venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

La riforma della disciplina delle intercettazioni: una prima e rapida lettura

A cura di Raffaele Cantone, magistrato, Procuratore della Repubblica di Perugia.

L’iter legislativo della riforma.

L’1 settembre 2020 è entrata in vigore un’ampia riforma della disciplina delle intercettazioni che ha comportato anche la modifica di numerose disposizioni del codice di procedura penale.

L’iter legislativo che l’ha caratterizzata è stato particolarmente tortuoso, prendendo avvio nel 2017 con la riforma cd Orlando (legge 23 giugno 2017 n. 103)[1] che, intervenendo su molti aspetti sia del codice penale che di quello processuale, aveva delegato, con i suoi commi 82, 83 e 84 dell’articolo 1, il governo a modificare l’impianto normativo delle intercettazioni.

Nelle intenzioni del riformatore si sarebbe dovuto perseguire l’obiettivo di garantire una maggiore riservatezza dei colloqui captati, soprattutto se e quando essi avessero coinvolto soggetti estranei all’indagine penale.

Il governo aveva dato esecuzione alla delega emanando il d.lgs 29 dicembre 2017 n. 216 che, proprio perchè recava tante novità, che incidevano anche su aspetti organizzativi degli uffici giudiziari, aveva, con il suo art. 9, posticipato di 6 mesi la sua entrata in vigore.

Con la nuova legislatura, modificata la compagine di governo, erano state da subito raccolte le tante perplessità espresse da più parti sul testo approvato e, quindi, con un decreto legge di proroga di vari termini previsti da disposizioni legislative (cd mille proroghe, d.l. 25 luglio 2018, n. 91, conv. in l. 21 settembre 2018, n. 108) si era deciso di spostare il dies a quo della riforma all’1 aprile 2019, non essendo ancora maturata una chiara idea se abrogare integralmente il decreto del 2017 o soltanto emendarlo.

Persino prima che questo termine spirasse, con la legge di bilancio per il 2019 (l. 20 dicembre 2018, n. 145), si era stabilito (art. 1, comma 1139), senza sciogliere il nodo di fondo, un ulteriore spostamento in avanti, e cioè all’1 agosto 2019.

Con un articolo contenuto in un ulteriore decreto legge (art. 9 d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv. in l. 8 agosto 2019, n. 77), restando sempre nell’ambiguità su cosa fare nel futuro, si era poi ancora una volta fissata una nuova data, all’1 gennaio 2020.

Finalmente, con il d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. in l. 28 febbraio 2020, n. 7 si faceva chiarezza sugli intendimenti legislativi; non ci si limitava, infatti, più solo ad incidere sul termine di entrata in vigore né tantomeno si confermava il testo varato con il d.lgs n. 216 del 2017; si approvava, invece, un nuovo articolato che, in molte parti, sconfessava alcuni degli elementi caratterizzanti il decreto del 2017 e di altri ne riscriveva il contenuto, indicando anche quale nuovo di termine di sua efficacia l’1 maggio 2020.

Lo scoppio della pandemia da COVID- 19 e le connesse difficoltà degli uffici giudiziari di adeguarsi ai cambiamenti imposti rendeva, però, opportuno un nuovo rinvio che veniva disposto in limine con la data in precedenza stabilita; con il d.l. 30 aprile 2020, n. 28, (convertito in l. 25 giugno 2020, n. 70), veniva, infatti, individuato il primo settembre come il momento in normativa sarebbe definitivamente entrata a regime.

L’articolato definitivo, frutto delle interpolazioni apportate con il d.l. n. 161 del 2019, come si è in parte già anticipato, è diverso da quello recato dal decreto delegato del 2017, anche se resta intatto il principale obiettivo di fondo di una maggiore tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti in attività di intercettazione; ciò che cambiano sono gli strumenti individuati per perseguirlo.

Il provvedimento, cosi come emendato, incide, però, in modo significativo su diversi snodi dell’istituto intercettazioni, introducendo novità che vanno ben oltre la finalità indicata e finendo, come dimostrano le disposizioni sulle intercettazioni telematiche a mezzo trojan di cui si dirà, per rendere ancora più penetrante il mezzo di ricerca della prova in esame.

Sono risultate, in particolare, toccate dalla complessiva riforma sia (in misura minore) le parti della disciplina che riguardano i presupposti per disporre le intercettazioni, sia (in misura maggiore) la fase esecutiva delle stesse e quella di selezione/utilizzazione dei colloqui captati.

Non mancano, poi, interventi che si concentrano su disposizioni del codice solo indirettamente connesse con le intercettazioni, quali, ad esempio, quelle in materia di pubblicità degli atti (art. 114), di misure cautelari (artt. 291, 293), di avviso di conclusione delle indagini (art. 415 bis), di giudizio immediato (art. 454) e quelle contenute nelle disposizioni di attuazione del codice (artt. 89, 89 bis e 92).

Di seguito, si proverà a fornire una panoramica, sia pure rapida, sulle novità portate nel sistema processuale, partendo dalle regole fissate per stabilire quando e a quali procedimenti le novità legislative si applicano.

La disciplina intertemporale.

Il primo aspetto che va attenzionato è, quindi, quello relativo all’individuazione dei procedimenti ai quali dovranno essere applicate le disposizioni modificate e, di conseguenza, di quelli che, invece, resteranno sottoposti alla disciplina abrogata.

