediazione nel campo degli investimenti internazionali.

Il fascio di regole sulla mediazione internazionale potrebbe essere incluso in un futuro strumento multilaterale riguardante l’ISDS tale da poter essere azionato da ogni paese che lo desideri, oppure essere allegato all’eventuale e futura creazione della MIC (c.d Multilateral Investment Court), attraverso il rimando alle regole procedurali già esistenti come quelle ICSID (attualmente in via di modifica[25]), PCA, ICC, SCC o IBA. In alternativa, l’UNICITRAL potrebbe adottare delle regole proprie, diretta conseguenza dell’aggiornamento delle sue Conciliation Rules del 1980, così da formare assieme alla Convenzione di Singapore e all’UNICITRAL Model Law on International Commercial Mediation, una più ampia ed integrata cornice della mediazione internazionale.

L’istituzionalizzazione della mediazione consentirebbe l’introduzione di un certo grado di monitoraggio e di trasparenza in un processo che spesso è caratterizzato da una completa confidenzialità, riducendo, al contempo, le tattiche dilatatorie attuate in mala fede dalle parti e permettendo di alleviare il timore delle accuse di corruzione e di conseguente pubblicità negativa.

Un ulteriore ipotesi per implementare la mediazione nell’esperienza internazionale potrebbe consistere nell’inclusione delle ADR (alternative disputes resolution) nel mandato di un advisory center in materia di ISDS, tale da garantire l’esatta conduzione dei procedimenti ed il mantenimento di un registro dei mediatori esperti. Il centro di consulenza potrà, così, consentire in ambito internazionale il trasferimento delle conoscenze e delle migliori pratiche agli Stati[26].

Da ultimo, seguendomi le orme degli ombudsman offices presenti negli Stati Uniti, nelle Nazioni Unite, oppure il FIO (Foreign Investment Ombudsman) in Sud Korea, il DIO (Direct Investments Ombudsman) in Brasile o il sistema ibrido in Peru – la creazione di un office ombuds per lo Stato ospitante rappresenterebbe un one-stop-shop tale da garantire una risoluzione dei problemi incontrati dagli investitori esteri, facilitando la prevenzione dei problemi stessi e creando un unico contatto tra il governo e gli investitori in materia di investimenti[27].

Mediazione e arbitrato. Le riforme in tema di ISDS

La Convenzione svolge per la mediazione lo stesso compito che la Convenzione di New York e l’ICSID svolgono per l’arbitrato.

Al contrario dell’arbitrato, la mediazione è intrinsecamente un processo flessibile che permette alle parti di prendere in considerazione una molteplicità di elementi al fine della conclusione dell’intesa, garantendo una soluzione maggiormente creativa ed olistica attraverso una minor attenzione alla legge [28]. Inoltre, tale soluzione risulta poter preservare più adeguatamente le relazioni commerciali e così soddisfare le esigenze dell’investitore a conservare una partecipazione attiva nel mercato dello Stato ospitante[29]. Insomma, una flessibilità che garantirebbe un risparmio di tempo, energia e costi.

La confidenzialità è spesso considerata come un potenziale beneficio dalle parti che scelgono di optare per la mediazione in luogo dell’arbitrato. Senza questo elemento, le parti potrebbero esitare dal fare ammissioni, concessioni o compromessi necessari per risolvere la controversia. Inoltre, la confidenzialità permetterebbe una discussione esente dal pregiudizio di una futura disputa e potrebbe diminuire il danno reputazionale. Tuttavia, la maggior parte dei trattati sugli investimenti che contemplano la mediazione non regolano gli aspetti della trasparenza/confidenzialità, abbandonando la regolamentazione di tali aspetti alla legge processuale applicabile.

Una confidenzialità, così, che inevitabilmente si scontra con l’esigenza di trasparenza,oggetto di attenta analisi negli sforzi riformatori degli ultimi anni in tema di arbitrato investor-State. Nonostante l’arbitrato non si basi esclusivamente sulla confidenzialità per favorire l’accordo, molte ragioni per supportare la maggiore esigenza di trasparenza negli arbitrati sono applicabili anche alle mediazioni.

Non va sottaciuto come le mediazioni investor-State, parallelamente agli arbitrati, possono riguardare la composizione di importanti questioni di ordine pubblico con un potenziale impatto per le scelte statali normative e fiscali.

