venerdì, Aprile 19, 2024
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La protezione giuridica delle opere d’arte create dall’Intelligenza Artificiale

1. L’Intelligenza Artificiale (“IA”) e l’arte

Il progresso scientifico e l’innovazione tecnologica, assieme ai prodotti che ne sono il frutto, lasciano presagire un mutamento (se non addirittura uno stravolgimento) delle nostre condizioni di vita e dell’organizzazione della nostra società.

Con il termine “Industria 4.0” – evocativo di una quarta Rivoluzione Industriale e nato per indicare l’attuale momento storico / economico – ci si riferisce infatti ad un nuovo modello di organizzazione produttiva fondata sull’automazione e sulla interconnettività tecnologica.

Tale nuovo paradigma tecnico – scientifico può essere scomposto in numerosi elementi: per es. intelligenza artificiale (IA), robotizzazione, big data, 3D printing, internet of things, blockchain, cloud computing, ecc.

In particolare, l’Intelligenza Artificiale è quella “disciplina che studia se e in che modo si possano riprodurre i processi mentali più complessi mediante l’uso di un computer. Tale ricerca si sviluppa secondo due percorsi complementari: da un lato l’i. artificiale cerca di avvicinare il funzionamento dei computer (o elaboratori – hardware) alle capacità dell’intelligenza umana, dall’altro usa le simulazioni informatiche per fare ipotesi sui meccanismi utilizzati dalla mente umana.” [1].

Si tratta evidentemente di una scienza ambiziosa, che se da un lato offre tantissime possibilità di applicazione pratica – motivando così senza dubbio l’ottimismo con cui essa viene accolta -, dall’altro solleva anche quesiti di natura filosofica ed etica, basti pensare al tentativo dell’uomo di creare un’ entità dotata di capacità intellettuale distinta da sé.

Lasciando da parte gli interrogativi filosofici ed etici legati a detta disciplina – che nondimeno sono giustificati, in quanto essa potenzialmente pervade ogni campo della vita umana [2] –, l’analisi del presente contributo si concentrerà sulla protezione giuridica delle opere d’arte realizzate tramite strumenti di IA [3].

Dette opere sono realizzate tramite sofisticati software, i quali sono in grado di produrre risultati espressivi ed estetici del tutto simili a quelli di un artista umano. L’uomo può incidere nella fase realizzativa tramite “un addestramento” del software, fornendogli immagini fotografiche, di opere d’arte del passato o altri dati che vengono rielaborati secondo reti neurali il cui ingegnoso funzionamento riecheggia quello che è alla base della immaginazione umana.

L’intervento umano è dunque quello di programmare un artista robot che sia capace di eguagliare i capolavori della pittura, scultura e musica, o, in alternativa, che possa coadiuvare l’artista umano al fine di perfezionare le opere di quest’ultimo [4].

2. La protezione delle opere dell’ingegno tramite il diritto d’autore 

Il diritto d’autore (o copyright, nei paesi di Common Law) conferisce un monopolio esclusivo (salve alcune eccezioni) sullo sfruttamento delle opere dell’ingegno di carattere creativo a vantaggio di chi le abbia realizzate, al fine di incentivare – remunerandola – la creazione di dette opere. Il fine ultimo della protezione è infatti l’aumento di creazioni intellettuali a vantaggio della collettività.

Da questa breve premessa, valida in tutti i paesi membri del WTO e degli accordi TRIPS, sancita già dal primo trattato internazionale in questa materia – la Convenzione di Berna del 1886 – emergono due concetti fondamentali per comprendere le criticità che l’IA pone nel contesto del diritto d’autore: la creatività quale requisito necessario per accedere alla tutela, e l’autore quale primo titolare dei diritti di sfruttamento sull’opera.

Il rapporto tra creatività e autore è evidentemente contiguo, in quanto autore – e dunque titolare ab origine dei diritti sia patrimoniali che morali [5]è colui la cui creatività trova espressione compiuta nell’opera dell’ingegno protetta, senza che sia necessaria alcuna formalità.