Alla questione, oggettivamente molto importante, l’impianto dedica due norme; in particolare l’art. 9, commi 1 e 2, del d.lgs n. 216 del 2017 e l’art. 2, comma 8, del d.l. n. 161 del 2019.

Le disposizioni, sostanzialmente affermanti la medesima regola[2], sono state ritenute dal legislatore necessarie in quanto con l’art. 2 del d.l. n. 161, più volte citato, si sono introdotte novità non originariamente contenute nel d.lgs del 2017; era, quindi, indispensabile evitare che potessero crearsi dubbi sul momento di entrata in vigore del complessivo impianto normativo.

La ratio di entrambe le norme –  di contenuto alquanto diverso da quella originaria del d.lgs n. 216 del 2017[3] – sembra agevolmente individuabile in una condivisibile esigenza pratica, evitare cioè la commistione di regolamentazioni non omogenee, in materia di intercettazioni, nell’ambito dello stesso procedimento.

L’avere correlato l’applicazione della nuova normativa alla circostanza dell’essere il procedimento iscritto successivamente al 31 agosto 2020 impone, ovviamente, di individuare quando si verifica tale circostanza.

La lettera della norma consente di ancorare il dies a quo al momento dell’iscrizione, con la conseguenza di rendere applicabile la nuova disciplina a tutti quei procedimenti la cui notizia di reato sia stata iscritta a partire dall’1 settembre 2020.

Questa conclusione, nella sua apparente chiarezza, necessita, però, di essere precisata con riferimento a possibili situazioni che in concreto potranno verificarsi.

Una prima situazione di incertezza può porsi per il caso in cui la notizia di reato sia stata acquisita e trasmessa in Procura prima del 31 agosto 2020 ma, per ragioni organizzative, iscritta dopo.

Il riferimento al mero dato formale dell’iscrizione, in questo caso, potrebbe ingenerare una conseguenza non del tutto razionale, facendo dipendere da una scelta organizzativa dell’ufficio inquirente l’applicazione di una normativa piuttosto che di altra.

Il criterio formale potrebbe, quindi, essere corretto, in questi casi marginali e destinato a riguardare soltanto una primissima fase di rodaggio delle disposizioni, tenendo conto non del momento della iscrizione ma di quello in cui la notizia di reato sia stata trasmessa alla Procura.

Nella stessa logica, si ritiene anche che le precedenti disposizioni continueranno ad applicarsi sia ai procedimenti iscritti prima del 31 agosto 2020 contro ignoti nei quali l’autore del reato sia stato identificato successivamente sia a quelli nei quali la qualificazione giuridica inizialmente individuata sia stata successivamente modificata.

Ad identica conclusione deve giungersi anche per quei procedimenti relativi a notizie di reato emerse prima del 31 agosto 2020 e per i quali, dopo di quella data, si è proceduto alla formazione di un nuovo fascicolo, a mezzo di mero “stralcio” da quello originario.

Maggiormente problematica appare, invece, la situazione dei procedimenti iscritti prima del 31 agosto 2020 ma nell’ambito dei quali emergano dalle indagini in corso, e grazie spesso proprio alle intercettazioni in atto, nuove notizie di reato che comportino ulteriori iscrizioni.

La soluzione preferibile sembrerebbe da individuarsi – in conformità con la ratio perseguita dal legislatore del 2019 – distinguendo due ipotesi; se le nuove iscrizioni riguardano reati oggetto di connessione “forte” (e cioè ex art. 12 c.p.p) con le imputazioni originarie, non dovendosi ritenere che esse diano origine ad un diverso procedimento (argomento ricavabile da Cass. sez.  Un. 28 novembre 2019, n. 51, ric. Cavallo, su cui v. anche infra) resteranno assoggettate all’applicazione della pregressa normativa; per le altre, invece, sarà cogente la nuova disciplina, trattandosi, in concreto di un procedimento nuovo e diverso, essendo una circostanza, puramente formale, che l’iscrizione avvenga in un procedimento già instaurato.

In quest’ultimo caso, anzi, per evitare che nello stesso fascicolo siano applicabili disposizioni non omogenee, sarà certamente opportuno che il p.m. proceda a stralciare i reati non connessi, facendosi confluire in un nuovo ed autonomo procedimento.

I presupposti delle intercettazioni.

Nell’impianto codicistico processuale dei presupposti per disporre le intercettazioni si occupano gli artt. 266 e 267; in entrambi sono stati introdotti limitati ma non certo insignificanti innesti.

Quanto all’art. 266 c.p.p., non muta, in primo luogo, particolarmente l’elenco dei reati in esso per i quali il mezzo della prova può essere disposto; vengono a questo aggiunti, con una nuova lettera (f-quinques) innestata nel primo comma, soltanto i “delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis del codice penale ovvero alfine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo”.

E’ una modifica marginale perché finisce soltanto per ampliare il catalogo a quei reati aggravati dal metodo o dalla finalità mafiosa che abbiano una pena al di sotto dei cinque anni di reclusione, quale potrebbe essere, ad esempio, una minaccia aggravata (art. 612 c.p.) dal metodo mafioso.

Più rilevante, invece, è la nuova previsione del comma 2 bis del medesimo articolo che si occupa esplicitamente dell’intercettazione effettuata attraverso il “captatore informatico” applicato su dispositivo elettronico portatile (il cd trojan horse)[4].

