venerdì, Marzo 29, 2024
Uncategorized

La responsabilità civile del magistrato per fatto costituente reato

La disciplina della responsabilità civile del magistrato per fatto costituente reato si trova ospitata all’interno dell’art. 13 della l. 117/1988, così come modificata dalla novella 18/2015. Al primo comma della disposizione in commento le conseguenze risarcitorie del reato commesso dal magistrato si riconducono alle “norme ordinarie”, di talché il contenuto precettivo della disposizione può apprezzarsi nell’espressa sottrazione della fattispecie allo speciale statuto di disciplina di cui alla l. 117/1988. Più in particolare, la disposizione de qua assoggetta alle norme ordinare l’azione civile per il risarcimento del danno da reato e il suo esercizio, così facendo applicazione dei principi generali in materia di responsabilità civile desumibili dagli artt. 185 c.p. e 2043 c.c., disponendo nel senso della piena responsabilità del magistrato in caso di violazione del “fondamentalissimo neminem laedere[1]. Per rafforzarne le possibilità di soddisfazione patrimoniale, alle stesse regole è sottoposta l’azione nei confronti dello Stato, al quale viene estesa l’obbligazione risarcitoria, di fatti, al 1° comma dell’art. 13 si legge che “chi ha subito un danno in conseguenza di un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni ha diritto al risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato. In tal caso l’azione civile per il risarcimento del danno ed il suo esercizio anche nei confronti dello Stato come responsabile civile sono regolati dalle norme ordinarie”. Inoltre, il 2° comma riconduce l’azione di regresso dello Stato nei confronti del magistrato alla disciplina vigente per i pubblici dipendenti diversificando la fattispecie rispetto alle previsioni dettate dall’art. 7 (l. 117/1988) per il giudizio di rivalsa. Il legislatore del 2015 ha, poi, introdotto un comma 2° bis a tenore del quale il mancato esercizio di quest’ultima azione è fonte di responsabilità contabile per lo Stato stesso.

Evidentemente emerge che l’impianto dell’art. 13 non è stato oggetto di modifiche sostanziali in conseguenza dell’intervento riformatore del 2015, tuttavia la revisione complessiva del plesso normativo di riferimento consente di ripensare i profili di concreta applicazione di una norma che, negli anni, non pare abbia ricevuto particolare attenzione da parte della dottrina e di ripercorrerne, con consapevolezza rinnovata, i principali nodi problematici collocandoli in un contesto normativo profondamente diverso da quello che l’ha originata.

In questo quadro e in via preliminare, va fatto cenno alla portata innovativa rispetto al sistema previgente della previsione del diritto di azione nei confronti dello Stato e non solo del magistrato autore del reato. Disposizione di garanzia questa, dal momento che abilita il danneggiato ad agire anche nei confronti di un soggetto terzo, lo Stato, che, evidentemente, offre maggiori garanzie di solvibilità anche e soprattutto a fronte della commissione dell’illecito più grave previsto dall’ordinamento, quale quello penale.

Se, viceversa, si fosse rinviato puramente e semplicemente alle “norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti” come previsto al 2° comma per l’azione di regresso dello Stato, ciò avrebbe significato esporre la vittima ai numerosi distinguo che emergono in punto di applicazione del combinato disposto degli artt. 28 Cost., e 22, d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3[2], conducendo così ad un depauperamento delle garanzie patrimoniali del soggetto leso. La previsione enucleabile dall’art. 13 per cui viene garantito il diritto del danneggiato ad agire anche nei confronti dello Stato per il risarcimento del danno da reato esclude, dunque, in via generale il rilievo dell’integrità del rapporto di servizio, dell’occasionalità necessaria, come pure della natura delle finalità perseguite dal reo.

In questo senso si reputa “irrilevante a fini risarcitori, l’indagine sulla sussistenza o meno di un vincolo di necessaria occasionalità con l’esercizio della funzione giurisdizionale in senso stretto, potendosi configurare un’azione di responsabilità per un fatto che tragga origine esclusivamente da un comportamento o da un atto del magistrato[3], in più, “la responsabilità dello Stato, ai sensi dell’art. 13, 1° comma, l. 117/1988, per i danni conseguenti a fatti costituenti reato commessi dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni ed accertati dal giudice penale non è esclusa dalla circostanza che il comportamento del magistrato non sia diretto al conseguimento dei fini istituzionali, ma mosso da motivi personali ed egoistici, quanto l’atto stesso, indipendentemente dalla sua concreta rispondenza o meno alle esigenze di giustizia, sia comunque collegato all’espletamento della funzione giudiziaria, inserendosi nell’ambito di un procedimento quale forza di trattazione dello stesso[4].

Seguendo tale itinerario, oltre a fornire un indubbio contributo di chiarezza, si introduce uno statuto speciale della responsabilità pubblica che finisce col differire dal regime ordinario delineato dal d.p.r. 3/1957 e trova il suo fondamento nella norma stessa e nei suoi presupposti applicativi, costituiti, sotto il profilo soggettivo dalla qualità del reo – appartenente “alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali” o anche “estraneo” che partecipi “all’esercizio della funzione giudiziaria” – e sotto quello oggettivo dalla contestualità del reato con l’esercizio di “attività giudiziaria”.

Sicuramente il nodo più problematico nell’opera di ricostruzione delle “norme ordinarie” richiamate dall’art. 13 riguarda i rapporti tra azione civile e processo penale, la cui disciplina ha subito consistenti modifiche per effetto della riforma del codice di procedura penale in vigore dal 24 ottobre 1989[5].