2.1. Il carattere creativo dell’opera dell’ingegno e la sua originalità

Per accedere alla protezione del diritto d’autore l’opera deve essere dotata di carattere creativo, nel senso di presentare caratteristiche individuali che rivelino l’apporto di un determinato autore così che la personalità di questo possa intendersi riflessa sulla sua creazione [6].

Il nesso tra l’attività intellettuale dell’autore e l’opera dell’ingegno rende questa originale, nel senso di potersi distinguere obiettivamente dalle altre opere appartenenti allo stesso genere o specie come frutto di un certo intelletto creativo, e giustifica la concessione di un monopolio esclusivo in quanto gli elementi espressivi dell’opera siano connotati in senso soggettivo come riflessi della personalità dell’autore [7].

Inoltre, l’originalità nel suo significato intimamente connesso alla persona dell’autore rende inevitabile che il diritto di autore possa sussistere non sulla realtà oggetto di espressione o rappresentazione, bensì sulla particolare raffigurazione della realtà operata da ciascuna opera [8], secondo la funzione tipicamente comunicativa – rappresentativa delle opere dell’ingegno oggetto di diritto d’autore [9].

Infine, occorre segnalare che dalla valutazione del carattere creativo e originale di un’opera dell’ingegno – che è demandata alla discrezionalità del Giudice – devono restare escluse considerazioni soggettive riguardo al merito artistico o all’apprezzabilità dell’opera, nonché in merito alla liceità di questa.

2.1.1. L’interpretazione giurisprudenziale del concetto di originalità

La necessità di obiettivare il giudizio sulla creatività dell’opera ha condotto la giurisprudenza a delineare i confini di tale requisito, così da farlo coincidere con un livello minimo al di sotto del quale non può essere concessa un’esclusiva.

E’ innanzitutto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha chiarito il significato del requisito di originalità di un’opera dell’ingegno all’interno dell’ordinamento UE, nell’àmbito – in particolare – dell’interpretazione del diritto di riproduzione ex art. 2 della direttiva 2001/29 sulla Società dell’Informazione [10], individuando tale soglia nella circostanza per cui l’opera o una parte di essa costituisca l’espressione della creazione intellettuale dell’autore [11], concetto abbastanza generico che spetta agli interpreti nazionali calibrare sulla realtà.

La CGUE ha infatti dichiarato che “Un atto compiuto nel corso di un procedimento di raccolta dati, consistente nella memorizzazione informatica di un estratto di un’opera tutelata composto da undici parole e nella stampa del medesimo, può rientrare nella nozione di riproduzione parziale ai sensi dell’art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/CE, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, qualora gli elementi in tal modo ripresi siano l’espressione della creazione intellettuale del loro autore, il che dev’essere verificato dal giudice del rinvio.”

La Francia prevede il requisito di originalità quale carattere necessario perché si abbia una “work of the mind” proteggibile. Il test seguito dalle Corti francesi indaga il ricorrere o meno della “imprint of the author’s personality”, espressione che richiama evidentemente la visione tipica di droit d’auteur che ravvisa nell’opera un’ espressione della personalità del suo autore (tramite, ad esempio, scelte artistiche o che comunque siano risultate influenti nel processo realizzativo e che siano a lui riconducibili).

Oltreoceano, anche la Supreme Court degli USA si è occupata di interpretare il requisito dell’“originality”.

Il leading case al riguardo è senz’altro Feist Publications, Inc., v. Rural Telephone Service Co. del 1991 [12], con il quale è stato superato – ai fini di individuare un copyrightable work – il criterio fino a quel momento seguito e basato sul riscontro del c.d. “sweat of the brow” (traducibile in “sudore della fronte”).