Sul presupposto che quest’ultima attività debba essere parificata ad una intercettazione tra presenti (cd ambientale) (così, Cass. Sez. Un., 28 aprile 2016, n. 26889) e che ad essa, quindi, debbano applicarsi i limiti previsti per i luoghi indicati dall’art. 614 c.p. (comma 2 dell’art. 266), con il nuovo capoverso (appunto il comma 2 bis) si prevedono deroghe specifiche a quest’ultima limitazione.

Si stabilisce, in particolare, che queste peculiari intercettazioni possano svolgersi nei luoghi di cui all’art. 614 c.p., anche se non vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa, se si procede per i delitti di cui agli artt. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. ovvero per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Solo in quest’ultimo caso è altresì necessario che il provvedimento autorizzativo (e di conseguenza anche la richiesta del p.m.), contenga l’indicazione delle specifiche ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi di privata dimora.

Nell’art. 267 c.p.p. vengono, invece, inserite due modifiche, riferite anch’esse alle intercettazioni a mezzo trojan, per definire le condizioni che le rendono applicabili e le forme dei provvedimenti autorizzatori.

Nel comma 1 si aggiunge un terzo alinea con cui si impone che il decreto che autorizza l’intercettazione ambientale attraverso questo particolare strumento tecnologico debba indicare sempre “le ragioni che rendono necessaria tale modalità di svolgimento delle indagini” e, nel caso si proceda per i reati diversi da quelli di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. o dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, anche “i luoghi, il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione”.

Nel nuovo comma 2 bis si consente, inoltre, evidentemente in relazione alla ritenuta particolare delicatezza dell’atto da compiersi,  al p.m. di disporre l’intercettazione urgente, mediante inserimento di captatore informatico, nei soli casi in cui si procede per i delitti di cui agli artt. 51, commi 3 bis e 3 quater c.p.p. e per quelli contro la pubblica amministrazione che prevedono la pena nel massimo pari a cinque anni; in tutti gli altri, quindi, essa dovrà sempre essere previamente autorizzata dal Gip, anche quando dovessero ritenersi esistenti le ragioni di urgenza.

L’esecuzione delle intercettazioni. I rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria.

Numerosi sono gli interventi di modifica dell’impianto originario nella fase dell’esecuzione delle intercettazioni, ritenuta quella su cui più investire nella logica di evitare la pubblicità di captazioni non strettamente necessarie ai fini delle indagini.

In questa prospettiva viene, in primo luogo, imposto al p.m. che richiede le intercettazioni un cambio di passo; deve assumere un ruolo proattivo fin dal momento in cui le attività tecniche cominciano in modo da limitare in anticipo le possibili successive occasioni di violazioni della riservatezza.

In questo senso, deve quindi farsi carico di una continua interlocuzione con la polizia deputata allo svolgimento delle attività tecniche.

Il nuovo comma 2 bis dell’art. 268 – riformulato dal d.l. del 2019 e di contenuto molto diverso da quello che era stato recato dal testo del 2017[5] – onera, in particolare, il p.m. a controllare che nei verbali non siano riportate “espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge”[6], facendo, comunque, salva la possibilità di mantenere queste ultime espressioni se e quando risultino rilevanti e quindi necessarie ai fini delle indagini.

Perché il controllo sia effettivo diventa evidentemente necessaria la preventiva consultazione del p.m. da parte della polizia in funzione di redigere il verbale delle intercettazioni (il cd brogliaccio).

La norma da ultimo citata, però, non deve indurre a considerare limitato solo a quegli aspetti specifici il potere di controllo dell’ufficio giudiziario inquirente.

Rientra indiscutibilmente tra i compiti di quest’ultimo quello, ad esempio, di evitare che siano riportati nei “brogliacci” colloqui inutilizzabili ai sensi dell’art. 103 c.p.p. o in contrasto con le prerogative dei parlamentari, previste dall’ art. 68 della Costituzione.

Il medesimo p.m. dovrà, inoltre, intervenire –  in virtù di quanto emerge dai nuovi comma 1 ter dell’art. 291 c.p.p. e 1 bis dell’art. 92 disp. att. c.p.p., di cui si dirà più avanti –  per impedire che nei verbali si riportino, sia pure in forma meramente riassuntiva, colloqui irrilevanti ai fini delle indagini e/o colloqui integralmente riprodotti, fuori dai casi in cui ciò sia indispensabile per le indagini[7].

Dovrà, infine, anche verificare che i verbali delle operazioni di intercettazione contengano, ai sensi dell’art. 89, comma 1, disp. att. c.p.p., “la descrizione delle modalità di registrazione, l’annotazione del giorno e dell’ora di inizio e di cessazione, nonché i nominativi delle persone che hanno preso parte alle operazioni” e, se si procede a mezzo trojan, che il verbale medesimo riporti anche “il tipo di programma effettuato e, ove possibile, i luoghi in cui si svolgono le comunicazioni o conversazioni”.

La trasmissione dei verbali e delle registrazioni da parte della polizia giudiziaria.

Ancora più pregnanti appaiono le modifiche normative che attengono al momento in cui l’intercettazione si è conclusa ed i risultati di essa devono essere riversati nel procedimento penale.

A presidiare questa fase è previsto l’art.  268, comma 4 c.p.p. che, nel testo emendato, stabilisce che “i verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero per la conservazione nell’archivio di cui all’art. 269, comma 1. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati presso l’archivio di cui all’articolo 269, comma 1, insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga”.