Com’è noto, il sistema di rigida interferenza tra processo penale e processo civile, con evidente prevalenza del primo sul secondo, crolla con la riforma del 1989 che, superando il “dogma della coerenza di un sistema processuale unitariamente inteso[6] e “ancorato all’assioma della pregiudiziale penale”, dispone nel senso di una tendenziale autonomia tra le due sedi di tutela. Sul versante processuale, il consolidarsi del principio di “parità delle giurisdizioni[7] comporta il triplice corollario dell’autonomia del giudizio civile rispetto a quello penale, della prosecuzione parallela dei due e dell’obbligo del giudice civile di accertare autonomamente i fatti di causa, anche ove siano oggetto della cognizione del giudice penale; così finanche la possibilità “di giudicati contrastanti in relazione al medesimo fatto, ai diversi effetti civili e penali, costituisce evenienza da considerarsi ormai fisiologica[8].

Tuttavia, nell’avvicendarsi dei “due codici”, l’orientamento giurisprudenziale formatosi in materia di responsabilità civile del magistrato per fatto costituente reato si pone in rapporto di netta specialità con l’evoluzione del sistema. Difatti, detto orientamento ha ritenuto l’art. 13 sostanzialmente riproduttivo della disciplina previgente e, pertanto, ha sostenuto che l’azione ivi contemplata necessiti della previa “costituzione di parte civile nel processo penale eventualmente instaurato a carico del magistrato, ovvero una sentenza penale di condanna del medesimo, passata in giudicato”[9]. Ciò perché, in difetto di tali necessarie condizioni, la deroga al regime speciale prescritto dagli artt. 2, 4 e 5 (norma quest’ultima abrogata dalla novella del 2015) della l. 117/1988, “vanificherebbe le finalità perseguite con il controllo di ammissibilità, in quanto si affiderebbe alla mera prospettazione del soggetto in tesi danneggiato l’effetto di autorizzare il contraddittorio immediato e diretto con il magistrato, così eludendo un istituto di garanzia approntato a difesa della funzione giurisdizionale[10] tra l’altro “nel caso più grave e patologico, cioè quello in cui si assuma l’esistenza del comportamento doloso del giudice”. In buona sostanza, ad opinare diversamente, il sistema troverebbe il suo limite operativo proprio “nell’esatto momento in cui la sua operatività avrebbe potuto raggiungere il massimo grado di pregnanza e ragionevolezza[11].

Evidentemente, simili conclusioni, si pongono in una posizione di netta specialità rispetto al contesto ordinamentale complessivo, laddove l’accertamento pregiudiziale del reato costituisce ipotesi eccezionale fondata su una previsione normativa che disponga chiaramente in tal senso[12]. Tale previsione sicuramente non può rinvenirsi nel corpo della disposizione di cui all’art. 13, l. 117/1988, laddove si richiamano semplicemente le “norme ordinarie” vigenti in materia; tuttavia in ragione della specialità della materia in discussione e del rispetto dovuto al principio costituzionale di indipendenza e autonomia della magistratura, l’orientamento giurisprudenziale consolidato appare ragionevole, seppur in difetto di un dato letterale o sistematico che lo conforti, potendo giovare di un sicuro fondamento nella ratio e nella funzione della legislazione in materia di responsabilità del magistrato e nei valori costituzionali che mira ad attuare.

Imporre, sia pure praeter legem, questa singolare pregiudizialità penale da sistema, finisce per costituire l’unico argine certo all’uso distorto del diritto d’azione.

[1] Cfr., CAPPONI, sub art. 13, in PICARDI e VACCARELLA (a cura di), La responsabilità civile dello Stato giudice, (commentario alla legge 13 aprile 1988, n. 117, in tema di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), Padova, 1990.

[2] Ex art. 22 del d.p.r 3/1957, l’azione di risarcimento avverso il dipendente pubblico che abbia cagionato ad altri un danno ingiusto “può essere esercitata congiuntamente con l’azione diretta nei confronti dell’amministrazione qualora, in base alle norme e ai principi vigenti dell’ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato”.

[3] Così, Cass., 3 gennaio 2014, n. 41.

[4] Cass., 24 novembre 2000, n. 15192.

[5] Operata con il d.p.r. 22 settembre 1988, n. 447.

[6] VERDE, Diritto processuale civile, II, Processo di cognizione, IV ed, Bologna, 2015.

[7] C. Cost., 11 luglio 2003, n. 233.

[8] C. Cost., 11 luglio 2003, n. 233.

[9] Cass., Sez. Un., 27 dicembre 1990, n. 12170; Cass., 16 novembre 2006, n. 24387.

[10] Cass., 16 novembre 2006, n. 24387.

[11] Trib. Firenze, 23 febbraio 1990.

[12] Si pensi, a titolo esemplificativo, all’art. 17 , co. 30° ter, l. 102/2009, all’interno del quale si stabilisce che l’azione per il risarcimento del danno all’immagine dello Stato può essere esperita dal p.m. presso la Corte dei Conti solo in relazione a fatti costituenti delitti contro la pubblica amministrazione, accertati con sentenza passata in giudicato.

Elena Ficociello

Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l'istituto "P. Giannone" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l'opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all'incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema "La responsabilità civile dei magistrati". Nell'estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time "Corso Robert Shuman" sulla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre. Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi. È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse. Contatti: elena.ficociello@iusinitinere.it

Lascia un commento