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La riforma dei reati di ricettazione, riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio tra novità e potenzialità inespresse

A cura di Emanuele Murone

Il presente contributo analizza il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195, che in attuazione della Direttiva UE 2018/1673 in tema di lotta al riciclaggio ha inteso operare un restyling normativo dei reati di cui agli artt. 648, 648 bis, 648 ter e 648 ter.1 c.p. focalizzando l’attenzione sulle novità di maggior rilievo, sulle potenzialità inespresse della riforma in oggetto e sui profili di maggiore criticità caratterizzanti tale novella normativa.

  1. Introduzione

Prima di procedere alla disamina dei principali aspetti concernenti la riforma in questione risulta opportuno tratteggiare il contesto all’interno del quale si innesta tale novella normativa.

Dopo una lunga gestazione, è stato definitivamente approvato il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195, che ha recepito e dato attuazione nel nostro ordinamento alla Direttiva UE 2018/1673 in materia di lotta al riciclaggio mediante il diritto penale.

Si tratta di un intervento normativo non solo atteso da tempo ma resosi necessario anche alla luce dell’avvenuta comunicazione, da parte della Commissione Europea, dell’avvio di una procedura di infrazione ex art. 258 T.F.U.E. nei confronti dello Stato italiano a seguito del mancato recepimento di tale normativa entro l’originaria deadline di cui al 3 dicembre 2020.

Appare doveroso rimarcare sin da subito come l’ordinamento italiano fosse già largamente conforme alle disposizioni contenute nella Direttiva UE 2018/1673, con la conseguenza che la sua trasposizione ha richiesto solo invertenti circoscritti, volti ad ampliare – attraverso la tecnica della novellazione – l’ambito applicativo di alcune norme nazionali già esistenti[1].

L’attuazione degli obblighi europei ha lasciato tuttavia alcuni margini di discrezionalità al legislatore delegato su determinati aspetti che, come si vedrà, suscitano non poche perplessità.

Il riferimento è, in particolare, alla mancata estensione espressa delle nuove norme ai beni immateriali e alle criptovalute, così contrastando con taluni approdi esegetici cui è recentemente pervenuta la giurisprudenza di legittimità.

  1. Il core della riforma

Volendo sintetizzare al massimo il contenuto della riforma, le novità di maggior rilievo apportate dal d.lgs. n. 195/2021 concernono l’ampliamento dei reati presupposto dei delitti di cui agli artt. 648, 648 bis, 648 ter e 648 ter.1 c.p. – che vengono anche estesi alle contravvenzioni e ai delitti colposi – nonché l’introduzione di nuove ipotesi circostanziate e la modifica di talune già esistenti, oltre all’estensione delle norme sulla giurisdizione italiana ad alcuni fatti commessi all’estero.

Per quanto in questa sede maggiormente rileva, il d.lgs. n. 195/2021 ha esteso il novero dei reati presupposto dei reati di ricettazione, riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio anche alle contravvenzioni (purché punite con determinati limiti edittali), prevedendo per tali ipotesi nuove ed autonome cornici edittali.

La riforma ha inoltre esteso la configurabilità dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio ai beni proventi da qualsiasi delitto, anche colposo (come peraltro già previsto per i reati di ricettazione e riciclaggio), così omogeneizzando tutte le tipologie di reati presupposto previste da tali fattispecie.

E’ stata introdotta una nuova ipotesi di ricettazione aggravata per il caso in cui il fatto sia commesso nell’esercizio di un’attività professionale (come già previso per i reati di riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego); sono state rimodulate le cornici edittali della ricettazione attenuata distinguendole a seconda che il reato presupposto sia un delitto o una contravvenzione; è stata modificata la cornice edittale dell’attenuante del reato di autoriciclaggio nell’ipotesi in cui i beni provengano da un delitto punito con pena inferiore nel massimo a cinque anni di reclusione; è stata estesa infine la giurisdizione italiana ai fatti di ricettazione e autoriciclaggio commessi dal cittadino all’estero senza alcuna limitazione di sorta.