Mentre dunque in America fino ad allora si riconosceva un monopolio per lo sfruttamento economico a fronte di uno sforzo concretantesi nella semplice opera di selezione, raccolta e coordinamento di informazioni o dati, con la decisione del 1991 l’originalità ha iniziato ad acquisire un peso maggiore, richiedendo – perché il copyright possa sorgere – la sussistenza di un minimum di espressione creativa (o “spark of creativity”), come ad es. le scelte dell’autore relativamente a quali informazioni selezionare e raccogliere. In Feist, peraltro, tale minimum non fu ritenuto presente, dal momento che l’opera in esame consisteva in un elenco telefonico nel cui riguardo la Supreme Court affermò che “Common sense tells us that 100 uncopyrightable facts do not magically change their status when gathered together in one place. … The key to resolving the tension lies in understanding why facts are not copyrightable: The sine qua non of copyright is originality.”

2.2. L’originalità delle opere tecniche: Software & Database

Vi sono anche talune opere dell’ingegno che, protette dal diritto d’autore, nondimeno appartengono più spiccatamente a settori tecnici e sembrano connotati da una funzione maggiormente utilitaristica piuttosto che estetica o emozionale [13].

Pertanto, anche opere come i programmi per elaboratore o le banche-dati, oggetto di armonizzazione a livello pan-europeo tramite due direttive (direttiva 96/9/CE “relativa alla tutela giuridica delle banche di dati” e direttiva 2009/24/CE “relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore”), necessitano di un quantum minimo di originalità, per rappresentare il risultato della creazione intellettuale del loro autore.

Anche l’esigenza di tutela del software è infatti divenuta sempre più pressante con l’evoluzione del mercato informatico [14]. Il programma per elaboratore, o software, viene dunque preso in considerazione in quanto set di istruzioni espresse tramite un linguaggio comprensibile all’uomo (codice sorgente) o solo alla macchina (codice oggetto), che comandano a questa lo svolgimento di una certa funzione o di una determinata attività, e che conseguentemente devono poter essere interpretate ed eseguite dalla medesima macchina.

In riferimento alla creazione del codice sorgente, in giurisprudenza si è affermato che “la tutela conferita dalla legge d’autore presuppone una creatività semplice, ravvisabile in tutti i casi in cui l’autore abbia operato una scelta discrezionale all’interno di un numero sufficientemente ampio di varianti in cui esprimersi, dovendosi escludere solo le forme necessitate dalla funzione utilitaria o assolutamente banale[15]. Una simile visione è peraltro confermata dalla dottrina, anche straniera [16].

Anche le banche-dati godono di espresso riconoscimento all’interno della legislazione sul diritto d’autore. Esse vengono in considerazione quale “raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo[17], assolvendo così una funzione eminentemente informativa che ne ha giustificato la protezione [18].

La tutela giuridica delle banche-dati si snoda tuttavia tramite i) il diritto d’autore per quelle che costituiscano opera dell’ingegno di carattere creativo, in cui – in particolare – la selezione e la disposizione delle informazioni, dati o opere pre-esistenti sia il risultato di uno sforzo intellettuale creativo dell’autore, e ii) tutela sui generis per una durata di vent’anni per quelle che siano invece il risultato di un mero sforzo di raccolta di materiale pre-esistente [19].

Si precisa che, nel caso sub i), il diritto d’autore non investe il contenuto dell’opera – che può anche essere costituito da opere a loro volta soggette a diritti autorali – quanto la particolare compilazione delle stesse che appaia dotata di creatività in quanto segua criteri di scelta di disposizione delle informazioni contenute non banali né imposti dalla funzione dell’opera stessa. Nel caso sub ii) in merito al diritto sui generis, invece, tale protezione è diretta a premiare gli ingenti investimenti sostenuti per una compilazione che non presenta tuttavia il carattere di originalità nel senso di creazione intellettuale dell’autore (a tal proposito, la direttiva in materia di banche di dati, all’art. 7, precisa che il diritto sui generis investe il contenuto informativo di queste nella misura in cui “il conseguimento, la verifica e la presentazione di tale contenuto” abbia richiesto un investimento rilevante).

