domenica, Dicembre 1, 2024
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La protezione dei diritti umani: la Corte Europea, Interamericana ed Africana

La tutela dei diritti umani è un argomento tanto delicato quanto attuale e, per certi aspetti, controverso. L’obiettivo di questo articolo è illustrare in modo critico la struttura ed i requisiti di accesso alle tre principali corti regionali del mondo, evidenziandone similarità e differenze.

La Corte forse più familiare ai lettori è la Corte Europea dei Diritti Umani (anche ‘Corte EDU’), disciplinata dalla Convenzione EDU. Meno note sono generalmente la Corte Interamericana dei Diritti Umani ( d’ora in avanti ‘Corte Interamericana’) e la Corte Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli (‘Corte Africana’) benché condividano in linea generale le stesse funzioni ed obiettivi. In particolare, tutte e tre svolgono la generale funzione di interpretazione ed applicazione della Convenzione regionale di riferimento sui diritti umani col fine ultimo di assicurarne un’efficace tutela.

Una prima differenza è che la Corte Africana è l’unica a non essere nata contestualmente alla Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli (‘Carta Africana’) ma più tardi, con un Protocollo addizionale. La scelta può essere legata ad un motivo culturale (la consuetudine dell’area Africana è preferire strumenti di mediazione e conciliazione delle controversie piuttosto che di tipo contenzioso) oppure politico (nel periodo storico di adozione della Carta, molti Stati dell’Organizzazione per l’Unione Africana (OUA) avevano appena riottenuto la propria sovranità e ciò li avrebbe resi – secondo alcuni – poco inclini a rinunciarvi parzialmente a favore di una Corte sovranazionale). Ad ogni modo, nel 1998 l’OUA ha ritenuto opportuno istituire una Corte che andasse a complementare le funzioni di tutela dei diritti di cui alla Carta Africana già esercitate dalla Commissione Africana.

Quanto alla struttura di queste tre corti regionali, leggendo con attenzione gli strumenti che li disciplinano rispettivamente, emerge un’altra differenza: mentre nel sistema interamericana ed africano l’organo giurisdizionale della Corte è affiancato da una Commissionel’ordinamento europeo ha eliminato questa dicotomia con i Protocolli 11 e 14. L’obiettivo era «ristrutturare il meccanismo di controllo istituito dalla Convenzione [EDU, NdR] al fine di conservare e migliorare l’efficacia della salvaguardia dei diritti e delle libertà»[1] ivi riconosciuti. Le cause principali della riforma sono state l’aumento dei ricorsi presentati e l’allargamento del Consiglio d’Europa per la presenza di nuovi Stati parte. Si vedrà che, per lo stesso motivo, sono stati ridefiniti i requisiti di ammissibilità dei ricorsi individuali.

  1. La Corte EDU

Ad ogni modo, tale differenza si riflette nelle modalità di funzionamento delle istituzioni. Nel sistema europeo, laddove si presuma la violazione di un diritto protetto dalla CEDU, il ricorso è ricevuto da un giudice unico, chiamato subito a valutarne la ricevibilità. L’art. 35 ne individua le condizioni: devono essere esauriti i ricorsi interni secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti e comunque entro 6 mesi dalla decisione definitiva; deve essere identificabile il ricorrente e non deve esser identico ad un caso già esaminato in precedenza[2]. Legittimati attivi sono sia gli Stati sia individui o gruppi di persone che affermano di essere vittime di violazioni delle disposizioni della Convenzione.

In caso di ricevibilità, il ricorso viene trasmesso ad un Comitato (di 3 giudici, che si pronuncia perlopiù nei c.d. ricorsi ripetitivi – ossia quelli su cui esiste già una consolidata giurisprudenza) o ad una Camera (di 7). Essa, al contrario, si pronuncia sulla ricevibilità e sul merito sia di un ricorso individuale sia di un ricorso interstatale, salvo che la causa sia già stata definita precedentemente, tentando prima di comporre la controversia amichevolmente. La competenza della Grande Camera (17 giudici) viene in gioco solo ove la questione all’esame della Camera sollevi gravi problemi di interpretazione o la soluzione rischia di creare contrasto con una precedente pronuncia della Corte.

  1. Il sistema Interamericano e quello Africano

Nei sistemi Interamericano ed Africano un ruolo centrale è rivestito dalla Commissione, la quale può essere interpellata da ogni persona o gruppo di persone od enti non-governativi riconosciuti che presentano una petizione contenente denunce o reclami per violazione della Convenzione commesse da uno Stato parte, o da uno Stato parte che presenta una comunicazione del medesimo contenuto (purché lo Stato stesso abbia dichiarato il riconoscimento della competenza in capo alla Commissione e lo Stato contro cui è presentata abbia rivolto la stessa dichiarazione al Segretario Generale, pena l’inammissibilità della comunicazione).