Se è pur vero che la mediazione possa favorire pragmaticamente il rinnovo delle licenze o permessi in capo all’investitore e la ristrutturazione di un investimento per far fronte a problemi di natura regolamentare, risulta evidente che qualora questi risultati non siano, allo stesso tempo, supportati da una qualche forma di trasparenza offriranno il destro a particolari critiche in punto di responsabilità e legittimità – producendo non poche difficoltà in fase di esecuzione. Si pensi ad un’autorizzazione lesiva dell’ambiente, un’esenzione fiscale o qualche particolare accesso privilegiato a delle risorse: tutte misure che potrebbero fare fatica a trovare riscontro in interessi ampiamente condivisi dalla collettività.

La mediazione potrebbe affrancarsi da un altro obiettivo delle recenti riforme incidenti sulla risoluzione delle dispute investor-State, cioè dai tentativi di migliorare la diversificazione delle nomine di parti terze neutrali per decidere la controversia. La confidenzialità potrebbe ridurre l’acquisizione della conoscenza e dell’esperienza per gestire le mediazioni e, quindi, limitare il pool di individui percepiti dagli Stati e dagli investitori come qualificati a fungere da mediatori, rendendo difficilmente individuabili i soggetti con le abilità e le esperienze auspicate.

Con un ulteriore fuga in avanti, la mediazione permetterebbe agli Stati ed agli investitori di raggiungere un accordo confidenziale senza nessun riferimento agli accordi raggiunti per simili dispute passate. Nonostante questa caratteristica possa impedire il consolidarsi di insoddisfacenti precedenti pro futuro appare, tuttavia, inconciliabile con gli sforzi riformatori indirizzati ad una maggior prevedibilità e coerenza nei giudizi sulle dispute investor-State.

Conclusioni

Oltre alle potenziali inconsistenze ed iniquità forgiate attraverso la pressione esercitata su un singolo Stato o investitore per “risolverla a porte chiuse” senza uno scrutinio pubblico, l’incisività della mediazione internazionale – nello stato attuale – potrebbe apparire ridotta a causa dell’esitazione delle parti contraenti dovuta alla loro poca esperienza in una procedura ancora troppo acerba [30].

Per concludere, laddove la mediazione voglia essere utilizzata per integrare o sostituire forme più pubbliche, accessibili e collettive di risoluzione delle controversie i suoi aspetti procedurali necessitano di maggiore analisi e riflessione, pena uno strabismo precoce.

Nella prospettiva attuale, tale istituto, frammentato nel criterio e modesto nella quantità, può rappresentare uno strumento complementare, ma difficilmente fungibile, all’arbitrato.

 

[1] Disponibile qui: https://uncitral.un.org/sites/uncitral.un.org/files/singapore_convention_eng.pdf

[2] Per aggiornamenti vedere qui: https://treaties.un.org/pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=XXII-4&chapter=22&clang=_en

[3] Gli obiettivi perseguiti dalla Convenzione sembrano coincidere con quelli del percorso già intrapreso dall’Unione per favorire la diffusione della mediazione al suo interno. A tale riguardo si veda il Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, la Direttiva 2008/52/CE relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, la Relazione della Commissione Europea del 26/8/2016 sull’applicazione della direttiva 2008/52/CE e la Risoluzione del Parlamento Europeo del 12 settembre 2017 sull’attuazione della direttiva 2008/52/CE.

[4] Disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/ALL/?uri=CELEX%3A32008L0052

[5] Disponibile qui: https://www.hcch.net/en/instruments/conventions/full-text/?cid=98

[6] Disponibile qui: https://www.hcch.net/en/instruments/conventions/full-text/?cid=78

[7] Disponibile qui:

[8] C. Celniker, “ Singapore Convention on Mediation Enters into Force”, 2020. Disponibile qui: https://www.mofo.com/resources/insights/200912-singapore-convention-on-mediation-enters-into-force.html

[9] Disponibile qui: https://icsid.worldbank.org/sites/default/files/ICSID%20Convention%20English.pdf

[10] Disponibile qui:

[11] J. Chahine, E. Lombardi, D. Lutran, L’impatto della Convenzione di Singapore sulla mediazione commerciale internazionale, 2020.

[12]   T. Schnabel,  “The  Singapore  Convention  on  Mediation:  A  Framework  for  the  Cross-Border Recognition and Enforcement of Mediated Settlements”, 2019.

