giovedì, Marzo 28, 2024
Di Robusta Costituzione

La reviviscenza del giudizio di eguaglianza-ragionevolezza nel controllo di costituzionalità sulla misura della pena

La reviviscenza del giudizio di eguaglianza-ragionevolezza nel controllo di costituzionalità sulla misura della pena (nota a Corte cost., sentenza n. 114/2021)

1 Introduzione

A seguito del carattere innovativo della importantissima sentenza n. 236/2016[1], il controllo della Corte costituzionale sulle scelte di dosimetria sanzionatoria compiute dal legislatore pareva ormai instradato sulla via delle “rime possibili”[2]. L’orientamento in esame, caratterizzato da una inedita incisività nel sindacato di costituzionalità sulla misura della pena, risulta particolarmente interessante per un duplice aspetto.

Il primo ha a che fare con la ricerca di un dialogo fra la Consulta ed il Parlamento, nel momento in cui la prima annulla e ridetermina il quantum sanzionatorio assegnato ad un reato dal legislatore. Dialogo, questo, che si caratterizza per la natura transitoria delle opzioni ermeneutiche compiute dal giudice delle leggi, vera innovazione rispetto al passato. E’ quanto accaduto, ad esempio, con la già citata sentenza n. 236/2016, che ha sostituito la cornice edittale di cui all’art. 567, co. 2 cod. pen. (da cinque a quindici anni di reclusione) con il delta sanzionatorio di cui al co. 1 della succitata norma, per colmare – in via transitoria – il vuoto così venutosi a creare. Affermava la stessa Corte costituzionale, nei passaggi motivazionali più salienti ed innovativi di quella pronuncia, che ben potrà intervenire “un auspicabile intervento del legislatore, che riconsideri funditus, ma complessivamente, il settore dei delitti in esame[3], ivi compresa un’eventuale rideterminazione in via legislativa della cornice edittale sostituita.

Il secondo (e, in questa sede, più importante) aspetto di novità ha a che fare con il quomodo, e cioè con la modalità con cui la Corte ravvisa la sproporzione fra pena e reato. Conviene qui, brevemente, ripercorrere la svolta epocale segnata dalla sentenza del 2016. A lungo, il sindacato della Corte sulla misura della pena è stato segnato da un particolare timore reverenziale al cospetto della discrezionalità legislativa, giusta quanto disposto dall’art. 25, co. 2, Cost in tema di legalità delle pene e dei reati. A lungo, la Corte ha ritenuto di poter emendare irragionevolezze sanzionatorie presenti nell’ordinamento solo laddove il vuoto, conseguente alla declaratoria d’illegittimità, si sarebbe potuto colmare con un’unica soluzione costituzionalmente compatibile[4]. Ciò che però rileva ai fini della presente trattazione è il “vecchio” schema di ragionamento adottato dalla Consulta, in molteplici occasioni, per apprezzare irragionevolezze sanzionatorie presenti nell’ordinamento, e cioè quello che è stato definito dalla dottrina il “monopolizzante schema triadico[5].

Tale giudizio di eguaglianza-ragionevolezza, imperniato sull’art. 3, co. 1, Cost., mira ad evidenziare una dimensione, per così dire, “estrinseca” delle irragionevolezze sanzionatorie. A differenza del metro di giudizio impiegato dalla più recente giurisprudenza costituzionale in tema di dosimetria sanzionatoria, basato su una valutazione intrinseca del rapporto di sproporzione fra misura della pena e gravità del reato[6], lo schema logico-formale basa il suo funzionamento su un meccanismo prettamente comparativo. All’accertamento che tra due termini sussiste una differenziazione, si chiede al giudice costituzionale di accertare se quel diverso trattamento sanzionatorio sia ragionevole, e cioè fondato su giustificabili motivi. E questo per evitare che fattispecie omogenee, caratterizzate dal medesimo disvalore, siano sanzionate in modo irragionevolmente diverso ovvero che fatti, non connotati da eguale gravità, siano indebitamente parificati[7]. Ovviamente, posto che si tratta di un giudizio svolto in chiave comparativa, il suo funzionamento non può prescindere dalla presenza di un tertium comparationis (o più di uno).

