venerdì, Aprile 19, 2024
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La peculiare laicità dello Stato italiano

a cura di Eduardo Romagnoli

 

La peculiare laicità dello Stato italiano

 

  1. I tre modelli di stato

 

Al mondo esistono tre modelli di stato: lo Stato teocratico, lo Stato confessionale e lo Stato laico. Il primo, la Teocrazia, dal Greco “theos” (dio) e “kratos” (potere), si caratterizza in quanto sono gli stessi principi fondamentali della religione ufficiale che vanno a formare i precetti normativi dello Stato stesso. Parliamo di ordinamenti dove le stesse norme religiose sono norme dello Stato, e le stesse violazioni dei precetti religiosi sono violazioni ai precetti dello Stato; al mondo ne esistono ormai ben pochi, possiamo ricordare fra questi: L’Arabia Saudita, in cui vige un interpretazione della legge Islamica Sunnita, la Repubblica Islamica dell’Iran, dove si ha un organo religioso che infine concretizza le candidature alla presidenza del paese – anche se le elezioni rimangono sempre a suffragio universale – mentre l’ordinamento giuridico del paese è basato sulla Giurisprudenza Coranica e sulle interpretazioni di Jafarita.

Esistono altri Stati sempre considerabili teocratici ma con ingerenze religiose più lievi, addirittura formali: è il caso del Regno Unito, dove il sovrano è anche un governatore teocratico. Il sovrano del Regno Unito, infatti, ricopre anche il ruolo storico/formale di Capo Supremo della Chiesa anglicana; in realtà quest’ultimo è un potere spirituale sottoposto al potere temporale della Corona inglese, dunque non è propriamente giusto parlare di teocrazia, in quanto non si hanno gli aspetti tipicizzanti del fenomeno, anche se abbiamo un’ingerenza non trascurabile.

Il secondo modello di Stato è lo Stato confessionale, dove si ha una distinzione più o meno evidente tra i due ordinamenti: Stato e religione, che in questo caso è una religione di Stato. Un esempio lampante è l’Italia monarchica, dove si aveva la religione cattolica come religione ufficiale di Stato all’interno dello Statuto Albertino del 1848: esso ex Art. 1 rimarca il concetto di Stato confessionale, promulgando che “La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi”. La determinazione puntuale della sola religione di Stato nella “Religione Cattolica, Apostolica e Romana” rende evidente la situazione de iure di uno Stato profondamente confessionale; si può trovare conferma anche all’interno del nostro Codice Civile attualmente in vigore, emanato “per grazia di Dio e per volontà della nazione”  il 16 marzo 1942, quando ancora era in auge la forma di governo monarchica in Italia.

Il terzo modello di Stato è lo Stato laico: uno Stato equidistante da tutti i fenomeni religiosi, che non sanziona i cittadini, sudditi oppure – sempre citando lo Statuto Albertino ex Art. 24 – “regnicoli”, per la violazione di norme religiose, perché queste ultime non fanno parte dell’ordinamento giuridico.[1]

 

 

  1. Rapporti tra Repubblica italiana e la Santa Sede

 

Il tessuto sociale italiano repubblicano continua ad essere connesso più o meno strettamente a quello ecclesiastico: basti pensare al fatto che ancora oggi – sempre citando l’Art. 1 dello Statuto Albertino – la “Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana” ricopre un ruolo di fondamentale importanza nel garantire i servizi di pubblica assistenza. Solo a Roma lo Stato Pontificio è proprietario di quindici strutture sanitarie; informazione che in linea generale non deve sorprendere in quanto, in passato, il Sistema Sanitario in Italia inteso come oggigiorno non era presente. Già dal 1948 i padri costituenti, introducendo l’Art. 32 della Costituzione, definivano la materia della tutela della salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”:[2] questo diritto viene assicurato “all’individuo” che si trova sul territorio nazionale – dunque non solo al cittadino – e riprende il modus operandi di stampo ecclesiastico, che aveva gettato le basi sia per la tipologia di assistenza al cittadino che per il principio di assistenza verso tutti.