La disposizione contiene, a ben vedere, la regolamentazione di due diversi momenti relativi entrambi alla fase successiva alla conclusione dell’attività tecnica vera e propria e cioè la trasmissione dei verbali e delle registrazioni e il successivo deposito degli stessi nell’Archivio digitale delle intercettazioni (ADI).

Il primo step è quello che impone alla p.g. la trasmissione dei verbali e delle registrazioni al p.m..  L’indicazione normativa, però, sul punto non appare di agevole lettura con riferimento alle modalità e ai tempi attraverso cui l’attività indicata debba essere espletata.

L’avverbio utilizzato dalla disposizione (“immediatamente”), infatti, sembra voler richiedere soltanto alla p.g. di essere tempestiva nel suo adempimento ma non individua, però, con precisione il momento da cui scatta l’obbligo, rendendo astrattamente possibili diverse soluzioni interpretative.

Tenendo presente che la trasmissione è finalizzata –  come si dirà subito dopo – al “conferimento” nell’Archivio digitale e comporta, come conseguenza di essa, che da quel momento la polizia debba spogliarsi della disponibilità degli atti concernenti le intercettazioni, comprese le registrazioni,, la tesi preferibile sembra poter essere quella che individua il dies a quo dell’obbligo di trasmissione nella chiusura di tutte attività connesse alle intercettazioni svolte nell’ambito del procedimento.

In tale nozione dovrebbero ricomprendersi non solo le operazioni di registrazione dei colloqui, ma anche tutte quelle concernenti la redazione dei verbali (brogliacci) di trascrizione.

A sostegno della proposta opzione ermeneutica sembra militare, in primis, la lettera della norma e, in particolare, l’utilizzo in essa del plurale (i «verbali» e le «registrazioni»), a dimostrazione di come essa non pensi ad un singolo atto (il verbale di una intercettazione) ma a tutti quelli prodotti all’esito dell’attività tecnica di captazione.

Anche sul piano logico questa lettura appare più coerente con l’obiettivo perseguito dall’impianto normativo; se è necessario, in base a quanto detto in precedenza, documentare le sole conversazioni, oltre che utilizzabili anche rilevanti, questo risultato si può conseguire solo all’esito di una ragionata selezione di tutte le conversazioni captate, selezione che presuppone necessariamente la ultimazione degli ascolti.

La trasmissione, in conclusione, dovrà avvenire quando saranno completate tutte le attività, mettendo a disposizione del p.m. atti e registrazioni, con la conseguenza che da quel momento non sarà più possibile accedere alle registrazioni se non a mezzo dell’archivio.

A seguito dell’avvenuta trasmissione il p.m. avrà, a sua volta, una doppia alternativa, cui fanno menzione sia il comma in esame che quelli successivi del medesimo art. 268 c.p.p..

Potrà, cioè, entro cinque giorni (termine da considerarsi non perentorio) depositare gli atti (e cioè, sia le registrazioni che i provvedimenti autorizzativi ed i verbali della p.g.) presso l’archivio di cui si dirà più avanti.

Si tratta di un’evenienza che sarà statisticamente molto marginale; comunque nel caso avvenga il p.m. darà (comma 6) notizia ai difensori delle parti che avranno la facoltà di esaminare gli atti (i verbali e gli atti autorizzativi) e ascoltare le registrazioni.

Oppure (comma 5), potrà richiedere al gip di autorizzare il ritardo del deposito, qualora da esso possa derivare un grave pregiudizio per le indagini, “non oltre la chiusura delle indagini preliminari”.

Questa seconda descritta opzione sarà probabilmente quasi sempre quella fisiologica, perché il p.m. non ha alcun interesse ad anticipare la discovery degli atti, soprattutto quando ritiene che, a seguito dell’attività di indagine svolta, debba avanzarsi successivamente richiesta cautelare.

Nella pratica è probabile che, in particolar modo quando sono state disposte molte intercettazioni, la descritta situazione possa essere più articolata di quanto detto e svilupparsi in modo anche parzialmente diverso.

La p.g., anche per consentire al p.m. di esercitare il suo potere di coordinamento, potrebbe non attendere la definitiva conclusione di tutte le attività di sua competenza e depositare, non appena conclusa ogni singola intercettazione, un verbale, sia pure provvisorio, al p.m., richiedendo a questi  l’autorizzazione a ritardare il conferimento nell’Archivio sino alla completa ricognizione ed analisi dei dati acquisiti, conservando, in tal modo, l’accesso alle tracce foniche e ai verbali delle intercettazioni.

Il p.m. a sua volta potrà, quindi, richiedere al giudice l’autorizzazione a differire il deposito dell’intercettazione, contestualmente impartendo, non necessariamente in modo formale, alla polizia giudiziaria anche le necessarie indicazioni sui tempi entro i quali concludere l’attività in corso.

L’Archivio digitale delle intercettazioni (ADI) ed il conferimento delle intercettazioni. 

Come si è già accennato, la trasmissione dei verbali e delle registrazioni da parte della p.g. è funzionale al deposito degli atti nell’Archivio documentale delle intercettazioni (ADI).

Quest’ultima attività rappresenta una delle principali innovazioni della normativa ed integra un nuovo istituto –  individuato come “conferimento” –  che a differenza della trasmissione onera il p.m., anche se con modalità operative che richiedono la necessaria collaborazione della p.g.