Ciò posto, pareva ormai che, con l’avvento del “nuovo corso” in atto nel sindacato di costituzionalità sulla misura della pena, le valutazioni di natura intrinseca avessero soppiantato l’antiquato schema fondato sull’art. 3, co. 1, Cost[8]. La recente sentenza n. 114/2021[9] ha dimostrato il contrario, ricordando agli osservatori che il “vecchio” giudizio di eguaglianza-ragionevolezza  continua a ricorrere nella giurisprudenza costituzionale, in una dimensione di “coesistenza pacifica” con il più aggiornato controllo di “irragionevolezza intrinseca” inaugurato con la sentenza n. 236/2016.

 

2 L’origine della questione di legittimità

La questione di legittimità veniva sollevata dal G.u.p. di Treviso, nell’ambito di un procedimento penale che vedeva imputati tre soggetti dei reati di cui agli articoli 40, co. 2, 113, 589, co. 2 cod pen. per avere, con colpa ed in violazione delle norme poste a presidio della sicurezza dei lavoratori, cagionato la morte di un autotrasportatore. In particolare, si contestava ai suddetti il non aver adeguatamente sorvegliato e reso sicuro lo svolgimento delle operazioni di carico di alcune balle in termoplastica contenenti terriccio. In relazione alla mancata osservanza (e, come asserito dalla difesa degli imputati, anche dalla presunta e concorrente condotta colposa della vittima) una balla sarebbe precipitata dal carrello elevatore di movimento, cagionando il decesso per schiacciamento del lavoratore.

Chiamati a rispondere dei reati testé menzionati, la difesa degli imputati sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 589 cod. pen. nella parte “in cui non riconosce, come fa invece nel comma 7 dell’art. 589-bis c. p., una diminuzione di pena nel caso in cui la condotta colposa dell’infortunato abbia contribuito a causare l’evento dannoso[10]. Contestavano così i difensori l’irragionevole disparità di trattamento intercorrente fra la fattispecie “base” dell’omicidio colposo e quella “speciale” di cui all’art. 589-bis cod. pen. (omicidio colposo stradale). Tale diversità di trattamento fra due fattispecie che, a parere della difesa, sarebbero state omogenee ed irragionevolmente differenziate, si coglierebbe in relazione all’assenza nel dettato normativo di cui all’art. 589 cod. pen. di una specifica circostanza attenuante, consistente nel considerare, in chiave di mitigazione del trattamento sanzionatorio, l’incidenza causale della condotta colposa della persona offesa.

Giova considerare, in premessa, che la legge n. 41 del 2016 ha introdotto un trattamento “differenziato” dalle fattispecie base di cui agli artt. 589 e 590 cod. pen. per rispondere al grave fenomeno delle morti e delle lesioni cagionate dalla violazione delle norme poste a presidio della circolazione stradale. In particolare, le novità legislative si sono distinte per un inasprimento del trattamento sanzionatorio per i responsabili di questa versione “speciale” dell’omicidio e delle lesioni personali colposi e da un complesso apparato di circostanze aggravanti ed attenuanti. Già in un’occasione, a ben vedere, il giudice delle leggi aveva ritenuto che l’approntamento di un corpus normativo peculiare, volto a colpire con maggior forza simili fattispecie, rientrasse nell’ambito di insindacabili opzioni sanzionatorie, promulgate in risposta a pressanti allarmi sociali[11], e che, pertanto, ci si trovasse di fronte ad una legittima manifestazione di discrezionalità legislativa in tutti i suoi elementi, opzioni sanzionatorie incluse.

3 La questione come reazione all’orientamento giurisprudenziale di legittimità in tema di causalità omissiva del datore di lavoro

A questo punto, una considerazione si impone. In tema di decesso o infortuni occorsi sul luogo di lavoro, non si può trascurare come la giurisprudenza di legittimità, da lungo tempo a questa parte, persegua un indirizzo tendente a considerare in modo molto riduttivo il concorso di colpa della persona offesa ai fini della ricostruzione del rapporto causale. Giusta il disposto dell’art. 41, co. 2 cod. pen., sono davvero molto rari i casi in cui la Cassazione ha ritenuto che la condotta colposa del soggetto deceduto od infortunato potesse, di per sé, assurgere a causa “da sola sufficiente”, idonea così ad escludere la causalità fra condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento verificatosi.

Più nel dettaglio, lo stabile orientamento di legittimità ha ritenuto, in più occasioni, che, ai fini della sussistenza della penale responsabilità del datore di lavoro (eventualmente in concorso con il responsabile dei lavori) raramente rilevasse il fatto che, nell’ambito delle sue mansioni, il lavoratore avesse agito colposamente in modo tale da mettere in pericolo la sua e l’altrui sicurezza. E ciò sulla scorta del fatto che la violazione delle norme poste a presidio dell’incolumità fisica sui luoghi di lavoro è stata ritenuta determinante ai fini della riferibilità in capo ai titolari delle posizioni di garanzia della responsabilità omissiva ex artt. 40 cpv e 113 cod. pen. in caso di eventi mortali o lesivi, rilevando la condotta colposa del lavoratore, al più, come mera concausa. Quindi, in definitiva, inidonea a spezzare il nesso di causalità.