Inoltre, fino all’avvento della Legge 833/1978[3] che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale, l’Italia tentava di garantire questa forma di Stato Sociale – in una declinazione diversa rispetto a quanto teorizzato ex Art. 32 Cost. – tramite il sistema delle Casse Mutue del Lavoro, che non trovavano la loro legittimazione ex Art. 32 della Costituzione ma ex Art. 38. Si aveva una ben specifica tipologia di utenti del servizio che era ristretta in primis, citando l’articolo, a “ogni cittadino” e specificatamente ai lavoratori che: ex Art. 38 comma 2° Cost. “hanno diritto che siano previsti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.[4], “mezzi” garantiti a direzione statale ma attuati nella maggior parte dei casi de facto da strutture sanitarie della Chiesa.

Tornando indietro nel tempo al momento della redazione della Costituzione del ‘48,  i padri costituenti – facendo una scelta totalmente politica – riconobbero il grandissimo servizio offerto dalla Chiesa alla popolazione, la rilevanza culturale di quest’ultima radicata nei futuri cittadini e considerarono che in quel momento – e come vedremo fino al 1978 – lo Stato non aveva le forze economiche e strutturali per garantire un Servizio Sanitario a tutto tondo; decisero quindi di aggiungere alcune clausole all’interno della nostra Costituzione: il riferimento è alla libertà religiosa all’interno del nostro Stato, ex Artt. 7 ss. A livello formalmente di impatto abbiamo nella nostra Carta Costituzionale una divisione delle confessioni: ex Art. 7 Cost. abbiamo un articolo dedicato interamente alla Chiesa Cattolica, mentre le altre confessioni religiose vengono trattate insieme ex Art. 8 Cost. Questa differenziazione non è da intendersi con un rilievo discriminatorio, ma puramente culturale per le motivazioni trattate in precedenza. Ex Art. 7 comma 1° Cost. viene stabilito che: “Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”: questa dicitura rimarca la volontà dello Stato italiano di essere uno Stato laico, insieme alla volontà della Santa Sede di essere riconosciuta e indipendente dallo Stato Italiano, cosa che fino alla promulgazione dei Patti Lateranensi non era stato del tutto possibile pur mantenendo una propria indipendenza.

Le altre religioni ex Art. 8 comma 1° Cost. non vengono mai citate singolarmente ma viene spiegato il loro essere “egualmente libere davanti alla legge”, inoltre al comma 2° del medesimo articolo viene garantita la più larga libertà organizzativa delle singole altre confessioni religiose ponendo il solo limite del contrasto con l’ordinamento giuridico. Questo rende lo Stato indifferente ai fenomeni religiosi: allo Stato non interessa imporre confessioni religiose ma garantire la libertà di ogni cittadino, aspetto reso evidente proprio da questo articolo.

Un’altra evidenza formalmente di impatto è l’utilizzo della lettera maiuscola quando si parla di “Patti Lateranensi” ex Art. 7 comma 2° Cost. invece l’utilizzo della lettera minuscola quando si parla di “intese” tra Stato italiano e le altre confessioni religiose ex Art. 8 comma 2° Cost.; questo aspetto puramente formale della nostra Carta Costituzionale mette in risalto una cosa: la rilevanza secondo l’ordinamento giuridico di certi accordi rispetto ad altri.

Anche se la Costituzione è stata emanata nel 1948, ad oggi il concetto di religione si è evoluto nelle menti dei cittadini non ricoprendo più il ruolo di “oppio dei popoli[5], in quanto chi decide di seguire una confessione religiosa è molto più consapevole rispetto a chi lo decideva in passato; questo cambiamento culturale ha portato nuovamente sulla scacchiera politica il dibattito in materia di relazioni Stato/Vaticano, già accentuato dalle vicende che in passato hanno visto la Santa Sede esprimersi su decisioni politiche del Parlamento italiano.

Caso della Legge concernente le “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza[6], dove il Vaticano ha portato avanti una grande campagna antiabortista nonostante le frecce al suo arco fossero di stampo puramente etico e prive di fondamento scientifico, mentre la medicina aveva già dato una sua risposta favorevole anche in termini di sicurezza per la paziente. Il legislatore, trovandosi in una situazione dove da un lato – quello più progressista – si voleva che nella compilazione della legge ci si affidasse totalmente alla scienza mentre dall’altro – quello più conservatore – si voleva definire una linea etico/cattolica, decise di trovare una situazione di compromesso tra scienza ed etica. Questo ha portato a definire il termine convenzionale dei novanta giorni dal concepimento e, ponendosi il problema etico anche dell’operatore sanitario, a introdurre la possibilità di obiettare, non definendo tuttavia dei limiti al numero di medici obiettori di coscienza. Quest‘ultimo fatto ha portato alla presente drammatica situazione del Servizio Sanitario: in alcune Regioni d’Italia i ginecologi obiettori di coscienza raggiungono il 95% della loro totalità, nonostante la legge obblighi le strutture ospedaliere a prevedere un medico non obiettore per ogni turno[7].