Il conferimento, nelle intenzioni del legislatore, è funzionale a che tutto il materiale attinente le intercettazioni, sia quello documentale (i decreti autorizzativi con le relative informative presupposto, i verbali della p.g., compresi i brogliacci) sia quello fonico (le registrazioni), confluisca in un server collocato all’interno dei locali della Procura (appunto l’Archivio) e “tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della repubblica che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni” (così art. 269, comma 1,  c.p.p. ma anche art. 89 bis, comma 1, disp. att. c.p.p.).

Questa centralizzazione documentale dovrebbe garantire, nell’intentio legis, una maggiore riservatezza dell’attività di intercettazione.

Dopo il conferimento, infatti, la consultazione delle intercettazioni potrà avvenire esclusivamente attraverso l’Archivio,  oggetto di particolari e rigorose regole di sorveglianza[8] ed il cui accesso è consentito solo ad alcuni soggetti, previa annotazione in apposito registro[9].

Le registrazioni inserite nell’Archivio vi resteranno ivi conservate fino alla pronuncia di una sentenza non più soggetta ad impugnazione; gli interessati (così, comma 2 art. 269 c.p.p.), “quando la documentazione non è più necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l’intercettazione.”

Il giudice deciderà in camera di consiglio a norma dell’art. 127, quindi in udienza camerale, con il contraddittorio delle parti interessate.

Ritornando al conferimento, il primo passo perché esso avvenga è costituito evidentemente dalla consegna da parte della polizia giudiziaria e delle aziende fornitrici degli apparati di tutti gli atti e le registrazioni in loro possesso.

Il secondo passaggio è, invece, costituito materiale di trasferimento dei dati nell’archivio, che va effettuato a cura del p.m., senza che sia necessario alcun avviso ai difensori; esso deve avvenire, per quanto poi si dirà, necessariamente prima che i difensori abbiano avuto notizia formale delle intercettazioni e, quindi, o prima dell’avviso di cui al comma 6 dell’art. 268 c.p.p. o comunque prima della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. o della richiesta di giudizio immediato ex art. 454 c.p.p..

Dal punto di vista pratico, il conferimento richiederà l’ausilio necessario delle società che gestiscono per conto dell’ufficio del p.m. il servizio di intercettazione; le registrazioni, infatti, andranno materialmente trasferite dai server di tali ditte nell’ADI.

Pur in assenza di specifiche indicazioni normative in tal senso, sembra indiscutibile, per la delicatezza e rilevanza dell’incombente, che tale travaso richieda l’indispensabile collaborazione della polizia giudiziaria; nei primi atti organizzativi adottati da alcune procure si è, fra l’altro, espressamente attribuito il compito in questione proprio ad ufficiali di p.g. adeguatamente formati che dovranno sovrintendere all’attività e controllare la correttezza della stessa.

Ultimata l’operazione di conferimento e verificato il buon esito della stessa, il gestore del servizio dovrà procedere alla cancellazione dai propri server delle registrazioni e dei verbali, rilasciando, quindi, un’attestazione dell’avvenuta esecuzione di tali operazioni.

Nei primi atti organizzativi degli uffici inquirenti, per rendere cogente il rilascio di questa attestazione (che certamente ha natura di atto pubblico in quanto rilasciata da soggetto che pur se privato esercita un pubblico servizio), si è stabilito che si debba dare atto di essa nei provvedimenti di liquidazione delle spese del gestore, subordinandone, quindi, alla sua presenza il pagamento

Sempre post conferimento sarà necessario procedere anche alla distruzione e/o alla formattazione dei supporti informatici utilizzati per l’esportazione dei dati.

Nella prima fase di avvio del nuovo sistema, però, al fine di evitare il rischio di disperdere fondamentali elementi di prova, quasi tutte le procure hanno disposto nel senso della conservazione dei supporti in questione, in locali dedicati dell’archivio digitale, per un certo periodo di tempo, prevedendo solo alla scadenza la distruzione e la formattazione.

La fase dell’utilizzazione; la selezione delle registrazioni rilevanti.

L’immissione degli atti e delle registrazioni nell’Archivio precede un’altra fase che rappresenta una ulteriore novità introdotta dall’articolato in esame, quella cioè relativa alla cd selezione dei colloqui rilevanti.

Attraverso di essa, in particolare, si individuano quali comunicazioni intercettate sono da considerarsi utili per il processo, con il conseguente “scarto”, quindi, di quelle irrilevanti.

Si tratta di un momento che ha significative ricadute sul piano processuale, a partire dal regime di pubblicità/pubblicazione delle registrazioni.

Le intercettazioni ritenute non rilevanti, infatti, secondo il disposto del nuovo comma 2 bis dell’art. 114 c.p.p., sono sottoposte al divieto di pubblicazione, anche parziale, del loro contenuto; sono destinate, in pratica, a restare nell’ADI e di esse non può essere autorizzata la copia, nemmeno se richiesta dai difensori.

Due sono le modalità attraverso cui si attua la selezione delle conversazioni rilevanti ed esse si distinguono a seconda del momento in cui l’attività di cernita in esame deve essere, in concreto, svolta.

La prima ipotesi è quella che si è indicata sopra come statisticamente marginale in cui, nella fase delle indagini preliminari, il p.m., all’esito della trasmissione da parte della p.g. e al conferimento delle intercettazioni nell’archivio, abbia dato avviso di deposito, non avendo ritenuto di richiedere al Gip (o non avendo ottenuto da quest’ultimo) il differimento fino alla conclusione della fase delle indagini preliminari.