3. Alcune possibili soluzioni sulla protezione da conferire alle opere dell’I.A.

L’esigenza di garantire coerenza con il complesso sistema del diritto d’autore rende allora necessario calibrare il requisito di originalità e creatività alle opere artistiche prodotte tramite l’ausilio di I.A..

Ciò richiede in primis di interrogarsi sul ruolo svolto dall’uomo in tale processo, e verificare conseguentemente il tipo di interazione che questo intrattiene con la “macchina creatrice”, al fine di individuare le opere dell’ingegno che siano creative in quanto abbiano implicato uno sforzo intellettuale, da quelle in cui l’uomo è un mero spettatore passivo dell’attività della macchina.

Si ricorda infatti che tale “macchina creatrice” in ultima analisi altro non è che un software programmato dall’uomo tramite la redazione di un codice sorgente e un codice oggetto avvalendosi di un algoritmo.

Il lavoro intellettuale dell’uomo può dunque condurre alla determinazione e all’impostazione di criteri che permettono di ottenere un’opera dell’ingegno tramite il funzionamento della macchina dotata di I.A., la quale concretizzerà un risultato espressivo in virtù dell’input fornitole dall’uomo, il quale può dunque risultare autore dell’opera dell’ingegno ottenuta, e naturalmente (ancora prima) del software programmato in quanto tale (in virtù delle regole specificamente dettate per i programmi per elaboratori ex art. 2.8 e artt. 64 bis ss l. aut..).

In questo modo sembra dunque possibile tracciare un nesso tra l’attività del programmatore e il risultato espressivo ottenuto tramite la macchina, connotando la prima come originale, purché l’opera dell’umano non risulti in criteri unicamente necessitati dalla funzione dell’elaboratore oppure che siano il frutto di regole standard. Deve inoltre escludersi che il diritto d’autore in capo al programmatore sorga sull’opera di I.A. per il semplice fatto che questa sia “derivata” dal software, richiedendosi invece una predeterminazione da parte dell’uomo di input utili all’ottenimento della necessaria creatività e originalità.

Non sembrano potersi porre sul medesimo piano le opere – che pure possono avere un contenuto estetico e suscitare effetti emozionali paragonabili alle opere artistiche frutto dell’ingegno umano – in cui l’intervento dell’uomo non prevede invece alcuna determinazione intellettuale con riguardo al procedimento artistico svolto dalla macchina, restando il suo intervento limitato a quello di un semplice spettatore.

Nondimeno, la circostanza accennata per cui anche simili creazioni possono essere equiparate – quanto a effetti emozionali ed estetici – a quelle umane può rendere necessaria e giustificare una tutela accordata a siffatta tipologia di opere.

Non è semplice individuare quale tipologia di protezione possa essere più adeguata.

Può ipotizzarsi l’assegnazione della qualifica di “autore” alla macchina, la quale, tuttavia, essendo priva di capacità giuridica, non può essere titolare di alcun diritto di utilizzazione economica. Da ciò discenderebbe la titolarità di queste facoltà in capo all’umano che ha programmato la macchina, il quale resta pertanto libero di esercitarli. Al proposito resterebbero tuttavia delle criticità, considerando che tradizionalmente il diritto d’autore viene interpretato nel senso di escludere dalla nozione di “autore” soggetti diversi dalle persone fisiche. Anche ammettendo la possibilità di considerare “autore” una macchina, d’altra parte, ci si dovrebbe poi chiedere se l’umano che è titolare dei diritti in luogo della macchina che manca di capacità giuridica, debba esercitare queste facoltà nell’interesse proprio o in quello del robot.