  1. I beni provento dei reati contravvenzionali

La principale novità della riforma è da rinvenirsi nell’estensione delle fattispecie di cui agli artt. 648, 648 bis, 648 ter e 648 ter.1 c.p. anche ai beni provenienti da contravvenzione, così ampliandone il bacino di operatività.

Tale modifica normativa si inserisce nel solco di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale che in passato aveva escluso la configurabilità delle fattispecie criminose sopra indicate in caso di reati presupposto di natura contravvenzionale, introducendo ora per tali ipotesi nuove previsioni edittali[2].

A fronte di una dottrina assolutamente maggioritaria, che tendeva ad escludere la configurabilità della ricettazione in ordine ai beni provento dei reati contravvenzionali, vi era infatti una dottrina minoritaria che propendeva per la tesi affermativa[3].

L’interrogativo che sorge spontaneo è se tali nuove previsioni configurino autonome fattispecie incriminatrici oppure mere circostanze attenuanti.

A fronte, infatti, di dati testuali equivoci, relativi alla collocazione delle nuove disposizioni in autonomi capoversi delle fattispecie vigenti e alla mera fissazione di nuove cornici edittali in relazione alle medesime condotte criminose previste dalle ipotesi base ma con riferimento al diverso reato presupposto[4], vi sono invero una serie di indici testuali e di elementi logico-sistematici che depongono per la configurabilità di nuove ed autonome disposizioni incriminatrici[5].

Tra questi si segnalano l’esistenza di un rapporto di incompatibilità e di esclusione reciproca tra le due forme di reato presupposto, non costituendo le cose provenienti da contravvenzione elemento specializzante rispetto alle cose delittuose, non ponendosi i due elementi in rapporto di specie a genere; il carattere innovativo di tali previsioni, che incriminano condotte in precedenza penalmente irrilevanti; l’introduzione di nuove ed autonome cornici edittali per tali ipotesi; l’impossibilità all’interno dell’ordinamento italiano di ammettere l’esistenza di «circostanze di circostanze», quali l’attenuante della particolare tenuità del fatto e l’aggravante della commissione del fatto nell’esercizio dell’attività professionale.

L’esatta qualificazione giuridica comporta peraltro importanti implicazioni pratiche, giacché solo accedendo alla tesi che configura tali previsioni come nuove e autonome disposizioni incriminatrici può ritenersi non solamente che le nuove cornici edittali siano sottratte al giudizio di bilanciamento, ma anche che la ricettazione, il riciclaggio, il reimpiego e l’autoriciclaggio di cose provenienti da contravvenzione siano fattispecie munite di autonomia ai fini del computo della prescrizione del reato, altrimenti impedita ove qualificate come mere circostanze attenuanti.

 

  1. La mancata estensione ai beni immateriali e alle criptovalute

Una rilevante criticità che ha caratterizzato l’intervento normativo in parola si registra sotto il profilo delle modifiche che, invece, non sono state apportate.

Da tale angolazione appare doveroso anzitutto osservare come il legislatore delegato, nel dare attuazione alla Direttiva UE 2018/1673, non abbia ritenuto di introdurre alcuna disposizione espressa che chiarisca come nei reati di cui agli artt. 648, 648 bis, 648 ter e 648 ter.1 c.p. possano rientrare anche i beni immateriali, a prescindere dalla loro incorporazione in un supporto materiale.

Sul punto vale la pena rilevare che l’art. 2, n. 2, di cui alla Direttiva UE 2018/1673, ai fini del proprio recepimento, abbia esplicitato come debbano considerarsi espressamente rilevanti i beni «di qualsiasi tipo, materiali o immateriali […] tangibili o intangibili, e i documenti o gli strumenti giuridici in qualsiasi forma, compresa quella elettronica o digitale, che attestano il diritto di proprietà o altri diritti sui beni medesimi».

Alla luce di tale cristallina previsione – alla cui interpretazione conforme è tenuto il giudice interno nell’applicazione del dettato normativo – merita di essere evidenziato l’approdo esegetico cui è recentemente pervenuta la giurisprudenza di legittimità, rivedendo così la propria impostazione tradizionale con riferimento al concetto di «cosa mobile» suscettibile di divenire oggetto materiale delle condotte previste dai reati contro il patrimonio.

