venerdì, Marzo 29, 2024
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La regolamentazione delle attività commerciali: evoluzione normativa e giurisprudenziale

piano commerciale

Il Piano Urbanistico non disciplina esclusivamente il “da farsi” in ambito edilizio, ma anche ciò che è necessario ai fini del corretto funzionamento delle attività commerciali, con l’obiettivo di garantirne il corretto funzionamento e la giusta concorrenza.

Dal punto di vista della regolarità amministrativa, sorge, innanzitutto, il problema del rilievo che assumono le valutazioni urbanistiche ai fini del rilascio del titolo per l’esercizio dell’attività commerciale e in secondo luogo, la questione del coordinamento tra lo strumento situato a monte del rilascio dei singoli titoli commerciali (cioè il c.d. piano commerciale) e il piano urbanistico.

L’insediamento degli esercizi commerciali ha un quadro normativo complesso e un po’ farraginoso, iniziato nel 1926 con il Regio Decreto – Legge n. 2174, convertito in legge 18 dicembre 1927, n. 2501 che introduceva un regime autorizzatorio corredato da un sistema di controlli e licenze di polizia a tutela dell’ordine pubblico e dell’ambiente.
Il quadro è stato completamente rivoluzionato dalla Costituzione, la quale ha stabilito il principio fondamentale secondo cui <<l’iniziativa economica privata è libera>>[1]; l’esercizio dell’attività commerciale era dunque “affare privato”, ma solo in linea di principio, poiché il commercio poteva subire limitazioni funzionali sia alla necessità di tutelare interessi pubblici sia di attuare programmi e controlli[2].

Il boom economico[3] rese necessario un intervento di sistema che si concretizzò nella Legge n. 426 del 1971[4]: con essa si toccò il “punto massimo di interventismo pubblico raggiunto in un settore che aveva registrato unicamente un controllo pubblico per finalità di polizia, di sicurezza e di igiene e sanità”[5].

Al fine di ottenere una più razionale evoluzione dell’apparato distributivo, era demandata ai Comuni la “formazione di un piano di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita”, “nel rispetto delle previsioni urbanistiche”.

La legge del 1971 assoggettava l’apertura, l’ampliamento e il trasferimento degli esercizi commerciali ad autorizzazione, la quale avrebbe potuto essere negata solo in caso di contrasto con le disposizioni del piano commerciale e della legge medesima.

Nel 1998, con il Decreto Legislativo. n. 114[6], trova esito un’imperiosa spinta riformatrice. Vi è il superamento del vecchio sistema. Occupa un ruolo fondamentale la Regione, la quale ha la funzione di stabilire indirizzi e criteri in vista della successiva attività comunale.

In seguito alla riforma costituzionale del 2001, con il Decreto Legge n. 223 del 2006[7], il legislatore statale è di nuovo intervenuto al fine di incrementare il livello di tutela della concorrenza anche nel settore del commercio. Ulteriori interventi legislativi erano volti a perseguire l’obiettivo della liberalizzazione, tenendo però in adeguata considerazione le esigenze connesse alla cura di altri interessi pubblici meritevoli, tra cui, quello urbanistico.

Nel 2011 “costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano e dei beni culturali”[8].

Si parla, ormai, di “urbanistica commerciale” e si è capito che, nonostante la possibilità di individuare elementi di limitazione, non può che farsi riferimento al dilagante fenomeno di liberalizzazione.
Infatti, volendo analizzare il più ampio contesto della libertà di iniziativa economica privata, l’attività commerciale “non può reputarsi affrancata da vincoli e dai limiti specifici sanciti dalla normativa urbanistica, ma deve restare ancorata alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui venga esercitata, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l’intera durata del suo svolgimento”[9].

Nel sistema del 1971 i rapporti erano chiari: il piano commerciale doveva essere conforme alle previsioni dei piani urbanistici[10].

Lo strumento urbanistico generale era chiamato a stabilire “le norme per l’insediamento di attività commerciali”, mentre a quello esecutivo competeva la determinazione di “spazi eventualmente riservati ai centri commerciali all’ingrosso e al dettaglio”[11].

