giovedì, Marzo 28, 2024
Litigo Ergo Sum

La responsabilità civile dei magistrati: la Consulta “salva” la l. 18/2015

Dopo l’entrata in vigore della l. 18 del 2015 che ha introdotto disposizioni atte a modificare la disciplina della responsabilità civile dello Stato e dei magistrati così come enucleabile dalla precedente l. 117/1988, nota come legge Vassalli[1], vari tribunali italiani hanno dubitato della legittimità costituzionale di talune norme della novella ed hanno rimesso gli atti alla Consulta per un intervento chiarificatore.

La prima questione, in ordine cronologico, è stata posta dal Tribunale di Treviso con un’ordinanza dell’8 maggio 2015 emessa nell’ambito di un giudizio penale nei confronti di un soggetto imputato di illegale detenzione di un ingente quantitativo di tabacchi lavorati esteri. Il giudice rimettente evidenziava che il tema essenziale di prova era stabilire se l’imputato fosse consapevole della presenza del tabacco in un magazzino di cui aveva la disponibilità. Di qui, la relativa valutazione, in difetto di prove dirette, necessariamente doveva ancorarsi ad elementi indiziari e, dunque, appariva particolarmente “difficile e rischiosa”.

Situazione d’incertezza, questa, che appariva ulteriormente vulnerata dalle modifiche apportate dalla l. 18/2015 alla previgente l. 117/1988 che, esponendo i magistrati a possibili ipotesi di responsabilità civile anche per effetto della valutazione di fatti e prove, li privava della necessaria serenità di giudizio e li spingeva “per forza di cose”  verso la decisione meno rischiosa, ordinariamente coincidente con l’assoluzione dell’accusato.

L’intervento riformatore del 2015 apriva le porte alla così detta “giurisprudenza difensiva”. Di talché , il giudice rimettente ha sospettato che la complessiva disciplina normativa della responsabilità dei magistrati fosse incostituzionale per violazione degli articoli 3, 25, 101, 104 e 113 della Carta Fondamentale.

Poco dopo, precisamente il 12 maggio 2015, anche il Tribunale di Verona si è inserito nella medesima scia, così come il Tribunale di Catania[2] e il Tribunale di Enna[3]. Al di là delle questioni pendenti innanzi ai giudici a quo, ciò che si lamentava era l’idoneità delle modifiche, intervenute con la novella del 2015 al plesso normativo previgente, a frustrare l’indispensabile serenità di giudizio dei magistrati. In particolare si censurava il nuovo 3° comma dell’art. 2, laddove figuarava tra le ipotesi di colpa grave anche il “travisamento del fatto e delle prove” in aggiunta e non in sostituzione dell’errore di fatto revocatorio, lamentandosi in più l’indebolimento della “clausola di salvaguardia”, di quel principio per cui giammai può generare responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto o la valutazione del fatto e delle prove, ora anticipato dall’inciso “fatti salvi i commi 3 e 3bis”. I giudici, dunque, rimarcando la complessità della decisioni pendenti, paventavano che l’esercizio della loro funzione decisoria cui, peraltro, appariva consustanziale l’attività di interpretazione di norme di diritto e la valutazione del fatto e delle prove poteva esporli al rischio di un’azione di responsabilità. Hanno pertanto trasmesso gli atti alla Consulta ipotizzando la violazione degli articoli 101, 104, 107 e 134 della Costituzione.

Infine, con ordinanza del 10 maggio 2016, anche il Tribunale di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale della normativa in esame, per il suo asserito contrasto con gli articoli 3, 25, 101, 104 e 111 della Costituzione.