Ai giorni nostri un altro caso che ha scosso l’opinione pubblica, in merito alla possibilità di rivedere i Patti tra Stato italiano e Santa Sede, è il caso della discussione da parte del Parlamento del Disegno Di Legge proposto dal Deputato Alessandro Zan, concernente le “Modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere”. La Santa Sede ha fatto pervenire all’ambasciata Italiana una nota diplomatica, secondo la quale il sopracitato Disegno Di Legge violerebbe il Concordato in quanto “ridurrebbe la libertà garantita alla Chiesa Cattolica” ex Art 2 commi 1° e 3°, fatti smontati da esperti del settore ma, anche citando il Professore ordinario di Diritto Internazionale Enzo Cannizzaro: non si può propriamente parlare di ingerenza della Santa Sede, in quanto ha esercitato un proprio diritto perché la nota verbale è un atto diplomatico “utilizzato continuamente dagli stati”. Infine, il D.D.L. proposto dal Deputato Alessandro Zan non ha superato le votazioni al Senato della Repubblica[8].

 

 

  1. Scuola e Chiesa cattolica

 

Una delle tematiche più lampanti e discusse è la questione della presenza della Chiesa Cattolica all’interno dei luoghi di istruzione del nostro Stato laico, un esempio su tutti è l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche previsto ad oggi ex Art. 118 del R.D. 30 aprile 1924, N. 956 e dal R.D. 26 aprile 1928, N. 1297; entrambe disposizioni relative agli arredi degli ambienti pubblici e delle aule scolastiche, ancora oggi da ritenersi in vigore in quanto non sono mai state abrogate.

Questo dato di fatto ha portato a vicende giudiziarie, tra le quali possiamo ricordare il caso Lautsi del 2009: controversia giuridica tra la cittadina italiana Soile Tuulikki Lautsi contro lo Stato italiano; il caso iniziò quando la madre Soile Lautsi, chiese al consiglio d’istituto della scuola media frequentata dai figli di rimuovere il crocifisso presente nelle aule scolastiche in modo da garantire al genitore la possibilità di insegnare o, non insegnare il proprio credo religioso ai propri figli. La richiesta dopo essere stata rifiutata diventò un vero e proprio caso giudiziario di rilevanza costituzionale, infatti, la madre portò la controversia di fronte al Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, che dichiarandosi “non idoneo a discutere il caso” sollevò una questione di legittimità di fronte alla Corte Costituzionale; la Corte Costituzionale con l’Ordinanza 389 del 2004 dichiarò che la proposta presentata è “sotto ogni profilo, manifestamente inammissibile” in quanto le disposizioni sulle quali si richiedeva una questione di legittimità erano norme regolamentari prive di forza di legge, quindi non di competenza della Corte.

La Corte Costituzionale non entrando nel merito della controversia, rimbalza la richiesta del TAR Veneto[9], il quale a questo punto si esprime sostenendo che il crocifisso nelle classi sia da intendersi come simbolo di identità del nostro popolo e come simbolo di un sistema di valori fra cui la tolleranza religiosa. A questo punto Soile Lautsi, non soddisfatta della risposta ottenuta dal TAR Veneto decide di rivolgersi alla CEDU dove nella sentenza[10] di primo grado pronunciata all’unanimità, la Corte ribaltando completamente la pronuncia del TAR Veneto, si espresse convintamente a favore della tesi della ricorrente, motivando che la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche potrebbe essere interpretata dai giovani studenti come un vero e proprio simbolo religioso non come sosteneva il TAR Veneto: “simbolo di identità del nostro popolo”, questo graverebbe secondo la Corte sul diritto dei genitori di poter educare i propri figli in conformità con le proprie convinzioni religiose.

Il governo italiano annunciò subito il ricorso in appello, la nuova sentenza[11] ribaltò nuovamente il precedente giudizio, all’interno di questa vengono ridefiniti i limiti – in modo meno stringente – entro i quali si può parlare di violazione del diritto dei genitori di educare i propri figli in conformità con le proprie convinzioni[12].