Se l’orientamento della Corte di Cassazione risulta sicuramente apprezzabile ai fini della tutela dei lavoratori e volto a conseguire una effettiva attuazione dei protocolli di sicurezza previsti dalla normativa di settore, specie in riferimento al decreto legislativo n. 81 del 2008, è anche vero che lo stesso filone giurisprudenziale ha escluso la sussistenza della penale responsabilità degli imputati, in casi analoghi a quello in esame, solo nelle (rare) ipotesi di condotte gravemente esorbitanti poste in essere dalle persone offese[12]. Sicché, al di là di ipotesi davvero eccezionali, sussistendo quasi sempre il nesso di causalità, la situazione dei titolari delle posizioni di garanzia viene spesso a configurarsi come particolarmente esposta. E così, di fronte alla prospettiva punitiva, al di là dell’applicabilità delle diminuenti comuni o delle attenuanti generiche, permane ben poco spazio in vista di una possibile mitigazione del trattamento sanzionatorio da parte del giudice[13].

Dunque, al netto delle menzionate attenuazioni, l’entità della pena potrebbe così subire, ma solo a discrezione dell’organo giudicante, una possibile ed ulteriore riduzione in sede di comminatoria, valutato il “grado della colpa” di cui all’art. 133, co. 1, n. 3 cod. pen. che, per taluni degli imputati, ben potrebbe essere ridotto (specie quando, come nel caso pendente davanti al giudice a quo, venga contestata la cooperazione colposa fra gli imputati, nell’ambito della quale le singole posizioni individuali possono apparire ben distinte). Alla luce di quanto esposto, si può comprendere il tentativo della difesa degli imputati di cercare in via additiva l’estensione della diminuente speciale di cui all’art. 589-bis, co. 7 cod. pen. a beneficio di una fattispecie che ne è, invece, priva[14].

4 L’inammissibilità della quaestio

Nondimeno, la Consulta ha ritenuto non fondata la questione di legittimità prospettata. Come visto, il G.u.p. di Treviso si doleva della sperequazione intercorrente fra la fattispecie “di base” dell’omicidio colposo, di cui all’art. 589 cod. pen. e quella “speciale”, avente ad oggetto l’omicidio colposo stradale, di cui all’art. 589-bis cod. pen., per asserita violazione dell’art. 3, co. 1 Cost.

In particolare riteneva il giudice a quo che la disparità di trattamento si cogliesse in relazione a due elementi. Il primo, dovuto al fatto che, precedentemente alla legge n. 41 del 2016, l’omicidio colposo stradale fosse previsto e punito in forza di quello stesso secondo comma, di cui il giudice rimettente riteneva di dover fare applicazione nel giudizio pendente. Infatti, l’intervento normativo del 2016 ha abrogato il riferimento alla violazione delle norme sulla circolazione stradale, proprio in vista della costruzione dell’autonoma fattispecie delittuosa speciale in luogo della antecedente previsione aggravata. Il secondo elemento afferisce alla identità della cornice edittale prevista per i due delitti, e cioè la reclusione da due a sette anni.

Sulla base di queste considerazioni, ritiene il giudice rimettente che “entrambe le fattispecie astratte di cui agli artt. 589, secondo comma, e 589-bis, primo comma, cod. pen. sanzionino condotte caratterizzate da colpa specifica consistente, nel primo caso, nella violazione della normativa posta a tutela della sicurezza dei luoghi di lavoro e dei lavoratori, e, nel secondo caso, nella violazione della normativa tesa a tutelare la sicurezza degli utenti delle strade[15] e che “in entrambe le fattispecie, il bene oggetto di tutela [sia] l’integrità fisica delle persone[16]. Conclude allora il giudice a quo nel senso che “le due norme sarebbero sostanzialmente identiche, se non sovrapponibili tra loro, quantomeno in relazione alla loro funzione[17].