Si badi preliminarmente che questo è l’unico caso in cui il giudizio a quo aveva ad oggetto una causa civile risarcitoria promossa ai sensi della legge sulla responsabilità civile dello Stato e dei magistrati, occasionata dalla dichiarazione di fallimento di una società in accomandita semplice e del suo socio illimitatamente responsabile senza che costui avesse ricevuto un valido avviso dell’udienza in esito alla quale fu appunto pronunciato il  fallimento. I componenti del collegio, a differenza di tutti gli altri giudici di cui si è detto, non hanno paventato la loro possibile responsabilità personale ma hanno invece ipotizzato che l’abolizione del filtro preliminare di ammissibilità, da essi stessi ritenuta estensibile anche alle domande inerenti presunti illeciti verificatisi prima della riforma, fosse in contrasto con l’articolo 111 della Costituzione. in tema di giusto processo.

Su tutte le predette questioni, la Consulta, dopo avere riunito i relativi giudizi, si è pronunciata con la sentenza 164, decisa all’udienza del 3 aprile 2017, la cui motivazione è stata pubblicata lo scorso 12 luglio. Il giudice delle leggi ha anzitutto, in accoglimento di un’eccezione proposta dall’Avvocatura dello Stato, dichiarato inammissibili le questioni sollevate dai Tribunale di Treviso, Verona, Enna e Catania, poiché sono state sollevate “a prescindere da qualsiasi considerazione circa una loro diretta incidenza sullo statuto di autonomia e di indipendenza dei magistrati, tale da condizionare strutturalmente e funzionalmente lo ius dicere, ma facendo esclusivo riferimento alle sue modalità di esercizio[4]. Melius re perpensa, non rileva che “tali modalità possano costituire elementi variamente perturbatori della condizione psicologica di questo o quel magistrato, secondo i principi, del resto, costantemente ribaditi – sia prima sia dopo la sentenza n. 18 del 1989 – dalla giurisprudenza di questa Corte. Si è escluso, infatti, che potesse strutturare il nesso di pregiudizialità, richiesto ai fini di rendere rilevante la questione, il mero richiamo del giudice a quo al turbamento psicologico e della propria serenità di giudizio prodotto dall’applicazione dei «ferri di sicurezza» nelle operazioni di traduzione degli imputati detenuti, «non potendosi ovviamente qualificare per tale una soggettiva situazione psicologica come quella allegata dal giudicante che, oltre tutto, deriva da norme assolutamente estranee all’oggetto del processo principale» (sentenza n. 147 del 1974). Allo stesso modo, si è pure escluso che potessero considerarsi rilevanti, in un qualsiasi giudizio di competenza della Corte dei conti, questioni volte a denunciare l’asserita menomazione della serenità e autonomia di giudizio dei magistrati di detta Corte derivante dal carattere, in assunto, «troppo latamente discrezionale» dei poteri riconosciuti al Presidente della Corte stessa in materia di assegnazione di funzioni e promozioni: le doglianze attenevano, infatti, a disposizioni che non dovevano essere applicate dal giudice rimettente, riflettendo «violazioni solo potenziali ma non attuali delle garanzie costituzionali» (sentenza n. 19 del 1978)”.

La Corte, poi, esaminando la questione posta dal Tribunale di Genova, dopo avere respinto un’eccezione di inammissibilità posta dall’Avvocatura dello Stato, ha sottolineato, in primis, l’incidenza della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea che ha più volte rimarcato “l’obbligo degli Stati membri di riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario (ora, dell’Unione europea) commesse da organi giurisdizionali nazionali (anche di ultimo grado): principi con i quali alcune delle limitazioni previste dalla legge n. 117 del 1988 sono state ritenute incompatibili (Corte di giustizia, grande sezione, sentenza 13 giugno 2006, in causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo spa), tanto da dar luogo all’apertura di una procedura di infrazione, decisa in senso sfavorevole per il nostro Paese (Corte di giustizia, sentenza 24 novembre 2011, in causa C-379/10, Commissione europea contro Repubblica italiana)”.