Sulla base di queste previsioni era stato affermato il primato del piano urbanistico.[12]
In altre parole, il legislatore del 1971, aveva stabilito uno stretto collegamento tra le due tipologie di pianificazione, urbanistica e commerciale, nel senso che il piano doveva essere conforme allo strumento urbanistico e doveva essere adeguato alle sue eventuali variazioni[13].

Il Decreto Legislativo 114 del ’98 ha tentato di far venire meno il sistema binario formatosi tra le due pianificazioni, mediante la dequalificazione della figura del piano commerciale. In realtà, però, essa è stata “mantenuta in vita” dalle Regioni: portando all’ovvia conseguenza secondo cui le scelte urbanistiche devono essere coordinate con la pianificazione commerciale; il giudice amministrativo ha reputato illegittime le scelte di assetto territoriale assunte  senza considerare quanto stabilito dal piano commerciale alle stesse previgente[14].
Parte della giurisprudenza[15] ha affermato che le previsioni di un piano commerciale devono avvenire ed attuarsi in conformità e comunque in coerenza con le scelte di pianificazione territoriale recate dallo strumento urbanistico disciplinante i vari modi di utilizzo del territorio, inclusi quelli relativi al commercio, di guisa che la disciplina urbanistica deve essere la prima ad essere tenuta in considerazione al fine di valutare l’assentibilità di un’attività commerciale.

D’altro canto, se così non fosse, si arriverebbe ad ammettere una portata innovativa e/o modificativa delle previsioni urbanistiche ad opera di una regolamentazione (quella commerciale) che per principio si pone in posizione recessiva, cioè è subordinata a quella urbanistica e comunque rientra nell’orbita di quest’ultima nel senso che con questa deve necessariamente armonizzarsi.

[1] Articolo 41 della Costituzione:

<< L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. >>.

[2] Articolo 42 della Costituzione.

<< La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.

La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità. >>.

[3]  ORLANDO A., (2003). Il commercio. In CASSESE S., (2000). Trattato di diritto amministrativo – Tomo terzo, Diritto amministrativo speciale – Finanza pubblica e privata, La disciplina dell’economia. Giuffrè Editore, Milano. Pag. 3534 e ss. Offre un’attenta disamina dell’evoluzione normativa in materia di commercio.

 

[4]  Legge 11 giugno 1971, n. 426. Disciplina del commercio.

[5]  Cfr. CINTIOLI F., (2010).  Concorrenza, istituzioni e servizio pubblico. Giuffrè Editore, Milano. Pagg. 93 e ss.

 

[6]  Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114. Riforma della disciplina relativa al settore del commercio.

[7] Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223. Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché  interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 4 luglio 2006.
(Rettifica G.U. n. 159 del 11 luglio 2006).

[8] Articolo 31, comma 2, decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201. Esercizi commerciali. In vigore dal 25 marzo 2012.

<< 1. In materia di esercizi commerciali, all’articolo 3, comma 1, lettera d-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono soppresse le parole: “in via sperimentale” e dopo le parole “dell’esercizio” sono soppresse le seguenti “ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte”.
2. Secondo la disciplina dell’Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012
. >>.

