La persistenza del consenso durante il rapporto sessuale alla luce di una recente sentenza della Corte di Cassazione
A cura di Martina Cicalo
È recente la pronuncia della Corte di Cassazione in materia di violenza sessuale, la quale con motivazione logica e immune da contraddizioni o vizi di manifesta illogicità, ha giustificato il diniego valutando la obiettiva gravità dei fatti, sottolineando la grave compromissione alla libertà sessuale della persona offesa.
Rispetto ad una tematica mostratasi per alcuni versi controversa e articolata, la corte di Cassazione è intervenuta dando completa e convincente risposta nello sviluppo delle argomentazioni che hanno portato a sostenere quanto segue. Asserendo che, anche se inizialmente prestato, il consenso può diventare invalido se, durante l’atto, emergono circostanze che privano una delle parti della capacità di esprimerlo liberamente. Tale consenso deve permanere durante l’intera durata del rapporto, potendo essere revocato in qualunque momento, anche nelle ultime fasi dell’atto sessuale.
Afferma la Corte che: “Una conclusione del rapporto sessuale, magari inizialmente voluto – ma proseguito con modalità sgradite o non accettate dal partner, rientra a pieno titolo nel reato di violenza sessuale.”
Prosegue la stessa dichiarando che: “ L’eventuale sopravvenuto dissenso non solo integra il reato, ma preclude, in presenza delle altre condizioni di legge, il riconoscimento dell’attenuante della minore gravità del fatto.”
Pur accedendo alla tesi difensiva secondo la quale inizialmente la persona offesa avrebbe manifestato la volontà di scambiarsi effusioni, tale consenso sarebbe dovuto persistere durante tutto il corso del rapporto, facendo corretta applicazione dell’insegnamento della Corte secondo la quale: “ in tema di reati contro la libertà sessuale, nei rapporti fra maggiorenni, il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di cui all’art. 609 bis cod. pen. la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga “in itinere” una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà.”
Allorché ne discende che il consenso non è sufficiente quando quest’ultimo si trasformi in atto violento, consumando il rapporto con forme e modalità non volute dalla persona offesa. Senonché ai fini della configurabilità del delitto in esame, non occorre che la violenza si espliciti con forma o veemenza particolare, ovvero in modo brutale a aggressivo, potendo manifestarsi anche come sopraffazione funzionale e limitata alla pretesa dell’atto sessuale.
Sul punto deve confermarsi la costante giurisprudenza in tema di reati sessuali, secondo la quale ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 609 bis Cod. Pen. “non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma che tale volontà risulti coartata dalla condotta dell’agente.”
“Né – prosegue – è necessario che l’uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall’inizio sino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione – angoscia – o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta.”
Tale giudizio, volto a chiarire siffatta tematica giuridica con esauriente motivazione, non può che essere considerato dato di enorme rilievo.
[1] Cass. Pen. Sez. III n. 9221 del 2016
[2] Cass. Pen. Sez. III 13/07/22 n. 31766
[3] Cass. Pen. sentenza n. 4199 del 31/01/2024