Con l’avviso di deposito, in particolare, i difensori delle parti vengono resi edotti che, entro un termine fissato dal p.m., ma prorogabile dal giudice, hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni o prendere cognizione dei flussi telematici, accedendo all’Archivio.

Ai difensori non è, quindi, consentito in questa fase di ottenere copia delle registrazioni, potendo solo ascoltarle, accedendo al server.

Scaduto il termine, l’operazione di selezione avverrà in un’udienza fissata innanzi al giudice che procede (normalmente si tratterà del Gip), nel contraddittorio delle parti, secondo quanto previsto dall’art. 268, comma 6 c.p.p..

Ognuna delle parti indicherà le intercettazioni ritenute rilevanti ed il giudice disporrà “l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche …, che non appaiano irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza”.

La valutazione del giudice, quindi, effettuata sulla scorta della richiesta delle parti, si caratterizzerà come una delibazione sommaria, anche in relazione alla fase processuale in cui avviene, e porterà all’esclusione di quei soli colloqui che “appaiono irrilevanti”.

L’altra modalità di selezione è, invece, quella in cui il deposito è stato differito al termine delle indagini preliminari ed il pubblico ministero abbia poi provveduto a notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. o ad esercitare l’azione penale mediante giudizio immediato.

In entrambi i casi, la fissazione di un’udienza ad hoc dinanzi al giudice è meramente eventuale, potendo le parti direttamente concordare sul materiale captativo da utilizzare nel prosieguo.

In particolare, partendo dalla prima ipotesi, il p.m. nell’avviso della conclusione delle indagini preliminari – come richiede esplicitamente il nuovo comma 2 bis dell’art. 415 bis c.p.p. – dovrà rendere edotta la persona sottoposta alle indagini ed il suo difensore che hanno facoltà di esaminare in via telematica gli atti relativi alle intercettazioni ed ascoltare le registrazioni o prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche e telematiche e che hanno, altresì, facoltà di estrarre copia delle registrazioni e dei flussi indicati come rilevanti dal p.m..

Ciò significa che il pubblico ministero deve operare, prima del deposito degli atti, una propria selezione delle registrazioni reputate rilevanti e di cui intende avvalersi, elencandole in un documento scritto che, pur in assenza di specifiche indicazioni normative, dovrà essere redatto in modo preciso, riportando i dati identificativi delle comunicazioni e, quindi, la data, il numero progressivo ed il numero di registro delle intercettazioni (RIT), in modo da consentire alla difesa di verificare l’utilizzabilità e la rilevanza probatoria di ciascuna di esse.

Il mero inserimento delle conversazioni nel citato elenco ha una sua immediata conseguenza; consente ai difensori di ottenere copia delle registrazioni.

Il difensore può, entro il termine di 20 giorni, depositare anche un proprio elenco contenente un’istanza con cui individua ulteriori registrazioni rilevanti e di cui chiede copia.

Sull’istanza, il p.m. medesimo è chiamato a decidere con decreto motivato ed in caso di rigetto o qualora il difensore intende contestare l’elenco dei colloqui predisposto dal p.m. è possibile, su richiesta del solo difensore, l’intervento del giudice che deciderà nelle forme di cui all’art. 268, comma 6, c.p.p. e, quindi, con un’udienza nel contraddittorio delle parti.

Qualora il p.m. proceda con richiesta di giudizio immediato, invece, nel suo atto introduttivo del rito, come stabilito dal nuovo comma 2 bis dell’art. 454 c.p.p., dovrà inserire un avviso analogo a quello di cui al comma 2 bis dell’art. 415 bis che consentirà di aprire un subprocedimento sostanzialmente identico a quello da ultimo descritto che, o con l’accordo delle parti o con l’intervento del giudice con di cui all’art. 268, comma 6, porterà all’individuazioni delle conversazioni rilevanti[10].

Le novità nel procedimento applicativo di misure cautelari.

Il d.lgs n. 216 del 2017 nel testo emendato dal d.l 161 del 2019, ha inciso anche sull’art. 291 c.p.p. che si occupa del procedimento applicativo delle misure cautelari, con specifiche regole per caso in cui fra gli atti da utilizzarsi vi siano anche intercettazioni.

Il nuovo comma 1 prevede, in particolare, che la richiesta, ove sia sorretta anche da prove derivanti da attività captativa, deve essere accompagnata anche dai verbali di cui all’articolo 268, comma 2, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti, “e comunque conferiti nell’archivio di cui all’articolo 269”.

Il pubblico ministero che intenda attivare il procedimento cautelare dovrà, quindi, preventivamente trasferire la documentazione relativa all’attività di intercettazione nell’ADI; l’utilizzo del participio passato nella norma, non accompagnato da un verbo servile (“può”), sembra prefigurare in capo al p.m. un obbligo, la cui inosservanza, però, non è espressamente sanzionata e non pare, quindi, essere foriera di possibili cause ridondanti sulla richiesta cautelare.