Un’altra possibilità è quella di configurare il rapporto tra umano e macchina in senso analogo a quello tra datore e lavoratore dipendente, laddove alcune disposizioni speciali investono il primo dei diritti sulle creazioni del secondo. Anche in questo caso può obiettarsi che un lavoratore dipendente è comunque in grado di lasciare un’impronta originale sull’opera dell’ingegno anche se diviene titolare dei diritti il suo datore. Ad ogni modo, riconoscendo in questo modo la specialità del rapporto tra uomo e macchina, potrebbero essere riconosciuti i diritti d’utilizzazione economica a titolo originario in capo all’umano, peraltro in virtù di una specifica disposizione che allo stato non è tuttavia presente.

Ancora, vi è la possibilità di configurare la protezione giuridica su tali opere come un diritto sui generis, similmente a quanto accade per le banche-dati che difettano del requisito della originalità. Questa soluzione ha il pregio di affrontare in maniera molto pragmatica il nodo riguardante la necessità di remunerare gli investimenti che hanno condotto alla realizzazione dello strumento di I.A. in grado di progettare, sviluppare e rappresentare in via autonoma un’opera appartenente alle arti.

4. Conclusione

Il quesito su quale forma di protezione giuridica possa accordarsi alle opere realizzate tramite strumenti di I.A. pone un’indubbia criticità nel campo del diritto d’autore con riguardo alle tradizionali nozioni di autore e di originalità. Nel contesto dell’I.A. l’uomo perde la propria centralità all’interno del processo creativo, assumendo il ruolo di creatore del programma deputato alla realizzazione dell’opera artistica.

Il presente contributo ha spostato l’indagine sull’originalità dell’atto creativo ad un momento antecedente quello della realizzazione dell’opera, ossia al momento della programmazione della macchina dotata di I.A..

La creatività dell’uomo – requisito che si mantiene imprescindibile per attribuire un monopolio esclusivo – viene perciò fatta coincidere con le scelte che il programmatore compie e che coincidono con gli input o stimoli alla base della programmazione del robot, e da cui questo è diretto nella realizzazione dell’opera. In questo modo, sembra che quest’ultima possa ugualmente ritenersi una opera dell’ingegno riconducibile all’intelletto dell’autore/programmatore, il quale sarà così titolare dei diritto d’autore sull’opera.

Per contro, maggiori dubbi permangono con riferimento alla tutela da accordare a quelle opere il cui processo realizzativo non comprenda la selezione e predeterminazione dei dati che risultano determinanti nella creazione da parte della macchina, e in relazione alle quali dunque sembra problematico parlare di originalità. D’altra parte, anche in relazione a quest’ultima tipologia di opere dell’I.A., appare necessaria una soluzione in grado di apprestare ad esse una protezione. Si sono pertanto indicate alcune ipotesi di soluzione che risultano praticabili.

[1] Vedi Enciclopedia Treccani, sub voce Intelligènza Artificiale – http://www.treccani.it/enciclopedia/intelligenza-artificiale/.

[2] Nel dibattito sviluppatosi attorno all’IA è intervenuto anche il celebre cosmologo e scienziato britannico Stephen Hawking, il quale ha tuttavia espresso preoccupazione e timore con riguardo ad essa. In proposito si rimanda a  https://www.bbc.com/news/technology-30290540 e https://www.bbc.com/news/technology-37713629.

[3] Per una panoramica dell’impatto dell’IA sul mercato e settore artistica si rimanda a https://www.ilsole24ore.com/art/arteconomy/2018-04-06/arte-algoritmica-mercato-l-intelligenza-artificiale-cambia-regole–161730.shtml?uuid=AEbdG9TE&refresh_ce=1.