 

  1. Progressivo cambiamento dei rapporti

 

Negli anni, la Chiesa cattolica si è sempre prodigata verso il raggiungimento della sua missione pastorale, prestando anche servizi essenziali come l’opera di molti suoi “dipendenti” – in senso ampio del termine – e di altrettanti volontari al fine di erogare servizi assistenziali e sanitari[13], soprattutto durante il periodo – usando termini giornalistici – della “prima repubblica”, ma ancora oggi come abbiamo visto continua ad avere un ruolo di concreta importanza nel medesimo settore; la differenza oramai è nel modo di pensare delle persone, infatti, se prima la parola della chiesa cattolica era seguita da un bacino più ampio di persone in Italia, con il passare del tempo, questo bacino di fedeli si è ridotto, basti vedere il “Caso Lautsi” che è stato molto discusso proprio perché rende ben visibile la suddivisione degli interessi che intercorrono e si bilanciano tra: Chiesa cattolica, istituzioni statali e cittadini.

Oppure la questione relativa al D.D.L. Zan dove anche il normale intervento da parte della Chiesa cattolica ha portato malcontento tra i cittadini.

Questi fatti esplicano un progressivo cambiamento che in futuro potrebbe portare anche ad una riforma dei trattati Stato italiano/Santa Sede, da intendersi non necessariamente in senso privativo ma anche con possibilità di modifica meno gravosa.

 

Molte sono le possibilità, per definire i confini di una Laicità dello Stato italiano ma prima di arrivare a conclusioni dovremmo sia ricordarci i fatti – come i casi sopra citati – che il ruolo storico e culturale che la Chiesa cattolica ha avuto negli anni, e il suo strettissimo legame con il nostro paese; ad oggi questi fattori portano il nostro ordinamento giuridico ad avere una propria peculiare definizione di Laicità dello Stato nel nostro paese.

 

 

[1]  C. Faralli, Argomenti di teoria del diritto, G. Giappichelli Editore, edizione 2016.

[2] C. Bottari, La tutela della salute: lavori in corso, Giappichelli, edizione 2020, capitolo primo.

[3] L. 23 dicembre 1978 N. 833.

[4] A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto costituzionale, il Mulino, edizione 2020, pagine da 243 a 248.

[5] K. Marx, M. Prospero, G. Della Volpe, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, Editori Riuniti Univ. Press, edizione 2016, nella parte che da definizione alla citazione integrale: “La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. È l’oppio del popolo

[6] L. 22 maggio 1978, N. 194.

[7] A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto costituzionale, il Mulino, edizione 2020, pagina 190.

[8] IL POST, “Le cose da sapere sulle ingerenze del Vaticano sul ddl Zan, in ordine”, giugno 2021, disponibile qui: https://www.ilpost.it/2021/06/23/cose-da-sapere-sulla-storia-delle-ingerenze-del-vaticano-sul-ddl-zan/

[9] Tar Veneto, sentenza n. 1110, 22 marzo 2005: “[…] nell’attuale realtà sociale, il crocifisso debba essere considerato non solo come simbolo di un’evoluzione storica e culturale, e quindi dell’identità del nostro popolo, ma quale simbolo altresì di un sistema di valori di libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato, principi questi che innervano la nostra Carta costituzionale […]”.

[10] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Ricorso n. 30814/06, 27 luglio 2006: “La presenza del crocifisso, […], potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso, ed avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione. […] La Corte non è in grado di comprendere come l’esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo […], L’esposizione obbligatoria di un simbolo di una data confessione in luoghi che sono utilizzati dalle autorità pubbliche […] limita il diritto dei genitori di educare i loro figli in conformità con le proprie convinzioni e il diritto dei bambini di credere o non credere.”.

[11] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Ricorso n. 30814/06, 18 marzo 2011: “[…] La sola affissione del crocifisso nelle aule scolastiche, non accompagnata da insegnamenti obbligatori del cristianesimo né da forme di intolleranza verso gli alunni di religione diversa, non viola il diritto dei genitori di orientare i propri figli verso un’educazione conforme alle proprie convinzioni religiose”.

[12] A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto costituzionale, il Mulino, edizione 2020, pagine da 231 a 235.

[13] C. Bottari, La tutela della salute: lavori in corso, Giappichelli, edizione 2020, introduzione alla parte prima.

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