Di talché “l’affermazione di tali principi − pur se non immediatamente e specificamente pretensivi dell’abolizione del cosiddetto “filtro di ammissibilità” contemplato dall’articolo 5 della legge n. 117 del 1988 – ha rappresentato un considerevole mutamento del quadro normativo di riferimento in tema di responsabilità civile dello Stato e del giudice, finendo inevitabilmente per ispirare e permeare l’intervento riformatore, sul punto, della legge n. 18 del 2015. Al riguardo, il legislatore ha ritenuto che, per un verso, l’azione di responsabilità nei confronti dello Stato per i danni conseguenti ad un provvedimento giudiziario non si collocasse in una condizione di equivalenza rispetto alle azioni risarcitorie nei confronti dello Stato in altre materie che non prevedono un simile “filtro” e, per altro verso, che l’esperienza applicativa della legge n. 117 del 1988, arrestando le azioni di danno contro lo Stato in larghissima misura nella fase della delibazione preliminare, non avesse garantito l’effettività del risarcimento per il cittadino danneggiato. È appena il caso di sottolineare, al proposito, che l’intervento riformatore non era evidentemente limitabile alle sole violazioni del diritto europeo, se non al prezzo di determinare una irragionevole disparità di trattamento rispetto alle violazioni delle norme del diritto nazionale che fossero all’origine, anch’esse, di danno per il cittadino”. Infine, la Corte – dopo aver sottolineato la delicatezza della materia che per ciò impone una soluzione tale da tutelare i contrapposti interessi, da un lato il diritto del soggetto ingiustamente leso da un provvedimento giudiziario ad ottenere il ristoro del pregiudizio patito e, dall’altro, la salvaguardia delle funzioni giudiziarie da possibili condizionamenti, a tutela dell’indipendenza e dell’imparzialità della magistratura – icasticamente ha concluso che “in tale cornice di rinnovato bilanciamento normativo − i cui termini sono rimessi alla discrezionalità del legislatore, nei limiti della ragionevolezza − si colloca la scelta legislativa di abolizione del cosiddetto “filtro di ammissibilità”, ritenuta funzionale al nuovo impianto normativo, specie se riguardata alla luce dei già ricordati principi affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

Non è costituzionalmente necessario, infatti, che, per bilanciare i contrapposti interessi di cui si è detto, sia prevista una delibazione preliminare dell’ammissibilità della domanda contro lo Stato, quale strumento indefettibile di protezione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Tale esigenza può essere infatti soddisfatta dal legislatore per altra via: ciò è quanto accaduto con la legge n. 18 del 2015, per un verso mediante il mantenimento del divieto dell’azione diretta contro il magistrato e con la netta separazione dei due ambiti di responsabilità, dello Stato e del giudice; per un altro, con la previsione di presupposti autonomi e più restrittivi per la responsabilità del singolo magistrato, attivabile, in via di rivalsa, solo se e dopo che lo Stato sia rimasto soccombente nel giudizio di danno; per un altro ancora, tramite il mantenimento di un limite della misura della rivalsa. Tanto vale a stornare il paventato pericolo che l’abolizione del meccanismo processuale in esame determini un pregiudizio alla «serenità del giudice» come pure la temuta deriva verso una «giurisprudenza difensiva», ipotesi, questa, che evidentemente oblitera l’elevato magistero proprio di ogni funzione giurisdizionale”.

[1] Per una completa disamina sulle modifiche introdotte dalla novella del 2015 si v., P. DI GUIDA, Ero in carcere, ero innocente!, in Ius in Itinere, 29-01-2017.

[2] V., Trib. Catania, ord., 6 febbraio 2016.

[3] V., Trib. Enna, ord., 25 febbraio 2016.

[4] Cfr., Corte Costituzionale, Sent., n. 164/2017.

Elena Ficociello

Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l'istituto "P. Giannone" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l'opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all'incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema "La responsabilità civile dei magistrati". Nell'estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time "Corso Robert Shuman" sulla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre. Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi. È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse. Contatti: elena.ficociello@iusinitinere.it

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