Il trasferimento, comunque, potrà, nella pratica, essere più o meno agevole in base allo stato delle indagini; ove le intercettazioni siano ultimate e le indagini siano ormai in via di completamento, la messa a disposizione attraverso il conferimento potrà essere ampia e non subire limitazioni; al contrario, nel caso in cui siano in corso ancora intercettazioni, il p.m. si limiterà al conferimento delle sole  intercettazioni utilizzate nella richiesta cautelare, trasferendo le registrazioni, unitamente ai brogliacci di ascolto o verbali sommari, se del caso anche debitamente omissati.

Il nuovo comma 1 ter del medesimo art. 291 incide anche sulle modalità di redazione della richiesta cautelare del p.m., stabilendo che “quando è necessario, nella richiesta sono riprodotti soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate”.

E’ un’indicazione normativa che, per quanto anche in questo caso non assistita da una sanzione processuale in termini di nullità o inutilizzabilità, impone al p.m. non solo un self restraint sulla tecnica di redazione della richiesta ma, come si è già detto sopra, un controllo che può estendersi anche sugli atti redatti dalla polizia giudiziaria.

Il legislatore, infatti, con la norma sembra considerare le trascrizioni integrali delle intercettazioni un’eccezione ammessa nei soli casi in vi sia una specifica esigenza; al di fuori di tale situazione, il p.m. nella sua richiesta (ma anche la p.g. nei suoi atti) dovrà limitarsi a riassumere il contenuto del colloquio legittimamente captato.

Il p.m dovrà, inoltre, curare con attenzione che negli atti trasmessi al Giudice della cautela non vi sia menzione di intercettazioni inutilizzabili ed irrilevanti; qualora ciò accada il giudice può stigmatizzare il comportamento contrario, disponendo, ai sensi dell’art. 92, comma 1-bis, disp. att. c.p.p., la restituzione delle intercettazioni irrilevanti o non utilizzabili per la loro definitiva conservazione nell’ADI.

Successivamente, poi, all’esecuzione della misura cautelare, il difensore dell’indagato (ai sensi del terzo alinea del comma 3 dell’art. 293 c.p.p.) avrà diritto di esaminare e di estrarre copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate utilizzate per la richiesta e della relativa documentazione nonché di trasporre, su supporto idoneo alla riproduzione dei dati, le relative registrazioni.

Qualora le indagini non siano ancora chiuse, non essendovi ancora stato il formale deposito di cui all’art. 268 c.p.p., non sarà invece possibile ai difensori accedere all’ADI per la consultazione delle fonie e della documentazione non utilizzata per la richiesta.

L’utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi.

Fra le più importanti novità introdotte dal d.l. n. 161 del 2019 (conv. in l n. 7 del 2020) va segnalata la completa riscrittura del comma 1 dell’art. 270 c.p.p. che è destinata ad ampliare in modo significativo l’ambito di utilizzabilità delle intercettazioni in altri procedimenti, sostanzialmente sconfessando l’approdo ermeneutico cui era giunta la Cassazione con la recente sentenza delle Sezioni Unite

Ci si riferisce, in particolare, a Cass., Sez. Un., 28 novembre 2019, n. 51/2020, imp. Cavallo, secondo cui  “…, il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata “ab origine” disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.”.

Il nuovo capoverso dell’art. 270 c.p.p. stabilisce, invece, che “i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’art. 266, comma 1”.

A differenza di quanto previsto in passato, diventano due le possibili deroghe al divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in diversi procedimenti; la prima ricalca la disciplina previgente e riguarda l’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza; la seconda, decisamente innovativa, consente l’utilizzo alla sola condizione che i reati ulteriori rientrino fra quelli di cui all’art. 266, comma 1, cod. proc. pen., a prescindere, quindi, dall’esistenza di qualsivoglia rapporto di connessione con le imputazioni originarie.

La disposizione subordina, invero, l’utilizzabilità a due ulteriori condizioni e cioè che i risultati delle intercettazioni siano “rilevanti” ed “indispensabili” nel diverso procedimento; si tratta di due presupposti alquanto generici che consentiranno un ampio uso delle intercettazioni in altri procedimenti, richiedendo sostanzialmente che i colloqui captati nel procedimento diverso siano necessari in funzione probatoria nell’altro procedimento.

La previsione riportata riguarda, però, le sole intercettazioni alle quali si applica la nuova normativa, in base ai criteri indicati sopra; per le altre, invece, resteranno vigenti i limiti del previgente testo dell’art. 270 c.p.p., come interpretato dalla sentenza delle Sezioni Unite citata.

Il d.l. n. 161 del 2019, n. 161 ha riservato una disciplina speciale, più restrittiva, per il caso che le intercettazioni da utilizzarsi in altro procedimento siano state effettuate a mezzo di captatore informatico.

Ha introdotto, infatti, il comma 1 bis nell’ art. 270, secondo cui “fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, qualora risultatino indispensabili per l’accertamento di uno dei delitti indicati dall’art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen.”

Prescindendo dai non pochi problemi ermeneutici che derivano soprattutto dall’incipit della disposizione (“fermo restando quanto previsto dal comma 1”), ritenuto dai primi commentatori di difficile comprensione, l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni compiute tramite “trojan” per la prova di ulteriori delitti è più limitata rispetto a quella prevista dal comma 1.

E’, infatti, necessario che le intercettazioni risultino indispensabili per la prova del diverso reato, a condizione, però, che quest’ultimo rientri nel catalogo “ristretto” di cui all’art. 266, comma 2-bis, c.p.p., vale a dire si tratti di uno dei delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis e quater c.p.p. o di quelli contro la pubblica amministrazione punti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

* Il testo in questione rappresenta un addendum di aggiornamento al Manuale pratico della polizia giudiziaria, a cura di R. Cantone, T. Baglione, U Nannucci, M. Ancillotti, Roma, in corso di ristampa.  