[9]  Sentenza del T.A.R. Campania, Napoli, sezione VIII, del 10 settembre 2010, n. 17398. nonché T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 22 novembre 2001 n. 5007, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 27 gennaio 2003 n. 423, ivi; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 9 agosto 2007 n. 7435, ivi; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 9 settembre 2008 n. 10058, ivi; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 8 giugno 2010 n. 13015, ivi; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 14 settembre 2004 n. 1976, ivi. Muovendo da questa premessa T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 10 settembre 2010 n. 17398 cit. ha stabilito la correttezza dell’operato di un’A.c. che − in virtù del nesso di correlazione-contestualità-presupposizione tra la compatibilità urbanistica dell’immobile e l’autorizzabilità dell’esercizio commerciale − ha considerato non perfezionato il presunto silenzio assenso sull’istanza di apertura di una grande struttura di vendita. Sulla questione v. pure Cons. Stato, Sez. V, 12 luglio 2004 n. 5057, in www.giustizia-amministrativa.it, che ha escluso che l’intervenuta formazione del silenzio assenso sulla domanda di autorizzazione commerciale possa costituire un vincolo nell’esercizio dei poteri di governo del territorio. Interessanti le considerazioni formulate da quel Giudice per giungere alla predetta decisione: “posto […] che l’Ente abbia illegittimamente lasciato che tale silenzio assenso si formasse senza avere controllato la conformità della domanda alla normativa di piano al tempo vigente, tanto va ad incidere, al più, sulla legittimità di tali autorizzazioni e sulla possibilità che le stesse abbiano a formare oggetto di riesame, con le garanzie che sorreggono i provvedimenti di secondo grado, e non già che con il comportamento inerte degli appositi uffici comunali abbia prodotto anche una sorta di abdicazione del Comune all’esercizio di poteri di differente natura. Assume rilievo al riguardo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, dal quale non vi è ragione di discostarsi (Sez. V, n. 380 del 21 aprile 1997 e 418 – 6 aprile 1998), che tiene distinta la natura dell’interesse pubblico nella materia del commercio (la quale implica criteri valutativi differenti da quelli urbanistici, non applicabili al di fuori del settore entro il quale sono stabiliti) da quelli di cui lo stesso Ente è titolare nella materia urbanistico-edilizia. Deve pertanto essere negato in radice che la mancata vigilanza sulla conformità della domanda di autorizzazione commerciale alle norme di piano e l’inerzia dei competenti uffici sulla domanda medesima, si risolva in limitazioni del potere di dare corso alla pianificazione sulla base degli obiettivi prefissi […]. Una tale evenienza è al di fuori da ogni logica, solo che si rifletta sulla natura del provvedimento di autorizzazione commerciale (che è atto di mera gestione), in relazione al potere di pianificazione urbanistica, che inerisce, invece, al governo del territorio. Sussiste fra gli atti di gestione ed i provvedimenti di pianificazione un ordine gerarchico, in forza dei quali i primi non possono porsi in contrasto con i secondi se non a discapito della loro legittimità, sicché neanche è presumibile che le scelte di politica territoriale possano essere vanificate dall’inerzia degli uffici di settore su provvedimenti riguardanti, oltre tutto, una differente categoria di pubblici interessi”.

[10] Articolo 11 legge 11 giugno 1971, n. 426. – Principi generali.

<< Al fine di favorire una più razionale evoluzione dell’apparato distributivo, i comuni procedono alla formazione di un piano di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita, sentito il parere di apposita commissione. Il piano, nel rispetto delle previsioni urbanistiche, tende ad assicurare la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al consumatore e il maggior possibile equilibrio tra installazioni commerciali a posto fisso e la presumibile capacità di domanda della popolazione stabilmente residente e fluttuante, tenuto conto anche delle funzioni svolte dall’ambulantato e da altre forme di distribuzione in uso.  >>.

[11] Articolo 13 legge 11 giugno 1971, n. 426. – Strumenti urbanistici in atto e insediamenti commerciali.

<< Nella formazione e nella revisione dei piani regolatori generali e dei programmi di fabbricazione sono indicate le norme per l’insediamento di attività commerciali e, in particolare, le quantità minime di spazi per parcheggi in funzione delle caratteristiche dei punti di vendita. Nei piani regolatori particolareggiati e nelle lottizzazioni convenzionate sono determinati gli spazi eventualmente riservati ai centri commerciali all’ingrosso e al dettaglio, ivi compresi i mercati rionali, ed ai grandi esercizi di vendita, con superficie superiore ai millecinquecento metri quadrati, esclusi magazzini e depositi. >>.

[12] PORTALURI P.L., (2012). Primauté della pianificazione urbanistica e regolazione delle attività commerciali. Rivista giuridica dell’edilizia, fasc. 6, pag. 233.

[13]  Sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato, del 7 giugno 2005, n. 2928.

[14]  Sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, II Sezione, del 4 maggio 2011, n. 1148. Altresì sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, II Sezione, dell’11 giugno 2009, n. 3971, secondo cui la pianificazione urbanistica e la pianificazione commerciale devono essere coordinate, con la conseguenza che è illegittima per violazione di questo principio una “variante urbanistica contenente una modifica della disciplina commerciale, senza tuttavia alcuna attività istruttoria in merito alla realtà commerciale né agli aspetti urbanistici connessi alla struttura di vendita oggetto della disposizione”.

[15] Sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato, del 17 ottobre 2012, n. 5343.

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