Secondo tale innovativo orientamento, invero, anche i dati informatici, per fisicità strutturale, possibilità di misurarne le dimensioni e trasferibilità da un luogo all’altro, possono essere qualificati come cose mobili ai sensi della legge penale, in quanto, pur se difetta il requisito dell’apprensione materialmente percepibile del filein sé considerato (se non quando esso sia fissato su un supporto digitale che lo contenga), di certo il filerappresenta una cosa mobile, definibile quanto alla sua struttura, alla possibilità di misurarne l’estensione e capacità di contenere dati, suscettibile di esser trasferito da un luogo ad un altro; caratteristiche che, a parere del giudice di legittimità, confermano la possibilità del dato informatico di formare oggetto di condotte di sottrazione e appropriazione[6].

Si tratta allora di una previsione che sarebbe stata certamente auspicabile, in considerazione del fatto che tali dati e informazioni sono beni aventi un sicuro valore patrimoniale, certamente suscettibili di apprensione e trasferimento, sia qualora essi siano incorporati in un bene materiale, sia se rappresentati sotto forma di documento informatico[7].

Analoghi rilievi critici possono essere mossi alla novella legislativa in esame anche sotto diverso ma connesso profilo.

Il legislatore delegato non ha infatti ritenuto di accogliere i suggerimenti pervenutigli dalle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, le quali avevano espressamente invitato il legislatore nazionale a valutare l’opportunità di introdurre una normativa che potesse adeguare gli strumenti di controllo e di repressione dei reati in riferimento alle criptovalute, che analogamente ad altri beni possono configurare condotte di riciclaggio, garantendo in tal modo l’uniformità legislativa dell’intervento riformatore [8].

Dal canto suo, la stessa Direttiva UE 2018/1673 ha evidenziato come «l’uso delle valute virtuali presenta nuovi rischi e sfide nella prospettiva della lotta al riciclaggio e gli Stati membri devono garantire che tali rischi siano affrontati in modo adeguato» [9].

Ebbene, se è pur vero che le criptovalute possono essere già ricomprese in via interpretativa nei concetti di «cose, beni o altre utilità» previsti dalle fattispecie di ricettazione, riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio, tanto più che la citata direttiva impone di considerare rilevante qualsiasi bene immateriale e intangibile e qualsiasi altro strumento giuridico anche digitale su cui cada l’attività criminosa, è altrettanto vero che un’espressa previsione circa la rilevanza delle criptovalute ai fini delle fattispecie in rassegna avrebbe certamente giovato al tasso di chiarezza dei precetti normativi e, al contempo, dissipato qualsivoglia dubbio interpretativo[10].

In tale ottica, allora, la scelta operata dal legislatore delegato di non ricomprendere espressamente nell’oggetto dei reati in esame anche le criptovalute appare incomprensibile, soprattutto alla luce della ratio e dell’oggetto della Direttiva UE 2018/1673, volta proprio ad adeguare la legislazione deli Stati membri ai più elevati standard in materia di contrasto ai fenomeni di riciclaggio.

 

  1. L’estensione della giurisdizione italiana

Ciò detto sugli aspetti di maggior rilievo della riforma, merita qui soffermarsi sulla nuova disciplina estensiva della giurisdizione italiana in ordine alle fattispecie di ricettazione e autoriciclaggio commesse all’estero.

Il d.lgs. n. 195/2021 ha dunque esteso anche ai reati in parola le norme sul principio di ubiquità della giurisdizione italiana, includendo tali figure criminose tra quelle eccezioni espresse per cui l’art. 9, comma 4, c.p. prevede sempre la punibilità secondo la legge italiana dei fatti commessi dal cittadino all’estero, anche in assenza della condizione di procedibilità (richiesta del Ministro della Giustizia).