La Commissione esclude l’ammissibilità della petizione o comunicazione alla luce delle condizioni indicate dalla Convenzione di riferimento (rispettivamente Americana ed Africana) e cioè se essa è lacunosa nei fatti che possono stabilire l’avvenuta violazione; è manifestamente inammissibile o è sostanzialmente una riproduzione di una controversia già esaminata dalla Commissione o da altro organismo internazionale[3]. Essendo questi requisiti tipici del diritto internazionale, non sorprende che anche la CEDU li ricalchi quasi pedissequamente.

Se la verifica è positiva, chiede informazioni al Governo dello Stato in questione ed in seguito potrà eventualmente disporre indagini di approfondimento. Naturalmente, il fondamento della petizione o comunicazione deve permanere durante l’intero corso della procedura, altrimenti ne verrà disposta l’archiviazione.

In questa fase, si tenta una composizione amichevole della controversia che, se raggiunta, chiude la decisione mediante la redazione dei fatti del caso e la relativa soluzione. Altrimenti, la Commissione redige un rapporto in cui stila le proprie conclusioni e lo trasmette agli Stati interessati, corredandolo eventualmente di suggerimenti e raccomandazioni.

La Corte interviene generalmente a questo punto ove uno Stato non abbia provveduto conformemente alle raccomandazioni rivoltegli o se rileva la consistente e grave violazione dei diritti umani. Tuttavia, a differenza della Commissione, può essere adita solo da quest’ultima o da uno Stato – mai direttamente da un individuo o gruppo di persone.

Quando pronuncia l’esistenza della violazione, essa dispone con sentenza che alla parte offesa sia assicurato il godimento del diritto leso, ordinando eventualmente anche la riparazione delle conseguenze della violazione. Nei casi di estrema gravità ed urgenza, adotta i provvedimenti necessari ad evitare danno irreparabile alle persone. Di nuovo, queste modalità tipiche delle regole di procedura (nazionali e non) sono previste anche negli altri due strumenti sovranazionali qui analizzati.

È interessante evidenziare che la competenza della Corte si estende a tutti i casi riguardanti l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni della Convenzione Americana che le siano sottoposti, a condizione che gli Stati parti in causa abbiano riconosciuto tale competenza. Tale regola è inserita anche nel Protocollo relativo alla Corte Africana. Questa disposizione determina indubbiamente un indebolimento della protezione dei diritti umani nell’ambito di questi due sistemi, considerando che la Convenzione Americana e la Carta Africana rispettivamente non possono essere usate in seno a procedimenti in cui la presunta violazione sia attribuita ad uno Stato che non ha dichiarato il riconoscimento di competenza della corte sovranazionale. Naturalmente, in quei casi ci si avvarrà di altri strumenti ma resta certo che una tutela piena viene comunque meno.

Ai sensi del recentissimo Protocollo 16 della Convenzione EDU, anche la Corte europea può ricevere “richieste di pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli”; tale competenza è attribuita alla Corte mediante  ratifica del Protocollo (l’Italia, ad esempio, non rientra tra i Paesi che hanno proceduto alla ratificazione)[4].

La procedura di tutela nel contesto africano è, come appena descritto, pressoché identica a quella Interamericana, anche se risulta nel complesso più snella. Una differenza significativa è invece che gli individui possono accedere direttamente alla Corte, ma solo nella eccezionale ipotesi in cui siano cittadini di uno Stato che abbia dichiarato di accettare tale possibilità.

[1] Protocollo 11 alla CEDU, disponibile qui: https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19983313/200606230000/0.101.09.pdf.

[2] Art. 35, CEDU.

[3] Art. 46, Convenzione Americana sui Diritti Umani, disponibile qui: http://ospiti.peacelink.it/cd/docs/1140.pdf.

[4] Protocollo 16 alla CEDU, disponibile qui: https://www.echr.coe.int/Documents/Protocol_16_ITA.pdf.

Margherita Trombetti

Born in Bologna in 1994, she graduated from Alma Mater Studiorum - University of Bologna with a thesis in EU Law on The Consequences of Brexit on Citizenship rights. Currently enrolled in a Master in International and European Union Law (LL.M) at Tilburg University. Writing on legal issues and topics is one of the ways through which she expresses her dedication to International and EU Law.  Besides, she is VP in the traineeships area of the ELSA Bologna team and constantly looks for new stimulating challenges. Her project is to become a EU Law experts, with a focus on environmental law and Human Rights. She's always down for a cup of tea and some chocolate, as well as for travelling around Europe with her beloved backpack.

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