[4] A quest’ultimo proposito si veda, in particolare, https://www.focus.it/tecnologia/digital-life/robotart-la-sfida-degli-artisti-sintetici

[5] Vedi A. Sirotti Gaudenzi, “Proprietà intellettuale e diritto della concorrenza – Vol. I”, 2008, pag. 101. Al proposito M. Ammendola, in “Diritto d’autore, Dig. IV, sez. comm.”, Torino, 1989, IV, pag. 372, afferma che “l’atto creativo rappresenta l’unico modo per acquisire in via originaria non solamente i diritti cosiddetti morali, indissolubilmente legati alla persona dell’autore, ma anche le facoltà ricomprese nel diritto di natura patrimoniale, per se nella disciplina positiva a quest’ultimo specificamente dedicata il vincolo genetico non assume un ruolo altrettanto rilevante”.

[6] P. Auteri in Auteri – Floridia – Mangini – Olivieri – Ricolfi – Romano – Spada,  “Diritto Industriale – Proprietà Intellettuale e Concorrenza”, 2016, pag. 581.

[8] Così, evidentemente, il quadro che raffigura un paesaggio non conferirà all’autore il diritto esclusivo sul paesaggio sottostante al dipinto, bensì unicamente sulla sua rappresentazione compiuta originalmente dal pittore.

[9] Così P. Greco – P. Vercellone, “I diritti sulle opere dell’ingegno”, 1974, pag. 37 ss.

[10] La decisione è C-5/08 – Infopaq International A/S contro Danske Dagblades Forening, del 16 luglio 2009, reperibile al link http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?num=C-5/08.

[11] Dunque anche singole parti di un’opera possono ricevere tutela dal diritto d’autore. Sul carattere originale di un’opera dell’ingegno si rimanda a E. Rosati, “Originality in a work, or work of originality: the effects of the Infopaq decision”, 58 J. Copyright Soc’y U.S.A. 795, 2011, pag. 795 ss.

[12] Feist Publications, Inc., v. Rural Telephone Service Co., 499 U.S. 340 (1991), reperibile al link https://www.law.cornell.edu/copyright/cases/499_US_340.htm

[13] Sulle considerazioni al riguardo si rimanda a P. Auteri, in Auteri – Floridia – Mangini – Olivieri – Ricolfi – Romano – Spada, “Diritto Industriale – Proprietà Intellettuale e Concorrenza”, 2016, pag. 589 ss.

[14] Vedi, ex multis, P. Galli, in L.C. Ubertazzi – P. Marchetti, “Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza”, 2016, pag. 1652, con ulteriori riferimenti.

[15] Così Trib. Milano, 16 febbraio 2012, in Annali Italiani del Diritto d’Autore, della Cultura e dello Spettacolo, 13, pag. 985.

[16] Vedi, in particolare, M. Walter, in Walter – S. von Lewinski, “European Copyright Law”, 2010, pag. 93 ss.

[17] Art. 1.2 della direttiva europea sulle banche di dati e art. 2 n. 9 della legge n. 633/41 sul diritto d’autore.

[18] Al riguardo si rimanda a quanto afferma P. Auteri, in Auteri – Floridia – Mangini – Olivieri – Ricolfi – Romano – Spada,  “Diritto Industriale – Proprietà Intellettuale e Concorrenza”, 2016, pag. 590 ss.

[19] Così, ad esempio, un elenco del telefono disposto per ordine alfabetico – come quello oggetto della sentenza Feist della US Supreme Court (cui si è fatto sub par. 2.1.1.) – pare tutelabile unicamente tramite il diritto sui generis.

Edoardo Badiali

Edoardo, dopo la maturità classica, si è laureato con 110/110 cum laude presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Bologna nel 2016, con tesi in Comparative Copyright Law. Nell'anno 2015/2016 ha conseguito inoltre un LLM in Intellectual Property & Information Law presso il Dickson Poon School of Law del King's College di Londra. Dopo aver collaborato con il dipartimento IP di uno studio legale internazionale, svolge attualmente la pratica forense in uno studio boutique specializzato in Proprietà Industriale e Intellettuale, materie nelle quali ha deciso di focalizzare i propri interessi professionali e di studio. Oltre ad essere appassionato di Intellectual Property, tra i suoi interessi vi sono la musica, leggere e il jogging.

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