A seguito di tale modifica, pertanto, mentre rimarrà irrilevante, ai fini della sussistenza della fattispecie in commento, che l’eventuale reato presupposto sia stato commesso in Italia ovvero all’estero e che, in questo secondo caso, il fatto non costituisca reato per l’ordinamento straniero, purché si tratti di fatto previsto come tale dalla legge italiana, al contrario, laddove siano la ricettazione o l’autoriciclaggio ad essere commessi all’estero, occorrerà distinguere:

  • se l’autore del fatto è un cittadino italiano, la punibilità del fatto è ora sempre assicurata in forza di quanto previsto dalla nuova formulazione di cui all’art. 9, comma 4, c.p., per il quale, come anticipato, in deroga al principio di territorialità, la ricettazione e l’autoriciclaggio commessi all’estero da un cittadino italiano sono sempre punibili, anche in assenza di apposita richiesta da parte del Ministro della Giustizia;
  • se, invece, a commettere i predetti fatti all’estero sia un cittadino straniero, la soluzione è duplice, poiché mentre nel caso in cui il reato sia commesso ai danni di un cittadino italiano il suo autore sarà punibile a condizione che si trovi sul territorio italiano e che vi sia la richiesta del Ministro della Giustizia, nell’ipotesi in cui il fatto invece sia commesso ai danni di un cittadino straniero la sua punibilità in Italia deve sempre escludersi.

 

  1. Conclusioni

Al netto degli aspetti critici sopra evidenziati, l’intervento riformatore oggetto di disamina va, a parere di chi scrive, valutato positivamente nella misura in cui ha operato un riequilibrio tra le differenti fattispecie esaminate, attraverso l’eliminazione delle maggiori incongruità determinate dall’adozione di interventi normativi disorganici succedutisi nel corso degli anni.

Al di là della rimodulazione dei commi nei quali si sostanziano le fattispecie in discorso, si può affermare che la vera novità di cui si è fatta portatrice la riforma è consistita nell’introduzione del reato presupposto in termini contravvenzionali, circostanza sintomatica di una volontà legislativa – sia europea che nazionale – di rendere ancora più incisiva l’azione di contrasto ai fenomeni criminali individuati dalle fattispecie in commento e dell’attività criminosa ad esse spesso collegata.

Resta nondimeno evidente come le scelte operate dal legislatore delegato abbiano al contempo determinato alcuni importanti nodi problematici che, lungi dall’essere stati agevolmente risolti in via interpretativa, dovrebbero – e dovranno – costituire oggetto di un intervento correttivo da parte del legislatore.


[1] Cfr. Relazione illustrativa, pag. 4.

[2] Con pene da 1 a 4 anni di reclusione e da 300 a 600 euro di multa per la ricettazione; da 2 a 6 anni di reclusione e da 2.500 a 12.500 euro di multa per il riciclaggio e il reimpiego; da 1 a 4 anni di reclusione e da 2.500 a 12.500 euro di multa per l’autoriciclaggio.

[3] C. LONGOBARDO, Ricettazione, I reati contro il patrimonio, Torino, 2010, pag. 784; F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte Speciale, II, I delitti contro il patrimonio, Padova, 2002, pagg. 250 ss.

[4] F. BELLAGAMBA, In dirittura d’arrivo la riforma del riciclaggio: alcune proposte di modifica per andare oltre il mancato recepimento della direttiva europea, in Sistema Penale, 11 ottobre 2021.

[5] F. GIUNTA, L’Europa chiede un ulteriore giro di vite nel contrasto del riciclaggio, in Discrimen, 30 settembre 2021.

[6] Cass. pen., Sez. II, 7 novembre 2019, n. 11959, in CED, rv. 278571.

[7] Cass. pen, Sez. II, 25 novembre 2020, n. 2457, in CED, rv. 280568 che ha ritenuto astrattamente configurabile il reato di ricettazione nel caso di ricezione di dati e files oggetto di illecita sottrazione a terzi, provento del reato di cui all’art. 615 ter c.p.

[8] Cfr. Pareri espressi dalle Commissioni Giustizia di Camera e Senato in data 20 ottobre 2021.

[9] Cfr. considerando n. 6 di cui alla Direttiva UE 2018/1673.

[10] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 17 settembre 2020, n. 26807, in CED, rv. 279590 che ha ritenuto configurabile il reato di riciclaggio in caso di acquisto mediante provvista di denaro provento di reato e successiva di bitcoin.

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