[1] La legge in questione risulta costituita da un unico articolo, diviso in 95 commi

[2] L’art. 9 del d.lgs n. 216 del 2017, nel testo da ultimo emendato dal d.l. n. 7 del 2020 stabilisce “1. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 4, 5 e 7 si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. 2. La disposizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), acquista efficacia a decorrere dal 1° settembre 2020.”; l’art. 2, comma 8, nel testo pure emendato dal d.l. n. 7 del 2020, “Le disposizioni del presente articolo si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.”

[3] Il testo originario dell’art. 9 del d.lgs n. 216 del 2017 prevedeva, invece “1. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 4, 5 e 7 si applicano alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto. 2. La disposizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), acquista efficacia decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.

[4] L’art. 89, comma 2, disp. att. c.p.p. delega al Ministro della giustizia, attraverso l’adozione di un decreto ministeriale, l’individuazione dei requisiti tecnici dei programmi che potranno essere utilizzati per i captatori informatici. Nelle more di tale definizione, ai sensi dell’art. 4 del d.m. Giustizia, 20 aprile 2018 (contenente “Disposizioni di attuazione per le intercettazioni mediante inserimento di captatore informatico e per l’accesso all’archivio informatico a norma dell’articolo 7, commi 1 e 3, del d.lgs. 216/2017”) si prevede che i programmi informatici funzionali all’esecuzione delle intercettazioni mediante captatore informatico debbano essere elaborati “in modo da assicurare integrità, sicurezza e autenticità dei dati captati su tutti i canali di trasmissione riferibili al captatore” (comma1); inoltre è necessario che “i programmi informatici funzionali all’esecuzione delle intercettazioni mediante captatore informatico consentono la trasmissione di tutte le informazioni necessarie a definire il contesto dell’acquisizione” (comma 4).

[5] Il d.lgs n. 267 del 2016 aveva previsto due capoversi ed utilizzato anche una dizione molto più netta rispetto ai comportamenti da tenersi; nel comma 2 bis dell’art. 268 si era, infatti, stabilito che “è vietata la trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti, nonché di quelle, parimenti non rilevanti, che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge. Nel verbale delle operazioni sono indicate, in tali casi, soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è avvenuta”; nel comma 2 ter, invece, si prevedeva “il pubblico ministero, con decreto motivato, può disporre che le comunicazioni e conversazioni di cui al comma 2 bis siano trascritte nel verbale quando ne ritiene la rilevanza per i fatti oggetto di prova. Può altresì disporre la trascrizione nel verbale, se necessarie a fini di prova, delle comunicazioni e conversazioni relative a dati personali definiti sensibili dalla legge”.

[6] Per dati sensibili devono intendersi quelli riferibili alle categorie di cui all’ art. 9 del Regolamento UE 2016/679 (dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una personalistica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona).

[7]. Le due disposizioni come si evidenzierà più avanti formalmente si rivolgono al giudice e non al p.m., ma rientra nei compiti di un p.m. diligente evitare che il giudice censuri provvedimenti contenenti intercettazioni non rilevanti e non indispensabili.

[8] Il d.m. giustizia, 20 aprile 2018 già sopra citato, all’art. 3, in particolare, individua una serie di regole relative all’“Accesso per la consultazione all’archivio riservato”, prevedendo che nell’archivio siano installati sistemi di videosorveglianza ed imponendo l’identificazione di tutti i soggetti che vi accedono; sul tema è intervenuto il 20 luglio 2020, con un proprio provvedimento esplicativo (“indicazioni operative sul completamento della digitalizzazione e securizzazione delle intercettazioni e delle ulteriori conseguenti attività logistiche e organizzative ex art. 269 c.p.p. e art. 89-bis disp. att. c.p.p.”), anche il Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria, del personale e dei Servizi del ministero della giustizia, che, al paragrafo 3, si è occupato esplicitamente dei centri per le intercettazioni (CIT) e delle sale ascolto.

[9] L’art. 89 bis, comma 3, disp. att. c.p.p. stabilisce in particolare che “all’archivio possono accedere, secondo quanto stabilito dal codice, il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di p.g. delegati all’ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete. Ogni accesso è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data, ora iniziale e finale, e gli atti specificamente consultati”. Sui soggetti che possono accedere all’archivio, il provvedimento del Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria (citato nella nota precedente) ha suggerito, al par. 3, un’interpretazione estensiva della disposizione, ritenendo che potessero accedere all’ADI sia i praticanti avvocati sia gli ausiliari del difensore (ad esempio, i consulenti tecnici da esso nominati).

[10] La più significativa differenza di procedura riguarda il termine concesso al difensore per il deposito delle ulteriori registrazioni fissato in questo caso in quindici giorni, ma espressamente prorogabile per ulteriori 10 giorni da parte del p.m. medesimo. Questa possibilità di proroga del termine non è invece prevista nel caso della sub-procedura di cui  comma 2 bis dell’art. 454 c.p.p. ma tale omissione non preclude comunque al p.m. di prorogare il termine ivi previsto di venti giorni, quando il difensore dovesse richiederlo per giustificate ragioni.

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