Accogliendo, però, l’eccezione formulata dall’Avvocatura dello Stato, la Consulta ritiene che la questione prospettata difetti del fondamentale requisito della rilevanza. Sul punto osserva, infatti, che, non risultando che gli imputati abbiano scelto la definizione del giudizio mediante “rito abbreviato” ovvero tramite applicazione della pena su richiesta delle parti, il G.u.p. non è tenuto a fare applicazione della norma scrutinata. Non a caso, e per orientamento costante, la Corte ha ritenuto che “la questione incidentale [sia] irrilevante e, dunque, inammissibile se l’applicazione della norma censurata è solo eventuale e successiva (ex plurimis, sentenze n. 139 del 2020 e n. 217 del 2019; ordinanze n. 210 e n. 42 del 2020)[18].

Inoltre, sempre in punto di rilevanza, la Corte si duole del fatto che il G.u.p. di Treviso non abbia, sostanzialmente, specificato la sua posizione sulla ricostruzione dei fatti. Perché lamentare l’assenza di una diminuente, correlata all’apporto causale colposo della persona offesa, se non vi è sicurezza in ordine alla progressione logica di svolgimento dei fatti? Se, appunto, non è ancora stata chiarita con ragionevole certezza la dinamica della vicenda – cosa, questa, non richiesta al Giudice per l’udienza preliminare nell’ambito del rito ordinario – come è possibile ritenere che, nel caso di specie, vi sia effettivamente stato un concorso di colpe? Sulla scorta di queste considerazioni, che riassumono i passaggi motivazionali salienti della sentenza in esame, la Corte chiarisce che  “tali lacune nella descrizione della fattispecie, oggetto del giudizio principale, determinano […] l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in quanto non consentono di verificarne l’effettiva rilevanza[19]. Insomma: alla Consulta non possono richiedersi giudizi astratti.

La pronuncia della Consulta impedisce così di addentrarsi nel merito della questione e di affrontare il nodo relativo alla prospettata irragionevolezza sanzionatoria. E’ sempre rischioso formulare ipotesi, ma è lecito interrogarsi su quale sarebbe stato l’esito della medesima doglianza se, ad esempio, fosse stata sollevata in sede dibattimentale, al netto di una più sicura ricostruzione del fatto storico.

Ad ogni modo, ed in chiusura, giova considerare come la fattispecie di cui all’art. 589-bis cod. pen. (come, del resto, tutte le addende in tema di delitti colposi stradali inseriti con la legge n. 41 del 2016) debbano considerarsi quali espressione di una insindacabile discrezionalità legislativa, volta a creare un apparato sanzionatorio “speciale”, caratterizzato da meccanismi peculiari di funzionamento. Sul punto la Corte era già intervenuta con una delle più significative sentenze afferenti al recente filone giurisprudenziale in tema di dosimetria sanzionatoria, e cioè la sentenza n. 88/2019[20]. Tale pronuncia si era espressa (tra l’altro) in ordine alla legittimità del divieto di bilanciamento di cui all’art. 590-quater cod. pen., in tema di omicidio o lesioni colpose stradali, come introdotto dalla legge n. 41 del 2016. Ha considerato la Corte illo tempore che simili scelte, pur conducendo ad un significativo aggravamento del trattamento punitivo, rientrassero “nell’ambito dell’esercizio non irragionevole della discrezionalità del legislatore che ha ritenuto, secondo una non sindacabile opzione politica in materia penale, di contrastare in modo più energico condotte gravemente lesive dell’incolumità delle persone, che negli ultimi anni hanno creato diffuso allarme sociale[21].

Ciò che si rende evidente in questa sentenza non è, a ben vedere, il suo esito. Infatti, la recente giurisprudenza costituzionale in tema di dosimetria sanzionatoria, pur animata dalla volontà di garantire il diritto dell’imputato (e del condannato) a non subire trattamenti punitivi sproporzionati rispetto alla gravità del reato, ha chiarito in plurime occasioni di poter reagire solo a fronte di manifestazioni della discrezionalità legislativa arbitrarie e manifestamente sproporzionate rispetto al disvalore dei fatti sanzionati[22]. Situazione che non parrebbe ricorrere nel caso di specie, in linea con un atteggiamento normativo (e giurisprudenziale) volto a tutelare approfonditamente l’incolumità dei lavoratori.

Quello che rende interessante la pronuncia in questione è, piuttosto, il recupero di uno schema decisionale che pareva ormai superato dalla maggiore decisone con cui la Corte costituzionale si è approcciata, negli ultimi anni, al tema del sindacato di costituzionalità sulla misura della pena. Segno che, all’occorrenza, lo schema logico-formale, fondato sul principio di eguaglianza-ragionevolezza, può essere recuperato dall’archivio ed impiegato all’occorrenza. Forse, in futuro, più fruttuosamente rispetto alla vicenda esaminata.