[13] Disponibile qui: https://uncitral.un.org/sites/uncitral.un.org/files/media-documents/uncitral/en/annex_ii.pdf

[14] Q. Decleve, “Singapore Convention on Mediation Enters Into Force”, 8 ottobre 2020. Disponibile qui: http://international-litigation-blog.com/singapore-convention-on-mediation-enters-into-force/

[15] Un incentivo rivolto agli Stati per incentivarli alla ratifica, grazie alla possibilità di adattarne l’ambito applicativo che, reso malleabile, consente anche di escludere le controversie intercorrenti tra Stato e investitori.

[16] Tuttavia sorgono non pochino dubbi su questo parallelismo metodologico. L‘ istituto della mediazione, al contrario di quello riguardante l’arbitrato nel 1958, è insolito nei sistemi legali domestici e raramente riconosciuto e regolato come metodo di risoluzione delle dispute.

[17] L. Reed, “Ultima Thule: Prospects for International Commercial Mediation”, 2019. Disponibile qui: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3339788

[18] E. Silvestri, “The Singapore Convention On Mediated Settlement Agreements: A New String To The Bow Of International Mediation?”, 2019.

[19] Pertanto, nella maggior parte degli Stati membri è necessaria l’omologazione dell’accordo per mezzo di un’autorità pubblica comportando la possibilità che quest’ultimo sia influenzato dai Regolamenti europei esistenti ed applicabili al riconoscimento/esecuzione intra-UE.

[20] H. Mehrabi, H. Sheikhattar, “The Singapore Mediation Convention: a promising start, an uncertain future” Disponibile qui: https://leidenlawblog.nl/articles/the-singapore-mediation-convention-a-promising-start-an-uncertain-future

[21] Disponibile qui: http://www.jus.unitn.it/download/gestione/roberto.ceccon/20070508_1156Convenzione%20di%20Ginevra%201927.pdf

[22] Disponibile qui: https://www.coe.int/it/web/conventions/full-list/-/conventions/rms/090000168006b649

[23] Una pratica comune alla maggior parte dei paesi africani, i quali hanno adottato misure per limitare il più possibile le opportunità di arbitrati sugli investimenti favorendo le mediazioni investor-State. Si veda per una panoramica africana sull’argomento: J. Sabet, “Investor-State Arbitration Meets Mediation: Is Mediation the Future of Investor-State Dispute Settlement in Africa?”, 2020. Disponibile qui: http://arbitrationblog.kluwerarbitration.com/2020/10/02/investor-state-arbitration-meets-mediation-is-mediation-the-future-of-investor-state-dispute-settlement-in-africa/

[24] R. Weeramantry, B. Chang, J. Shered-Chow, “Investor-State Arbitration Meets Mediation: Putting Mediation and Conciliation Back into ISDS—The Asian Experience”, 2020. Disponibile qui: http://arbitrationblog.kluwerarbitration.com/2020/10/02/investor-state-arbitration-meets-mediation-putting-mediation-and-conciliation-back-into-isds-the-asian-experience/

[25] L’ultimo Working Paper è disponibile qui: https://icsid.worldbank.org/sites/default/files/WP_4_Vol_1_En.pdf

[26] C. Giannakopoulos, “Investor-State Arbitration Meets Mediation: The View from UNCITRAL”, 2020. Disponibile qui: http://arbitrationblog.kluwerarbitration.com/2020/10/01/investor-state-arbitration-meets-mediation-the-view-from-uncitral/

[27] M. Manukyan, “Investor-State Arbitration Meets Mediation: Fostering Investor-State Mediation – Happiness Comes From Outside And Within”, 2020. Disponibile qui: http://arbitrationblog.kluwerarbitration.com/2020/10/03/investor-state-arbitration-meets-mediation-fostering-investor-state-mediation-happiness-comes-from-outside-and-within/

[28] J. Kalicki, “Mediation of Investor-State Disputes: Revisiting the Prospects”, 2013. Disponibile qui: http://arbitrationblog.kluwerarbitration.com/2013/06/14/mediation-of-investor-state-disputes-revisiting-the-prospects/

[29] Una ragione, invece, per cui le parti scelgono l’arbitrato al posto della conciliazione è il fatto che molti trattati di investimento – ormai datati – richiedano espressamente alle parti di scegliere tra arbitrato o conciliazione, per cui la scelta dell’una precluderebbe il ricorso all’altro.

[30] E. Shirlow, “Investor-State Arbitration Meets Mediation: Potenitial Problems?”, 2020. Disponibile qui: http://arbitrationblog.kluwerarbitration.com/2020/09/30/investor-state-arbitration-meets-mediation-potential-problems/

Stefano Mogavero

e-mail: mogaste@gmail.com

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