 

 

[1] A commento della quale: E. Cottu, Giudizio di ragionevolezza e vaglio di proporzionalità della pena: verso un superamento del modello triadico?, in Dir. Pen. e Proc., 2017, 473 ss.; M. Di Lello Finuoli La pena dell’alterazione di stato mediante falsità e il principio di proporzione, in Giur. It., 2017, 1431 ss.; E. Dolcini, Pene edittali, principio di proporzione, funzione rieducativa della pena: la Corte costituzionale ridetermina la pena per l’alterazione di stato, in Giur. It, 2016, 1956 ss.; P. Insolera, Controlli di costituzionalità, cit., 176 ss.; B. Liberali, Le nuove dimensioni del volto costituzionale del sistema penale (sentenza n. 236 del 2016), in Quad. Cost., 2017, 381 ss.; V. Manes, Proporzione senza geometrie, p. 2105 ss.; Id., La proposizione della questione di legittimità costituzionale in materia penale e le sue insidie, in V. Manes – V. Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodi, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Torino, 2019, 364-372; L. Meo, L’incostituzionalità della pena prevista per il reato di alterazione di stato mediante falsificazione alla luce del principio di ragionevolezza, in Fam. e Dir., 2017, 109 ss.; D. Pulitanò, La misura delle pene, fra discrezionalità politica e vincoli costituzionali, in DPC-Riv. Trim., 2017, n.2, 48 ss.;  F. Viganò, Un’importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena, ivi, 2017, n.2, p. 61 ss.

[2] L’espressione è presa a prestito da S. Leone, La Corte costituzionale censura la pena accessoria fissa per il reato di bancarotta fraudolenta. Una decisione a rime possibili, in Quaderni Costituzionali, 2019, cit., p. 183. A compendio dell’orientamento giurisprudenziale in argomento, si segnala il contributo di A. Pugiotto, Cambio di stagione sul sindacato di legittimità sulla misura della pena, Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2019, p. 788. Inoltre, per una comprensione piena della svolta giurisprudenziale in atto in tema di controllo sulla misura della pena, si rimanda alla lettura della (completissima) monografia di F. Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Giappichelli, Torino, 2021

[3] Corte cost., sent. n. 236, 10 novembre 2016, cit.

[4] Laddove, invece, le alternative prospettabili fossero state molteplici, ecco che spesso la Corte ha preferito ricorrere alla inammissibilità, magari accompagnata da un monito rivolto al legislatore. Sembra paradossale, in effetti, che ad un accertamento della illegittimità costituzionale la questione venisse sovente dismessa dal giudice delle leggi e che l’emenda venisse affidata al legislatore. Non a caso, un meccanismo di questo tipo si è rivelato fallimentare. Cfr., solo per citarne alcune, Corte cost. sentenze n. 111, 28 marzo 1996; n. 235, 17 giugno 1996; n. 134, 03 aprile 2012; n. 179, 07 giugno 2017; n. 207, 24 maggio 2017.

[5] P. Insolera, Controlli di costituzionalità sulla misura della pena e principio di proporzionalità, cit., p. 178.

[6] Tale sindacato si basa su un raffronto diretto fra la gravità del fatto e l’entità della sanzione. A tal proposito, osserva la Corte, a proposito, che “si tratta di uno scrutinio svolto entro il perimetro conchiuso dal medesimo articolo, che, anche per questa ragione, non conduce a sovrapporre, dall’esterno, una dosimetria sanzionatoria eterogenea rispetto alle scelte legislative, ma giudica “per linee interne” la coerenza e la proporzionalità delle sanzioni rispettivamente attribuite dal legislatore a ciascuna […] fattispecie”, Corte cost., sentenza n. 236, 10 novembre 2016, cit.

[7] A titolo esemplificativo, si pensi alla sent. n. 409, 1989 a proposito dei c.d. “obiettori totali di coscienza” oppure alla sentenza n. 299, 15 giugno 1992, in tema di quantum sanzionatorio previsto per il reato militare di violata consegna.

[8] Si vedano, ad esempio, la sentenza n. 40 in tema di minimo edittale di cui all’art. 73, co. 1  T.u. Stup. oppure la sentenza n. 112, 28 marzo 2019, in materia di sanzione amministrativa per il delitto di insider trading di cui agli artt. 185 e 187-sexies T.u.F. Fermo restando, però, quanto chiarito con la sentenza n. 236, 21 novembre 2016, per cui “non appartengono a questa Corte valutazioni discrezionali di dosimetria sanzionatoria penale, risultando, queste, tipicamente spettanti alla rappresentanza politica […] salvo il sindacato di costituzionalità su scelte palesemente arbitrarie o radicalmente ingiustificate, tali da evidenziare un uso distorto di tale discrezionalità”, Corte cost., sentenza n. 236, 10 novembre 2016, cit.

[9] A commento della quale, v. anche: O. Murro, La Consulta in materia di furto, omicidio colposo aggravato e rapina: gli ultimi depositi, in Penale. Diritto e procedura, giugno 2021, https://penaledp.it/la-consulta-in-materia-di-furto-in-abitazione-omicidio-colposo-aggravato-e-rapina-gli-utlimi-depositi/

[10] Corte cost., sentenza n. 114, 2021, cit.

[11] Così, Corte cost., sentenza n. 88, 27 aprile 2019.

[12] Osserva sul punto Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 15124, 13/12/2016, Gerosa ed altri, secondo cui “perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, non rileva tanto che l’attività svolta rientri nell’ambito delle mansioni del lavoratore, quanto che essa sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia”. A sostegno di tale posizione, successivamente, v. anche: Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 43852, 19/07/2018; Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 54813, 17/10/2018.

[13] Non bisogna però dimenticare, in aggiunta, i benefici processuali, come la riduzione di pena conseguente al c.d. “rito abbreviato”.

[14] Considera infatti il giudice a quo che “se esistesse una disposizione analoga a quella di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen., si alleggerirebbe la pena eventualmente da infliggere agli imputati nel processo che ne riguarda ove fosse riconosciuta la loro responsabilità ma, nello stesso tempo, fosse riconosciuta una condotta imprudente da parte dell’infortunato. Circostanza, questa, che il difensore intende dimostrare attraverso l’acquisizione della relazione dello SPISAL intervenuto sul luogo dell’infortunio e attraverso l’escussione dei testi”, Corte cost., sentenza n. 114, 27 aprile 2021, cit.

[15] Ibidem.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] Più nel dettaglio, il “giudice rimettente non è chiamato a decidere sulla responsabilità degli imputati e quindi neppure, in ipotesi, a riconoscere la circostanza attenuante, la cui mancata previsione è oggetto di censura. Ciò rende meramente eventuale e ipotetica – nonché comunque prematura – l’odierna questione”, Corte cost., sentenza n. 114, 27 aprile 2021, cit.

[19] Ibidem.

[20] A commento di tale pronuncia, si segnalano i contributi di: G. Leo, Novità dalla Consulta in materia di omicidio e lesioni stradali, in DPC, 29/04/2019; G. Marino, Divieto di prevalenza ed equivalenza delle attenuanti in caso di omicidio stradale: norma incostituzionale? (nota a: Corte Costituzionale , 17 aprile 2019, n.88), in Diritto & Giustizia, fasc.73, 2019, pag. 10 ss.;  A. Trinci, Omicidio e lesioni stradali: la Consulta si pronuncia su circostanze blindate e automatismi sanzionatori (nota a: Corte Costituzionale , 17 aprile 2019, n.88), in Ilpenalista.it, maggio 2019.

[21] Corte cost. sentenza n. 88, 17 aprile 2019, cit.

[22] Vedi nota 7.

Alvise Accordati

Alvise Accordati, veneziano, nato nel 1996 e residente a Venezia, consegue il diploma di maturità classica presso il Liceo-Ginnasio Statale "R. Franchetti" di Mestre nel 2015. Nel luglio 2021 si laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Ferrara, discutendo una tesi in Giustizia costituzionale dal titolo "Addio alle rime obbligate. La recente giurisprudenza costituzionale sulla dosimetria sanzionatoria" (relatore Prof. Pugiotto).Appassionato di giustizia costituzionale, diritto penale e diritto amministrativo, collabora con Ius in itinere dall'estate 2021. Vincitore del concorso Europa&Giovani 2020 bandito dall'Istituto Regionale di Studi europei di Pordenone con un tema di diritto amministrativo "L'Unione europea e la tutela dei dati personali: storia, sfide e prospettive". Particolarmente interessato alla storia tardoantica e medievale, alle lettere classiche e alla teologia, partecipa al gruppo under35 del Centro Studi R. Livatino. Attualmente è tirocinante ex art. 73, legge n. 98 del 2013, presso la Prima sezione penale della Corte d'appello di Venezia.

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